mercoledì 18 agosto 2021

SOTTO LA GUIDA DELLO SPIRITO IN STATO DI CONVERSIONE

 


Raccoglimento e silenzio

Il silenzio, sempre in rapporto con l'interiorità e il raccoglimento, è anch'esso un terreno eminente di incontro con la grazia. Solo la grazia infatti può attirarci all'interno di noi stessi e placarci accanto alla Parola di Dio, per esprimere così davanti a Dio, senza parole, il nostro essere e quello del mondo. D'altronde il silenzio ha sempre a che fare con la parola: o si accorda a una parola che siamo chiamati ad accogliere, oppure è lo spazio in cui prendiamo noi stessi la parola. Ma prima che questo avvenga, il silenzio non è privo di ambiguità: può essere espressione di impotenza e di peccato, ma anche di pienezza e di fecondità. Nel libro della Genesi, Adamo prima del peccato è per eccellenza un uomo che parla: prendendo la parola, svolge un ruolo attivo nella creazione; Dio lo invita addirittura a dare un nome a tutte le creature e viene di persona a dialogare con l'uomo al calar del sole, alla brezza della sera. Questo dialogo fu interrotto dal peccato. Quando Dio si manifestò nuovamente nella sua passeggiata serale, Adamo ed Eva si nascosero per la vergogna, non osando più accogliere Dio. Anche tra di loro il dialogo è interrotto: Eva tenta Adamo e Adamo accusa sua moglie davanti a Dio. La loro parola non esprime più l'amore bensì l'impotenza e l'odio, non sarà più parola di benedizione: ora è capace di maledire. La confusione delle lingue alla torre di Babele è un'immagine evidente della divisione che ormai regna tra gli uomini perfino nel linguaggio, la cui diversità ostacola notevolmente l'intesa reciproca. Anche all'interno dell'uomo adesso regna la divisione e la confusione: non è più capace di essere leale nei confronti della sua stessa parola. L'uomo è diventato mentitore e con la sua lingua può far torto alla verità: la bocca infatti parla dalla pienezza del cuore (cf. Mt 12,34). Il cuore dell'uomo è diventato cattivo, perciò la sua parola è ambigua, può fare il bene come il male: è uno strumento con il quale possiamo sia lodare Dio che fare del torto ai fratelli, scrive Giacomo in un brano significativo della sua lettera in cui insiste sui pericoli che può provocare la lingua (cf. Gc 3,1-12). Ecco una prima ragione per essere attenti a maneggiare con serietà la parola, e anche, eventualmente, per tacere: la nostra impotenza e la nostra povertà. Spesso è meglio osservare il silenzio perché, parlando, si corre un rischio: Gesù stesso ci ha detto che verremo giudicati per ogni parola inutile (Mt 12,36), ammonimento che sottolinea sia il valore che l'ambiguità della parola. Questa prima forma di silenzio non sembra decisamente positiva, però ci aiuta più spesso di quanto crediamo. E’ bene vivere come esseri feriti, che conoscono le loro ferite e che, con tutti i loro atteggiamenti, dimostrano di cercare la guarigione. Questo stesso silenzio, che nasce dalla nostra impotenza, regna a volte tra Dio e noi, specialmente al momento della preghiera. Non è ancora il silenzio che ci afferra dall'interno, quando una parola di Dio sorge improvvisa come una luce nel nostro cuore. Al contrario, è un silenzio che nasce dall'eccessiva distanza tra Dio e noi, però un silenzio che è pieno di speranza e di attesa e che può veramente purificarci in profondità. Noi crediamo che Dio un giorno scavalcherà tutti i nostri peccati e sarà il primo a riprendere la parola per darci un segno di pura grazia. Il nostro mutismo esprime questa speranza e il desiderio di dire la nostra attuale insoddisfazione: è il silenzio del mendicante che non cessa di tendere la mano, il che include il rifiuto di tutto ciò che potrebbe distrarre da Dio. Il povero autentico è colui che è persuaso che solo Dio può salvarlo e che solo la sua Parola può compiere meraviglie. Una meraviglia simile è già apparsa nella vita di Gesù: questi è venuto sulla terra non tanto per tacere quanto piuttosto per ristabilire il dialogo spezzato tra Dio e Adamo. E’ lui che toglie la dissonanza che impedisce al nostro cuore di entrare veramente in dialogo con Dio. Gesù lo fa con facilità ancora maggiore per il fatto che è nel contempo Dio e uomo. Come Dio, è la Parola vivente e perfetta del Padre che ci è concesso di ascoltare molto chiaramente; come Dio, Gesù è nello stesso tempo la risposta del Padre al punto che, in quanto uomo, era il solo in grado di restaurare il dialogo tra l'umanità e Dio. Gesù è innanzitutto la Parola del Padre rivolta a noi. È quanto appare chiaramente in ciò che dice il Padre nella Trasfigurazione: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo" (Lc 9,35). Gesù stesso ha sovente ricordato di essere soltanto la Parola del Padre: è l'inviato del Padre e non può far altro che trasmettere ciò che ha ricevuto dal Padre. Ai giudei, che si meravigliavano di vederlo presentarsi come Maestro, dice esplicitamente: "La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato" (Gv 7,16). Il fatto che Gesù si esprima in questi termini suppone in lui un'intensa apertura e un abbandono totale al Padre, il che è anche una forma di silenzio e di interiorità. Per essere soltanto Parola del Padre, Gesù deve essere, fin nella sua umanità, unicamente silenzio, attenzione e ascolto del Padre. Per essere risonanza di quanto il Padre vuole comunicare, bisogna che Gesù sia impregnato di riservatezza, che assuma un atteggiamento essenzialmente di ascolto, in sintonia completa con il Padre. Gesù è in grado di essere Parola di Dio fin nella sua umanità perché al fondo del suo essere regna un silenzio infinito. Tuttavia Gesù è nel contempo risposta dell'uomo a Dio. Grazie al suo silenzio e alla sua Parola, il dialogo, interrotto da Adamo, è ristabilito. Paolo, nella seconda lettera ai Corinti, ha espresso in modo sintetico questi due aspetti di Gesù-Parola: "Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi (...) non fu si e no, ma in lui c'è stato il si. E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute sì. Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro amen per la sua gloria" (2Cor 1,19-20). E’ proprio perché Gesù è così disinteressato e così trasparente alla Parola del Padre che è stato anche la risposta migliore e più positiva dell'uomo. E’ stato il primo Amen, al quale acconsentiamo e ribadiamo il nostro accordo a ogni liturgia: Amen, Alleluja. Il silenzio essenziale e infinito dell'umanità di Gesù era così riempito fino al colmo dal sì dell'umanità, dall'amen del cielo come da quello della liturgia terrena. Amen non è forse il nome che Giovanni ha dato a Gesù nell'Apocalisse: "Così parla l'Amen" (Ap 3,14)? Per dire ed essere sempre l'Amen, Gesù ha dovuto abbandonarsi alla Parola, alla volontà e all'amore del Padre. "Non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu!" (Mc 14,36). In quel momento decisivo la volontà umana di Gesù si è per così dire zittita e ha raggiunto la pace assoluta. Oggi, il silenzio di un credente si riallaccia a quelle parole di Gesù, perché abbiamo bisogno di tempo e di pace per essere in grado di pronunciare consapevolmente quelle stesse parole di fronte al Padre. E perché, a un dato momento, quelle parole basteranno per sempre: Amen! Alleluja!


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