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venerdì 18 agosto 2023

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY

 


Per la conversione d'Ars:  

I. - Preghiere e penitenze. 


l Curato d'Ars, coll'amore di Dio e del prossimo, aveva nel sangue quello che si può chiamare «l’istinto della conquista» 1. Energico ed intraprendente per carattere, egli aveva sognato un'esistenza laboriosa e praticamente utile, e, collocato in questa minuscola parrocchia, nella quale non gli sarebbe stato difficile moltiplicare gli svaghi, noi lo vedremo tosto all'opera, per prepararsi, fin dalle prime settimane, giornate veramente ben impiegate e feconde.  

Prima ancora che si scorgessero le incerte luci dell'aurora, quando nel villaggio d'Ars tutti riposavano tranquilli, si sarebbe potuto vedere un bagliore tremolante, che attraversava il cimitero. Era l'abate Vianney, che passava dalla casa alla chiesa, con una lanterna in mano, era il «buon soldato di Cristo» che si recava al luogo proprio della sua preghiera di intercessore. Giunto alla chiesa, passava immediatamente al coro, si prostrava a terra e dava pieno sfogo ai sentimenti del, suo cuore, già così gonfio di desideri e di sofferenza; ad alta voce, nel silenzio solenne della notte, pregava Iddio che usasse  pietà al suo popolo ed al Pastore. «Mio Dio, - esclamava il santo Curato - datemi la conversione della mia parrocchia. lo acconsento a soffrire tutto ciò che vorrete, per tutto il tempo della mia vita!... Anche i dolori più atroci per cento anni, purché il mio popolo si converta» 2. E le sue lagrime cadevano sul pavimento. Allo spuntar del giorno, il povero pastore era ancora là, come indicava la languida luce che si rifletteva sui vetri della chiesa 3.  

Il Curato Vianney trascorreva poi la sua mattinata in eguale occupazione, ogni volta che le opere di ministero non gli imponevano di uscire; e chi aveva bisogno di lui per gli ammalati sapeva che lo si doveva cercare non alla casa, ma in chiesa. Vi furono dei giorni nei quali non uscì se non dopo l'Angelus della sera 4.  

Di solito però, nel pomeriggio, faceva una breve passeggiata attraverso la campagna, anche se non aveva famiglie da visitare, approfittando di questo tempo per pregare con semplici slanci del cuore o con la recita del suo breviario. Cercava l'occasione di dire una parola ai contadini, e poi, col suo rosario in mano, si perdeva nelle strade della foresta o penetrava tra gli alberi, con piena consolazione della sua anima di mistico, anelante alla pace della solitudine, mentre il suo petto, abituato ai puri effluvi della brezza, si dilatava fra questo incanto di natura. Aveva ben ragione di approfittarne, perché era ormai vicino il tempo nel quale non avrebbe più conosciuto un'ora di calma, costretto a vivere quasi sepolto fra le mura della sua chiesa, senza aria e senza sole. Di questo nuovo San Francesco d'Assisi si è detto che allora preferiva andare nel bosco, per fare le sue preghiere, perché là, solo con Dio, meglio contemplava le sue grandezze e si  serviva di tutto, perfino del canto degli uccelli, per elevarsi fino a Lui 5.  

Ma se aveva pensieri di gaudio non gli mancavano pensieri di tristezza. Un giorno Mandy padre, mentre attraversava il bosco della Papesse, sorprese l'abate Vianney inginocchiato. Il giovane Curato, che non si era accorto di lui, piangeva a calde lagrime, e ripeteva: «Mio Dio, convertite la mia parrocchia». Non osando interrompere quella preghiera commovente il pio contadino si allontanò con tutta precauzione 6.  

Il pio pastore prediligeva le magnifiche ombre del castello di Cibeins. Seguiva le sponde del Fontblin, inoltrandosi sotto le grandi querce, e là, credendosi non osservato da alcuno, si prostrava a terra ripetutamente, - almeno a ogni Gloria Patri, delle sue Ore - 7. Similmente, quando recitava il suo breviario cammin facendo, si inginocchiava sempre al principio ed alla fine, qualsiasi fosse stato il tempo od il luogo in cui si trovasse 8.

Univa alla preghiera la penitenza, e perché nessuno fosse testimonio delle sue spaventevoli austerità, per tutta la vita, volle restare solo nel suo vecchio presbiterio. Se qualcuno avesse pagato per i poveri peccatori il prezzo del riscatto, Dio avrebbe perdonato loro più presto, e, secondo quanto fu detto: «salvare le anime, costa» 9.  

Fin dal giorno del suo ingresso, aveva offerto il materasso a gente bisognosa. Ne rimanevano due altri, non ancora distribuiti, ma stavano tuttora in una sala sopra delle sedie. Aveva forse bisogno di un letto? Per molte settimane si accontentò di distendersi per alcune ore su poveri sarmenti, in una sala umida al pianterreno, e questo genere di penitenza gli  causò nevralgie facciali che lo tormentarono per quindici anni 10; allora, invece di migliorare la sua camera, passò a riposarsi nel solaio. Un uomo di Ars che era venuto a 

cercarlo di notte per un moribondo lo intese discendere da quella incomoda dimora 11, ove si accontentava di distendersi sul nudo pavimento, piegando il capo sopra di una trave. La vedova Renard e sua figlia, che abitavano vicino al presbiterio, più volte lo hanno udito muovere, prima di uscire, questo cuscino di nuovo genere 12  

 Ma non di rado questo riposo sommario era preceduto da una penitenza più dura ancora. Alla sera, appena giunto nella camera, si toglieva la veste talare dalle spalle, ed armatosi di una disciplina con punte di ferro, diventava inesorabile verso il suo cadavere, verso questo vecchio Adamo, come egli chiamava il suo corpo. Alcune notti una persona di Lione, che dimorava presso la madre Renard, lo intese flagellarsi per più di un'ora; aveva ogni tanto un po' di sosta, ma poi si riudivano i colpi insistenti. «Quando finirà dunque?» - si chiedeva la vicina piena di compassione 13. Fabbricava lui stesso o, per lo meno, aggiustava e perfezionava i suoi strumenti di penitenza. Al mattino, riassettando la sua camera, si trovavano sotto i mobili resti di catene e di piccole chiavi, con pezzi di ferro e di piombo, sfuggiti durante la disciplina. Ne consumava una ogni quindici giorni. «Faceva pietà - ha detto Caterina Lassagne - vedere la spalla sinistra della sua camicia sdrucita e macchiettata di sangue» 14. Più volte perdette i sensi e cadde contro il muro macchiandolo di sangue. In un angolo della sua camera, nascosto dalle tende che cadono dal cielo del suo letto, si vedono sulla parete a tinta gialla, segni ben visibili di gocce di sangue. L'impronta delle sue spalle sta in tre grandi macchie brune, dalle quali il sangue è sgocciolato fino al pavimento. Altri segni delle dita e delle palme delle mani furono lasciati dal Santo quando si appoggiava per alzarsi.  

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Canonico FRANCESCO TROCHU


martedì 31 gennaio 2023

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY

 


Parroco ad Ars (1818-1859).

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Nel misero campo a lui affidato dalla Provvidenza l'abate Vianney seppe scoprire il buon grano, che però era così frammischiato con la zizzania da rendergli la prima impressione particolarmente penosa, tanto più che egli si formò la prima idea della parrocchia, guidato dalla delicatezza della sua coscienza e dall'orrore grande che aveva per il peccato. Per questa direttiva egli scoprì delle colpe che sarebbero completamente sfuggite ad un altro sguardo. Senza perdere il suo tempo in inutili e sterili lamenti, si mise tosto all'opera, non con la pretensione di convertire l'universo intero, ma almeno questa piccola parrocchia che la Provvidenza gli aveva affidato. È da questo punto di vista che bisogna giudicare gli insegnamenti e gli atti dell'abate Vianney fin dai primi anni del suo apostolato in Ars. Collocato in Ars, parlerà per gli abitanti di Ars, tuonerà contro gli abusi di Ars, ma non v'è dubbio che se gli si fosse affidato un altro ambiente la sua azione sarebbe stata ben diversa. Si trattava di combattere abusi e colpe che si ripetono ovunque, sia pure con sfumature differenti, ed egli non cercherà nuove vie di risurrezione morale, ma semplicemente applicherà gli antichi rimedi nelle forme tradizionali.  

Il suo programma era stato meditato ai piedi del Tabernacolo, ed era quello di un pastore zelante per la salvezza del suo gregge: prendere contatto col suo popolo al più presto possibile ed assicurarsi la cooperazione delle famiglie migliori; perfezionare i buoni, richiamare gli indifferenti e convertire i peccatori; ma soprattutto pregare Dio, dal quale vengono con abbondanza tutti i doni, e santificare se stesso, per riuscire a santificare gli altri; infine, fare penitenza per i peccatori colpevoli. Prima di cominciare il suo lavoro si sentiva debole ed insufficiente, ma aveva con sé fin da allora la forza misteriosa della grazia, e quella umiltà che Dio sceglie per abbattere le potenze dell'orgoglio: un santo prete compie grandi cose con mezzi apparentemente insufficienti.  

 L'abate Vianney non era che Vicario-Cappellano di Ars, ma i parrocchiani lo chiamavano Curato, come già avevano fatto con i suoi antecessori. Del resto, egli aveva ricevuto l'investitura con questo nome, la domenica 13 febbraio, quando tutta la parrocchia, fatte poche eccezioni, era là riunita. La cerimonia semplice ma significativa, interessò molto i fedeli. Il vecchio parroco di Mizérieux, abate Ducreux, al quale non era sconosciuto l'abate Vianney 34, seguito dalle autorità venne a riceverlo al presbiterio, ed alla porta della chiesa gli consegnò la stola pastorale, simbolo della sua missione e della sua autorità. Indi lo condusse all'altare ove il giovane sacerdote aprì il Tabernacolo; di là si passò al confessionale, al pulpito, al fonte battesimale. Poi il novello pastore disse al popolo le sue prime parole, nelle quali non trascurò di affermare l'amore che loro portava ed il desiderio che sentiva del loro bene: infine cantò la sua prima Messa solenne per il popolo. Nella rustica chiesa risuonarono poveri canti ... ma quel giorno Ars era in festa.  

Durante la funzione i parrocchiani esaminarono con curiosità il loro nuovo parroco, che già avevano visto, - la maggior parte almeno - quando aveva attraversato la piazza e si era fermato davanti al cimitero; era sembrato di mediocre statura, di andatura un poco inclinata verso sinistra, colla sua veste talare di panno ordinario e le rozze scarpe da campagnolo. Ma quando lo contemplarono all'altare, trasfigurato, celebrando con una maestà imprevedibile 35, sentirono nascere nel cuore la più sincera venerazione per lui, ed una voce favorevole fu l'epilogo della funzione: «Abbiamo una povera chiesa - diceva il sindaco di Ars, autorevole e sicuro portavoce di tutti i dipendenti, uomo di distinto buon senso, che fu capo del comune per 20 anni, - abbiamo una povera chiesa, ma abbiamo un santo Curato» 36   

 L'abate Vianney non si curò punto di abbellire o rendere più comoda la sua casa, e per le disposizioni assolutamente necessarie, incaricò la madre Bibost, in quest'opera più esperimentata di lui. L'aveva condotta seco perché fosse la sua domestica, ma non la ritenne molto ad Ars, perché ben presto seppe fare a meno anche della persona di servizio 37.  

Il presbiterio aveva cinque locali, rischiarati ciascuno da una finestra. Al pianterreno vi era la cucina ed una sala; al primo piano, al quale si giungeva per una scala di pietra, erano tre stanze: una per il curato e due per gli ospiti. Il mobilio era sufficiente e buono. L'inventario che fu allestito in quell'epoca 38 ci parla di sei sedie a braccioli, dallo schienale grande e di una poltrona del medesimo stile; di un'altra poltrona coperta di stoffa siamese verde e rossa, di una tavola da sala con quattro assi di aggiunta, di due letti con baldacchino bleu e bianchi, di un piumino di taffetà celeste e bianco, di due materassi di tela nuova a disegni quadrati e di altri oggetti più o meno ordinari, che erano stati posti a disposizione del Curato. Tutto questo era stato portato al presbiterio a prestito affatto gratuito, da parte dei Signori del castello.  

L'abate Vianney, già ricco per il vecchio letto, che aveva ricevuto in eredità dall'abate Balley, non volle conservare se non il necessario, ed approfittò di una visita al castello per dire alla contessa di Garets che volesse riprendersi tutte queste belle cose, di cui egli non sentiva la necessità. Che cosa ne farebbe degli utensili per l'arrosto? Il suo metodo di vita: sarebbe sempre molto semplice. Piuttosto, se si fosse d'accordo, conserverebbe un letto, due vecchie tavole, una modesta biblioteca, qualche armadio, alcune sedie di paglia, una marmitta di terracotta, una pentola ed altri oggetti utili alla sua minuscola azienda domestica.  

Tutta questa semplicità fece al popolo la più felice impressione. Tale povertà cercata era un rimprovero per tutti quegli abitanti più agiati o ricchi possidenti che trovavano penoso dare un soldo ai poveri, e che si meravigliavano che il loro Curato non tenesse nulla per sé: questo solo fatto bastò perché ai loro occhi fosse conosciuto come il vero uomo di Dio. Di più, i mendicanti, ai quali egli distribuiva l'elemosina con somma liberalità, non cessavano di dire le sue lodi. Da Ecully era venuto con una discreta somma di denaro, ma non gli durerà lungo tempo 39.   

 Pure nella sua semplicità, non si adattò a pensare che la sola sua presenza sarebbe stata sufficiente a fare scomparire ogni disordine dalla sua parrocchia, ma subito nelle prime settimane dopo il suo ingresso, vero conquistatore di anime, si mise in cerca delle sue pecorelle; e prima di tutto cercò acquistare la stima di quel popolo dal Cuore duro e rozzo, nel quale, più che la malizia, regnava l'ignoranza, e guadagnarsi gli animi.  

La visita di sessanta focolari era poca cosa, ma egli ne conosceva il segreto. Verso mezzogiorno, col suo grande berretto, che portava quasi sempre sotto il braccio, usciva dal presbiterio, ben sicuro che a quell'ora avrebbe trovato a casa tutti i membri di ciascuna famiglia. L'incontro non fu ovunque egualmente entusiasta, ma alla maggior parte della popolazione, subito in quel primo saluto non sfuggì - secondo la testimonianza di Guglielmo Villiers, contadino di allora diciannove anni 40, - la sua bontà, la sua giocondità, la sua affabilità: tuttavia non lo si avrebbe immaginato così profondamente virtuoso 41. In quella prima visita non parlò quasi che dei loro interessi materiali, dei lavori della stagione, del raccolto che si attendeva... Cercò di conoscere la situazione delle famiglie,  il numero e l'età dei figli, le diverse relazioni di parentela. Prima di partire aggiungeva un richiamo spirituale e la risposta che otteneva gli era sufficiente per farsi un'idea del maggiore o minor spirito religioso che regnava in ciascuna famiglia.  

Ahimè! Quante lacune e quante miserie! Constatò con dolore che in un certo numero di famiglie da lui dipendenti, specialmente fra coloro che erano cresciuti nell'epoca turbinosa della rivoluzione, cioè i giovani e le giovani, gli uomini e le donne dai venticinque ai trentacinque anni, non si conoscevano neppure le più elementari nozioni di religione, e si dava impunemente lo scandalo della corruzione. Né mancavano quelli che giungevano perfino a vantarsene, affermando che nel ballo, nella profanazione della domenica ... non vi era alcun male 42.  

Come richiamare all'ovile queste anime folli? Il giovane pastore sentì tutto il peso della sua impotenza, ma non si perdette di coraggio; gli rimanevano ancora due cose: Dio e l'avvenire ...  

Canonico FRANCESCO TROCHU


venerdì 14 ottobre 2022

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY

 


Parroco ad Ars (1818-1859).


L'arrivo ad Ars ed il primo contatto.

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Durante il secolo XVIII Ars era stata una parrocchia sentitamente cristiana e non sarebbe giusto ritenere, in base a racconti esagerati, che l'abate Vianney abbia trovato Ars come un paese di missione, con una popolazione assolutamente senza fede e senza costumi. Nel 1724 aveva già avuto un sacerdote giovane, dotto, licenziato in teologia e diritto canonico, dotato di una grande attività e di zelo illuminato per la salvezza delle anime 13. Questo prete, di nome Francesco Hescalle, ci ha lasciato nei registri dell'archivio di Ars un quadro della vita religiosa della popolazione in quell'epoca. «I fedeli stessi - ci dice - l'hanno dapprima pregato e poi costretto. ad istituire nella loro chiesa la Confraternita del SS. Sacramento, del Rosario e dello Scapolare» 14. La prima domenica di ogni mese questi buoni parrocchiani facevano insieme nella loro chiesa una meditazione sulla morte 15. Il 24 giugno 1734 l'intera parrocchia, guidata dal suo pastore, si era recata alla città per acquistare l'indulgenza del Giubileo di San Giovanni 16. È noto del resto, che in tutta questa parte della Dombes erano in onore le processioni ed i pellegrinaggi che si facevano alla Cappella dei Minimi a Montmerle, il giorno di S. Marco, a Sainte-Euphémie il giorno di San Giorgio, a Rancé il martedì dopo Pasqua. Ma alcuni parroci erano inquieti riguardo al modo col quale si facevano queste incursioni nelle altre parrocchie, e ne fecero rimostranza all'Arcivescovo, notando che, causa il bere, i divertimenti e la danza, tali feste da religiose erano diventate profane. Quasi a porre un rimedio comparve il decreto di Mons. di Neuville, che metteva in guardia il clero contro tali abusi. Allora però il parroco di Ars poteva scrivere, con piena soddisfazione, nei suoi registri: «Io non posso dire che questi abusi siano stati commessi dai miei parrocchiani».  

Al parroco Hescalle successe l'abate Claudio Garnier, che  resse la parrocchia di Ars dal 1740 al 1775. Durante la sua presenza e precisamente negli anni 1762-1763 si fece il campanile in pietra che sostituisse quella specie di gabbia di legno, che vi era fino a quel momento, ma quando venne l'abate Vianney ad Ars questo campanile non esisteva più, per l'opera nefasta del «sanculotto» Albitte, che lo aveva raso al suolo nel 1794.  

Nel 1775 venne ad Ars Sinforiano Eymard, che vi stette fino al 1788. Del suo passaggio ad Ars rimangono poche tracce, all'infuori delle registrazioni sul libro dei battesimi, matrimoni e funerali. Solo alla fine delle annotazioni del 1780 ci fa sapere che cinque dei suoi parrocchiani avevano piantato una vigna, - certamente perché aveva interesse a far risaltare, lui che prendeva a cuore la sorte morale e materiale dei suoi dipendenti, - che il miglioramento del suolo aveva già dato buoni risultati.  

 Il 31 gennaio 1788 venne come parroco Stefano Saunier di 28 anni, sacerdote di Lione e baccelliere alla Sorbona, - secondo quanto dice di sé medesimo sui registri della parrocchia di Ars. - Nel 1791 aveva prestato il giuramento costituzionale e poté rimanere al suo posto, almeno fino al principio del 1793 17. Nel marzo dell'anno seguente fu saccheggiata la chiesetta di Ars da una banda di energumeni, venuti da Trévoux 18. Quantunque avesse prestato il giuramento, venne arrestato, ma fu lasciato presto in libertà: per salvarsi aveva consegnato le sue carte di ordinazione 19.

Nell'ottobre del 1793 non ebbe rossore di comparire in Ars, come mercante, egli che di Ars era stato il pastore legittimo 20. L'umile chiesa fu convertita in un ritrovo, ove si riunivano le più influenti personalità del villaggio per discutere gli affari comuni, e servi anche per luogo di riunione nelle feste delle decadi. Secondo «una tradizione locale, tuttora viva, il cittadino Ruf, antico usciere di Trévoux, si era presentato in: questa regione della Dombes come il missionario ridicolo della Dea ragione» 21.  

Ma nella regione vi erano ancora dei preti travestiti, fedeli alla propria missione. Così dal libro dei battesimi, allestito sulle testimonianze dei padrini e delle madrine, deduciamo che nella parrocchia di Ars in questo tempo passarono anche l'abate Chauas, parroco di Trévoux (1793), il P. Giovanni Battista, cappuccino (1794), gli abati Blanc e Condamin (1795). È probabile che questi preti abbiano celebrato la S. Messa ed amministrati i Sacramenti in due luoghi su cui si riafferma un'antica tradizione: presso i Dutang, alla masseria dell'Epoux 22,  ed al castello dei Garets; si trattava però sempre di visite che questi confessori della Fede facevano, passando per il villaggio ad epoche prestabilite, solo per utilità di alcuni gruppi scelti, senza che la massa della popolazione neppure se ne accorgesse 23. Nessuna meraviglia quindi che ancora nel 1801, quando nella Francia intera si ricominceranno a riparare i danni causati dalla rivoluzione, la parrocchia di Ars, quanto a fede e costumi, sia stata. in piena decadenza.  

 Ma è vero che, anche dopo lungo tempo, le anime si risvegliano ancora. Così quando nel 1801 un altro sacerdote, un antico certo sino, di nome Giovanni Lecourt, che si diceva «missionario delegato dal Consiglio», venne a predicare una missione a questa povera gente, che era stata troppo tempo affatto abbandonata, ottenne buoni risultati: se guardiamo i registri della parrocchia, troviamo che in quella occasione poté battezzare molti fanciulli, già grandicelli, e regolare anche dei matrimoni. Ma, appena finita la missione lascia Ars per evangelizzare altre località. Il 30 maggio 1803, il consiglio municipale di Ars - questo villaggio rimaneva tuttavia comune, anche se non era più parrocchia - votò una somma di franchi 1800 per riparare la chiesa, pagare l'affitto della casa parrocchiale, avere un Vicario residente, e comperare dei paramenti ed una campana 24.  

L'amministrazione diocesana tenne calcolo di queste buone disposizioni, ed in principio del 1804 mandò ad Ars l'abate Lecourt, col titolo di Vicario 25. Questo sacerdote riprese l'attività degli antichi missionari, in cerca delle pecorelle smarrite; ma disgraziatamente si fermò troppo poco nella parrocchia e non poté svolgere un’azione organizzata e duratura. L'anno seguente fu trasferito alla parrocchia di Jassans e fino al 1806 Ars, unito direttamente a Mizérieux, non ebbe altro servizio  religioso oltre quello che poteva prestargli l'abate Amato Verrier, che doveva provvedere contemporaneamente anche a Mizérieux, Toussieux, Sainte-Euphémie, Saint-Didier-de-Formans.  

Venne in seguito come vicario a Mizérieux l'abate Berger, che amministrò la cappellania di Ars 26 col medesimo titolo. Il 22 aprile 1807 conduce a Trévoux 85 persone di AI'S, cioè un terzo della popolazione, che ricevettero il Sacramento della Cresima dalle mani del Cardinal Fesch. Ad Ars la contessa di Garets lo stimava molto ed avrebbe desiderato di averlo stabilmente, ma egli stesso domandò la sua traslazione e nell'ottobre del 1817 passò a Sury-le-Comtal, come vicario.  

Nel dicembre vi fu nominato un giovane prete di 26 anni, l'abate Déplace, che morì poco dopo il suo ingresso. Gli abitanti di Ars, presi da compassione, vedendolo arrivare così malaticcio nel cuor dell'inverno, - secondo la testimonianza dei Garets, - fecero a gara a portargli chi quattro, chi quindici, chi anche cinquanta fascine... prova questa della stima che essi avevano per il loro Curato e del desiderio che si trovasse bene in mezzo a loro 27.  

Ma, - è doveroso notarlo - in questi ultimi venticinque anni Ars non si distinse affatto dal punto di vista religioso, causa l'invadenza del paganesimo, che penetrava nelle anime, portando, se non la perdita della fede, almeno il suo indebolimento. «C’era nella parrocchia una certa noncuranza e negligenza»; - ha detto un testimonio ben informato. - «Non credo v: fossero eccezionali disordini, ma almeno una deplorevole indifferenza per le pratiche religiose» 28.  

Alla domenica si mancava alla Messa per i più futili moti vi è con la più strana indifferenza, e per di più si lavorava anche senza alcuna necessità, specialmente al tempo della raccolta del fieno e del grano. Negli uomini, nei giovani ed anche nei fanciulli vi era l'esecrabile vizio della bestemmia. «Ars aveva quattro osterie, ove i padri di famiglia andavano a consumare la loro fortuna» 29, e specialmente alla sera della domenica e del lunedì non mancavano gli ubriachi che turbavano la pace del villaggio. Le giovani erano appassionate per la danza; le veglie, a lungo protratte nella notte, diventa vano la sorgente di gravi peccati.  

Oltre a questo, regnava molta ignoranza. I fanciulli non erano assidui al catechismo, e pochi, del resto, lo sapevano leggere, cosa che non deve fare meraviglia ove si ricordi che ad Ars non vi era scuola e che si trattava di persone le quali, almeno durante la bella stagione, erano obbligate a passare ai campi quasi intera la loro giornata. Al sopraggiungere dell'inverno, un maestro improvvisato apriva una scuola per i fanciulli e le fanciulle, ma i figli dei poveri non erano ammessi e vagabondavano senza ricevere nessuna istruzione.  

Il quadro non si presentava quindi soverchiamente lusinghiero, ma Ars non era né peggiore, né migliore dei paesi vicini. Non che ci fosse odio contro il sacerdote: al contrario esisteva un fondo di religione, ma mancava la pratica della vera pietà 30. Diremo che per avere un'idea giusta di quello che era Ars a quel tempo basta dare uno sguardo alle prediche che l'abate Vianney teneva allora al suo popolo, tanto più che la maggior parte dei discorsi che ancora si conservano, sono precisamente quelli che egli stesso scrisse nei primi anni di apostolato; in questi discorsi è chiaramente dipinta la mentalità di quegli abitanti, per i quali prima di tutto e sopra tutto stavano gli affari materiali.  

 Ma, grazie a Dio, insieme alla zizzania vi era anche il buon grano; vi era ancora in Ars la Confraternita del SS. Sacramento, istituita dall'abate Hescalle e non mancavano le famiglie, che tutt'ora mantenevano abitudini esemplarmente cristiane. Fin da principio il giovane Curato nella sua opera di restaurazione ebbe come fedeli alleati il sindaco Antonio Mandy e Michele Cinier, consigliere municipale, le famiglie dei quali, come del resto anche le famiglie Lassagne, Chaffangeon, Verchère erano assidue alle funzioni domenicali. Un seminarista originario di Ars, l'abate Renard, studiava al collegio di Sant'Ireneo 31, a Lione. Al castello stava Maria-Anna-Colomba Garnier dei Garets, meglio conosciuta col nome di contessa d'Ars, che occupava il suo tempo tra le cure della casa, la visita ai poveri e le pratiche di una pietà un po' meticolosa. Secondo un'abitudine ereditata dalla madre, ogni giorno recitava il suo breviario con un vecchio servo fedele, che in paese era conosciuto col nome riverente di signor Saint-Phal.  

La contessa d'Ars aveva allora 64 anni; era piccola di statura, ma distintissima 32. Della sua prima educazione alla casa di Saint-Cir, aveva conservato certi modi un po' antiquati, dell'antico regime, ma prettamente francesi, che davano alla sua conversazione tanta giocondità e tanta grazia. - La Rivoluzione l'aveva lasciata indisturbata, insieme a sua madre; e questo basta a dirci tutta la simpatia che ella stessa si era ivi acquistata 33. Fu pronta ad aprire la porta delia sua casa a quei preti che avessero voluto nascostamente celebrare la Messa; né sembra che alcuna noia sia venuta ad essa da questo vero delitto antirivoluzionario. - La contessa d'Ars era molto amata dai poveri per i quali pagava pigioni e comperava vitto e vestiti, come affermano i suoi «Pro Memoria», nei quali teneva nota di tutte le sue elemosine anche minime. La sua influenza tuttavia non era stata molto considerevole fino al momento in cui giunse ad Ars l'abate Vianney. Se ne viveva sola nella sua vecchia casa, talvolta visitata dalle famiglie nobili del paese; un suo fratello, il visconte Francesco,  viveva a Parigi, al boulevard Saint-Germain, e non faceva che rare visite ad Ars: era stato capitano dei dragoni nel reggimento di Penthièvre e cavaliere di San Luigi, ed aveva sposato una giovane di Bondy, dalla quale non ebbe figli.  

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Canonico FRANCESCO TROCHU

sabato 30 luglio 2022

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY

 


Parroco ad Ars (1818-1859).


L'arrivo ad Ars ed il primo contatto.  

Ars ebbe lungo i secoli nomi diversi. Fu chiamata Artis villa, Arte, Arz, ed infine Ars 1. Sembra sia una località di origine molto antica, perché una pietra druidica che si vedeva ancora, non molti anni or sono, a poca distanza dalla borgata, lascia comprendere che da antichissima data vi furono abitanti in questa regione, tuttavia non ci è dato trovare il nome di Ars nei documenti anteriori al secolo X; solo da uno scritto dell'anno 980 sappiamo che ad Ars era stata costruita una chiesa e che la parrocchia era già organizzata 2. Rimase però sempre un villaggio di poca importanza.  

Ars è collocata a 35 km. al nord di Lione 3, nel distretto e nel circondario di Trévoux, sull'altipiano della Dombes. La Dombes, altrove montuosa e folta di alberi, nella regione dell'Ain diventa una pianura argillosa, favorevole alle acque stagnanti, senza foreste, con boschi di betulle o querce, e filari di olmi, allineati ai margini delle vie e dei prati, ed alberi di noci e salici sulle sponde dei ruscelli. 

I monti tranquilli del Beaujolais limitano ad occidente l'orizzonte di Ars; tutta la campagna dà l'aspetto di ondulazioni a larghe pieghe sulle quali si elevano dispersi alcuni boschetti di alberi. Non vi è più il piano ampio e monotono delle acque stagnanti, ma non vi sono ancora i ricchi colli che piegano verso la Saòne.  

Ars sta sul pendio di una valle al cui fondo scorre il fiume Fontblin, piccolo torrente in inverno, e che si cambia in estate in un minuscolo getto d'acqua che si profila tra i ciottoli bruni. L'anno 1818 il villaggio di Ars era meschino e di triste aspetto: contava una quarantina di case basse, costruitte con materiale argilloso e sparse in mezzo ai frutteti; a mezza costa stava, la chiesa, - se con questo nome poteva essere indicata una costruzione dall'aspetto giallastro con finestre comuni, sormontata da quattro travi che dovevano sostenere una campana fessa 4. Secondo l'antica abitudine, le croci del cimitero erano applicate ai muri esterni della chiesa. Di fuori era una piccola piazza sulla quale si elevavano ventidue magnifiche piante di noci. Vicino alla chiesa stava il presbiterio, (allora in affitto ad un contadino), preceduto da una corte di poca superficie.  

In fondo alla valle, solitario in mezzo a grandi alberi, sorgeva il castello dei Garets d'Ars, costruito nel secolo XI, come abitazione feudale, con vicina una torre, circondato da fossi, ed abbellito di merli: al presente tutto questo apparato guerresco era scomparso e l'antica abitazione aveva l'aspetto di una grande casa di campagna, quieta e melanconica, lontana da ogni rumore di caccia e dai divertimenti di altri tempi.  

Le strade erano impraticabili, ed Ars sembrava sperduta  in una solitudine inaccessibile: se ne parlava come di un buco, nel vero senso della parola. Gli abitanti erano contadini e non uscivano quasi mai da Ars.  

Ars è situato a trenta chilometri da Ecully. Il nuovo pastore vi veniva a piedi con minuscolo equipaggio, accompagnato dalla madre Bibost, che aveva avuto cura del suo piccolo corredo di scolaro. A poca distanza, in una carrozza, guidata non si sa da chi, seguivano alcuni utensili, un letto ed i libri ereditati dall'abate Balley.  

Il parroco novello stentò a scorgere la sua parrocchia; nascosta da fitta nebbia, che si spandeva su tutta la campagna, e non trovò nessuno che gli indicasse la via; per cui, passato il villaggio di Toussieux, si smarrì e viaggiò un poco alla ventura. Sulla prateria scorse alcuni fanciulli che custodivano le loro pecore e li avvicinò domandando che gli indicassero la via che conduceva al castello d'Ars, che credeva situato nel villaggio stesso; ma questi pastori, che parlavano solamente il dialetto del loro paese, non riuscendo a capirlo, l'obbligarono a ripetere più volte la medesima interrogazione. 

Finalmente il più intelligente di quei fanciulli, di nome Antonio Givre, poté comprenderlo e riuscì ad indicare agli sconosciuti la via giusta. «Amico mio, - gli disse allora il sacerdote con riconoscenza, - tu mi hai indicato la via per Ars ed io ti indicherò la via per il Paradiso» 5.  

Il giovane pastore spiegò anche al Curato Vianney che là erano i confini della parrocchia di Ars, ed allora il Santo Curato si pose in ginocchio e pregò ... 6.   

 La piccola comitiva si mise in viaggio per il nuovo sentiero indicato, discendendo il pendio che conduce fino al fiume Fontblin. L'abate Vianney scorse presto alcune casupole, riunite attorno ad una piccola cappella 7, e, vedendo al calare della  notte queste case basse, coperte di paglia, pensò: «Come è piccolo!». Ma poi collo sguardo del profeta, con un presentimento soprannaturale, aggiunse: «Questa parrocchia non potrà contenere tutti coloro che più tardi verranno qui!» 8. Si inginocchiò di nuovo ed invocò l'Angelo Custode della sua terra 9, poi fece la sua prima visita alla chiesa.  

 Ars riceveva un buon prete nel senso più esteso della parola 10, un prete santo di cui nessuno forse poteva prevedere nulla, un prete che un giorno sarà onorato sugli altari. Fino a questo momento, il mondo aveva ignorato quasi completamente le sue virtù, ma le alte virtù non sono necessariamente la santità. Quantunque fosse già molto zelante e mortificato, l'abate Vianney non aveva ancora realizzato in sé stesso, a quest'epoca della sua vita, «quell’ineffabile dolcezza» 11, quella meraviglia di penitenza e di abnegazione, che dal 1925 in poi, dovevano collocarlo fra i più grandi ed i più popolari di questi eroi, che noi chiamiamo i Santi.  

Il mattino del 10 febbraio la campana della chiesetta di Ars diede il segnale della Messa, e la popolazione si accorse di avere un pastore. Vi furono delle anime pie che se ne rallegrarono, ma la massa del popolo non ne fece gran caso. «Ci fu meraviglia, quando si sentì suonare per la Messa - ha detto la Contessa di Garets - e si diceva: "Sentite!... è arrivato un parroco nuovo! …» 12  

* * * 

Canonico FRANCESCO TROCHU 

lunedì 13 dicembre 2021

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY

 


I nostri due cenobiti nella casa di Ecully, vivendo in comune, in conformità di quanto prescrivevano gli statuti di Lione, godevano di una intimità senza nubi. Facevano insieme i loro esercizi di pietà e qualche volta anche i loro pellegrinaggi a Nostra Signora della Fourvière... così poveri che dovevano ripararsi sotto l'unico ombrello della casa parrocchiale 30. Di mutua intesa, copiavano preghiere che poi divulgavano fra le anime pie della parrocchia 31, ed insieme composero quel piccolo Rosario dell'Immacolata Concezione, che ad Ars si recita ancora prima della preghiera della sera 32.  

Così passarono l'anno 1816 e le prime settimane del 1817. 

L'abate Balley non aveva che sessantacinque anni, ma aveva vissuto da proscritto durante il tempo del Terrore e gli anni di persecuzione raddoppiano l'età. Nel mese di febbraio, ammalato da un ulcere ad una gamba, fu costretto a mettersi a letto, e da allora non poté quasi più alzarsi, né sembra abbia avuto molta parte nel ministero della parrocchia di Ecully: vi è un solo atto che porta ancora la sua firma ed è una sepoltura del 5 giugno 1817. Era dunque il suo devoto vicario che suppliva a tutto in questo periodo di tempo segnato con tante amarezze. L'abate Balley non perdeva la sua calma: soffriva volentieri i dolori causati dall'ulcere, che, colla decomposizione lenta del sangue, preparava la cancrena. I medici lo visitarono e dichiararono che non sarebbe più guarito. Il 17 dicembre, dopo di essersi confessato al suo «caro prete», al suo figlio di predilezione, e dopo di avere ricevuto da lui il Viatico e l'Estrema Unzione, il venerato pastore di Ecully, pieno di meriti, volò al Signore 33.  

Si racconta che quando fu terminata la cerimonia e furono partiti i parrocchiani, il Curato morente, rimasto solo col Vicario, diede al suo «caro Vianney» gli ultimi consigli, raccomandandosi alle sue preghiere. Poi, ritirando dal capezzale i suoi strumenti di penitenza, glieli consegnò, mormorando a bassa voce: «Prendi, figlio mio, e nascondi tutte queste cose: se, dopo la mia morte, si scoprissero questi oggetti, si crederebbe che ho sufficientemente espiato i miei peccati e mi sì lascerebbe in purgatorio fino alla fine del mondo» 34. La disciplina ed il cilicio dell'abate Balley servirono ancora 35.  

L'abate Vianney lo pianse come un padre a cui tutto doveva e conservò di lui un ricordo imperituro; amava ripetere: «Ho visto anime belle, ma non più belle della sua». I lineamenti di quella fisionomia si erano stampati nella sua mente in modo tale che dopo molto tempo, anche negli ultimi anni della sua vita, diceva: «Se fossi pittore ne potrei ancora fare il ritratto». Ne parlava spesso colle lagrime agli occhi 36, ogni mattina lo ricordava nel Canone della sua Messa e fino alla morte, lui, così distaccato da tutte le cose, amerà conservare sul suo camino uno specchio dell'abate Balley, perché aveva riflesso il suo volto 37. Anche in Ecully e nei dintorni la memoria di questo prete rimase in venerazione 38  

* * * 

Era appena stato sepolto il Curato Balley, che i parrocchiani di Ecully fecero all'Arcivescovado un passo che dimostra di quanta stima fosse già circondato in mezzo a loro l'abate Vianney, cioè lo domandarono come curato. La loro richiesta non ebbe però esito felice 39 e d'altronde l'interessato medesimo forse non avrebbe accettato, perché più tardi dirà: «Io non avrei voluto essere parroco di Ecully, perché è una parrocchia molto importante» 40. Il Vicario generale, al posto dell'abate Balley, mandò l'abate Tripier, ed il vicario rimase al suo posto.  

L'abate Tripier non si credette obbligato in coscienza a seguire le orme del suo predecessore, né intendeva fare della sua casa un convento di trappisti o di certosini; anche il suo vicario gli parve presto esagerato, specialmente quando si rifiutava di seguirlo nelle visite ai confratelli od alle famiglie più distinte, col volgare pretesto che aveva una veste poco conveniente per una compagnia decorosa 41. Fu forse l'abate Tripier che domandò un altro vicario? È possibile, perché l'amministrazione diocesana non tardò ad occuparsi dell'abate Vianney.  

Dal 21 gennaio 1818, per la morte del titolare abate Antonio Déplace, giovane prete di ventisette anni, che soccombeva consunto, dopo un ministero di ventitré giorni 42, era vacante Ars, piccola cappellania del dipartimento dell'Ain 43, di duecentotrenta anime appena 44. Ci si doveva mettere ancora un prete? Si dubitava e la conclusione affermativa si appoggiava sulla ragione che Ars distava da Mizérieux, centro religioso, ben tre chilometri. Si aveva bensì pregato il parroco di Savigneux, abate Durand, di assumere l'assistenza interinale di questa cappellania, ma ne era seguito che, per varie settimane, Ars parve dimenticata. La decisione dei Vicari Generali deve poi essere stata sollecitata da un interessamento personale della contessa di Garets, che si ostinava a ritenere come urla vera parrocchia la Cappellania di Ars 45.  

In principio del mese di febbraio l'abate Giovanni Maria Battista Vianney veniva a sapere che il piccolo villaggio di Ars nella Dombes era affidato alle sue cure. Il giovane prete non si inquietò per sapere se Mons. Courbon mandava nel dipartimento dell'Ain, che era diventato una specie di Siberia per il clero della diocesi di Lione, i preti che gli sembravano presentare il minor grado di garanzia46; ma con tutta semplicità andò a trovare il Vicario Generale, che gli rimise l'atto di nomina dicendogli: «Non c'è molto amor di Dio in quella parrocchia, ma voi ce ne metterete»47. L'abate Vianney rispondeva che quello era appunto il suo desiderio. Ma il Vicario Generale aveva anche creduto di dovere incoraggiarlo: gli si affidava certo una parrocchia delle più umili, quasi senza risorse, con solo una prebenda annua di franchi cinquecento, insomma quella di un vicario 48. Ma Iddio non lo avrebbe abbandonato nella sua lontana parrocchia; Ars aveva la fortuna di possedere un castello ove abitava una buona donna che lo aiuterebbe col suo denaro e colla sua influenza 49. Così parlava Mons. Courbon a questo prete di trentadue anni.  

Il 3 febbraio 1818, l'abate Vianney compiva ad Ecully il suo ultimo atto di ministero ed il giorno 9, di buon mattino, si metteva in viaggio alla volta di Ars.  

Canonico FRANCESCO TROCHU 

martedì 26 ottobre 2021

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY

 


Il Vicariato d'Ecully (1815-1818).  

* * * 

Quando il Vicario generale Courbon disponeva dell'abate Vianney per la parrocchia di Ecully, il suo affezionato maestro otteneva di averlo vicino a sé, nella casa sua, per aiutarlo a  continuare gli studi di teologia. Così nei momenti lasciati liberi dalle occupazioni pastorali, si riprese il Rituel de Toulon, ed il maestro poté spiegare in un modo più pratico il dogma, la morale e la liturgia. Quando uscivano insieme, il Curato Balley proponeva al suo discepolo casi di coscienza più o meno imbrogliati, dei quali il giovane vicario doveva dare la soluzione, precisando le ragioni che lo inclinavano a preferire una soluzione piuttosto che un'altra 18.  

Ma la casa parrocchiale di Ecully non era stata scelta da Dio per il nostro giovane sacerdote solamente perché fosse per lui la più sicura dimora: quella era anche una vera scuola. di santità.  

Ben presto, tra l'abate Balley, sacerdote di straordinaria mortificazione, ed il suo giovane vicario, si impegnò una spaventosa emulazione di austerità 19; secondo la espressione del canonico Pelletier, parroco arciprete di Treffort, «si aveva un santo vicino ad un altro santo» 20. Più tardi l'abate Vianney farà questa confessione di una commovente umiltà: «Avrei finito per essere un po' buono anch'io, se avessi avuto la fortuna di rimanere sempre coll'abate Balley. Nessuno mi ha mai fatto comprendere meglio di lui fino a quale punto l'anima può liberarsi dai sensi e l'uomo può rendersi simile ad un angelo. Per sentirsi spinti ad amare Dio, bastava sentirlo ripetere: Mio Dio, vi amo con tutto il mio cuore.» 21.  

 L'abate Balley portava il cilicio ed il nostro Santo chiese segretamente alla madre Bibost ed alla figlia di lei, Claudina, di preparargli un farsetto di crine che egli avrebbe indossato sulla carne 22. Quando non arrivavano ospiti a turbarli nelle loro piccole abitudini era una gara tra Curato e Vicario nel mortificarsi: mai vino 23, qualche patata con pane bigio era riputata sufficiente, ed il pezzo di carne, dopo ripetute comparse sulla  tavola, diventava nero ... 24. Questo modo di mortificarsi fu poi portato a tale punto che alcuni buoni fedeli di Ecully credettero bene di avvisarne il superiore. Rispondeva l'abate Courbon: «Siete ben fortunati voi, parrocchiani di Ecully, che avete due preti che fanno penitenza per voi! ...» 25. Più ancora, il Curato denunciò il Vicario all'autorità, perché passava i limiti ed il Vicario denunciò il Curato per eccessi di mortificazione: l'abate Courbon li congedò entrambi con benevolo sorriso 26.  

Vi erano, però, anche delle eccezioni alla regola ordinaria dell'austerità, poiché, quando si trattava di ricevere ospiti, tra i quali vi fu qualche volta l'abate Groboz coi Vicari generali, la tavola lasciava la sua figura severa ed il «menu» era migliore e più vario 27.  

 Si teneva precisamente uno di questi pranzi, quando, in un mezzogiorno del mese di ottobre, giunse una contadina, vestita secondo il costume della Forez, che chiedeva di vedere Giovanni Maria. La domestica riferì che stava a tavola con vari ospiti, ma ciò non turbò la pia donna, che non temette neppure di turbare la festa. Era la madre Fayot. Forte nel suo desiderio di vedere l'abate Vianney, entrò nella sala ove erano anche i Vicari Courbon e Bochard: e conobbe tosto il suo «buon figliuolo». L'abate Vianney si era già alzato e pieno di rossore si avanzava verso la sua «buona madre», che, abbracciandolo, stampò sulle sue guance due baci sonori 28.  

 L'austerità e la penitenza dell'abate Balley non lo avevano reso né misantropo né insocievole. Conservava relazioni ed amicizie, visitava con frequenza la famiglia Loras ed era favorevolmente conosciuto dal signor Antonio Jaricot, distinto industriale, che aveva comperato a Tassin, vicino ad Ecully, una casa di campagna, lasciata presto alla sua figlia maggiore, passata a nozze col signor Perrin. La sorella di costei, Paolina  Jaricot, di allora diciotto anni, nella bella stagione veniva ad abitare a Tassin. Per qualche tempo era stata inclinata ad una mondanità, della quale non poteva neppure supporre il pericolo, ma presto la si aveva vista rinunciare ai vani ornamenti, per diventare un modello di pietà. Il castello vide qualche volta riuniti colla famiglia Jaricot ed il clero della parrocchia, anche altri ecclesiastici molto distinti, tra i quali il futuro Cardinale Villecourt e l'abate Wurtz, vicario a Saint-Nizier di Lione e confessore di Paolina.  

Fu in queste riunioni di Tassin che per la prima volta l'abate Vianney, umilmente seduto ad un lato della tavola come Paolina Jaricot, sentì parlare della giovane Santa Filomena, Vergine e Martire, il cui corpo era stato scoperto da appena pochi anni in una delle catacombe romane e che, secondo quanto si diceva, moltiplicava i miracoli. Il nostro Santo allora non immaginava certo quale parte avrebbe avuto nella sua vita e nel suo cuore la piccola Santa, immolata ai primi tempi della cristianità 29.  

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Canonico FRANCESCO TROCHU

venerdì 10 settembre 2021

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY

 


Il Vicariato d'Ecully (1815-1818).  

Nella cappella del Seminario maggiore di Grenoble, ove il 13 agosto era stato ordinato sacerdote, il giorno seguente, lunedì, vigilia dell'Assunzione, l'abate Vianney celebrò la sua prima Messa, intanto che due cappellani militari dell'armata austriaca celebravano a due altari vicini 1. Si deve ritenere che non sia partito immediatamente per Ecully, ma che sia invece rimasto a Grenoble per la solennità dell’Assunzione, perché la sua delicatezza di coscienza e la sua tenera divozione alla Santa Vergine non gli potevano permettere di intraprendere il viaggio in un giorno a Lei sacro. Pensiamo quindi sia partito il giorno sedici, cioè dopo di avere celebrato tre volte la Santa Messa al Seminario 2.  

Lo aspettavano al ritorno le medesime molestie che lo avevano fatto soffrire nel primo viaggio, ed egli le superò colla sua calma prudente, e poté giungere ad Ecully ove il suo buon maestro lo attendeva con impazienza. Là trovava anche una felice sorpresa: dopo di avere ricevuto la sua prima benedizione in ginocchio, l'abate Balley gli faceva conoscere che le sue istanze all'Arcivescovado per avere un coadiutore, erano state esaudite e che i Vicari Generali avevano destinato a questo posto il sacerdote novello Vianney: così il figlio rimarrebbe vicino al padre, sollevandolo nelle sue molteplici fatiche e sarebbe al suo lato per chiudergli gli occhi, quando la sua giornata fosse stata compiuta.  

Gioia profonda ci fu pure nella sua casa di Dardilly, che dimenticò tutto un passato di angoscia, quando Giovanni Maria si presentò consacrato sacerdote. Ah, se ci fosse stata ancora la madre! Ma ormai ella aveva già la sua tomba e su quella tomba il figlio sacerdote pregò a lungo...  

Anche Noés doveva essere avvertita di questo avvenimento, e difatti una lettera portava anche là la notizia dell'ordinazione sacerdotale di Gerolamo Vincent. Già l'anno prima, dopo il suddiaconato, l'abate Vianney aveva scritto al parroco di Noés, il venerando abate Jacquet, per dirgli la sua felicità e per offrirsi, se le disposizioni non erano contrarie, quale suo vicario, accontentandosi per stipendio di quanto gli era strettamente necessario per vivere. Era così grande l'amore che portava agili abitanti di Noés, che ne avrebbe sempre mantenuto il ricordo 3. E quale fortuna per la madre Fayot di sapere suo figlio adottivo giunto alla meta tanto sospirata. Resterebbe prima ad Ecully, ma non sarebbe sempre vicario. Ed allora, chissà!... Alla cascina dei Robins si decise di andare il più presto al presbiterio dell'abate Balley a salutare il vicario di Ecully.  

 I parrocchiani di Ecully condivisero la letizia del loro pastore, ripetendo: «L'abate Vianney ci ha edificato quando studiava in mezzo a noi: che ne sarà ora che è prete?». E presto i loro cuori si aprirono alla più tenera confidenza in lui 4.  

Dapprima non poterono però valersi dei suoi consigli se non fuori del tribunale di penitenza, perché l'abate Vianney non avrebbe ricevuto la facoltà di assolvere se non molti mesi dopo la sua nomina a vicario, secondo la decisione del Vicario generale Courbon. Quando venne approvato per le confessioni il primo penitente che fu felice di inginocchiarsi ai suoi piedi fu il suo antico confessore, l'abate Balley. L'austero e saggio Curato di Ecully, in cerca di un nuovo direttore, non seppe trovare nulla di meglio che il suo antico penitente, nel quale così meravigliosamente aveva constatato il lavoro fecondo della grazia: questo antico pastore, per molto tempo stimato incapace di confessare, fu il solo che venne creduto adatto a ricevere le confidenze della sua anima di asceta austero. Riferì quindi a Mons. Courbon che era tempo di «sciogliere i poteri» al giovane Vicario ed ottenne immediatamente il pieno consenso ad una così giusta richiesta 5.  

 Il primo atto del ministero dell'abate Vianney fu un battesimo che amministrò il 27 agosto 1815; e dal momento che si conobbe che era stato approvato per le confessioni, il suo confessionale fu assediato e dai malati non si domandò quasi nessun altro che lui 6. Questo lavoro gli assorbiva molto tempo, ed in alcuni giorni a stento gli permetteva di combinare i suoi pasti, legittimando così in lui quella negligenza che diventerebbe presto un'abitudine ... 7. Le sue prediche erano ben lontano dall'essere senza frutto o senza consolazione, perché la maggior parte di coloro che, fino a quel momento, non erano stati l'edificazione della parrocchia, mutarono condotta dal giorno in cui si rivolsero al Vicario per gli affari della loro coscienza8. Preparava e spiegava con cura le 

lezioni del catechismo, sapendo farsi piccolo coi piccoli; i meno aperti d'intelligenza li prendeva nella sua camera e li istruiva separatamente con pazienza instancabile, forse ricordando quello che un giorno era stato fatto con lui durante la rivoluzione 9.  

Ad Ecully, in pulpito era chiaro, come lo fu sempre, e,  contrariamente a quello che sarà quando diventerà parroco di Ars, era anche molto breve 10, forse perché allora non era che agli inizi di questo ministero, che gli sarebbe costato molto e gli avrebbe assicurato meravigliosi successi. Sua sorella Margherita, che veniva da Dardilly per ascoltarlo, ci dice che, secondo il suo giudizio, allora non predicava ancora bene, ma che, quando era il suo turno, tutti correvano alla chiesa. Non temeva tuttavia di dire delle verità scottanti e di flagellare il vizio, tanto più che Ecully non era allora precisamente un'oasi di perfezione. La rivoluzione aveva lasciato le sue miserie e la vicinanza colla città non contribuiva punto alla sua salvaguardia morale e religiosa: si amava il piacere e si ballava ad ogni occasione. «Nel paese ove io fui vicario - diceva un giorno nei suoi catechismi di Ars - un giovane che doveva fare da padrino e che per questo aveva invitato un violinista per potere ballare il giorno seguente, fu schiacciato da una trave, senza che gli sia rimasto un momento per riflettere sulla sua condizione. Il musicista venne, ma, quando egli arrivò, le campane annunciavano il funerale di questo giovane infelice» 11.  

Predicava l'onestà dei costumi e la perfezione della vita cristiana, dandone dapprima l'esempio. Questo prete di trent'anni si distinse subito per un ammirabile riserbo, che lo rendeva semplice e cordiale con tutti, ma lontano da ogni familiarità 12. Già allora possedeva questo dono particolare dei Santi di cui ha parlato San Francesco di Sales, che consiste nel vedere tutti senza guardare nessuno 13. Sentendosi fragile come tutti gli altri, aveva imposto tale norma ai suoi occhi; in più, pregava e si mortificava per vincere la carne, perché anch'egli sentiva nella parte meno nobile della sua natura le inclinazioni al male.  

Il 3 ottobre 1839 - dice l'abate Tailhades di Montpellier - l'abate Vianney mi fece una confidenza molto importante. O ai chiedergli in qual modo avesse ottenuto da Dio la liberazione dalle tentazioni contro la purità, e fini per confessarmi che tale grazia era l'effetto di un voto fatto ventitré anni prima - quando era vicario ad Ecully - di recitare una volta al giorno la Regina Coeli, e per sei volte la preghiera: Sia benedetta in eterno la Santa ed Immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria, Madre di Dio. Così sia 14.  

 L'abate Balley non era ricco e sarebbe stato un impegno troppo oneroso per lui il mantenere un vicario alla canonica. I parrocchiani di Ecully lo compresero e fornirono gratuitamente o lo stipendio intero o la metà, soddisfacendo ad un bisogno e ad un piacere nel medesimo tempo 15. Quanto all'abate Vianney, non conservava nulla per sé, ma tutto distribuiva ai poveri, anche le sue vesti.  

 Un giorno d'inverno, - racconta Margherita - l'abate Balley - disse a mio fratello: «Oggi andate a trovare la Signora X di Lione ed è quindi necessario che vi disponiate bene e che mettiate i pantaloni che vi sono stati regalati». Quando ritornò alla sera, aveva un paio di pantaloni in pessimo stato, ed alle insistenze del Curato confessò che, avendo trovato un povero rattrappito dal freddo, ne aveva avuto pietà ed aveva cambiato i suoi pantaloni nuovi con i pantaloni vecchi del povero 16.  

 Qualche volta Andrea Provin, antico compagno dell'abate Vianney, chiedeva al suo maestro: Cosa fa Giovanni Maria?  

- È sempre lo stesso: dà tutto quello che ha! - rispondeva il parroco di Ecully 17  

Canonico FRANCESCO TROCHU

sabato 7 agosto 2021

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY

 

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Il mercoledì 9 agosto, l'abate Vianney si presentò all'ufficio dell'arcivescovado e Mons. Courbon gli consegnò le lettere testimoniali, nelle quali era scritto che l'abate Vianney poteva essere ordinato per la diocesi di Lione, colla clausola che solamente più tardi, a beneplacito dell'Ordinario proprio, riceverebbe le facoltà per le confessioni. Ma i pensieri degli uomini non sono i pensieri di Dio 9, ed il giovane e timido diacono che si lasciava partire solo per Grenoble avrebbe dovuto passare tre quarti della sua vita rinchiuso nel celebre confessionale di Ars. «La Chiesa - conchiudeva Mons. Courbon, mettendo la sua firma - non ha bisogno solamente di preti sapienti, ma anche e soprattutto di preti pii»10.  

Sotto il sole d'agosto, l'abate Vianney, portando un piccolo pacco con qualche provvista, ed un camice per la sua prima Messa11, percorse da solo ed a piedi i cento chilometri che separano Lione da Grenoble. L'aspirante al Sacerdozio, che vedeva ora coronato felicemente il suo grande desiderio, fece allegramente questo viaggio ancora pericoloso) perché allora la Francia era stata di nuovo invasa e la via del Delfinato era seminata di nemici in armi. Cosa faceva questo giovane in veste talare, solo, su vie malsicure? Non era forse una spia a servizio della; Francia? Gli Austriaci del corpo di Bubna gli lanciavano invettive nella loro lingua gutturale. Si ricorderà un giorno il nostro Santo di questo idioma incompreso per paragonarlo ad un altro idioma, più barbaro ancora ... Più volte fu fermato dai soldati che lo minacciarono colle baionette.  

Finalmente, la sera del giorno 12, l'ordinando di Lione veniva ricevuto al Seminario maggiore di Grenoble, in via Vieux-Temple, ed il giorno seguente, XIII domenica dopo Pentecoste, prestissimo, lo si condusse alla Cappella, che prima della Rivoluzione era stata la Chiesa dei Minimi.  

Anche Mons. Simon veniva in un equipaggio molto semplice. Era un prelato profondamente pio, pieno di cuore e di condiscendenza. Quando gli si disse che lo si aveva scomodato per poco, cioè per una sola ordinazione di un prete, e, per  di più, di un prete d'altra diocesi, egli guardò un momento questo diacono dal viso d'asceta, che veniva senza essere accompagnato né da parenti, né da amici, e rispose con un sorriso: «Non è una fatica troppo grave, quando si tratta di ordinare un buon prete». 12  

 Incapace di esprimere quello che era passato nella sua anima, l'abate Vianney non rivelò le emozioni di quel giorno; ma più tardi quando ne parlerà nei suoi catechismi - e lo farà molto di spesso - rivivrà le impressioni intraducibili di quella mattina 13 agosto 1815: «Oh, come è cosa grande il prete! Il prete non si comprenderà bene che nel Cielo ... Se comprendesse qui che cosa è, ne morrebbe non di spavento, ma di amore»13.  

Finalmente a ventinove anni e tre mesi, dopo tante incertezze tanti insuccessi e tante lagrime, Giovanni Maria vedeva aprirsi davanti a sé le porte del santuario. Dall'istante della sua ordinazione considerò sé stesso, corpo ed anima, come un vaso sacro, destinato unicamente ad un ministero divino.  

Fin dal tempo della sua giovinezza, quando si trovava ancora presso i suoi parenti di Dardilly, aveva detto alla sua piissima madre: «Se io fossi prete, vorrei guadagnare molte anime!» 14 Precisamente allora le anime lo attendevano ...  

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Canonico FRANCESCO TROCHU 

mercoledì 19 maggio 2021

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY

 


Dal Suddiaconato al Sacerdozio (1814-1815).  

Attraverso il dolore ed il sacrificio, l'Artefice Divino aveva: sufficientemente modellato ed abbellito questa anima, per la quale si avvicinava il tempo della consacrazione. Con una riconoscenza infinita l'abate Vianney accolse la notizia che il giorno 2 luglio, festa della Visitazione della Santa Vergine, riceverebbe insieme tutti gli ordini minori ed il Suddiaconato, poiché l'autorità diocesana aveva pensato per la dispensa dagli interstizi. Quale Te Deum si è cantato al presbiterio di Ecully!  

Un mese prima dell'ordinazione Giovanni Maria ritornò al seminario, per meglio prepararsi nel ritiro, o più per essere convenientemente istruito riguardo alle cerimonie dell'ordinazione ed ai nuovi poteri che gli sarebbero conferiti; e là, il 2 luglio, il futuro suddiacono, vestito del camice bianco, fece il passo che lo separava definitivamente dalla vita secolare e mondana, e, toccando il calice vuoto, destinato a contenere il Sangue di Cristo, fece il suo voto di castità.  

La cerimonia si svolse nella primaziale di Lione. Marcellino Champagnat, condiscepolo dell'abate Vianney a Verrières, che aveva ricevuto il suddiaconato il 6 gennaio a Grenoble dalle mani di Mons. Simon 1, e Giovanni Claudio Colin, prima trattenuto da scrupoli, si trovava ora fra gli ordinandi a lato di Giovanni Maria 2. L'ordinazione era conferita ancora da Mons. Simon, venuto appositamente da Grenoble.  

 L'abate Pietro Millon, parroco di Bény, ci ha lasciato queste parole: cc lo ebbi la fortuna di trovarmi accanto all'abate Vianney durante l'ordinazione. Quando, secondo l'usanza, dopo la cerimonia, si ritornò processionalmente dalla Primaziale al Seminario, mi colpì l'entusiasmo col quale egli cantava il Benedictus, salmo di ringraziamento e gli applicai senz'altro le parole: E tu, fanciullo, sarai un profeta dell’Altissimo, ripetendo a me stesso: Questi ha meno scienza di tanti altri, ma nel ministero farà cose migliori» 3.  

Era ancora l'abate Balley, che rispondeva del suo protetto e si pensò di affidargli la cura di continuarne l'istruzione durante l'anno 1814-1815 4. Di questa disposizione non ebbero che a felicitarsi tanto il maestro quanto il discepolo, poiché per il seminario maggiore quello fu un anno disastroso. Il raccoglimento era divenuto quasi impossibile e quando non vi è il raccoglimento non vi può essere né profitto di studio, né seria formazione.  

Se è vera la testimonianza di un contemporaneo, a Lione si ricevette la notizia dell'abdicazione dell'imperatore con una frenesia che aveva del delirio, sembrando di essere passati dall'età del ferro a quella dell'oro, tanto celebrata dai poeti 5.  

Mentre Napoleone esiliato partiva per l'isola d'Elba, l'infelice Cardinal Fesch, degno di migliore sorte, passava da Nimes a Montpellier, da Montpellier a Blois, da Blois a Bourges ... Venuto a Lione per alcuni giorni, se ne partiva ancora il 27 aprile, e la sua odissea non finiva che a Roma, ove il Pontefice lo accolse con infinita accondiscendenza.

Il 14 aprile, divulgatasi la notizia che Luigi XVIII era stato proclamato Re di Francia e di Navarra, il Capitolo della Cattedrale di Lione, nell'assenza dell'Arcivescovo ed a sua insaputa, aveva ordinato il canto del Te Deum alla metropolitana e nelle altre chiese della Diocesi. Il più esaltato era stato forse l'abate Groboz, segretario generale dell'arcivescovo e grande amico di Balley, che in quell'occasione si sentiva sostenuto dalla sua innata fede monarchica, e dai suoi ricordi di emigrazione. Era naturale che anche i seminaristi lo imitassero e difatti portarono l'esaltazione ad un grado incredibile: per un anno, sotto i tigli dei viali di Sant'Ireneo, si parlò più di politica che di teologia. Il Cardinale da Roma continuava a governare la sua diocesi di Lione in modo officiale, ma i suoi beni erano già stati posti sotto sequestro, e la sua autorità veniva considerata come perduta.  

Un nuovo colpo di scena si avverava in principio di marzo del 1815, quando per il cielo di Francia corse la notizia che l'esiliato dell'isola d'Elba, l'imperatore scoronato, era già entrato in Francia dal golfo Jouan. Agile come la folgore, il 10 marzo faceva a Lione una trionfale entrata, gettando in prigione molti preti per ragione delle loro idee legittimiste. Il 26 maggio, anche il Cardinal Fesch, al suono di tutte le campane, rientrava nella sua «buona città», ma vi partiva tre giorni dopo per non più ritornare.  

La vigilia di recarsi a Parigi fece anche una visita ai seminaristi di Sant'Ireneo, e di tale visita val la pena di sentire la relazione di un contemporaneo che ce ne parla nello stile fantastico, proprio di quell'epoca.  

 

 Erano giunti a lui molti lamenti sullo spirito ultra-realista che regnava in questa casa; anche la polizia ne era informata e voleva prendere decisioni energiche, avendo in mano prove capaci di compromettere l'esistenza stessa di questa istituzione. Molti studenti, dall'immaginazione esaltata, certo senza rendersi conto della portata del loro atto, avevano dato il loro nome ad una federazione legittimista che si organizzava nelle montagne della Forez, e tutti nella loro cappella si rifiutavano di cantare, secondo la prescrizione avuta: Domine, salvum fac imperatorem Napoleonem...  

Ma il Cardinale non avrebbe sacrificato per ragione di alcune  imprudenze una casa che gli era costata molte fatiche e che gli era assai necessaria: che cosa sarebbe diventata la diocesi, se fosse stata intercettata la sorgente che continua ed alimenta il Sacerdozio? Accompagnato dai Vicari generali Courbon e Bochard, venne al Seminario col pratico intento di portare parole di pace e di moderazione agli studenti di teologia, che vivevano sotto l'influsso di idee ben lontane dalla loro vocazione. Ma appena si vide comparire la veste rossa del prelato, e si comprese il motivo della sua 

visita, gli uni, come uno sciame spaventato, corsero a nascondersi nella loro camera, altri si tennero in disparte, mentre alcuni mormoravano a bassa voce …. e fu solo con grande pena che i due Vicari generali poterono raccogliere un piccolo gruppo al quale parlò il Cardinale. Il quale però, dopo aver rivolto ad essi alcune parole di prudenza e di sapienza, comprese che non gli conveniva neppure ragionare con questi esaltati e si ritirò, sempre più disperando della causa di suo nipote.  

Intanto che saliva nella sua miserabile vettura, che risentiva delle strettezze del momento, uno di questi seminaristi scrisse col gesso bianco all'esterno della vettura il grido preferito del 1814: Viva il Re! ed il Cardinale fece il giro della città con questa strana dicitura, che poteva essere interpretata come sediziosa da un principe della famiglia imperiale, che non riconosceva che l'aquila ed i trofei 6.  

 Quando il Cardinale prese la via di Parigi il 29 maggio, non si persuadeva ancora che tutto potesse sembrare compromesso. La sera del 18 giugno, a Waterloo, l'aquila era ferita a morte. Mons. Fesch seppe la notizia del nuovo disastro nella capitale, e fuggì a Roma ove piamente moriva venticinque anni più tardi, il 13 maggio 1839.  

Non tutto il male viene per nuocere. Giovanni Maria è lontano da simili agitazioni e non può quindi esservi compromesso; l'abate Balley, constatando questa penosa condizione, dovette certo benedire la Provvidenza, che con l'esame disastroso dell'anno prima aveva provveduto ad allontanare dal seminario questo studente, che era l'ultimo per studio, ma anche il migliore. Verso la fine del maggio 1815, l'abate Vianney veniva accettato al diaconato ed entrava quindi di nuovo nel seminario; ma là non ebbe parte a nessuna discussione, anzi non uscì mai dalla sua solitudine interiore.  

Il 23 giugno, vigilia della sua festa, riceveva il Diaconato ancora nella primaziale di Lione, dal Vescovo di Grenoble, Mons. Simon, e lo spirito di fortezza discendeva in lui come aquila e penetrava fino alle ultime fibre della sua anima già sì robusta.  

In quel mattino, durante il canto delle Litanie, si trovavano prostrati accanto a lui Giovanni Claudio Colin, futuro fondatore dei Maristi e Marcellino Champagnat, fondatore dei Piccoli Fratelli di Maria, che dovevano ancora venire al seminario di Sant'Ireneo per la preparazione al Sacerdozio.   

Per un favore insperato, dovuto senza dubbio ai passi fatti dal suo affezionato maestro, ma anche alla fama delle sue virtù, subito dopo l'ordinazione al diaconato, si trattò di promuovere l'abate Vianney al Sacerdozio.  

Per questa occasione fece di nuovo il suo esame canonico al presbiterio di Ecully, al quale era venuto il. Vicario generale Bochard, che constatò con piacere i reali progressi che il nostro «teologo») aveva fatto in un anno. Per più di un'ora il distinto esaminatore interrogò il nostro santo sui punti più difficili della teologia morale e fu non solo contento, ma meravigliato che l'abate Vianney fosse tanto sicuro e preciso. Stabilì che il nuovo diacono, dopo un ritiro di alcuni giorni andrebbe a Grenoble per ricevere l'ordinazione sacerdotale 7, mentre gli altri del suo corso, gli abati Pansut, Bezacier, Champagnat e Colin, avrebbero dovuto attendere, per essere ordinati sacerdoti, fino al 22 luglio dell'anno seguente 8.  

Canonico FRANCESCO TROCHU 

venerdì 23 aprile 2021

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY

 


IL CURATO D'ARS 

SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY 


Al Seminario Maggiore di Lione (1813-1814).  

Le fortunate vacanze del 1813. - Il Seminario di Sant'Ireneo a Lione. - Una virtù ammirabile. - Una mente ribelle. Licenziato!... - Una visita al noviziato del Frati. - Un esame al presbiterio di Ecully. - La decisione del Vicario generale Courbon.  

 Giovanni Maria Vianney non era stato molto fortunato a Verrières. La filosofia di ispirazione cartesiana, che allora vi si insegnava secondo il metodo dell'antica Sorbona, l'aveva appena intravvista e gli era sembrata fredda ed insipida; fu quindi ben felice di ritornare ad Ecully, nel mese di luglio del 1813, per rivedere il suo antico maestro, felice lui pure di riabbracciare il suo allievo. Trovandosi insieme, si comunicarono le loro speranze: «La salita al Sacerdozio era dura, ma la meta era sempre più vicina. E qual sollievo in questo pensiero!... tanto più che - lo si sapeva - il ministero delle anime non avrebbe presentato la medesima aridità della scuola e dei libri». Senza frapporre indugio, l'abate Balley pensò di preparare il suo allievo per il seminario maggiore, approfittando subito di queste vacanze, che erano le migliori ed anche le ultime, delle quali avrebbe goduto in vita sua Giovanni Maria Vianney.  

 Il seminario di Sant'Ireneo, costruito a Lione, sulla piazza Croix-Paquet, ai piedi della Croix-Rousse, durante la rivoluzione era stato successivamente deposito d'armi ed ambulanza militare; ma il 2 novembre 1805 era stato reso alla sua primitiva destinazione 1. Era una casa immensa a tre piani, coi giardini separati da magnifici viali, ombreggiati da tigli 2. Già da due anni la direzione era stata tolta ai Sulpiziani, in esecuzione del decreto 26 dicembre 1811, che li cacciava da Lione dopo di averli privati del governo di tutti i seminari francesi. Le proteste e le suppliche del Cardinal Fesch furono senza eco per lui come per tutti gli altri vescovi: Napoleone era rimasto inflessibile.  

I Sulpiziani furono sostituiti da alcuni preti della Diocesi, «ma i cuori, si disse, erano rimasti a quelli» 3. Correvano dei lamenti circa i direttori, che erano troppo giovani, che non avevano esperienza e che erano stati conosciuti sui banchi della scuola. Ma la loro giovinezza non impediva che fossero tutti uomini eminenti. Era superiore l'abate Gardette. Ordinato prete durante il Terrore, era stato poi condotto in arresto nelle dure prigioni di Rochefort. Lo si conosceva per la sua profonda pietà, il carattere un po' rude, - forse perché aveva molto sofferto, - e la meticolosità nell'osservanza della regola; il nuovo direttore era l'ottimo e distinto abate de la Croix d'Azolette, futuro arcivescovo di Auch; professore di Sacra Scrittura e di Liturgia era l'abate Mioland, giovane prete di appena venticinque anni, affabile e cortese, che sarà poi arcivescovo di Tolosa; l'abate Cholleton che insegnava il dogma e l'abate Cattet, che teneva la cattedra di morale, erano appena usciti dal seminario di San Sulpizio di Parigi; fungeva da economo il modesto abate Menaide. Questi professori possedevano una scienza reale e distinta e, per continuare la tradizione dei Sulpiziani, si sforzavano di formare i seminaristi lionesi alla virtù ed alla scienza.  

Giovanni Maria Vianney, che entrava a mettersi sotto la loro direzione nel mese di ottobre, vi trovava Marcellino Champagnat, che lo aveva seguito a Sant'Ireneo, Giovanni Claudio Colin, futuro fondatore della Società di Maria, e Ferdinando Donnet, che morirà a 87 anni, cardinale arcivescovo di Bordeaux.  

Vi erano nella regola prescrizioni che dovettero dare un po' di fastidio al nostro vecchio studente e nessuno ci disse in che modo sia riuscito a metterle in pratica. L'abate Lyonnet scrive che, «quando il vescovo andava al seminario, non ometteva mai di dare avvisi circa il contegno ecclesiastico, perché voleva che i suoi preti fossero sempre distinti, negli abiti e nel contegno esteriore. Per questo aveva prescritto l'uso della polvere per i capelli, delle fibbie alle scarpe, ed aveva espresso il desiderio che i seminaristi di Lione, almeno quando uscivano in città, portassero il mantello lungo, come i seminaristi di Parigi»4.  

I corsi del 1813-1814 si aprirono poco prima della festa di Ognissanti e furono preceduti dai tradizionali esercizi spirituali. Un futuro canonico teologo di Belley, l'abate Giovanni Agostino Pansut, che finiva in quell'anno il suo corso di teologia, aveva conservato fino a tarda età il ricordo di questo compagno, la cui fisionomia lo aveva profondamente colpito. Quantunque già amasse l'ombra ed il silenzio, Giovanni Maria non poteva passare inosservato. Aveva ventisette anni ed il suo viso già dava l'aspetto di un asceta: in più già allora in tutta la sua persona si leggeva il raccoglimento, la modestia, l'abnegazione di sé e la penitenza portata fino al limite estremo. Se i duecentocinquanta studenti, che erano entrati allora a Lione, fossero stati come lui, il seminario di Sant'Ireneo durante le passeggiate e le ricreazioni avrebbe dato l'immagine perfetta di un convento di trappisti 5.  

Ma vi furono anche altri testimoni più assidui che poterono contemplare le meraviglie di un'esistenza così edificante. Sant'Ireneo era diventato troppo angusto per potere contenere convenientemente tutti i suoi allievi e molti dovettero essere collocati insieme nelle sale più spaziose. In questo modo lo studente Vianney ebbe come compagni di camera il giovane Bezacier, col quale non era mai stato, e gli abati Declas e Duplay, che aveva già conosciuto a Verrières. A ricordo di quel tempo l'abate Bezacier lasciò la seguente testimonianza: «Giovanni Maria Vianney era di una perfetta regolarità. Dalla camera ove siamo stati posti non si dovevano fare che pochi passi per vedere la sfilata di un reggimento svizzero, al servizio della Francia e udire la sua bella musica, e molti seminaristi cedevano alla tentazione: ma non mi ricordo elle l'abate Vianney si sia mai scomodato per questo» 6.  

   Più tardi l'abate Declas, divenuto religioso marista, diceva di lui al nipote, abate Stefano Dubouis: «Ebbi occasione di conoscerlo e l'ho trovato un santo» 6  

Né si pensi che il contegno di Giovanni Maria Vianney tendesse alla singolarità: al contrario, «non ebbe mai nulla di straordinario nella sua condotta, ma conservò sempre la più grande semplicità».  

«Disgraziatamente, - ci dice l'abate Bezacier, - il risultato dei suoi studi era nullo, perché non comprendeva abbastanza. il latino: qualche volta gli diedi delle spiegazioni, che egli però non capiva, e, malgrado questo, sembrava studiasse sempre» 7.  

«Noi sapevamo tutti - ha detto l'abate Pansut - ch'egli non aveva fatto studi regolari, e nessuno si faceva meraviglie della sua pratica insufficienza. Se più tardi operò veri prodigi nella direzione delle anime, lo. dovette, oltre che alla sua continuata applicazione, allo straordinario aiuto di Dio, che si compiacque di colmarlo delle sue grazie» 8.  

Il superiore, Gardette, si interessò certamente di questo vecchio seminarista che gli era noto per la sua grande pietà ed applicazione e gli assegnò come ripetitore l'abate Giovanni Duplay, che era uno dei migliori della classe; davanti a lui il vecchio scolaro era meno timido, capiva le domande rivoltegli in francese e dava risposte giuste e di buon senso 9.  

Anche il professore Mioland, vedendo la sua difficoltà a comprendere, gli usò la carità di dargli qualche lezione a parte, spiegandogli la teologia in un testo francese molto chiaro, il Rituel de Toulon10; e fu in grazia di questo insegnamento che egli poté acquistare al seminario le nozioni sufficienti. Ma siccome la lingua officiale della scuola e degli esami era la lingua latina, per lui i corsi pubblici diventavano inutili11, e si finì per non interrogarlo più, basandosi sulla triste esperienza fatta.  

Non tentiamo neppure di immaginare la sofferenza morale del nostro allievo, che si rendeva conto dell'inutilità dei suoi sforzi. Non vi era a Sant'Ireneo nessuno che più di lui desiderasse il sacerdozio, ma anche non vi era nessuno che ne sembrasse più lontano. E quale non fu la sua pena, quando «dopo cinque o sei mesi i direttori, pensando che non avrebbe potuto riuscire, lo pregarono di ritirarsi?» 12.  

Licenziato!... lui, le cui reliquie un giorno vedranno inginocchiato sotto la cupola di San Pietro il Sommo Pontefice che le profumerà d’incenso! Questa fu la prova più crudele di tutta la sua vita, e, quando più tardi parlerà delle sue miserie e delle sue difficoltà, non avrà neppure una parola per questo licenziamento.  

«Molti suoi condiscepoli furono certo addolorati vedendolo partire dal seminario teologico» 13. Egli ricevette la sua sentenza con umile rassegnazione e senza lamenti. Cinquant'anni più tardi, il Cardinal Donnet, che fu uno dei suoi confidenti in quell'amarissima ora, ci dice: «È rimasto in me profondamente scolpito il ricordo delle parole piene di umiltà e buon senso, che potei intendere da lui in quella circostanza» 14  

Che fare? Vedendosi chiusa la porta del Seminario ritornerebbe al mondo, egli, che non aveva altro desiderio che di darsi a Dio? Ricordò che uno dei suoi compagni di infanzia, Giovanni Dumond, il 27 novembre dell'anno antecedente, aveva preso l'abito dei Frati nel convento lionese del Petit Collège, e nell'anima di lui nacque un sogno nuovo: cambiare veste con veste, dare la sua per quella di un fratello laico; e, prima ancora di avere preso consiglio dal suo maestro l'abate Balley, uscito dal seminario, si diresse a quel convento, che è vicino alla primaziale di San Giovanni.  

Trovò il suo amico Giovanni Dumond, divenuto ora frate Gerardo e gli confidò l'amaro segreto con queste parole: «Non so abbastanza latino per essere prete e vengo qui per essere fratello laico». Dopo questa visita ritornò al presbiterio di Ecully, col pensiero di rimanervi solo per qualche giorno.  

L'abate Balley lo accolse, lasciò che il suo allievo desse sfogo alle lagrime, ne ascoltò le confidenze; ed infine parlò anch'egli, ma per dire a questo giovane che era chiara abbastanza la volontà di Dio che lo chiamava al servizio degli altari: «Scrivi al tuo amico di Lione - conchiuse - e raccomandagli di non parlare con nessuno di quanto gli hai confidato, perché io voglio che tu continui gli studi» 15. Con questa decisione era necessario tentare un ultimo sforzo.  

Maestro e scolaro dapprima pregarono insieme, poi ripresero con confidenza i libri, soprattutto il Rituel de Toulon, che veniva spiegato ora in latino ora in francese, perché si riteneva conveniente che Giovanni Maria sapesse tradurre nella lingua della Chiesa almeno le nozioni essenziali. Lo Spirito di Dio, che abitava in quest'anima, avrebbe poi pensato a colmarne le lacune ed a supplire alla pratica insufficienza. In che modo questo sarebbe avvenuto, l'interessato non lo poteva ancora immaginare e ne provava un'intima pena. Fortunatamente, la sua pietà lo sosteneva e Dio medesimo gli veniva in aiuto. Giovanni Maria Vianney dirà un giorno: «Quando studiavo ero oppresso dal dolore e non sapevo più cosa dovessi fare ... Mi ricordo ancora che un giorno ad Ecully, quando passavo vicino alla casa della Bibost, mi si disse come parlandomi all'orecchio: - Sta tranquillo: un giorno sarai prete» 16.  

Si avvicinava l'epoca delle ordinazioni, e l'abate Balley fiducioso, lo fece inscrivere per gli esami che si sarebbero tenuti verso la fine di maggio. Presentando il suo protetto, si appoggiava specialmente sulla considerazione che la diocesi di Belley aveva sempre bisogno di preti e che il suo candidato era ormai entrato nel suo ventinovesimo anno: aveva ricevuto la tonsura da tre anni, e, se era lecito avere ancora qualche fiducia in lui, era tempo che lo si ammettesse almeno agli ordini minori: tutte ragioni che gli sembrarono sufficienti perché non dovesse più oltre tardare.  

Quindi, tre mesi dopo la sua partenza dal seminario, l'abate Vianney si presentava ancora fra i suoi antichi condiscepoli, ben felici di rivederlo. Seduto all'ultimo posto, egli attese il suo turno; ma, quando fu introdotto nella sala degli esami, vedendo quell'almo consesso di uomini dotti, presieduto dal Vicario generale Bochard, e risultante di quanto la diocesi intera aveva di più distinto per scienza, si turbò, comprese malo il senso delle domande latine, fu incerto e rispose in un modo assai incompleto ...  

Ci fu perplessità nella decisione che lo riguardava. Si conosceva la scienza dell'abate Balley, e si ricordava ancora l'elogio che egli aveva fatto della energia e della pietà del suo allievo. Si doveva rimandare definitivamente questo povero seminarista di buona volontà, oppure solamente prolungare ancora la sua attesa? Si credette di declinare ogni responsabilità, in questo caso difficile, e si disse a Vianney che era  libero di entrare in un'altra diocesi, se avesse trovato un vescovo benevolo che lo accettasse. Giovanni Maria ritornò al presbiterio di Ecully la sera di quel medesimo giorno, e narrò la sua nuova disastrosa avventura. L'abate Balley intravvide il pericolo che era stato creato da questa decisione ed il giorno seguente si recò a Lione. Prima di presentarsi all'ufficio del Vicario Generale, passò a domandare consiglio a colui che aveva ricevuto le confidenze della prima confessione di Giovanni Maria, e domandò di essere accompagnato da lui. L'abate Groboz, diventato segretario generale dell'Arcivescovado, lo accompagnò volentieri, tanto più che egli medesimo lo aveva interrogato il giorno antecedente. Quando furono in presenza del Vicario Generale, l'abate Balley non ebbe che a ripetere l'elogio del suo allievo, e l'abate Groboz si unì a lui, narrando antiche memorie; insomma, si trattava certo di un seminarista poco istruito; ma anche di uno dei più virtuosi della Diocesi. Il Vicario Generale si lasciò persuadere e promise di studiare di nuovo questo caso, anzi, in seguito all'insistenza dell'abate Balley, accettò di recarsi il giorno seguente al presbiterio di Ecully, col superiore del seminario maggiore e di tentare là un'altra prova: avrebbero così avuto occasione di rivedere il loro antico discepolo un po' più nella intimità.  

«Rassicurato da un passo così favorevole, Vianney rispose molto bene alle domande che gli furono poste e si fu contenti di lui». Tale fu la dichiarazione dell'abate Bétemps, canonico di San Giovanni di Lione, vecchio amico dell'abate Balley e che, alla morte di questi, divenne, per alcune settimane, il confessore del nostro Santo 17. L'abate Bochard partì da Ecully favorevolmente disposto, ma la decisione definitiva non dipendeva da lui.  

 Dopo la sanguinosa battaglia di Lipsia (20 ottobre 1813) i Russi, gli Austriaci, i Tedeschi, gli Svedesi, gli Inglesi e gli spagnoli coalizzati invasero la Francia. Napoleone era vinto e il giorno 11 aprile dell'anno seguente era costretto a firmare la sua abdicazione, intanto che sua madre e lo zio Cardinale  cercavano rifugio presso il Pontefice Pio VII. Il governo dell'archidiocesi di Lione, per l'assenza del Cardinale, veniva affidata al primo dei Vicari Generali, Mons. Courbon, al quale perciò spettava di decidere sulla vocazione dell'abate Vianney, ed a lui non si tralasciò di riferire che l'allievo dell'abate Balley non comprendeva se non la lingua materna e non vi era speranza di potere insegnargli il latino.  

Il Vicario Generale si sentì portato alla clemenza, riflettendo anche che il suo arcivescovo non era molto meticoloso in queste accettazioni. Nel Natale del 1812, non aveva forse chiamati in massa anche gli allievi del primo corso di teologia, per ordinarli suddiaconi insieme a tutti gli altri che ancora non avevano ricevuto quest'ordine, a fine di sottrarli più facilmente alla coscrizione? 18.  

Il Vicario Generale, semplice e bonario, si accontentò di domandare:  

- Ma l'abate Vianney ha pietà? Ha devozione alla Madonna e sa recitare bene il Rosario?...  

- Oh... questo, sì: è modello di pietà!  

- Un modello di pietà! Ebbene, io lo chiamo e la grazia di Dio farà il resto 19.  

L'abate Courbon non ebbe mai un'ispirazione migliore...  

Canonico FRANCESCO TROCHU