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domenica 21 aprile 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


1-12  Giuseppe si ritirò a vivere da solo esercitando l’arte del falegname; alcune grazie che Dio gli fece e le virtù che praticò  


Nella sua botteguccia – Appena ebbe inteso dall’Angelo la divina volontà, il nostro Giuseppe la mise subito in esecuzione; e comprato quel tanto che gli era necessario per esercitare l’arte del falegname, si ritirò in una piccola bottega, che prese in affitto vicino al Tempio. In questa piccola stanza lavorava, dormiva e prendeva il suo parco cibo; da qui non usciva mai se non per andare al Tempio e a fare quel tanto che gli era necessario per vivere. Rare volte si faceva la minestra, e per lo più il suo cibo era pane e frutta; beveva poco vino, e quello molto temperato con acqua. La sua minestra più squisita era di verdure cotte ovvero legumi, e questi, come dissi, molto di rado. Infatti il Santo Giovane condusse qui una vita molto stentata e penitente, e soffriva tutto con grande allegrezza e consolazione del suo spirito. Dio, però, non tralasciava di riempirlo di consolazioni celesti; qui se ne stava solitario, taciturno; in questa sua bottega non si vide mai gente che si trattenesse a parlare, mentre il Santo non era amico di trattenimenti inutili, e siccome era stimato da tutti povero, semplice e idiota, non vi si accostavano e così lo lasciavano vivere in pace con la sua quiete, da tutti derelitto e del tutto sconosciuto. Intanto la gente andava ad ordinargli i lavori, in quanto ci trovava il suo utile, perché il Santo prendeva quello che gli davano, rimettendosi sempre alla loro discrezione; e quando riceveva la paga delle sue fatiche, la prendeva a titolo di carità ringraziando affettuosamente chi gliela dava. Di quella paga ne tratteneva tanta quanta gli era necessaria per i suoi bisogni, il resto lo dispensava ai poveri. Così gli aveva ordinato di fare l’Angelo, ed egli con puntualità l’eseguiva. Alle volte il Santo Giovane si trovava in grande penuria e necessità, non avendo di che cibarsi, ed in tale occorrenza se ne andava al Tempio a supplicare il suo Dio di volerlo provvedere: e Dio non mancava di consolare il suo servo, ispirando al cuore ora ad una, ora ad un’altra vicina di fargli l’elemosina di verdura, frutta, minestra, pane, a seconda che egli ne aveva necessità. 

Il Santo gradiva molto questa elemosina e ne rendeva affettuose grazie, prima a Dio, poi a chi gliela inviava. Dio poi lo provvedeva mandandogli spesso da lavorare senza che egli lo andasse a cercare, perché era tanto grande la modestia del nostro Giuseppe, che non si rischiava di andar cercando cosa alcuna; e poi confidava tanto nel suo Dio che avesse provveduto ai suoi bisogni, che se ne stava riposato, aspettando la divina Provvidenza, che non gli mancò mai. 

La botteguccia santuario – Il nostro Giuseppe, standosene in quella piccola officina, solo e abbandonato da tutti, si prostrava spesso a terra e si offriva tutto al suo Dio, dicendogli spesso: «Ecco, o Dio mio, io sono tutto tuo, non c’è cosa alcuna che possa separarmi da Te. Io non ho altro che Te; Tu sei tutta la mia eredità, tutto il mio sostegno; Tu la mia consolazione, Tu tutto il mio bene. Da Te solo spero aiuto e conforto, e all’infuori di Te non voglio cosa alcuna. Rinuncio a tutto ciò che può darmi il mondo, ed abbraccio volentieri la povertà, l’umiliazione, i patimenti, perché così piacerò a Te, mio Dio, unico mio Signore e Padrone assoluto di tutto me stesso». E in tal modo si andava trattenendo col suo Dio. Faceva più frequenti le visite al Tempio e si tratteneva molto a pregare, e Dio permetteva che non fosse osservato da alcuno, perché non gli fosse impedita questa consolazione.  

Vita di Maria nel Tempio – Si trovava, allora, nel Tempio la Santa fanciulla Maria, destinata ad essere la Madre del Verbo divino, le cui mirabili virtù erano ammirate da tutte le altre fanciulle del Tempio, specialmente da chi ne aveva la cura, in modo che ne correva la fama anche per la città. Ma il nostro Giuseppe non ne seppe mai cosa alcuna, perché non trattava né conversava con alcuno. Una notte, però, l’Angelo gli parlò nel sonno e gli manifestò come nel Tempio si trovasse una fanciulla, che era tanto cara al suo Dio e da Lui tanto amata e favorita sopra ogni credere, nella quale Dio tanto si compiaceva e si dilettava per le sue rare virtù e la sua mirabile purezza e santità; e che questa era Maria, figlia di Gioacchino ed Anna, da lui ben conosciuti. Gli diceva questo, perché lodasse e ringraziasse Dio delle grazie e dei favori che compartiva a lei, e perché si rallegrasse che vi fosse al mondo una creatura così degna e così cara a Dio.  

Amore vicendevole – Il Santo Giovane, svegliatosi, si alzò, e con grande giubilo del suo cuore ringraziò e lodò il suo Dio, come l’Angelo gli aveva ordinato. Si rallegrò molto della notizia avuta, e sentì nascere nel suo cuore un santo amore verso la fanciulla, in modo tale che andava più spesso al Tempio, attirato dall’affetto verso di lei; e benché mai la vide, tuttavia l’amava per le sue rare virtù. Nel Tempio si tratteneva poi a pregare e a ringraziare Dio che si fosse degnato di mandare al mondo una così santa fanciulla, nella quale Egli trovava il suo compiacimento, e lo pregava di ricolmarla sempre più delle sue grazie, e così come cresceva nell’età, l’avesse fatta crescere nelle virtù. Dio gradiva molto le preghiere del Santo, e di questo ne diede un chiaro lume anche alla fanciulla Maria, facendole conoscere le virtù del suo servo e quanto egli pregasse per lei: per cui anche lei, da allora in poi, pregava Dio per il Santo e lo supplicava di riempirlo del suo amore e della sua grazia. Dio esaudiva mirabilmente le suppliche di Maria, cosicché tanto San Giuseppe come la Santissima Vergine Maria si tenevano sempre raccomandati a Dio, nonostante non si conoscessero di vista né mai si fossero parlati, ma sapessero tutto per rivelazione divina. Maria Santissima amava il Santo Giovane, anche perché aveva una chiara intelligenza delle rare virtù di lui, e che Dio l’amava molto; e per lo spazio di quasi dieci anni godettero l’uno e l’altra il beneficio delle loro sante orazioni e si amarono santamente in Dio senza però mai vedersi né trattarsi, solo che l’Angelo alcune volte ne parlava a Giuseppe nel sonno e lo assicurava che la Santa Fanciulla pregava molto per lui, per cui ne sentiva una somma consolazione.  

Suo voto di verginità – Una volta l’Angelo gli disse come la fanciulla Maria si era dedicata tutta a Dio e aveva consacrato a Dio. con un voto, la sua verginità, e che di questo il suo Dio ne aveva goduto molto. Sentendo questo, il Santo si invaghì di imitarla e di consacrare anche lui con un voto a Dio la sua purezza, ma siccome questa era cosa nuova non più intesa, il Santo era perplesso se doveva fare così e se a Dio fosse stato gradito che l’avesse fatto; perciò se ne andò al Tempio per supplicare Dio di manifestargli la sua volontà in questo particolare, e dopo molte suppliche, Dio si degnò manifestargli la sua volontà parlandogli interiormente. Gli disse che gli avrebbe fatto una cosa molto gradita se gli avesse consacrato la sua verginità con un voto, e l’assicurò del suo aiuto e della sua grazia particolare per poterlo osservare perfettamente. Il nostro Giuseppe si consolò molto nel sentire la voce del suo Dio che gli parlò al cuore e gli manifestò quel tanto di cui egli lo pregava, e subito ancora egli fece voto di verginità perpetua, e nel farlo il suo cuore fu riempito di un grande giubilo e di un’allegrezza inesplicabile, che Dio gli fece sentire per assicurarlo maggiormente del gradimento che aveva del voto da lui fatto. Fu anche elevato in altissima contemplazione e poi in dolcissima estasi nella quale Dio gli manifestò i molti pregi della nobile virtù della purezza, per la quale il Santo ne restò sempre più invaghito, e molto consolato per il voto fatto; e rese affettuose grazie a Dio che gliel’aveva ispirato e che si fosse degnato di accettare il voto con tanto gradimento. Così se ne tornò alla sua piccola bottega tutto consolato ed allegro; e la notte l’Angelo gli parlò di nuovo e l’assicurò di come Dio aveva sommamente gradito il voto da lui fatto ad imitazione della Santa Fanciulla Maria.  

Comune desiderio del Messia – Gli disse anche come la Santa Fanciulla si struggeva tutta del desiderio della venuta del Messia e che ne porgeva continue e calde suppliche al suo Dio; che a Dio erano molto gradite le sue suppliche e che senza dubbio si sarebbe accelerata la venuta del Messia al mondo per le preghiere della santa fanciulla, e che anche lui l’avesse imitata in questo, per rendersi sempre più gradito al suo Dio. Il Santo, svegliatosi, si alzò subito e si mise a supplicare il suo Dio con più fervore che non facesse prima, affinché si fosse degnato di inviare presto al mondo il Messia promesso, e dopo se ne andò al Tempio e qui si mise di nuovo a pregare Dio per la suddetta venuta. Dopo una lunga preghiera lo spirito di Giuseppe fu elevato in altissima contemplazione, dove gli furono manifestati molti segreti divini circa le qualità e le virtù che avrebbe avuto il Messia quando avrebbe dimorato fra gli uomini; così il Santo rimase molto più acceso del desiderio di questa venuta, bramando ardentemente di conoscerlo e di trattare con lui. Si riconosceva però indegno di questo favore per la sua grande umiltà, ma confidava molto nella bontà di Dio, che già sperimentava tanto propizia verso di sé.  

Angelo di Paradiso – Con queste grazie che Dio faceva al Santo, e per le preghiere che la Santa Fanciulla Maria faceva per lui, arrivò ad uno stato di vita, che non sembrava più una creatura terrena, ma un Angelo di Paradiso. La sua mente sempre assorta in Dio, il suo amore verso Dio, sempre più ardente, il desiderio di dare gusto a Dio in tutte le sue operazioni era molto acceso, e per lo più stava estatico e tutto assorto in Dio, passando i giorni interi in continua elevazione di mente, e buona parte della notte, scordandosi di prendere il cibo, mentre per lo più si sentiva sazio per il gusto che aveva di trattare e di trattenersi col suo Dio; e spesso replicava: «Oh, Dio mio! e come dispensi a me, creatura miserabile, tante grazie e favori? Come è grande la tua bontà verso di me! Come sei generoso! Quanto sei fedele nelle tue promesse! Che cosa farò io per te, mio Dio? Come potrò esserti riconoscente per tante grazie? Per ora non ti posso offrire altro che tutto me stesso e la mia servitù, che di buon cuore tutto a te sacrifico, e fa’ di me ciò che a te piace, mentre io sono prontissimo a sacrificarmi e spendermi tutto nel tuo servizio».  

Zelo della gloria di Dio – Il Santo Giovane ardeva anche di un vivo desiderio di fare molto per la gloria del suo Dio, ma si riconosceva insufficiente, e di questo ne sentiva pena, perché gli sembrava di non potere effettuare il suo desiderio. Ma una notte l’Angelo gli parlò e gli disse come sarebbe venuto il tempo in cui egli avrebbe appagato il suo buon desiderio, perché avrebbe operato molto per il suo Dio e si sarebbe molto affaticato. Inteso questo, Giuseppe diede in eccessi per la consolazione, per cui aspettava con desiderio che arrivasse quel tempo, che chiamava tempo per lui felice. E di fatto così fu, mentre sostenne molte fatiche per conservare la vita al Verbo Incarnato, che alimentò con il lavoro delle sue mani; e nonostante allora non sapesse in che cosa si sarebbe impiegato per il suo Dio, tuttavia ne godeva molto e lo chiamava tempo per lui felice; tanto era grande il desiderio che il Santo aveva di spendersi tutto per il servizio del suo Dio.  

Abbandono in Dio – Viveva poi con una semplicità più che grande, e non ricercò mai cosa alcuna delle promesse che l’Angelo gli aveva fatto, e che non gli dichiarava mai, ed il Santo non si curò mai di saperle aspettandole con una santa indifferenza; solo si applicava a pregare Dio di dargli quel tanto che gli aveva fatto promettere dall’Angelo, e questo lo faceva perché sapeva che Dio voleva essere pregato. Infatti, il nostro Giuseppe, in tutto e per tutto, si rendeva gradito e accetto al suo Dio, dandogli gusto in tutte le sue operazioni, non discostandosi mai dal suo santo volere, riconoscendo con somma gratitudine i benefici che riceveva da Dio, mostrandoglisi grato, ringraziandolo continuamente e offrendogli tutto se stesso senza alcuna riserva.

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 


martedì 19 marzo 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


1-11 Giuseppe partì da Nazaret ed andò ad abitare a Gerusalemme 


Lascia Nazareth – Il nostro Giuseppe, alzatosi la mattina prima del giorno, e fatto un piccolo fardello di pochi panni per suo servizio si mise in preghiera supplicando il suo Dio di volerlo assistere in quel viaggio. «Ecco, – disse il Santo Giovane, – o Dio mio, che lascio la patria, e povero e mendicante me ne vengo a Gerusalemme per adempire qui la tua divina volontà. Quanto più mi vedo povero, tanto più sono contento, perché così piace a Te, e dato che qui nella mia patria sono stato oltraggiato confatti e con parole, e sono stato spogliato dei beni di fortuna, ti supplico di non castigarli, ma perdona loro tutti gli affronti che mi hanno fatto, perché io di buon cuore perdono a tutti, e per tutti desidero ogni bene. E se nella città dove io ora vengo ad abitare, piacerà a Te che io sia trattato come sono stato trattato dai miei concittadini e congiunti, sono prontissimo a soffrire tutto per adempire la tua divina volontà. Ti prego perciò, di non abbandonarmi, perché avendo Te in mio aiuto e favore, non temo di cosa alcuna. Ti prego pertanto di darmi ora la tua paterna benedizione; che questa mi difenda nel cammino: mi regga la tua destra onnipotente, mentre io mi pongo tutto nelle tue braccia paterne ed amorose». Detto questo, si levò dall’orazione tutto allegro, avendolo Dio assicurato della sua benedizione, e preso il suo piccolo fardello, partì da Nazareth prima del giorno e si mise in cammino a piedi verso Gerusalemme, senza che alcuno lo vedesse. Il Santo andava per il viaggio solo, lodando e benedicendo il suo Dio e recitando vari salmi di Davide con grande allegrezza del suo spirito, e spesso replicava: «Ecco, o mio Dio, che vengo ad adempire la tua divina volontà ed il desiderio che ho sempre avuto di abitare a Gerusalemme, per poter frequentare il Tempio». E a misura che si inoltrava nel cammino, si accendeva nel suo cuore il desiderio di arrivare presto, e lì nel Tempio, adorare il suo Dio e di nuovo sacrificarsi a Lui. Si divulgò poi per Nazareth la notizia che Giuseppe era partito; non ci fu alcuno che ne ricercasse o ne andasse in traccia, anzi molti si rallegrarono di questo, perché pensavano di godersi in pace quel tanto che gli avevano usurpato; e così, dimenticato da tutti, non si fece più menzione di lui nella sua patria, pagandolo tutti d’ingratitudine.  Il Santo Giovane lo riseppe, e ne godette molto, «perché, – diceva lui, – così mi lasciano vivere in pace e stare con la mia quiete».  

A Gerusalemme – Arrivato a Gerusalemme il nostro Giuseppe se ne andò addirittura al Tempio, e qui, adorato il suo Dio, gli si offrì tutto di nuovo, lo ringraziò della cura e dell’assistenza che gli aveva fatto nel viaggio e lo pregò di manifestargli la sua volontà. Qui Dio gli parlò di nuovo interiormente, ordinandogli quel tanto che doveva fare; e siccome il Santo era stanco per il viaggio fatto, partì per andare a riposarsi un po’. Domandando la benedizione a Dio, uscì tutto lieto dal Tempio, e andò in un albergo a riposarsi e cibarsi secondo il bisogno. Nel sonno poi l’Angelo gli parlò di nuovo, e gli confermò quel tanto che Dio gli aveva detto interiormente, e gli ordinò che di quel denaro che aveva portato, ne avesse dato due parti al Tempio, e della terza parte se ne fosse servito, metà per sé in quei primi giorni, e l’altra metà l’avesse dispensata ai poveri; e così fece. La mattina alzatosi per tempo, e fatte le sue solite orazioni, se ne andò al Tempio, e diede il denaro in elemosina al Tempio con suo grande gusto, e qui si mise a pregare lodando e ringraziando il suo Dio del beneficio che gli aveva fatto nel manifestargli la sua volontà, offrendosi di nuovo pronto ad obbedire ad ogni minimo cenno che gli venisse manifestato dall’Angelo. Trattenutosi un po’ in orazione, partì dal Tempio, ed incominciò a fare dell’elemosina ai poveri, ed in breve tempo dispensò tutto quello che doveva, secondo l’ordine avuto. 

Garzone di un falegname – Poi si mise a cercare una persona che gli facesse provvisione del vitto necessario e che facesse l’arte di falegname, affinché gliela insegnasse. Non stentò molto a trovarlo, disponendo Dio che il suo servo trovasse subito il modo di effettuare l’ordine avuto; e si incontrò con una persona timorata. Si accordò con questa di dargli la paga sufficiente, e il nostro Giuseppe si mise ad imparare l’arte che gli riuscì molto facile, non sentendo la fatica, perché l’amore con  cui adempiva la divina volontà, gli faceva sembrare tutto facile e gustoso; e quantunque stesse applicato ad imparare l’arte, non tralasciò però mai i suoi soliti esercizi di preghiera e recita dei salmi.  

Sua sottomissione – Il santo Giovane stava con grande umiltà e sottomissione soggetto in tutto e per tutto al padrone, gli obbediva con grande puntualità ed esattezza, per la quale e per le sue rare virtù era molto amato dal padrone, ed il nostro Giuseppe lo rimirava ed ossequiava come un suo superiore, e non parlò mai della sua nascita, delle sue facoltà né di altra cosa. La sua lingua non proferiva altre parole che quelle che erano veramente necessarie, tutto attento ad imparare l’arte non divertendosi mai; e quando voleva andare al Tempio, ne domandava il permesso al padrone, e se egli glielo dava, vi andava, se no, obbediva prontamente privandosi di quella pia soddisfazione.  

Sue eroiche virtù – Qui il nostro Giuseppe fece mostra delle sue eroiche virtù, perché ne ebbe molte occasioni. Era spesso preso in giro dalle persone oziose e vagabonde, che gli dicevano che tanto era stato ad imparare l’arte e che fino ad allora aveva fatto il vagabondo, e lo schernivano. Il Santo Giovane chinava la testa e non rispondeva parola alcuna, e quando vi si trovava presente il padrone, che li riprendeva e li scacciava dalla bottega, allora Giuseppe lo pregava di lasciarli stare, perché a lui non davano né fastidio né pena. Fu singolare poi la modestia di Giuseppe, non alzando mai gli occhi per guardare cose nuove e curiose; stava a Gerusalemme, e non sapeva quello che ci fosse di curioso in città, né che cosa si facesse. Non fece altra strada, che dalla bottega al Tempio e dal Tempio alla bottega, e nella bottega vi stava, non come un giovane che pagava la sua dozzina, ma come un fattorino, servendo in tutto e per tutto al padrone negli uffici più bassi. Il suo padrone si accorse come il Santo Giovane faceva delle elemosine ai poveri, e un giorno gli parlò esortandolo a tener da conto, perché anche lui era povero e aveva bisogno; per cui il Santo gli rispose: «Lasciate che faccia l’elemosina ai poveri, perché per me c’è Dio che ci penserà e provvederà ai miei bisogni»; di questo il padrone restò molto edificato. Il nostro Giuseppe provava poi un gusto inspiegabile nell’esercitare l’arte e nello stare così soggetto, godendo di essere povero, vile e abietto agli occhi degli uomini; e di questo ne godeva perché l’Angelo gli diceva come queste virtù erano care a Dio, e che chi le praticava era molto amato da Dio. Tanto bastò perché il nostro Giuseppe se ne invaghisse sempre più e le praticasse con tutto l’impegno. Il nostro Giuseppe era allora dell’età di vent’anni, ed era cresciuto molto nelle virtù e nell’amore verso il suo Dio. La sua mente non si allontanava mai da Dio, unico oggetto del suo amore; e molto spesso, nell’atto stesso che lavorava, restava estatico per la contemplazione delle divine perfezioni, delle quali ne ebbe una grande intelligenza.  Erano poi frequenti i digiuni e le vigilie, stando spesso le notti in preghiera assorto in Dio. Continuò ancora ad usare la sua solita carità verso i moribondi, e poiché non poteva andare ad assisterli di persona, lo faceva con le continue orazioni, raccomandandoli caldamente a Dio. Il nostro Giuseppe passò qualche anno in questo tenore di vita, avendo già imparato l’arte. Aspettava che l’Angelo gli manifestasse la volontà divina, e se doveva ritirarsi a stare da solo, oppure continuare a stare nella bottega del padrone, quando il padrone si ammalò, e colpito da una malattia mortale, terminò la vita felicemente. 

Morte del padrone – Il nostro Giuseppe lo assistette con grande carità ed amore come se fosse stato il suo proprio padre; fece molte suppliche a Dio per la sua salvezza eterna, e Dio esaudì le preghiere fervorose del suo Giuseppe. Rimasto in libertà, Giuseppe se ne andò al Tempio a pregare e a supplicare il suo Dio affinché gli avesse manifestato la sua volontà ed in che modo volesse essere servito da lui. In questa orazione ebbe un grande lume e fu molto confortato con una consolazione interiore. La notte seguente l’Angelo gli parlò nel sonno, e gli manifestò quel tanto che doveva fare per adempire la volontà divina; cioè che si fosse ritirato a vivere da solo e che, comprando quel tanto che era necessario per esercitare la sua arte, avesse continuato a vivere in povertà; e così fece, rimanendo molto consolato per l’avviso datogli dall’Angelo, e svegliatosi subito, si alzò e si prostrò a terra a lodare e ringraziare Dio dell’avviso che gli aveva dato. 

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 

lunedì 11 marzo 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


1-10 Morte dei genitori di san Giuseppe ed i travagli che egli soffrì 


Assiste la madre morente – Quando il nostro Giuseppe arrivò all’età di diciotto anni, piacque al Signore, di togliere dal mondo i suoi genitori. Prima sua madre, la quale ammalatasi gravemente, ebbe una lunga e penosa infermità, volendo Dio, con questo, purificarla da tutte le sue mancanze per poterla poi mandare al Limbo. Dio le fece questa grazia per le suppliche che continuamente gli porgeva il figlio, e cioè, che si degnasse di mandare i suoi genitori a riposare nel seno di Abramo. Fu mirabile l’assistenza e la servitù che il nostro Giuseppe fece a sua madre, consolandola e confortandola nei suoi dolori, e porgendo continue suppliche a Dio affinché le avesse dato pazienza nella sua penosa infermità. Il Santo Giovane vegliava le notti intere, in parte assistendo la madre, e in parte pregando per lei; e siccome le aveva sempre mostrato una somma gratitudine per quello che aveva ricevuto da lei, in quest’ultimo istante della sua vita gliela mostrò in un modo singolarissimo, non abbandonandola mai, e non stancandosi mai di servirla ed assisterla con amore veramente filiale e santo. L’assistenza del figlio era di molta consolazione all’inferma, e continuamente lo benediceva e pregava Dio di ricolmarlo delle sue benedizioni.  

Alla fine della sua vita, Giuseppe si prostrò inginocchiato davanti a lei, e la supplicò di benedirlo e di perdonargli tutto quello in cui l’avesse disgustata. La buona madre lo benedisse, e lo esortò a non tralasciare il modo in cui egli aveva vissuto fino ad allora, e a crescere sempre più nell’amore e nel servizio del suo Dio; lo ringraziò dell’assistenza e della servitù prestatale, e lo stesso fece il figlio verso di lei. Le disse anche che morisse volentieri perché egli sperava di certo che la sua anima sarebbe andata al Limbo, fra i Santi Padri.  

La madre si consolò molto per le parole che le disse il figlio, e supplicò Dio affinché lo benedicesse, e confermasse con la sua benedizione, quella che lei gli aveva dato; e Dio per mostrare che esaudiva la sua domanda, le fece vedere una chiarissima luce risplendere sul volto di Giuseppe, della quale restò molto consolata, e unita al figlio, rese grazie a Dio del favore mostratole.  Poi l’inferma si aggravò molto, e quando entrò in agonia, il figlio non la lasciò mai, assistendola fino all’ultimo respiro con grande generosità e fortezza d’animo; e non solo assisteva la madre, ma confortava anche suo padre, che era molto afflitto per la perdita di una così buona compagna.  

Prega e consola il padre – Morta la madre, il nostro Giuseppe si trattenne a consolare un po’ suo padre, e poi si ritirò nella sua stanza a dare sfogo al dolore col solito tributo delle lacrime, poi si mise in preghiera supplicando il suo Dio di volerlo consolare in tanta sua afflizione. In questa preghiera Dio non mancò di consolarlo, facendogli sentire la voce interiore che gli diceva che erano stati adempiti i suoi desideri e le sue giuste domande circa sua madre; per cui, tutto consolato il Santo Giovane, rese grazie a Dio, poi uscito dalla sua stanza, andò di nuovo a consolare suo padre, che si consolò e confortò molto per le parole che gli disse il figlio. 

Sua conformità al volere di Dio – La notte seguente mentre Giuseppe dormiva, l’Angelo gli parlò e gli disse che sua madre si trovava già al Limbo, e che in breve sarebbe rimasto privo anche di suo padre, perciò che si uniformasse alla volontà divina, e che non avesse alcun timore, perché Dio lo avrebbe sempre protetto e difeso in tutte le sue vie. Il Santo restò molto consolato per la notizia avuta della sua buona madre, ma insieme afflitto per dover perdere anche il padre. Si uniformò però alla volontà divina, e si animò a soffrire i molti travagli che gli sovrastavano per la perdita del padre, dando fede a quanto l’Angelo gli aveva detto, e cioè che Dio l’avrebbe sempre protetto in tutte le sue vie. L’umanità, peraltro, sentiva al vivo tutto quello che prevedeva dover soffrire, ma lo spirito si mostrò prontissimo a soffrire tutto e a ricevere tutto con pazienza ed allegrezza dalle mani di Dio. Essendo rimasto il nostro Giuseppe privo della madre, e vedendo suo padre in grande afflizione, l’andava confortando continuamente, e non l’abbandonò mai in questa sua afflizione, facendo le parti di buon figlio verso l’amato genitore. 

Al letto del padre morente – Non passò molto tempo, che il padre di Giuseppe cadde malato di una malattia mortale, e siccome il nostro Giuseppe era molto indebolito di forze corporali per i travagli e i patimenti sofferti nella penosa infermità della madre, sentì molta pena e si raccomandò molto a Dio affinché l’avesse assistito con la sua grazia, e dato la forza e lo spirito per poter assistere suo padre nella sua ultima infermità. Dio lo consolò accrescendogli le forze, ed egli si impiegò tutto ad assistere suo padre; non l’abbandonò mai giorno e notte, servendolo ed assistendolo con grande carità ed amore, animandolo a soffrire con pazienza i dolori e le angustie che suole apportare il male, che fu sofferto dall’infermo con grande generosità e pazienza; e solo gli portava afflizione il pensiero che aveva per il suo figliolo, e che rimanendo solo e abbandonato, avrebbe dovuto soffrire grandi travagli. Ma il figlio lo consolava, dicendogli che morisse pure tranquillo e che non pensasse a lui, perché sperava che Dio l’avrebbe protetto e aiutato in tutti i suoi bisogni; e così l’infermo si acquietava, e si confidava tutto in Dio, sicurissimo che avrebbe avuto tutta la cura del suo Giuseppe, perché conosceva che l’amava molto. Lasciò poi il figlio erede di tutte le sue facoltà, affinché se ne fosse servito come a lui fosse piaciuto, perché già sapeva che il figlio le avrebbe bene impiegate; e come buon padre, gli ricordò molte cose, raccomandandogli il timore e l’amore di Dio e l’amore verso il suo prossimo. Giuseppe stava ad ascoltare le parole di suo padre con grande umiltà e sottomissione, e dopo lo ringraziò di quanto gli aveva detto, e gli promise di fare quel tanto che gli diceva per il suo bene e per la gloria del suo Dio. Di questo il padre rimaneva sempre più consolato, e diceva al figlio: «Figlio mio, io muoio contento, perché vedo che tu sei bene impiegato nell’esercizio delle virtù e che ami e temi Dio, ed anche perché ti lascio erede di molti beni con i quali ti puoi mantenere nel tuo stato e puoi fare delle elemosine secondo il vostro desiderio. Ti raccomando perciò la mia anima; sia tua cura impetrarmi da Dio la remissione dei miei peccati trascorsi e la grazia di andare in un luogo di salvezza; non ti scordare mai di me e di tua madre, perché hai già conosciuto quanto ti abbiamo amato, e la cura particolare che abbiamo avuto di te. Ora, altro non mi resta, che darti la mia paterna benedizione e supplicare il nostro Dio che la confermi con le sue benedizioni ti ricolmi sempre più delle sue grazie». A queste parole, l’umile Giuseppe si prostrò a terra, e domandando la benedizione a suo padre, e molto più al suo Dio, ricevette la benedizione dal padre e da Dio insieme; poi con le lacrime agli occhi ringraziò il padre di tutto il bene che gli aveva fatto, della buona educazione, dei buoni esempi che gli aveva dato, e gli domandò perdono di tutto quello che aveva fatto contro il suo volere e di quanto l’avesse potuto disgustare. Ma suo padre, non avendo ricevuto mai alcun disgusto dal figlio, anzi avendone ricevuto piuttosto gusto e consolazione, gli disse che non aveva di che perdonargli, perché mai l’aveva disgustato; ma il santo Figliolo, non contento di questo, non si volle alzare da terra se prima il padre non gli avesse assicurato il perdono. Il padre per compiacerlo e per non privarlo di quella soddisfazione, gli disse che lo perdonava di tutto di buon cuore; di questo il figlio rimase molto contento e soddisfatto, e fece al padre affettuosi ringraziamenti. Poi gli domandò il permesso di dare ai poveri e al Tempio le facoltà che gli lasciava, e suo padre mise il tutto in sua libertà, affinché ne disponesse come a lui fosse piaciuto, e come fosse stato di volontà di Dio. Tutto contento di ciò, Giuseppe ringraziò di nuovo il padre e l’assicurò che lui non si sarebbe scordato né della madre, né del padre, che perciò andasse pure sicuro e quieto.  

Ultima assistenza – L’infermo si andava aggravando, e Giuseppe accresceva la servitù e l’assistenza, e molto più le preghiere e le suppliche al suo Dio per la salvezza eterna del suo buon padre, e Dio gliene diede una stabile sicurezza; rallegratosi di ciò, il Santo ne rendeva continue grazie a Dio. Poi, il nostro Giuseppe si offrì a Dio, e lo supplicò di volersi degnare di far soffrire alla sua propria persona quel tanto che conveniva soffrire a suo padre, in sconto di quei debiti che avesse contratto con la divina giustizia, affinché l’anima di suo padre fosse andata addirittura al Limbo dei Santi Padri. Dio l’esaudì, per cui il nostro Giuseppe soffrì per più ore gravissimi dolori, con grande rassegnazione, godendo di scontare con questo, le pene dovute a suo padre; perciò ne ringraziava Dio affettuosamente, e rimanendo molto più sicuro, che il suo genitore sarebbe andato a riposare, dopo la morte, con la sua anima nel seno di Abramo, alzando le mani al cielo con giubilo di cuore, lodava e ringraziava la divina bontà.  

Morte del padre – Arrivato agli ultimi estremi della vita, il padre fu assistito dal figlio con grande carità ed amore, animandolo sempre ed esortandolo a confidare nella bontà e misericordia del suo Dio e ad andare allegro, mentre era certo che sarebbe andato in un luogo sicuro. Il moribondo ebbe molta consolazione per l’assistenza del figlio, e morì con grande rassegnazione e sicurezza della sua salvezza eterna. Quando l’infermo spirò, il nostro Giuseppe si ritirò a pagare alla natura il solito tributo delle lacrime, e ne aveva ben ragione, mentre restava privo di un padre tanto a lui benefico ed amorevole, e che gli aveva dato una così buona educazione. Dato che ebbe qualche sfogo al dolore, si mise genuflesso al cospetto del suo Dio, e qui con lacrime lo supplicò del suo aiuto dicendogli: «Dio di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe! Dio mio! Ecco che sono rimasto privo del padre e della madre, che a Te è già piaciuto levare dalle miserie di questa fragile vita. Ora io ti supplico di volerti degnare di ricevermi tutto sotto la tua protezione, mentre io di nuovo tutto a Te mi dono e sacrifico. Io sono sempre stato protetto e difeso da Te e sono sempre stato tuo schiavo, ma ora di nuovo a Te mi dedico, e ti supplico di avere di me tutta la cura e sopra di me tutto il dominio. Ora io non sono soggetto ad altri che a Te. Dio mio! fammi dunque la grazia che anch’io possa dirti col Real Profeta: Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto (Salmo 26, 10). Da ora innanzi Tu sarai mio Padre, il mio protettore, mia madre e tutto il mio sostegno e rifugio; fa’ di me e di ciò che mi appartiene quello che ti piace, e si adempia in me la tua divina volontà in tutte le cose; fammela intendere, perché io sono prontissimo ad eseguirla in tutto e per tutto». Mentre Giuseppe diceva questo al suo Dio, restò molto consolato, mentre Dio gli fece udire la sua voce interiore, e gli disse che stesse pur sicuro perché Lui aveva udito la sua preghiera, e che sarebbe stato sempre protetto e rimirato da lui con paterno amore. Il nostro Giuseppe rese grazie a Dio per il sublime favore che gli faceva e, tutto consolato, si levò dall’orazione. 

Prove penose e sua pazienza – Il Santo Giovane passò poi molti travagli perché, conoscendo tutti la sua bontà, ognuno si faceva lecito di togliergli chi una cosa, chi un’altra, e specialmente le persone di servizio di casa prendevano la roba e quello che a loro piaceva. Giuseppe si accorgeva di tutto, e non faceva altro risentimento, solo che ammonirli di non fare quelle offese a Dio, e a non aggravare la propria anima, ma siccome il Santo era di sua natura piacevole, benigno e caritatevole, non lo stimavano, e abusavano della sua bontà. Giuseppe, vedendo che non desistevano dal danneggiarlo, affinché non offendessero Dio, si decise di dare loro licenza e di donare loro quel tanto che si erano usurpati, e così fece. Da ciò presero motivo di oltraggiarlo con parole ingiuriose: e siccome il demonio li istigava molto per sfogare la sua rabbia contro il Santo, faceva sì che fosse maltrattato ed offeso da quelli stessi che lui aveva tanto beneficato. Il Santo soffrì con grande pazienza tutte le ingiurie senza affatto alterarsi. Gli furono anche tolti i beni dai parenti del padre, con la condizione di volere Giuseppe in casa loro, ma il Santo lasciò loro tutto in pace, e non volle mai accordarsi di andare a stare con i parenti, perché aveva già stabilito di andare ad abitare a Gerusalemme per poter frequentare il Tempio; questi si adirarono molto contro il Santo Giovane, e non potendolo rimuovere dal suo proposito con le lusinghe, lo fecero con le minacce. Molte volte fu maltrattato e offeso da loro con fatti e con parole, e il Santo soffriva tutto con ilarità di spirito, e non si vide mai adirato o inquieto. Tanto si inoltrarono, che spogliarono il Santo Giovane di tutte le sue molte facoltà; e trovandosi in questa afflizione si rivolse al suo Dio domandandogli aiuto in tanta sua necessità, e che si fosse degnato di manifestargli la sua volontà e che cosa doveva fare. Dio non tardò a consolarlo, mentre nella notte l’Angelo gli parlò nel sonno, e gli disse che avesse venduto quello che gli era rimasto, e che ne avesse dato in parte ai poveri, e in parte ne avesse portata ad offrire al Tempio; e che per sé si fosse lasciata poca porzione, perché Dio lo voleva povero; che fosse andato ad abitare a Gerusalemme e qui avesse imparato l’arte del falegname per guadagnarsi il vitto quotidiano e che in tal modo fosse vissuto fin tanto che Dio avesse voluto disporre altro di lui; che si fosse conservato vergine come già aveva promesso prima a Dio e che fosse vissuto lontano più che poteva dal commercio degli uomini, affinché il suo candore e la sua innocenza non avessero patito detrimento alcuno, e che stesse certo che Dio l’avrebbe sempre protetto e difeso e ricolmato delle sue benedizioni. Tanto disse l’Angelo a Giuseppe, e tanto bastò perché Giuseppe eseguisse il tutto con prontezza.  Vendette tutto quello che gli era rimasto, e nel fare questo dovette soffrire grandi rimproveri e persecuzioni. Non era padrone di uscire di casa, che chiunque lo vedeva, lo prendeva in giro e lo maltrattava, dicendogli dissipatore delle paterne sostanze, e che tutto sprecava; chiamandolo chi insensato e pazzo, chi uomo da niente, e chi vagabondo ed ozioso; infatti ognuno si permetteva di maltrattarlo. Il Santo Giovane soffriva il tutto con grande pazienza senza mai rispondere ad alcuno; e nonostante si potesse giustamente lamentare dei suoi congiunti che l’avevano spogliato delle sue facoltà, non lo fece mai; ma soffrì tutto con silenzio e pazienza. Avendo poi venduto quello che gli era rimasto, per eseguire quel tanto che l’Angelo gli aveva detto, e saputosi questo dai suoi congiunti, costoro presero il Santo Giovane, lo percossero malamente e lo maltrattarono come dissipatore della roba a loro dovuta. Il nostro Giuseppe soffrì le ingiurie e le percosse con grande tolleranza, e non fece di questo risentimento alcuno, ma prostrato in orazione davanti al suo Dio, lo supplicò di volersi degnare di difenderlo e liberarlo dalle mani dei suoi avversari, così come aveva liberato il santo Davide dalle mani dei suoi nemici e tanti altri, che la sua bontà aveva protetto e difeso. 

Consolato da Dio – Stando così afflitto, Dio non tardò a consolare il suo fedelissimo servo, e gli parlò interiormente assicurandolo della sua protezione e del suo aiuto, ed animandolo a soffrire con pazienza quel travaglio, perché gliene avrebbe data un’abbondante ricompensa. Giuseppe rimase molto consolato per le promesse del suo Dio, e animato a soffrire molto più quando gli fosse occorso; ma Dio non permise che fosse più molestato e travagliato, avendo per allora sperimentato abbastanza la sua fedeltà e la sua grande pazienza. Per cui tutti lo lasciarono in pace, ed il santo Giovane. quando ebbe venduto tutto e raccolto il denaro insieme, ne fece un’offerta a Dio supplicandolo di ricevere quell’offerta, e che per se stesso non voleva cosa alcuna se così a Lui fosse piaciuto. La notte l’Angelo gli parlò di nuovo, e gli disse che partisse subito dalla sua patria e se ne andasse a Gerusalemme, che qui giunto al Tempio gli avrebbe detto di nuovo quello che doveva fare; e la mattina subito parti. 

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 

domenica 25 febbraio 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE - Altre virtù che praticò san Giuseppe e suoi progressi nella sapienza

 


Altre virtù che praticò san Giuseppe e suoi progressi nella sapienza  


Sua crescita – Il nostro Giuseppe mentre cresceva in età, cresceva anche mirabilmente nella pratica delle virtù e avanzava molto nell’amore verso Dio, così come anche nello studio delle Scritture e soprattutto dei Salmi di Davide, che imparò quasi tutti a memoria per il continuo ripeterli.  

Sua purezza e contemplazione – Il Santo continuò nel tenore di vita che finora abbiamo detto per lo spazio di quindici anni, conservando sempre intatto il suo candore e la sua innocenza, non avendo mai disgustato il suo Dio, non solo con la colpa grave, ma neppure con quella leggera volontaria, mettendo tutto il suo studio nel fuggire anche ogni minima ombra di peccato, standogli sempre a cuore l’ammonimento dello Spirito Santo che colui che disprezza le piccole cose, cade nelle gravi. Perciò in questo il nostro Giuseppe fu accuratissimo, tenendo in gran conto le cose leggere, custodendo con grande rigore tutti i suoi sentimenti ed in particolare gli occhi, con i quali non fissò mai in volto nessuno, soprattutto di sesso diverso, sapendo come Davide ed altri erano caduti per essere stati curiosi nel guardare quello che si deve fuggire; e quanto più egli si mortificava nei suoi sentimenti, per essere fedele al suo Dio, tanto più riceveva grazia da Dio, e tanto più cresceva in lui l’amore verso il suo Dio, unico oggetto del suo amore e di tutti i suoi desideri. Quando alle volte desiderava guardare qualche cosa che apportava piacere alla vista, ma poi pena al cuore per la colpa che facilmente si contrae, il nostro Giuseppe alzava subito gli occhi al cielo e qui si dilettava entrando con la mente a contemplare le bellezze increate del suo Dio e così restava tutto consolato. Praticava spesso questo esercizio, ora contemplando un attributo divino ed ora un altro, per mezzo del quale veniva a perdere tutto il gusto delle cose create e si accendeva in lui sempre più l’amore di Dio ed il gusto che sentiva nel dilettarsi e trattenersi con Lui solo.  

Suo santo timore – Il Santo Giovane sapeva molto bene che i suoi genitori lo amavano molto e perciò spesso se ne doleva con il suo Dio perché temeva che l’amore che portavano a lui, diminuisse in loro l’amore di Dio. Non mancava di dire loro, quando gli si presentava l’occasione, che stessero ben attenti, perché l’amore si doveva tutto a Dio; che egli gradiva il loro affetto, ma che temeva che essendo troppo sensibile, potesse in qualche modo disgustare il suo Dio, il quale si deve amare sopra tutte le cose ed al quale si deve donare tutto l’amore. I suoi genitori restavano molto edificati per queste parole, e procuravano di staccarsi dal troppo amore che portavano al figlio, e consacrarlo tutto a Dio, così come il figlio andava loro insinuando. Il nostro Giuseppe sentiva molta consolazione per questo e ne rendeva grazie a Dio, il quale si degnava di fargli la grazia che i consigli che egli dava ai suoi genitori fossero appresi bene.  

Sua vita edificante – Fuggiva poi con ogni studio di apparire virtuoso e sapiente, e non si mise mai a discutere con alcuno, sebbene fosse molto dotto nella legge di Mosè e tutti lo stimavano idiota e di poco intendimento; di questo ne godeva molto, amando di essere disprezzato e non stimato da nessuno. Non voleva poi sentire mai parlare di quello che si faceva per la città, nemico di storie, e diceva che questo gli toglieva l’applicazione che doveva avere, sia al suo Dio come anche allo studio, per cui in casa sua, quando egli era presente, non si parlava mai di cose curiose, né di quello che si faceva per il paese. Infatti viveva mortificato in tutto, non permettendo mai ai suoi sensi una minima soddisfazione, che avesse potuto in qualche modo renderlo meno gradito al suo Dio.  

Giuseppe andava praticando queste virtù per la luce che Dio gli comunicava nella preghiera, facendogli conoscere chiaramente quel tanto che doveva operare per dargli gusto, ed egli non tralasciò mai di fare tutto quello che sapeva essere di gusto a Dio. Dio lo aveva poi dotato di un modo mirabile per consolare gli afflitti; infatti si esercitava in questo, e quando si incontrava a parlare con qualche persona travagliata ed afflitta, la consolava con le sue parole in modo tale che quella rimaneva, se non del tutto, almeno molto alleggerita dalla sua afflizione.  

Giuseppe non mancava di porgere calde suppliche al suo Dio, perché consolasse coloro con i quali aveva trattato. Si divulgò per il Paese la fama di come il Santo Giovane aveva maniere tanto soavi per consolare coloro che si trovavano nelle angustie, che spesso molti andavano a casa sua per sentirlo parlare e per consolarsi; ed il Santo Giovane li consolava con le sue dolci maniere e li animava a soffrire il travaglio, dicendo a tutti che si raccomandassero a Dio, e che da Dio sperassero ogni consolazione ed ogni bene, perché Egli glielo poteva dare cortesemente. Poi li esortava a pregare Dio che si degnasse di accelerare il tempo delle sue misericordie col mandare al mondo il Messia promesso nella Legge, perché questo sarebbe stato di consolazione a tutti. Quando poi c’era qualche persona afflitta per la povertà, che non aveva di che vivere, ricorreva a lui con tutta confidenza, sapendo quanto grande fosse la sua carità, ed egli con grande sottomissione, supplicava i suoi genitori di soccorrere il prossimo bisognoso, ed essi lo facevano prontamente, compiacendo in tutto il figlio.
  
Spesso suo padre gli dava dei soldi, affinché sovvenisse i poveri bisognosi con le sue proprie mani; il figlio lo faceva con grande gusto, godendo nel soccorrere il suo prossimo e diceva loro: «Riconoscete questo bene da Dio, perché Egli lo dà a me perché io ne faccia parte a voi, perciò tanto voi quanto io dobbiamo ringraziare il nostro Dio che ci benefica».  

E così nel fare la carità fuggiva ogni stima, chiamandosi anch’egli povero e beneficato da Dio, perché beneficasse il suo prossimo. Così procurava anche che tutti riconoscessero il bene da Dio, dando a Dio tutta la gloria e i ringraziamenti. Il nostro Giuseppe era perciò molto amato da coloro che egli beneficava ed essi lo lodavano per la città; questo fu occasione di invidia per alcuni cattivi, che lo perseguitavano e sparlavano molto del Santo Giovane, dicendo che egli faceva di tutto per farsi lodare e stimare e il demonio si serviva di loro per mettere in discredito la virtù del Santo Giovane. Questo fu riferito a Giuseppe, che godette molto di essere screditato e che si parlasse male di lui, solo gli dispiacevano le offese al suo Dio e perciò lo pregava di illuminarli affinché la sua bontà non fosse offesa da quelle persone, e le raccomandava caldamente a Dio.
  
Quando il Santo si incontrava con coloro che lo biasimavano, si mostrava loro molto cortese e affabile e, se gli capitava l’occasione di entrarvi in discorso, diceva loro: «State attenti a non offendere Dio, perché se offendete me, poco importa». E alcuni di quelli che gli volevano male, restarono affezionati al Santo per la dolcezza delle sue parole e per il modo con cui egli li trattava, quando si umiliava e si sottometteva davanti a tutti, riconoscendo tutti migliori di lui e di maggior virtù, parlando a tutti con grande rispetto e sottomissione in modo che i cuori più duri restavano inteneriti dalle sue parole e dalle sue dolci maniere, e si notava bene come il Santo trattava con Dio nella preghiera, e che il suo cuore era ripieno dello spirito di Dio.  

Sua fede – Il nostro Giuseppe fu dotato anche di una grande fede, in modo che mai dubitò delle promesse che Dio gli aveva fatto per mezzo dell’Angelo, che gli parlava nel sonno, e sebbene vedesse che le promesse tardavano molto, non vacillò mai, ma rimase sempre costante nel credere che tutto si sarebbe eseguito perfettamente, imitando il Patriarca Abramo nella fede, e le parole che gli diceva l’Angelo erano ritenute da lui certe, aspettando le promesse che gli aveva fatto, e non tralasciando mai di supplicare il suo Dio perché lo consolasse nel dargli quello che l’Angelo gli aveva promesso.  

Aridità e pene – Il nostro Giuseppe camminava con tanta prosperità nella via dei comandamenti divini e, sentiva nella sua anima la consolazione divina, quando Dio volle provare la sua fedeltà sottraendogli la sua luce divina e la sua consolazione interiore, privandolo anche dell’aiuto speciale che aveva dall’Angelo, non facendoglielo più sentire; il Santo Giovane, quindi, si trovò in grandi afflizioni ed angustie. Non tralasciò però i suoi soliti esercizi di pietà ed anzi, accrebbe le preghiere e i digiuni con le continue suppliche al suo Dio, temendo molto di averlo disgustato. Passava le notti intere in preghiera supplicando il suo Dio di degnarsi di manifestargli, per mezzo dell’Angelo, la causa dell’abbandono che provava e in che cosa lo avesse disgustato per poterne fare la dovuta penitenza, poiché egli non era consapevole del motivo per cui il suo Dio si fosse ritirato da lui.  

Il Santo Giovane rimase per alcuni mesi in questo travaglio, soffrendolo con grande fortezza e con la speranza certa che Dio non avrebbe lasciato di consolarlo in tanta afflizione; e quanto più si vedeva solo e abbandonato, tanto più crescevano in lui la fede e la confidenza in Dio e più si stringeva a Lui con l’orazione e con l’uniformità alla sua santa volontà. Diceva spesso a Dio, che meritava quella privazione per la cattiva corrispondenza che gli faceva e per le molte offese, umiliandosi sempre più e riconoscendosi peccatore. Dio permise anche che il demonio, in questo tempo, tormentasse molto il Santo con varie tentazioni, soprattutto di diffidenza, ma in questo rimase sempre forte, confidando sempre di più nella grande bontà del suo Dio.  

Consolazioni – Il nostro Giuseppe aveva sofferto con grande pazienza e rassegnazione l’abbandono e aveva superato generosamente tutte le tentazioni e gli assalti del nemico infernale, mostrandosi in tutto e per tutto fedelissimo al suo Dio, che si compiacque di consolarlo e di ricompensare la sua fedeltà.  

Una notte stando in orazione afflitto più del solito, udì la voce interiore del suo amato Dio che lo confortò, dicendogli che Lui lo amava molto e che non lo aveva mai abbandonato, ma che era stato sempre in suo aiuto per mezzo della sua grazia divina. Il Santo restò molto consolato nell’udire questa voce che fu accompagnata anche da una mirabile dolcezza e soavità e la sua mente fu anche illuminata; per cui colmo di giubilo pianse per la dolcezza e si impiegò tutto nel lodare e ringraziare il suo Dio che si era degnato di consolarlo in questo modo e ricondurlo allo stato di prima.  

Passato un po’ di tempo in atti di ringraziamento e in dolci colloqui con Dio, prese un po’ di riposo e l’Angelo gli parlò nel sonno, assicurandolo che nel tempo della sua sofferenza aveva dato molto gusto a Dio nel mostrarsi in tutto fedele, così come nelle tentazioni; Dio aveva permesso questo per provare la sua fedeltà ed il suo amore, e non perché fosse stato da lui disgustato, come temeva. Il Santo Giovane destatosi si trovò molto contento per le parole dell’Angelo e, benché non lo vedesse né lo sentisse quando era sveglio, tuttavia ogni volta che gli parlava lo supplicava di fare i dovuti ringraziamenti a Dio da parte sua, perché egli si riconosceva insufficiente nel ringraziarlo come doveva e l’Angelo non mancava di adempire quel tanto che gli veniva ordinato da Giuseppe.  

Santi fervori – Il Santo, tornato allo stato di consolazione e quiete del suo spirito, perché la luce divina era tornata nella sua anima, non si saziava di lodare e magnificare la bontà del suo Dio e con chi incontrava parlava delle divine grandezze e perfezioni, accendendosi sempre più nel divino amore. La fiamma che gli ardeva nel cuore traspariva anche nel volto, che appariva tutto acceso, con gli occhi sfavillanti e apportava grande meraviglia a chi lo guardava e molto più ai suoi genitori che ne sentivano una grande consolazione e compunzione, e spesso discorrevano fra di loro della felice sorte che gli era toccata, avendo Dio dato loro un tale figlio.  

Nascita di Maria – Il giorno che venne al mondo la Santissima Vergine Maria, destinata ad essere Madre del Verbo divino e sposa di Giuseppe, il suo Angelo gli parlò nel sonno e gli disse di ringraziare Dio di un beneficio singolarissimo che aveva fatto a tutto il mondo, ma specialmente a lui. Non gli manifestò però che cosa fosse e il Santo non andò investigando, ma si destò subito e si mise in orazione, ringraziando Dio del beneficio fatto al mondo e a lui in particolare, come gli aveva imposto l’Angelo. Nel fare quest’atto di ringraziamento provò un’insolita dolcezza ed allegrezza mai provata prima; perciò andò in dolcissima estasi, nella quale gli furono rivelati molti misteri circa la venuta del Messia promesso e della sua divina Madre. Il Santo restò molto consolato ed acceso ancora di più del desiderio che aveva della venuta del Messia al mondo e perciò rinforzò le suppliche con maggiore insistenza, e si struggeva tutto in questi desideri, dando con questo molto gusto a Dio che voleva essere pregato con grande insistenza perché mandasse al mondo il Messia promesso nella Legge. Infatti il nostro Dio richiede dagli uomini molte suppliche per concedere grazie tanto grandi e sublimi; ed in questo il nostro Giuseppe assecondava la volontà divina. 

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 


venerdì 5 gennaio 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


Affetto e compassione particolare di Giuseppe per i moribondi; e come procurava di trovarsi ad assisterli all'ultima loro agonia  

 

Sua compassione per i moribondi – Oltre ai molti doni che Dio si compiacque di dare al nostro Giuseppe, uno singolare fu quello verso i poveri moribondi. Era tanta la compassione che egli ne aveva, che aveva quiete quando sapeva che qualcuno si trovava in questo stato, perché il Santo capiva bene quanto grandi siano i pericoli che si incontrano in quegli ultimi momenti di vita e come i demoni allora fanno ogni sforzo per guadagnare e condurre le anime alle pene eterne. Una volta fu avvisato nel sonno dal suo angelo, che gli manifestò il pericolo grande in cui si trovano i moribondi, e la necessità che hanno di essere aiutati in quell’ultimo conflitto; e mentre l’Angelo gli manifestava tutto questo, Dio infuse nel suo cuore una compassione ed una carità ben grande verso i moribondi. Fece questo con somma provvidenza, perché, avendolo Dio destinato come avvocato dei moribondi, volle che anche in vita si esercitasse in quest’opera di tanta carità, e gli diede un grande amore e una grande compassione verso gli agonizzanti, facendogli anche intendere i grandi bisogni che essi hanno in quegli ultimi momenti, dai quali dipende un’eternità, o di eterna beatitudine, o di eterna infelicità e miseria. Per questo, il nostro Giuseppe, acceso di un vivo desiderio di giovare ai moribondi, si struggeva tutto quando sapeva che qualcuno si trovava in agonia, e stava ore intere in ginocchio a supplicare il suo Dio per il felice passaggio di quell’anima, perché andasse a riposarsi nel seno di Abramo.  

Sua assistenza – Quando sapeva questo, non c’era per lui né cibo, né riposo, ma era tutto applicato a supplicare Dio per i bisogni del moribondo, e quando aveva la fortuna di trovarsi presente, non lo lasciava mai fin quando non era giunto al termine della vita, animandolo a confidare nella divina misericordia e a superare gli assalti dei nemici infernali. I moribondi provavano un grande conforto per l’assistenza del Santo e i demoni restavano molto abbattuti per le preghiere che faceva; e Dio gli concesse questa grazia che tutti coloro a cui il Santo si trovava presente alla loro morte non perissero, ma andassero, in parte al Limbo e in parte in Purgatorio. Il Santo lo conosceva con grande chiarezza, e di questo si consolava molto e ne rendeva grazie a Dio.  

Sforzi del demonio – Il demonio si infuriò molto per quest’ufficio di grande carità che il Santo praticava, ed una notte, fra le altre, che aveva perso un’anima per l’assistenza del Santo, gli apparve con un aspetto spaventoso e orribile e lo minacciò di volerlo precipitare, se non avesse desistito da un tale ufficio. Il Santo si intimorì nel vedere quell’orribilissimo mostro e fece ricorso a Dio domandandogli il suo aiuto; per questa preghiera il dragone infernale scomparve e il nostro Giuseppe restò in orazione, dove udì la voce del suo Dio che l’animava a non temere, ma a continuare a fare la carità ai moribondi, di cui egli ne aveva un sommo compiacimento. Il Santo, animato e tutto consolato dalla voce interiore, si infiammò molto di più di carità verso i moribondi, e continuava ad aiutarli con le sue ferventi orazioni, e si stimava felice colui che poteva averlo presente alla sua morte. Infatti era felice non solo perché era liberato dagli assalti furiosi dei nemici infernali, ma perché la sua anima, per le preghiere del Santo, andava in un luogo di salvezza.  

Persecuzioni dei malvagi – Anche per questa carità, che il nostro Giuseppe esercitava, passò molti travagli e persecuzioni da parte di gente malvagia e istigata dal demonio, ma non per questo desistette mai dal fare quest’ufficio tanto gradito a Dio e tanto utile al prossimo, e spesso il suo Angelo gli parlava per animarlo. Una volta, fra le altre, quando il Santo Giovane era molto afflitto per le persecuzioni, l’Angelo gli parlò nel sonno e gli disse da parte del suo Dio che stesse di buon animo e che continuasse a fare quell’opera di grande carità, perché Lui gli prometteva di fargli una grazia grande e specialissima alla sua morte. Non gli manifestò che grazia fosse, ma fu ben grande, perché ebbe la sorte di morire in mezzo a Gesù e Maria, con la loro amorosa assistenza. Giuseppe, animato dall’avviso dell’Angelo, continuò l’opera di carità, e non desistette mai, per quanto gli fosse impedito o per una parte o per l’altra, perché il demonio si affaticava molto per distoglierlo, ma non gli riuscì mai poiché il Santo Giovane era animato e fortificato dalla grazia divina e quando si trattava di fare qualcosa che fosse gradita al suo Dio, si impegnava tutto e non c’era chi lo potesse distogliere dall’opera intrapresa per gloria di Dio e profitto del suo prossimo.  

Preghiere e lacrime per i moribondi – Alle volte veniva avvisato dal suo Angelo della necessità che qualche moribondo aveva delle sue orazioni, e il Santo si svegliava e si metteva subito in orazione, pregando Dio perché si degnasse di assistere con la sua grazia quel povero agonizzante, e non si levava dalla preghiera fino a quando Dio non lo assicurava del suo aiuto. Molte volle gli veniva manifestato dall’Angelo come fosse molto grande il numero di coloro che perivano eternamente; di questo il Santo Giovane si rattristava tanto che passava tutto quel giorno in amarissimo pianto e si addolorava che non potesse trovarsi presente alla morte di tutti per poterli aiutare a morire bene. Rivolto al suo Dio con caldi sospiri, lo pregava di mandare presto il Messia promesso, perché liberasse le anime dalla dura schiavitù di Lucifero e le riscattasse per mezzo della Redenzione. Quando poi era così afflitto e piangente, e i suoi genitori gli chiedevano qual era la causa del suo pianto, rispondeva con tutta franchezza e con grande umiltà: «Piango la perdita irreparabile di tante anime che il nostro Dio ha creato per condurle all’eterno riposo, ma esse, per loro colpa, si perdono. Il demonio ha un grande dominio sul genere umano e perciò preghiamo Dio perché si degni di mandare presto il Messia, affinché gli tolga il dominio e le forze, e le anime siano libere dalla tirannia di questo superbo dragone». Diceva questo con grande sentimento e compassione in modo tale che anche i suoi genitori piangevano in sua compagnia e si applicavano a porgere calde suppliche a Dio perché si fosse degnato di mandare presto il Messia promesso. Molte volte ancora impetrò da Dio la salvezza dei peccatori ostinati, che erano in procinto di perdersi, e il Santo si poneva in orazione supplicando Dio di restituire loro la salute affinché si fossero ravveduti dai loro errori e si fossero poi salvati. Per ottenere questa grazia impiegava giorni interi nella preghiera, accompagnandola anche con il digiuno. Perciò capitava rare volte che il Santo non ottenesse la grazia che domandava, e tutto quello che faceva era nascosto agli occhi degli uomini e manifesto solo al suo Dio.  

Premiato da Dio – Quanto poi fossero gradite a Dio le preghiere del nostro Giuseppe e la carità che esercitava verso i moribondi, lui stesso ne era testimone mentre Dio non tralasciava di esaudirlo e molto spesso di consolarlo con le divine consolazioni, facendo godere al suo spirito, molto spesso, la soavità e la sua dolcezza in modo tale, che alle volte ne restava tutto assorto, e diceva con il santo Re Davide: «Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre», (Salmo 72, 25). E ripieno della consolazione divina stava giorni interi senza cibarsi, sentendo una sazietà mirabile, e tutto ripieno dello spirito di Dio, non sapeva né parlare, né pensare ad altro che al suo Dio, l’amore del quale tutto lo riempiva ed occupava. 

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 


martedì 7 novembre 2023

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


1-07 Come Giuseppe fu molto travagliato per opera del demonio e la sofferenza che patì in tutti quei travagli e in quelle persecuzioni 


Insidie del demonio e sua pazienza – Il comune nemico fremeva di rabbia nel vedere le virtù mirabili che risplendevano nel nostro Giuseppe, e che con il suo esempio eccitava molti alla pratica delle virtù. Perciò, acceso di furore contro il santo Giovane, e non sapendo come fare per farlo cadere in atti di sdegno e d’impazienza, e per distoglierlo dal suo fervore nel servizio e nell’amore al suo Dio, si mise ad istigare alcuni malevoli mettendo nel loro cuore una grande avversione ed odio verso il Santo, perché le sue azioni virtuose servivano loro di grande rimprovero e confusione. Si accordarono perciò insieme che, quando si sarebbero incontrati con lui, l’avrebbero preso in giro e deriso, dicendogli anche delle parole ingiuriose, come infatti fecero. Il nostro Giuseppe si incontrò con questi giovani immorali, che andavano appositamente sulle sue tracce, e incominciarono a prenderlo in giro e a deriderlo. Essendo solo, il Santo chinò la testa e rivolto col cuore a Dio incominciò a supplicarlo perché avesse dato a lui la grazia di soffrire, e agli altri la luce per conoscere i loro errori. Questi, vedendo che Giuseppe non teneva conto dei loro scherni, si misero a maltrattarlo con le parole, chiamandolo sciocco, senza spirito, vile e pauroso, e che neppure sapeva parlare. Giuseppe continuava il suo viaggio con tutta tranquillità e quelli lo seguivano con grande spavalderia, dicendogli sempre delle parole pungenti ed offensive. Il Santo Giovane trovandosi nella perplessità se doveva rispondere perché si calmassero, oppure tacere e soffrire tutto con pazienza, si sentì suggerire interiormente di soffrire e tacere perché così avrebbe dato molto gusto al suo Dio. Tanto bastò perché si decidesse di soffrire, anche con allegrezza, quella persecuzione, senza mai parlare; di questo quei giovani restarono confusi ed il demonio abbattuto. Non si quietarono perciò i cattivi giovani, ma continuarono per molto tempo a maltrattarlo, finché alla fine, stanchi di continuare ad offenderlo, lo lasciarono. Questa persecuzione, però, durò molto tempo, in modo tale che, quando Giuseppe usciva di casa per qualche affare, che suo padre gli ordinava, era sempre pronto a soffrire i cattivi incontri. Il Santo di questo non si dolse mai con nessuno, nemmeno con i suoi genitori, stando sempre con il volto sereno e gioviale. Suo padre fu però avvisato della persecuzione che il figlio soffriva, e ricercò se questo fosse vero, volendone fare il dovuto risentimento; Giuseppe gli rispose con tutta serenità, che lui piuttosto godeva in queste cose e lo pregava di tacere perché era sicuro che, soffrendo questo con pazienza, dava gusto al suo Dio, e poi soggiungeva: «Tu sai, padre mio, come hanno sofferto volentieri le ingiurie i nostri Patriarchi e Profeti; come il Re Davide soffrì di essere perseguitato ed ingiuriato; e noi sappiamo che questi erano gli amici e i favoriti del nostro Dio, dunque dobbiamo imitarli poiché Dio ce ne manda l’occasione». Suo padre rimaneva molto edificato di questo, e compiaceva il figlio lasciandogli soffrire i travagli senza farne alcun risentimento. 

Prova penosa – Il demonio, vedendo come, non solo non poteva acquistare nessuna cosa con il Santo Giovane, ma che ne restava sempre confuso e svergognato, tentò altre vie per turbargli la pace del cuore e per farlo cadere nell’impazienza. Istigò una donna che, per la sua vita poco buona, vedeva malvolentieri il Santo e andava spesso dalla madre di Giuseppe a parlare male del figlio, cioè che era biasimato e deriso da tutti, che non era buono a niente, che con il tempo avrebbe consumato tutto il suo avere, essendo molto facile nel dare l’elemosina a chiunque gliela domandava, e che molti poveri, essendosi accorti di questo, lo seguivano quando usciva di casa. Sebbene la madre del Santo fosse molto saggia e prudente e conoscesse bene di che tempra fosse il figlio, per il continuo parlare della donna e per divina permissione, si turbò e molte volte fece delle aspre riprensioni al figlio, che le soffriva con grande pazienza senza scusarsi, e nonostante sapesse da dove veniva il tutto, non se ne risentì mai; solo una volta disse alla madre con tutta sottomissione, che si informasse bene di quello che le veniva riferito, perché avrebbe appurato che non era vero ma che erano tutte opere del comune nemico per inquietarla e turbare la loro pace. La madre si prevalse delle parole del figlio, ed avvedutasi della frode del nemico, cacciò dalla sua casa quella donna, che in vari modi tentava di introdurvi la guerra.

  Tentazioni e vittorie – Il demonio, vedendosi confuso, non desistette dall’impresa, ma trovò un altro stratagemma per inquietare e turbare il Santo, e, con il permesso di Dio, incominciò a tentarlo di vanagloria con varie suggestioni circa la vita che conduceva, del tutto irreprensibile, così agli occhi di Dio come a quelli degli uomini. Il Santo inorridiva a queste suggestioni e si raccomandava a Dio umiliandosi molto al suo cospetto, chiamandosi creatura miserabile e peccatore. Mosse anche alcuni a lodarlo in sua presenza e a magnificare le sue virtù, ma il nostro Giuseppe ne sentiva una grande confusione, dicendo sempre: «Io sono una creatura miserabile: lodiamo il nostro Dio, perché Egli è degno di lode. Egli è perfettissimo in tutte le sue opere divine. Egli solo è degno di essere lodato ed esaltato». Fu tentato dal nemico in tutti i modi, solo contro la purezza non gli fu mai permesso di poterlo fare e di questo il demonio ne fremeva, e non mancava di trovare il modo perché il Santo avesse almeno inteso dire qualche parola contraria a questa nobile virtù, ma siccome il Santo aveva una somma innocenza e semplicità non fu mai da lui né capita, né appresa. Trovandosi il santo Giovane in questi conflitti di tentazioni e suggestioni, si raccomandava al suo Dio con più ferventi orazioni; e una volta fu ammonito nel sonno dall’Angelo, perché all’orazione aggiungesse anche il digiuno, e lo fece con grande vigore digiunando spesso ed affliggendo la carne, che non trovò mai ribelle allo spirito e con questo fracassava la testa al nemico infernale, restando sempre, lui vittorioso, ed il nemico scornato; ma nonostante per breve tempo desistesse di travagliarlo, non lasciò però, di tanto in tanto, di molestarlo con i suoi inganni.  

Biasimi e sua mansuetudine – La vita ritirata e solitaria che il Santo conduceva era poi molto biasimata da alcuni, e molte volte andavano a casa sua alcuni giovani come lui per condurlo a divertirsi, ma il nostro Giuseppe si scusava sempre con belle maniere dicendo che il suo divertimento era studiare e leggere la Sacra Scrittura e la vita dei Patriarchi e dei Profeti per poterli poi imitare nelle loro virtù, poiché essi erano stati graditi al suo Dio e da Lui molto amati e favoriti, ed esortava anche loro a fare così. Non mancò chi prendesse in considerazione le sue parole e procurasse di imitarlo, perché Giuseppe glielo suggeriva con tanto modo e grazia che le sue parole penetravano i loro cuori e dopo che aveva dato questi salutari consigli e queste buone esortazioni, si ritirava a supplicare e pregare Dio affinché essi non avessero mancato di fare quel tanto che lui aveva loro suggerito, e lo pregava di dare loro all’istante i suoi aiuti particolari e la grazia per poterlo fare. Dio non mancava di esaudire le sue preghiere, e quando il Santo Giovane sentiva dire che coloro per i quali pregava mettevano in pratica i suoi consigli, si rallegrava molto e ne rendeva affettuose grazie al suo Dio. Non mancò però chi lo biasimasse e prendesse i suoi consigli in malo modo; si doleva di questo, incolpando se stesso, pensando che questo avveniva perché lui era un peccatore e che non meritava che altri si prevalessero delle sue esortazioni. In tal caso si ritirava a piangere e pregava il suo Dio di usare la sua misericordia verso chi si faceva beffe dei suoi consigli e che non guardasse i suoi demeriti, ma il merito grande che Egli aveva di essere lodato e servito fedelmente. Lo pregava di illuminarli e far loro conoscere le verità da Lui manifestate: Dio si compiaceva molto di questo e non lasciava che le sue suppliche andassero a vuoto, mentre il più delle volte costoro si ravvedevano e tornavano dal nostro Giuseppe per ascoltare di nuovo le sue esortazioni che poi eseguivano fedelmente, e Giuseppe ne rendeva affettuose grazie al suo Dio.  

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 


sabato 23 settembre 2023

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


1-06 Come Giuseppe avanzò nella pratica delle virtù e alcuni favori particolari che ricevette da Dio 


Consigliere umile e prudente – Il nostro Giuseppe aveva già compiuto sette anni e a questa età mostrava grande senno, più di un uomo di età matura. Le sue parole gravi e le sue opere tutte perfette erano tali che suo padre, dovendo prendere consiglio circa le cose importanti e di rilievo, non trovava miglior consigliere che il proprio figlio, e tutto gli riusciva bene con il consiglio che lui gli dava, perché era molto illuminato da Dio, e non sbagliava mai nel suo parere, perché trattava tutto con Dio nella preghiera. I suoi genitori non facevano nessuna cosa, se prima non avevano chiesto il parere del figlio, sapendo per esperienza che quello che lui diceva riusciva a puntino; ma il nostro Giuseppe si comportava in questo con tanta umiltà e sottomissione, che i suoi genitori stessi rimanevano meravigliati. Egli diceva loro il suo parere e poi aggiungeva: «Io vi dico questo, secondo quello che so essere giusto e che si deve fare; voi considerate bene il tutto e fate quello che conoscerete essere meglio e più gradito al nostro Dio». Poi, rientrando di nuovo nell’orazione, pregava Dio di illuminare i suoi genitori, affinché avessero operato tutto quello che era di suo maggior gusto, non fidandosi mai di se stesso e giudicandosi una creatura vilissima e miserabile. Si umiliava molto al cospetto del suo Dio e quando i suoi genitori gli chiedevano il suo parere e qualche consiglio, ne sentiva una grande confusione, e parlava solo per obbedire e perché Dio rimanesse glorificato in tutte le cose. E Dio non mancava di prevenirlo sempre più con le sue grazie e di illuminarlo chiaramente, sia nell’orazione sia per mezzo dell’Angelo che gli parlava nel sonno, benché questo, a misura che egli andava crescendo, gli parlava più di rado, perché, oltre i lumi che Dio gli comunicava con più pienezza, veniva anche istruito con la lettura della Sacra Scrittura.  

Cintura celeste – Una notte, però, mentre il nostro Giuseppe dormiva, l’Angelo gli apparve nel sonno e gli disse che Dio aveva gradito molto il suo proposito di conservarsi vergine per tutto il tempo della sua vita e che gli prometteva il suo favore ed aiuto particolare; e mostrandogli una cintura di incomparabile valore e bellezza, gli disse: «Questa cintura te la manda il nostro Dio in segno del gradimento che ha avuto del tuo proposito e della grazia che tifa di poter conservare sempre illibato il candore della tua purezza, ordinandomi che io te la cinga». Ed avvicinandosi a lui gli cinse i fianchi con quella cintura, ordinandogli di ringraziare Dio del favore e della grazia che gli concedeva. Quando si svegliò, il nostro Giuseppe si alzò subito e inginocchiato a terra adorò il suo Dio e lo ringraziò affettuosamente per il beneficio che gli aveva fatto e per il dono che gli aveva inviato, per mezzo del quale non ebbe mai alcuna cosa che lo molestasse in questo particolare. Benché il demonio lo assalisse con varie tentazioni, come si dirà a suo tempo, su di questo però non poté mai molestarlo in nessun modo, non permettendo Dio che il nemico lo assalisse con tentazioni contro la purezza, conservando in lui una purezza mirabile in modo che fu ben degno di trattare e di avere in custodia la Regina delle Vergini.  

Grande grazia promessa – Un’altra volta l’Angelo gli parlò nel sonno e gli disse che Dio aveva destinato di fargli un dono molto grande e sublime non sapendo però che cosa fosse, ma che intanto gli manifestava la grazia che gli voleva fare, affinché lui si fosse impegnato a supplicarlo e se ne fosse reso degno con la pratica delle virtù e con le suppliche, perché il suo Dio godeva molto di essere pregato, e che alle grazie e favori grandi vuole che precedano grandi orazioni e preghiere. Sentito questo il nostro Giuseppe non fu curioso di investigare quale fosse questo favore e questa grazia sublime, ma si mise con tutto lo spirito a supplicare il suo Dio; e da quel momento in poi, lo supplicava con grande premura di due grazie: una era che accelerasse la venuta del Messia, e l’altra era che gli facesse la grazia che gli aveva fatto promettere dall’Angelo. Domandava a Dio molte altre grazie, ma queste due gli stavano molto a cuore. Questa grazia e dono sublime era il dargli per sposa la Madre del Verbo divino; non lo seppe mai fino a quando non la ottenne, benché nemmeno allora gli fu manifestata la Maternità divina. Mentre il nostro Giuseppe continuava a domandare le suddette grazie, sperimentava una grande consolazione.  

Estasi sublime – Una volta, fra le altre, fu rapito in un’estasi sublime, nella quale gli furono manifestate le virtù che il Messia avrebbe praticato quando sarebbe venuto al mondo per vivere fra gli uomini, tra le quali l’umiltà e la mansuetudine che avrebbero spiccato a meraviglia, come anche tutte le altre e Giuseppe se ne invaghì tanto e pose tanto affetto a queste virtù che bramava praticarle ed arrivare a possederle, e perciò non mancò di porre tutto lo studio e la diligenza per acquistarle. Ed era mirabile il profitto che faceva in queste virtù, ed esortava anche le persone di casa dicendo loro che praticassero quelle virtù, perché piacevano molto al suo Dio.  

Al Tempio per la Pasqua – Il nostro Giuseppe andava poi con i suoi genitori al Tempio di Gerusalemme nella solennità della Pasqua e, quando arrivava quel tempo, si faceva vedere allegro più del solito, mostrando di avere tutta la consolazione. Si preparava però a questa solennità con digiuni e preghiere, ammaestrato così dal suo Angelo. Quando era arrivato al Tempio, si metteva in ginocchio a pregare, stando immobile ore intere con ammirazione di chi lo osservava, specialmente perché era molto giovane. Qui riceveva grandi illuminazioni da Dio, e contemplando il gaudio della celeste Gerusalemme, pregava il suo Dio di mandare presto il Messia promesso, affinché per mezzo della Redenzione le anime potessero andare a godere quell’eterna beatitudine; e Dio si compiaceva molto delle sue suppliche. Suo padre portava poi larghe elemosine al Tempio che dava in mano al figlio, perché lui le offrisse e faceva questo perché conosceva il grande desiderio che il figlio aveva di fare l’elemosina, ed il nostro Giuseppe la faceva con tanto cuore ed allegrezza, che non c’è mai stato chi abbia tanto goduto nel ricevere quanto godeva Giuseppe nel dare e lo faceva con un’intenzione rettissima, donando di nuovo tutto se stesso a Dio. Aveva poi un grande desiderio di trattenersi a Gerusalemme per potere avere la comodità di andare spesso al Tempio; ed i suoi genitori, per compiacerlo, vi si trattenevano più del solito, ed in quel tempo il nostro Giuseppe non se ne andava mai dal Tempio se non per prendere il cibo ordinario e il riposo della notte; tutto il resto del tempo lo spendeva nel Tempio a pregare e a supplicare il suo Dio di concedergli quel tanto che egli bramava.  Fece poi una promessa a Dio, che se egli fosse rimasto privo dei suoi genitori voleva andare ad abitare a Gerusalemme per avere la comodità di frequentare il Tempio, per il quale sentiva un affetto particolare. Dio gradì la promessa, e non mancò, con il tempo, di dargli la comodità di poterlo fare. Nel tempo che i suoi genitori si trattenevano a Gerusalemme, il nostro Giuseppe non fu mai visto vagare per la città a guardare cose curiose, come si fa solitamente a quell’età, né mai in compagnia di qualcuno. Riveriva i Ministri del Tempio mostrandosi tutto ossequioso, ed è per questo che era amato da tutti, avendone ognuno grande stima, sia per le larghe elemosine che faceva come anche per l’ottima indole che si scorgeva in lui; ma il nostro Giuseppe non fece mai conto di questo, era attento solo all’amore del suo Dio e a procurare di piacere a Lui solo e dargli gusto. Un giorno, fra gli altri, mentre pregava nel Tempio con più fervore del solito, udì la voce interiore del suo Dio che lo assicurò come le sue preghiere gli piacevano molto e che l’avrebbe esaudito in tutto quello che gli domandava. L’assicurò dell’amore grande che gli portava invitandolo ad un’amorosa corrispondenza. Fu tanta la gioia che Giuseppe provò nell’ascoltare questa voce che andò in estasi stando immobile ore intere godendo l’incomparabile dolcezza e soavità dello spirito del suo Dio. Ne rimase molto più infiammato ed acceso d’amore, e non voleva sentir parlare d’altro che di Dio e delle divine perfezioni e bramava con grande ardore di trovare una compagnia o un amico fedele con il quale potesse conversare delle divine grandezze e perfezioni, ma conoscendo che un amico simile non c’era, pregava il suo Dio di mandarglielo. Un giorno, mentre stava facendo questa supplica, udì di nuovo la voce interiore del suo Dio che gli disse come l’avrebbe consolato molto più di quello che egli desiderava. E questo era vero, perché sebbene allora non glielo avesse manifestato, gli fece la grazia di trattare con il Verbo Incarnato e con la sua purissima Madre; grazia assai maggiore di quello che egli bramava e domandava. Tutto consolato per la promessa, il nostro Giuseppe, aspettava l’esecuzione con desiderio e non lasciava di domandarla al suo Dio con grande insistenza, perché conosceva come Lui lo favoriva in tutto e gli si mostrava propizio. Aveva per Dio una somma gratitudine e lo ringraziava continuamente dei benefici, offrendosi tutto a lui senza alcuna riserva.  

Desiderio del Messia – Tornato a Nazareth, sua patria, sembrava che non sapesse parlare d’altro che della magnificenza del Tempio e della fortuna di coloro che si trovavano lì e saliva più in alto con il suo discorso parlando della celeste Gerusalemme, e diceva: «Se tanto gusto si sperimenta nello stare nel Tempio di Gerusalemme, quale gusto e consolazione si sentirà nell’andare ad abitare nella casa propria dove il nostro Dio risiede, e quanto grande sarà la magnificenza di quel luogo? Preghiamo il nostro Dio che ci mandi presto il Messia promesso, affinché per suo mezzo siamo fatti degni di andare anche noi ad abitarvi dopo la morte». Diceva questo ai suoi genitori con tanto spirito e ardore che provavano anch’essi un grande desiderio e i loro cuori si accendevano nella brama della venuta del Messia, porgendone calde suppliche a Dio. Il nostro Giuseppe faceva questi discorsi, non solo con i suoi genitori e con quelli di casa, ma anche con tutti coloro che vi andavano, imprimendo nel cuore di tutti un vivo desiderio della venuta del Messia e diceva loro: «Pregate spesso il nostro Dio che si degni di abbreviare il tempo delle sue promesse. Beati noi se potessimo ottenere questa grazia, ed avere la sorte di vedere il Messia fra di noi! Quale fortuna sarebbe la nostra! Quanto vorrei spendermi tutto per servirlo ed onorarlo!». Alle volte la madre si prendeva gusto e gli diceva: «Che faresti tu, figlio mio, se potessi avere la bella sorte di vedere con i tuoi occhi il Messia?». Ed egli allora, alzando le mani al cielo, esclamava: «Che farei! Mi donerei tutto a Lui, offrendomi prontamente a servirlo sempre, e non lo lascerei mai». E la madre soggiungeva: «E non sai tu che la servitù costa molta fatica?». Ed egli allora diceva: «Non solo farei volentieri molte fatiche per servirlo, ma ne sarei felice se mi dovesse costare la vita stessa». 

E la madre soggiungeva: « Chi sa poi se gradirebbe la tua servitù, e se ti ammetterebbe al suo servizio?». Ed egli rispondeva: «È vero che io non sarei degno di questo, ma lo pregherei tanto fino a quando, mosso a pietà, accetterebbe la mia servitù, perché, come il nostro Dio è infinitamente buono, così anche il Messia sarà infinitamente buono. E come il nostro Dio gradisce le nostre suppliche ed orazioni, così il Messia gradirà la mia servitù». Alla fine la madre lo consolava con questa risposta: «Orsù, figlio mio, continua a supplicare il nostro Dio affinché si degni di mandarlo presto, perché spero che gradirà i tuoi desideri ed esaudirà le tue suppliche e tu resterai consolato nelle tue brame». E allora alzando le mani al cielo esclamava: «Piacesse al mio Dio che questo accadesse. Chi sarà più fortunato e contento di me!». 

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 

domenica 20 agosto 2023

Giuseppe comincia a parlare e camminare; come si comportò durante tutto il tempo della sua infanzia

 


VITA DI SAN GIUSEPPE 


I primi passi – Il nostro Giuseppe, crescendo ogni giorno di più nell’amore verso il suo Dio e nella cognizione delle divine perfezioni, bramava di arrivare ad essere perfetto e santo per potere in qualche modo assomigliare al suo Dio nella santità e corrispondere al suo infinito amore. Perciò desiderava di arrivare presto a camminare per poter impiegare anche il suo corpo in ossequio al suo Dio e fargli, anche esternamente, quelle dimostrazioni d’amore e di sottomissione. Dio gradiva molto i desideri del nostro Giuseppe e li esaudiva, e così arrivò in breve a camminare.  

Le prime parole – Il nostro Giuseppe incominciò molto presto a parlare e a camminare e le prime parole che proferì furono il nominare il suo Dio, ammonito così dall’Angelo nel sonno. La mattina che parlò, appena svegliato, disse: «Dio mio!». Fu inteso dai suoi genitori che, stupiti ed attoniti, si riempirono di giubilo, godendo che il loro figliolo incominciasse a parlare e godendo molto di più che le sue prime parole fossero dirette a Dio, come invocandolo in suo aiuto e chiamandolo suo. Il nostro Giuseppe proferiva spesso questa parola e con ragione, perché essendosi egli donato tutto a Dio, Dio era tutto suo; e quando sentiva dire dai suoi genitori, che Dio si era chiamato il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, egli soggiungeva: «E di Giuseppe» – e lo diceva con tanta grazia, in quella così tenera età, che i suoi genitori ne godevano molto, e per ascoltarlo, gli dicevano spesso queste parole; ed era tanto il sentimento con cui il fanciullo le diceva, che sembrava, come infatti era, che Dio fosse tutto il suo bene e lo scopo di tutti i suoi affetti e desideri, e che non avesse altro pensiero ed amore che per il suo Dio. Perciò si vedeva esultare e giubilare quando lo sentiva nominare, e i suoi genitori spesso glielo nominavano con grande affetto e riverenza, per apportare al loro figliolo questa consolazione.  

Offerte e suppliche – I primi passi che il nostro Giuseppe formò furono da lui stesso offerti a Dio, supplicandolo della grazia che in tutti i suoi passi Egli rimanesse glorificato e mai offeso, come fece anche delle sue parole, ammaestrato così dall’Angelo. Dio ascoltò le sue suppliche e le esaudì perché, tanto nelle parole come nei passi e in tutte le sue opere, restò sempre glorificato e mai offeso o disgustato. In tutte le sue azioni ebbe poi il nobile esercizio di guardare sempre il cielo ed invocare il suo Dio, supplicandolo del suo aiuto e della sua santa grazia nell’azione che faceva, affinché fosse secondo il suo divino beneplacito; e questo era nel cibarsi, nell’andare a riposare, nel parlare e nel camminare. E poiché in quella tenera età non gli era permesso di fare quelle azioni virtuose che lui bramava, gli offriva il suo desiderio e quelle azioni indifferenti che sono comuni a tutti per conservare la vita, come il mangiare, il bere, il dormire, il ricrearsi. Il nostro Giuseppe impreziosiva tutte queste azioni con la retta intenzione, facendo tutto per amore del suo Dio, e per amore dello stesso, si privava spesso di quello che più gli piaceva, ammaestrato così dal suo angelo in quella tenera età, perché altro non poteva fare per il suo Dio, che tanto amava; e spesso gli si offriva tutto in dono, rinnovando quegli atti che già fece quando fu presentato al Tempio. Sua madre, poi, vedendo come il figlio avesse molte capacità, lo andava istruendo insegnandogli vari atti di affetto verso Dio, come praticavano gli Ebrei, ed il nostro Giuseppe mostrava molto gusto nell’ascoltarli e li praticava mirabilmente con ammirazione della madre e di chi lo udiva.  

Spirito di preghiera – Quando poi camminava speditamente, spesso si nascondeva a pregare con le mani sollevate al cielo, facendo atti di ringraziamento a Dio, perché tanto lo beneficava, e stava ore intere inginocchiato a terra. Era meraviglioso vedere quel piccolo fanciullo in tale posizione, ma faceva più meraviglia vedere come il suo spirito si deliziasse nella contemplazione delle perfezioni divine e ben si notava anche esternamente mentre il suo volto appariva tutto rubicondo e gli occhi sfavillanti, dimostrando con questo che si deliziava con il suo Creatore, e che gli influssi della grazia ricolmavano la sua anima. La madre, che con destrezza si metteva in un luogo dove il figlio non la potesse vedere, lo sentiva spesso esclamare: «O Dio di bontà infinita, quanto mi hai beneficato e perciò quanto ti devo!». E diceva tutto questo balbettando, ma con il cuore infiammato d’amore verso il suo Dio. La madre che lo udiva, accompagnava il figlio con atti d’amore e di ringraziamento, e si scioglieva in lacrime di tenerezza per vedere il suo figliolo tanto favorito da Dio e arricchito di tanti doni.  

Sospira il Messia – Gli fu poi manifestato dai suoi genitori come Dio aveva promesso di mandare al mondo il Messia, che si aspettava con desiderio, e che gli antichi Patriarchi bramavano tanto; questo gli fu anche insinuato dall’Angelo nel sonno, così il nostro Giuseppe si accese di un vivo e ardente desiderio di questa venuta e ne porgeva calde suppliche a Dio, perché si fosse degnato di accelerarne i tempi. Da questo momento tutte le sue preghiere tendevano a questo fine e Dio udiva con gusto le suppliche dell’innocente Giuseppe compiacendosene molto, e di questo gliene dava una chiara testimonianza perché, quando egli gli porgeva queste suppliche, Dio gli riempiva il cuore di giubilo e di consolazione, per cui il nostro Giuseppe si animava ancora di più nel fare la richiesta, e così avanzava nell’amore verso il suo Dio e nelle suppliche premurose.  

Pena per le offese a Dio – Quando in casa accadeva qualche cosa per la quale Dio potesse restare disgustato – e questo capitava fra le persone di servizio per la loro fragilità – allora sì che il nostro Giuseppe si faceva vedere tutto afflitto e mesto, e piangeva amaramente; e poiché a quella tenera età non poteva riprenderli, dimostrava però con il pianto quanto fosse grande il suo dolore. La madre, che si accorgeva di questo, gli domandò un giorno perché piangesse tanto e si affliggesse, ed egli rispose con gran sentimento: «Tu mi hai più volte insegnato quello che devo fare per piacere a Dio e quello che si deve fuggire per non disgustarlo. Ora vedendo che nella nostra casa si disgusta, non vuoi che io mi affligga e pianga?». Questo disse alla madre, perché da lei era già stato più volte istruito a fuggire le offese divine, ed anche perché lei non arrivasse a comprendere i doni che Dio gli aveva partecipato, come l’uso della ragione e la chiara cognizione delle divine offese per le quali egli molto si affliggeva, mentre capiva come Dio meritava di essere amato, onorato e non offeso, e che le colpe disgustavano molto il suo Dio, che egli tanto amava. Inteso questo, la madre procurava di stare molto vigilante, affinché Dio non fosse offeso da nessuno della sua casa e riprendeva aspramente i trasgressori, tanto che il nostro Giuseppe, con il suo comportamento, fu occasione perché la casa dei suoi genitori si potesse chiamare piuttosto scuola di virtù, vivendo tutti con un’esatta osservanza della legge divina. 

Prudenza della madre – La madre, poi, era molto accorta, e prudente nel tenere nascosto quanto il figlio le diceva, e quanto in lui scorgeva di doni e di grazie soprannaturali; né si dimenticò mai di quanto le disse l’Angelo del Signore in sogno, e cioè che suo figlio avrebbe visto il Messia e avrebbe conversato con lui; perciò non si faceva grande meraviglia nel vederlo tanto favorito da Dio, e si impiegava tutta nel lodare e ringraziare la generosità di Dio, tanto grande verso il suo Giuseppe. A volte lo guardava con grande tenerezza di affetto, lacrimando per la consolazione che sentiva nel pensare che suo figlio avrebbe avuto la bella sorte, che non avevano potuto avere tanti Patriarchi e Profeti, di vedere venuto al mondo il Messia promesso; e spesso diceva al figlio: «Figlio mio, beato te!», – invidiando santamente la sua felice sorte. Il nostro Giuseppe le domandò una volta perché gli dicesse questo. La saggia madre gli rispose: «Ti dico questo, perché so che il nostro Dio ti ama molto», – celandogli il mistero. Giuseppe nel sentire queste parole, alzava le mani al cielo, esclamando: «Oh, sì, sì, che mi ama il mio Dio!». E qui si infiammava tutto nel volto, esultando per la gioia e lacrimando per la dolcezza. Poi aggiungeva: «Ed io lo amo? Poco lo amo! Ma lo voglio amare molto più di quello che lo amo; e nel crescere che farò negli anni e nelle forze, crescerò anche nell’amore del mio Dio». E fu così perché, a misura che andava crescendo nell’età, cresceva anche nell’amore. 

Istruzione patema – I suoi genitori, vedendo poi che il figliolo era tanto capace, incominciarono ad istruirlo nelle lettere, e questo lo fece il proprio padre perché egli era molto dotto nella Legge, e non volle consegnare ad altri il figlio perché fosse istruito, perché frequentando gli altri non venisse a perdere quello spirito che Dio gli aveva comunicato. Così il nostro Giuseppe incominciò ad imparare a leggere e gli riusciva mirabilmente, in modo che suo padre non ebbe mai occasione di riprenderlo.  Aveva appena tre anni che già incominciava a leggere con molta consolazione dei suoi genitori e a suo profitto. Si esercitava nella lettura della Sacra Scrittura e nei Salmi di Davide, che il Padre poi gli spiegava. Era molta la consolazione che il nostro Giuseppe sperimentava nel leggere e nel sentirsi spiegare dal padre quel tanto che leggeva, ed in questo esercizio ci mise tutto il suo studio, non tralasciando però mai i soliti esercizi di orazione e preghiere a Dio, e spendeva tutto il suo tempo in questo esercizio, cioè nel pregare, studiare e leggere, avendo per ogni cosa il suo tempo assegnato. 

Sua ammirabile pazienza – Non fu mai visto, benché fanciullo, né adirato, né impaziente, ma conservava sempre una serenità di volto ed una somma quiete, nonostante molte volte Dio permettesse che gliene capitasse l’occasione, essendo maltrattato dalle persone di casa in assenza dei suoi genitori; e il nostro Giuseppe soffriva tutto con pazienza ed allegrezza. Il demonio spesso si ingegnava ad istigare le persone di servizio in casa, perché lo maltrattassero per vederlo perdere la bella virtù della sofferenza; ma questo non gli riuscì mai, perché il nostro Giuseppe era tanto immerso con il pensiero nell’amore del suo Dio e tanto godeva della sua presenza nella sua anima, che non c’era cosa, per grande che fosse, che turbasse la pace del suo cuore e la serenità del suo spirito. Il demonio fremeva molto nel vedere tanta virtù in Giuseppe, e fremeva molto di più perché non si poteva accostare a lui con le tentazioni, tenendolo Dio lontano; ma tanto fece che un giorno lo precipitò per una scala della casa, permettendolo Dio per esercizio di virtù al nostro Giuseppe e per maggior confusione del nemico infernale. Vedendosi il fanciullo così precipitato, chiamò Dio in suo aiuto, e Dio non tardò a soccorrerlo liberandolo da ogni male. Da questo Giuseppe ebbe occasione di riconoscere la grazia del suo Dio e ringraziarlo, e il demonio partì confuso. 

Sua vita raccolta – Non fu poi mai visto, nonostante quella tenera età, fare cose fanciullesche, né mai si curò di trattare con altri fanciulli suoi pari, stando sempre ritirato in casa, applicato allo studio e all’orazione, non perdendo mai tempo. Prestava poi un’esatta obbedienza ai suoi genitori, non tralasciando mai di fare quel tanto che da loro gli era ordinato. Tutto il suo divertimento stava nel trattenersi spesso a guardare il cielo, perché sapeva che lì abitava il suo Dio; e gli inviava caldi sospiri supplicandolo di mandare presto nel mondo il Messia promesso.  

Imitazione dei Patriarchi – Portava poi un grande affetto al Patriarca Abramo, Isacco e Giacobbe e al Profeta Davide, e spesso supplicava suo padre di narrargli la vita che essi avevano condotto, con il desiderio di imitarli; poiché sapeva che erano stati tanto amati e favoriti dal suo Dio e il padre lo compiaceva e gli narrava la vita, ora di uno, ora dell’altro. Il nostro Giuseppe lo stava ad ascoltare con molta attenzione e poi diceva: «Questi sono stati amici e favoriti del nostro Dio e questi dobbiamo imitare nelle loro virtù». E sentendo come il Padre Abramo camminava sempre alla presenza di Dio, come lo stesso gli aveva ordinato se voleva essere perfetto, procurò di imitarlo perfettamente. Il nostro Giuseppe era appena giunto all’età di sette anni, che era già capace di tutte le virtù che questi Patriarchi avevano esercitato, e per quanto si estendevano le sue forze, si applicava ad imitarli nella fede e nella confidenza ed amore verso il suo Dio; così il nostro Giuseppe cresceva nelle virtù e si rendeva sempre più gradito a Dio. 

Lode a Dio – Sentendo poi come il santo Davide lodava il suo Dio sette volte al giorno in modo speciale, anch’egli lo volle praticare, e supplicò il suo angelo perché lo avesse svegliato per tempo, per potere lodare il suo Creatore anche nelle ore notturne. Sapeva già varie cose a mente, a lode del suo Dio, e le ripeteva spesso, sia di giorno che di notte con molto gusto del suo spirito e Dio non mancava di illuminarlo sempre di più ed accrescere in lui i suoi doni. Nel tempo stesso che lo stava lodando, era così acceso d’amore verso il suo Dio che, molte volte, nonostante fosse notte, apriva la finestra della sua stanza e si metteva a guardare il cielo, e qui dava adito al suo cuore perché divampasse le fiamme verso la sua sfera e diceva: «Beato colui che avrà la sorte di vedere con i propri occhi il Messia promesso! Beato chi avrà la fortuna di servirlo e di trattare con lui! Che sorte sarà la sua!». E diceva questo con tanto ardore che restava estatico per molto tempo, acceso da un vivo desiderio di poterlo servire e prestargli tutto l’onore e il servizio.  

Amore per i poveri – Nel petto di Giuseppe ardeva poi un grande amore verso il prossimo e bramava di giovare a tutti, perciò diceva spesso ai suoi genitori che distribuissero delle elemosine ai poveri bisognosi e che non avessero riguardo di conservarle per lui, perché si accontentava di essere povero, purché gli altri non avessero patito; e i suoi genitori non mancavano di assecondare il suo desiderio, facendo larghe elemosine ai poveri, essendo già anche loro inclini nell’usare grande carità verso i bisognosi. 

Sua purezza verginale – Il nostro Giuseppe era già arrivato all’età di sette anni con questo tenore di vita che abbiamo detto, avendo conservato sempre un illibato candore ed innocenza in modo tale che, non solo non diede mai un minimo disgusto ai suoi genitori, ma nemmeno fece mai alcuna azione che non fosse stata di sommo gusto e compiacimento del suo Dio; anzi, quanto più cresceva negli anni, tanto più gli si rendeva gradito operando sempre con maggiore perfezione. Oltre all’amore che aveva per la purezza, che Dio gli aveva infuso in modo mirabile, questa virtù gli fu anche molto raccomandata dal suo angelo, quando una volta nel sonno gli fece un grande elogio, soggiungendogli che questa virtù era molto cara al suo Dio ed il nostro Giuseppe se ne invaghì molto di più e propose di conservarla per tutto il tempo della sua vita; e perché potesse eseguire questo, supplicava il suo Dio perché gli avesse dato la grazia di poterlo fare. Propose anche di fuggire tutte le occasioni pericolose, perché il suo ammirabile candore non avesse mai patito alcun danno e infatti l’eseguì con tutto lo studio immaginabile, custodendo tutti i suoi sentimenti con grande rigore e specialmente gli occhi che teneva per lo più fissi a terra o rivolti al cielo. Dal suo aspetto si conosceva bene quanto fosse grande la purezza della sua anima e anche del suo corpo, tanto che pareva un angelo vestito di carne mortale. La madre più volte osservò lo splendore nel suo volto, ed anche suo padre; da questo conoscevano bene quanto grande fosse la purezza e l’innocenza del loro figliolo e come Dio si compiaceva di abitare nella sua purissima anima per mezzo della sua grazia; questo si notava quando il nostro Giuseppe terminava la preghiera, e che da solo a solo aveva trattato con il suo Dio. 

Cura dei suoi genitori – In queste occasioni i suoi genitori si sentivano riempire l’anima di un’insolita consolazione e di un amore riverenziale verso il loro figlio, guardandolo sempre più come un tesoro e un dono del Cielo. Non tralasciavano però di esercitare su di lui quell’autorità propria dei genitori verso i loro figli, e spesso provavano come fosse obbediente ai loro cenni, ed egli si mostrava obbedientissimo in tutto.  

Sua mortificazione – Il nostro Giuseppe era molto incline al digiuno e alle asprezze, ma quando i suoi genitori glielo proibivano, egli si sottometteva alla loro volontà con tutta la rassegnazione, e non replicava mai in alcuna cosa. Quando desiderava fare digiuni e veglie domandava a loro il permesso con tanta sottomissione, che sembrava non glielo sapessero negare, tanto era il modo che aveva per accattivarseli; e quando gli negavano il permesso, lo facevano con pena, perché non potevano contraddirlo.  

Carità ai poveri – Molte volte ancora, il padre gli dava dei soldi perché desse l’elemosina ai poveri che gliela domandavano; ed allora la prendeva con tanta sottomissione ed umiltà, come se quella elemosina l’avessero fatta a lui stesso, e ben presto la dispensava ai poveri non trattenendo mai presso di sé alcuna cosa. Quando vedeva qualche povero venire a casa sua a domandare la carità, egli andava dalla madre e gliela domandava come per sé, con tanta sottomissione; la madre si meravigliava della virtù di suo figlio e gliela faceva largamente. Era poi tanto grande il gusto che il nostro Giuseppe aveva nel dare l’elemosina ai poveri, che si capiva bene nel suo volto, poiché se vedeva un povero si affliggeva tutto e subito si rallegrava quando gli dava l’elemosina.  

Invaghito delle virtù – Era già molto incline alla pratica di tutte le virtù, ma se ne era molto più invaghito perché l’Angelo gli parlava nel sonno e gli manifestava il pregio e valore delle virtù, e come queste fossero molto care e di gusto al suo Dio. Non ci voleva altro perché il nostro Giuseppe si innamorasse della virtù. Il solo sentire che erano gradite al suo Dio, era sufficiente perché egli si mettesse a praticarle con tutto l’impegno. 

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B.