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domenica 22 agosto 2021

Lettere di Sant'Agostino

 


LETTERA 13 

Scritta nel medesimo tempo (389-91). 

Premessa la futilità della questione se l'anima abbia un altro corpo  più sottile (n. 1-2), A. espone il concetto di intelligibile e di sensibile  e i rispettivi oggetti (n. 3-4). 


AGOSTINO A NEBRIDIO 


Lettera scritta di notte. 

1. Scriverti le solite cose non mi è gradito, scriverti cose nuove non  mi è consentito. Vedo infatti che delle due cose l'una non si addice  a te, per l'altra non trovo il tempo. Giacché, da quando ti ho  lasciato, non ho avuto mai l'occasione, mai un momento di calma  per meditare e discutere fra me sulle questioni che siamo soliti  trattare tra noi. Le notti invernali sono molto lunghe, è vero, e non  vengono da me trascorse interamente a dormire, ma quando ho del  tempo libero mi si presentano piuttosto dei pensieri di cose  necessarie che fanno perdere la tranquillità. Che debbo dunque  fare? Essere muto o silenzioso con te? Né tu né io vogliamo l'una  cosa o l'altra. Mettiti dunque all'opera e prendi quello che ho potuto  tirar fuori da me nell'ultimo tratto della notte in cui è stata scritta  questa lettera, per tutta la sua durata. 

Il così detto "veicolo" dell'anima. 

2. Bisogna che tu richiami alla mente il problema che abbiamo  spesso agitato e che ci ha agitati facendoci affannare ed accalorare,  cioè di una specie di corpo o quasi corpo dell'anima (che la  accompagna sempre) e che alcuni - lo ricordi certamente -  chiamano suo veicolo. Questo corpo, se è vero che cambia  posizione, è chiaro certamente che non è intelligibile. E tutto ciò  che non è intelligibile è impossibile arrivare a conoscerlo con  l'intelletto. Ma di ciò che sfugge all'intelletto se non sfugge per lo  meno ai sensi, non si può negare in modo assoluto di poter dare un  giudizio verosimile. Invece quello che non è possibile percepire né  con l'intelletto né coi sensi dà luogo ad un'opinione troppo  avventata e puerile, e l'oggetto di cui trattiamo è di questo genere,  se pur esiste. Perché dunque, ti chiedo, non lasciamo da parte  questa questioncella e, invocato l'aiuto di Dio, non cerchiamo di  elevarci fino alla quiete somma della Natura che possiede la vita in  grado sommo? 

Corpo sensibile e corpo intelligibile. 

3. A questo punto tu forse mi dirai che, sebbene i corpi non  possano essere conosciuti per mezzo dell'intelligenza, tuttavia molti  aspetti pertinenti al corpo li possiamo percepire per via  dell'intelligenza, per esempio il fatto che il corpo esiste. Chi lo  negherebbe infatti, o chi oserebbe affermare che questo sia  verosimile piuttosto che vero? Così, pur essendo il corpo in sé  conosciuto in modo verosimile, tuttavia che esista in natura una  tale realtà è assolutamente vero. Dunque il corpo è una cosa  sensibile, ma l'esistenza del corpo è intelligibile: sarebbe infatti  impossibile conoscerla altrimenti. Così quel non so che su cui verte  la nostra indagine, cioè quel corpo su cui si pensa che l'anima si  sostenga per passare da un luogo all'altro, sebbene sia percepibile,  se non dai nostri sensi da altri molto più acuti, tuttavia se esista lo  si può conoscere per un atto dell'intelligenza. 

Conoscenza sensibile e conoscenza intelligibile. 

4. Ma se sosterrai questo, richiama alla tua mente che l'atto che  chiamiamo intendere, avviene in noi in due modi: o per un atto  dell'intelletto e della ragione che deriva da essi ed in essi rimane,  per esempio quando comprendiamo che esiste l'intelletto stesso, o  per un'impressione che riceviamo dai sensi, ad esempio nel caso di  cui abbiamo parlato, cioè quando comprendiamo che il corpo esiste.  Nel primo caso noi giungiamo alla conoscenza sotto l'ispirazione di  Dio per mezzo di noi stessi, vale a dire partendo da ciò che è in noi;  nel secondo, sempre sotto l'ispirazione di Dio, giungiamo alla  conoscenza partendo da ciò che ci viene comunicato dal corpo e dai  sensi. Se queste premesse sono valide, nessuno può sapere se quel  corpo esista tranne colui al quale i sensi ne abbiano dato notizia. E  se pure vi è qualcuno che si trovi nel numero di tali esseri, dato che  ben vediamo che noi non facciamo parte di esso, io credo risulti  provato anche ciò che avevo cominciato a dire più sopra, cioè che  tale questione non è di nostra pertinenza. Vorrei che tu vi tornassi  sopra con insistenza ed avessi cura di farmi conoscere il risultato  delle tue riflessioni. 

venerdì 30 luglio 2021

Lettere di Sant'Agostino

 


LETTERA 12 


Scritta tra il 389 e il 391. 

A. ritorna sul quesito relativo all'Incarnazione, che aveva  cominciato a discutere nell'Ep. precedente; ma la lettera ci è giunta  in minima parte. 


AGOSTINO A NEBRIDIO 

1. Tu mi scrivi d'avermi inviato più lettere di quante io ne abbia  ricevute: eppure né io posso non prestar fede a te né tu a me. Mi  spiego: anche se nel risponderti io non riesco ad essere alla pari  con te, tuttavia le tue lettere io le conservo con una cura non  minore della frequenza con cui mi sono inviate da te. Che tu poi ne  abbia ricevute da me non più di due piuttosto lunghe, siamo  d'accordo, giacché non te ne ho inviata una terza. Ora, controllando  le minute, mi sono accorto d'aver risposto press'a poco a cinque  tuoi quesiti; senonché una questione ivi trattata (per dir così) di  passaggio, pur essendo stata affìdata non avventatamente alla tua  intelligenza, tuttavia non ha forse soddisfatto appieno la tua avidità.  Ma bisogna che tu la freni un poco e accetti di buon grado qualche  trattazione sommaria; naturalmente col patto che se, risparmiando  le parole, io riesco incomprensibile in qualche cosa, tu non mi  risparmi affatto, ma mi chieda tutto ciò che ti è dovuto in forza di  quel diritto [dell'amicizia], di cui vi potrebbe essere per me forse  qualcosa di più efficace, se potesse esserci qualcosa di più  piacevole. Perciò tu potrai annoverare questa lettera tra le mie  minori, ma non ho potuto permettere che non diminuisse per nulla  il mucchio dei miei debiti. Poiché nemmeno tu me ne invii alcuna,  anche se di proporzioni minori, che non contribuisca ad accrescere  questo medesimo mucchio. Pertanto comprenderai molto facilmente  quello che mi domandi riguardo al Figlio di Dio, cioè perché si dica  che Lui ha assunto la natura umana anziché il Padre, pur essendo  entrambi inseparabili, se ricordi le nostre conversazioni in cui, per  quanto ho potuto (giacché è una cosa innegabile, ho cercato di  spiegare che cosa sia il Figlio di Dio, al quale siamo uniti per la  natura da Lui assunta. E per fare qui solo un breve cenno di ciò, si  chiama Figlio la stessa norma e forma di Dio per cui sono state  fatte tutte le cose che sono state fatte. E tutto ciò che è stato  compiuto da Lui tramite la natura umana assunta, è stato fatto per  la nostra istruzione e per la nostra formazione. 

venerdì 21 maggio 2021

Lettere di Sant'Agostino

 

LETTERA 11 

Scritta dopo la precedente. 

Fra le tante questioni di Nebridio A. sceglie la più difficile (n. 1), il  rapporto fra Incarnazione e Trinità (n. 2-3). L'Incarnazione fu un  esempio di umiltà perché l'uomo ascenda a Dio (n. 4). 

AGOSTINO A NEBRIDIO 

Un quesito assai difficile. 

1. Mentre mi teneva in grande pensiero la questione, postami da te  già da un pezzo anche con un certo tono di amichevole rimprovero,  sulle misure da prendere per poter vivere insieme, e avevo deciso  di risponderti e di chiederti risposta solo su questo e di non usare la  penna per nessun altra cosa inerente ai nostri studi finché non  fosse risolto tra noi questo problema, mi ha tranquillizzato di colpo  un'osservazione brevissima e oltremodo rispondente a verità della  tua ultima lettera: cioè che non dobbiamo darci pensiero di questo,  perché o noi verremo da te sicuramente non appena ne avremo la  possibilità, oppure quando potrai verrai tu da noi. Perciò, reso  tranquillo, come ho detto, su questo punto, mi son messo ad  esaminare con attenzione tutte le tue lettere, per vedere a quante  io debbo ancora rispondere. Ma in esse ho trovato tante questioni che, se anche si potessero risolvere facilmente, per il loro stesso  cumulo sarebbero eccessive per l'ingegno e il tempo a disposizione  di qualsiasi individuo. E per giunta sono così ardue che, anche se  me ne fosse stata proposta una sola, non esiterei a dichiararmi  sovraccarico. Questa premessa mira a far sì che tu smetta per un  po' di tempo di pormi nuovi quesiti finché mi sia interamente  liberato del debito, e mi risponda soltanto per farmi conoscere il tuo  parere. E questo pur sapendo quale danno sia per me, che, sia pure  per questo breve periodo, cesso d'essere messo a parte dei tuoi  sublimi pensieri. 

L'Incarnazione. 

2. Ascolta dunque il mio pensiero sulla mistica Incarnazione, che la  religione cui siamo stati iniziati ci propone a credere e a conoscere  come avvenuta per la nostra salvezza. Questo quesito, cui ho scelto  di dare una risposta a preferenza degli altri, non è certo il più facile  di tutti, ma mi è parso più di ogni altro meritevole che vi dedicassi  l'attività del mio pensiero. Infatti le questioni che riguardano questo  mondo non mi sembrano abbastanza pertinenti al conseguimento  della felicità e, se pure procurano qualche soddisfazione quando  vengono esaminate, tuttavia c'è da temere che occupino del tempo  che dovrebbe essere impiegato per qualcosa di meglio. Perciò, per  quanto concerne il problema che mi son proposto di trattare  adesso, mi stupisco innanzitutto che ti colpisca il fatto che si dica  che l'Incarnazione appartiene non solo al Padre e al Figlio ma anche  allo Spirito Santo. Questa Trinità infatti dalla fede Cattolica viene  presentata e creduta talmente inseparabile (e tale viene compresa  anche da pochi santi e beati) che, qualsiasi cosa venga da Essa  compiuta, si deve ritenere compiuta insieme dal Padre, dal Figlio e  dallo Spirito Santo. E niente fa il Padre che non facciano anche il  Figlio e lo Spirito Santo, niente fa lo Spirito Santo che non facciano  anche il Padre e il Figlio, niente fa il Figlio che non facciano anche il  Padre e lo Spirito Santo. Ne consegue evidentemente che  l'Incarnazione appartiene a tutta la Trinità: infatti se si è incarnato  il Figlio ma non si sono incarnati il Padre e lo Spirito Santo, essi  fanno qualcosa di diverso e d'indipendente l'uno dall'altro. Perché  dunque nei nostri misteri e nei nostri riti sacri l'Incarnazione si  celebra attribuendola al Figlio? Questo problema nella sua totalità è  così arduo e verte su un argomento così importante che la sua  spiegazione non può essere qui abbastanza facile né la sua  dimostrazione abbastanza sicura. Ma, poiché scrivo a te, io oso ciononostante accennare, piuttosto che spiegare, il mio pensiero,  affinché tu possa ricavare il resto da solo, dato il tuo ingegno e la  familiarità che v'è tra noi, per la quale tu mi conosci a fondo. 

Le proprietà delle Persone divine. 

3. Non v'è, o mio Nebridio, nessuna natura e nessuna sostanza  assolutamente che non abbia in sé e non riveli questi tre elementi:  in primo luogo di essere; in secondo luogo di essere questo o  quello; in terzo luogo di rimanere per quanto può nello stato in cui  si trova. Il primo ci rivela il principio stesso della natura da cui  derivano tutte le cose; il secondo la forma in virtù della quale  vengono create e in certo modo plasmate tutte le cose; il terzo, per  esprimerci così, è il permanere di tutte le cose nello stato ad esse  proprio. Ora, se è possibile che esista qualcosa che non sia questo o  quest'altro e non conservi le proprie caratteristiche; o che sia  questo o quello senza avere l'esistenza e senza conservare le  proprie caratteristiche quanto più può; oppure che conservi le sue  caratteristiche per quanto lo concedono le potenze che ha in sé, e  ciononostante non esista e non sia questo o quello, è anche  possibile che nella Trinità una Persona faccia qualcosa  separatamente dalle altre. Ma se comprendi che qualunque cosa  esista deve necessariamente e al tempo stesso essere questo o  quello e mantenere la propria natura per quanto può,  evidentemente le tre Persone non fanno nulla indipendentemente  l'una dall'altra. Vedo che di questa questione io ho esposto finora la  parte per causa della quale la soluzione diventa difficile; ma ho  voluto soltanto farti vedere in poche parole (se pure ho realizzato il  mio proposito) con quanto acume e verità venga intesa nella Chiesa  Cattolica l'inseparabilità di questa Trinità divina. 

Perché il Verbo si è incarnato. 

4. Ora ascolta come la difficoltà che colpisce la tua mente possa  perdere la sua forza. La caratteristica che è attribuita in proprio al  Figlio si può estendere anche al metodo e a una certa tecnica (se  usiamo appropriatamente questo termine in cose di tal genere) e  all'intelligenza dalla quale la mente stessa è plasmata mediante la  conoscenza delle cose. Poiché dunque mediante l'Incarnazione si è  ottenuto l'effetto di suggerirci, sotto la maestà evidente di certi  principi, una norma di vita ed un esempio di adempimento dei  precetti, non senza ragione tutto questo è attribuito al Figlio. Infatti in molte cose (che io lascio alla tua considerazione e alla tua  prudenza di pensare), pur essendo insite molte qualità, tuttavia una  si distingue e in maniera tale che non senza ragione acquista la  denominazione di proprietà specifica di quell'oggetto. Ad esempio,  nei tre generi di questioni sopra accennate, anche se si domanda se  una cosa esiste, è implicita altresì la domanda: che cos'è? - giacché  certamente non può essere senza essere qualche cosa -; ed anche  la domanda se sia buona o cattiva: infatti qualsiasi cosa esista  merita una valutazione; perciò quando si domanda di un oggetto  che cosa sia, esso deve necessariamente esistere ed essere oggetto  di valutazione. Allo stesso modo quando si domandano le qualità di  una cosa, essa, evidentemente, è anche qualche cosa. Così, pur  essendo tutti i particolari indissolubilmente uniti fra di loro, tuttavia  la questione non prende il nome da tutti, ma a seconda  dell'intenzione di colui che pone il quesito. Era dunque necessaria  agli uomini una norma, dalla quale fossero permeati e formati come  si conviene. Tuttavia non possiamo dire che questo stesso effetto,  che si verifica negli uomini per mezzo di tale regola, non esista o  non si debba desiderare. Ma prima cerchiamo di apprendere i mezzi  per giungere alla conoscenza e per rimanerci. Bisognava dunque  prima additarci qualche norma e regola di vita. E questo si ottenne  attraverso il disegno divino dell'Incarnazione che si deve attribuire  propriamente al Figlio, in modo che, per mezzo del Figlio, derivasse  la conoscenza del Padre stesso (cioè dell'unico principio da cui  derivano tutte le cose), ed una certa soavità e dolcezza interiore e  ineffabile nel permanere in questa conoscenza e nel disprezzare  tutte le cose mortali: e questo è il dono e il compito che si  attribuisce propriamente allo Spirito Santo. Perciò, sebbene tutte le  cose vengano compiute in perfetta comunione ed unità [dalle tre  Persone], bisognava tuttavia farcele vedere separatamente, a causa  della debolezza di noi che siamo caduti dalla unità nella  molteplicità. Nessuno infatti riesce ad elevare un altro alla  condizione in cui egli si trova se non discende in qualche modo nella  situazione in cui si trova l'altro. Hai qui una lettera che non è tale  da aver posto fine alla tua inquietudine su questo argomento, ma è  forse tale da aver fornito un punto di partenza preciso per le tue  speculazioni; sicché tu possa col tuo ingegno, a me ben noto,  investigare il resto e giungere a darne una spiegazione con l'aiuto  della pietà, su cui bisogna soprattutto fondarsi. 

giovedì 8 aprile 2021

Lettere di Sant'Agostino

 


LETTERA 10 

Scritta dopo la precedente. 
Agostino spiega la difficoltà di convivere saltuariamente con  Nebridio, data la necessità di continui viaggi (n. 1-2). La vera  tranquillità si trova nel proprio intimo e nell'unione con Dio (n. 3). 

AGOSTINO A NEBRIDIO 

Come poter essere insieme? 

1. Nulla mai, nelle questioni da te mosse, mi ha tenuto, mentre vi  pensavo, così agitato come quello che ho letto nella tua ultima  lettera, in cui ci accusi di trascurare di adoperarci perché ci sia  possibile vivere insieme. Grave colpa, e, se non fosse falsa, assai  pericolosa! Ma poiché un ragionamento probabile sembra  dimostrarci che noi possiamo passare il tempo secondo le nostre  intenzioni qui piuttosto che a Cartagine od anche in campagna,  sono veramente incerto, o mio Nebridio, come debba comportarmi  con te. Ti si deve mandare il mezzo di trasporto che è più adatto  per te? Infatti il nostro Luciniano garantisce che in lettiga coperta tu  puoi viaggiare senza danno. Ma penso che tua madre, dal momento  che non sopportava la tua assenza quando eri sano, la sopporterà  molto meno adesso che sei malato. Verrò io in persona da voi? Ma  qui ci sono alcuni che non potrebbero venire con me e che non ritengo lecito abbandonare. Tu infatti puoi dimorare piacevolmente  anche in compagnia del tuo spirito; si richiede invece un grande  sforzo perché essi possano fare la stessa cosa. Dovrò forse andare  e tornare frequentemente e stare ora con te ora con loro? Ma  questo non è né vivere insieme né secondo i nostri progetti! Infatti  il viaggio non è breve, ma addirittura tanto lungo che addossarsi  spesso la fatica di compierlo non significherebbe aver raggiunto la  desiderata tranquillità. A ciò si aggiunge l'infermità del mio corpo,  per cui anch'io - come sai - non sono in grado di fare ciò che voglio  se non cesso assolutamente di voler fare più di quello che posso. 


La tranquillità dell'anima necessaria alla meditazione. 

2. Pertanto pensare per tutta la vita a partenze che tu non possa  compiere tranquillamente ed agevolmente non è da uomo che pensi  a quell'ultima e sola che si chiama morte, alla quali anzi tu  comprendi che bisogna unicamente pensare sul serio. È ben vero  che Dio concesse ad alcuni pochi, che volle fossero i reggitori delle  chiese, non solo di attenderla intrepidamente ma anche di  desiderarla ardentemente e di sobbarcarsi senza alcuna  inquietudine alle fatiche di affrontare quelle altre; ma né coloro che  a siffatti ministeri sono trascinati dal desiderio dell'onore mondano,  né d'altra parte a quelli che, pur essendo privati cittadini,  desiderano una vita affaccendata, reputo sia concesso questo bene  così grande, di raggiungere, in mezzo agli strepiti e agli affanni  delle riunioni e andirivieni, quella familiarità con la morte che noi  cerchiamo: nella tranquillità infatti sarebbe stato possibile sia agli  uni che agli altri di indiarsi. Se invece questo è falso, io sono, per  non dire il più stolto, certo il più indolente di tutti gli uomini, io che,  se non raggiungo una tranquillità priva di preoccupazioni, non sono  capace di gustare ed amare quel bene genuino. Credimi, occorre un  grande isolamento dal tumulto delle cose passeggere perché si  realizzi nell'uomo un'assenza completa di timore non dovuta a  insensibilità, audacia, desiderio di vanagloria e superstiziosa  credulità. Di qui infatti deriva anche quel solido gaudio, da non  paragonarsi neppure minimamente con nessun altra gioia. 


La tranquillità è nell'anima unita a Dio. 

3. Che se un tal genere di vita non è realizzabile nella condizione  umana, perché questa tranquillità qualche volta si verifica? Perché  si realizza tanto più frequentemente quanto più ciascuno adora Dio 
nei penetrali del suo spirito? Perché per lo più una siffatta  tranquillità perdura anche nell'agire umano, se da quei penetrali si  passa all'azione? Perché talvolta, quando parliamo, non sentiamo la  paura della morte e, quando non parliamo, la desideriamo persino?  Lo dico a te, giacché non direi questo a chiunque; lo dico a te, di cui  ben conosco i progressi verso le cose superne; tu, pur avendo  frequentemente sperimentato quanto piacevolmente viva l'animo  quando muore all'amore del corpo, vorrai dunque negare che tutta  la vita dell'uomo possa diventare intrepida, così da essere a buon  diritto chiamata saggia? Oppure oserai affermare di aver mai  provato un simile stato d'animo, che è conforme a ragione, eccetto  quando ti raccogli nel tuo dramma interiore? Così stando le cose, tu  vedi che non rimane altro se non che anche tu decida con me in  modo che possiamo vivere insieme. Infatti come bisogni agire con  tua madre, che certo tuo fratello Vittore non abbandona, tu lo sai  molto meglio di me. Non ho voluto scriverti altro per non distoglierti  da questo pensiero. 


sabato 13 febbraio 2021

Lettere di Sant'Agostino

 


LETTERA 9 

Scritta dopo la precedente. 

A. risponde alla precedente lettera di Nebridio dicendo che gli amici  sono vicendevolmente presenti nello spirito (n. 1); egli accennerà  solo qualche argomento per risolvere la difficile questione sui sogni  inviati dalle potenze superiori (n. 2): che ciò sia possibile si  dimostra con l'esempio delle passioni dell'anima, come l'ira, che  traspaiono nel corpo (n. 3-4), infine esorta Nebridio a rileggere  attentamente l'Ep. 7 ch'egli non ha capito (n. 5). 


AGOSTINO A NEBRIDIO 

Gli amici sono vicendevolmente presenti nello spirito. 

1. Sebbene tu conosca il mio animo, tuttavia forse non sai quanto  vorrei godere della tua presenza. Ma un giorno o l'altro Dio mi  concederà questo privilegio così grande. Ho letto la tua lettera,  giustificatissima, in cui ti lamenti della solitudine e di un certo  abbandono da parte dei tuoi familiari, con cui la vita è dolcissima.  Ma che altro potrei dirti a questo proposito se non quello che sono  convinto che fai? Rifugiati nella tua anima e innalzala a Dio per  quanto puoi. Là infatti tu trovi più sicuramente anche noi, non  attraverso immagini corporee, di.cui ora dobbiamo far uso nel  nostro ricordo, ma mediante pensiero, per cui tu capisci che non è il  vivere nello stesso luogo quello che ci unisce. 

Una difficile questione. 

2. Esaminando le tue lettere alle cui domande impegnative ho dato  risposte non dubbie, mi ha assai spaventato quella in cui mi  domandi come avvenga che dalle potenze superiori o dai demoni  vengano immessi in noi dei pensieri e dei sogni. È infatti una cosa  importante, alla quale anche tu per la tua esperienza ben vedi che  si dovrebbe rispondere non con una lettera, ma o di presenza con  una conversazione oppure con un trattato. Cercherò tuttavia, ben  conoscendo il tuo ingegno, di dare qualche chiarimento preliminare  su tale questione, affìnché o tu stesso possa inserire da solo il resto  oppure non abbia affatto a disperare che si possa giungere ad una  spiegazione probabile di un problema tanto importante. 

Le passioni traspaiono nel corpo. 

3. Ritengo infatti che ogni moto dell'animo produca qualche effetto  sul corpo, e che esso giunga fino ai nostri sensi, così ottusi e lenti,  quando più intensi sono i moti dell'animo: ad esempio quando ci  adiriamo oppure siamo tristi o gioiosi. Da ciò è lecito arguire che  anche quando noi facciamo qualche pensiero ed esso non si palesa  a noi nel nostro corpo, può tuttavia palesarsi agli esseri viventi  dell'aria o dell'etere, i cui sensi sono acutissimi e a confronto dei  quali i nostri non si devono neppure considerare dei sensi. Quindi le  impronte, per così dire, del proprio moto che l'animo stampa nel  corpo, possono persistere e dare luogo quasi ad una caratteristica  permanente; e quando esse siano state inconsciamente agitate e  rimescolate, secondo la volontà di colui che le agita e le rimescola,  suscitano in noi pensieri e sogni: e questo avviene con mirabile  facilità. Se infatti è evidente che gli esercizi dei nostri corpi terreni e  tardissimi (usando gli strumenti musicali o nei giochi dei funamboli  e in tutti gli altri innumerevoli spettacoli di tal genere), sono giunti  a dei risultati incredibili, non è per nulla assurdo che coloro, i quali  per mezzo d'un corpo aereo o etereo agiscono in qualche modo nei  corpi in cui penetrano senza violare l'ordine naturale, godano di una  facilità di gran lunga maggiore per muovere tutto ciò che vogliono  senza che noi ce ne accorgiamo e tuttavia subendo qualche effetto  a seguito di tale azione. Infatti non ci accorgiamo nemmeno in che  modo l'abbondanza del fiele ci spinga a scatti d'ira più frequenti, e  tuttavia ci spinge, sebbene questa stessa abbondanza che ho detto  si sia formata mentre noi ci adiravamo. 

Che cos'è l'ira. 

4. Ma tuttavia, se non vuoi accettare da me questo paragone alla  leggera, esaminalo facendolo oggetto per quanto puoi della tua  riflessione. Infatti se nell'animo si manifesta continuamente qualche  difficoltà nell'agire e nel realizzare ciò che desidera, esso  continuamente si adira. E l'ira, secondo la mia opinione, è il  desiderio turbolento di togliere di mezzo le cose che impediscono la  facilità della azione. Per questo nello scrivere di solito ci adiriamo  non soltanto con gli uomini, ma con la penna e la urtiamo con  violenza e la rompiamo; e i giocatori si adirano coi dadi e i pittori  col pennello e chiunque con ogni strumento per colpa del quale  crede di trovarsi in difficoltà. Ed anche i medici affermano che per  questo continuo adirarsi la bile cresce. Per l'accrescimento della  bile, poi, di nuovo e facilmente e quasi senza che esista alcuna ragione ci adiriamo. Così quello che l'animo ha provocato nel corpo  col suo movimento, sarà in grado di agitarlo nuovamente. 

Nebridio rimediti l'Ep. 7. 

5. Questi fenomeni si potrebbero trattare con grande ampiezza e  portare ad una conoscenza più sicura e più piena con testimonianze  di molti fatti. Ma a questa lettera tu aggiungi quella sulle  immaginazioni e sulla memoria, che ti ho mandato di recente, ed  esaminala con maggiore attenzione; giacché dalla tua risposta m'è  parso che tu non l'abbia compresa pienamente. Quando dunque a  questa, che leggi adesso, avrai aggiunto dall'altra ciò che è stato  detto là su una certa facoltà naturale dell'anima che diminuisce ed  aumenta col pensiero qualsiasi cosa, forse non ti stupirà più perché  avvenga che, pensando o sognando, possano delinearsi in noi  anche le forme dei corpi che non abbiamo mai visti. 

venerdì 25 dicembre 2020

Lettere di Sant'Agostino

 


LETTERA 8 


Scritta nello stesso tempo (388-91). 

Nebridio chiede ad A. come mai le potenze celesti possano inviarci  visioni e sogni durante il sonno. 

NEBRIDIO AD AGOSTINO 

1. Nessun proemio, nessun esordio mi sembra opportuno, data la  mia impazienza di entrare in argomento. Come avviene, Agostino  mio, o qual è la via di cui si servono le potenze superiori, intendo  dire le celesti, quando piace loro farci vedere dei sogni mentre  dormiamo? Qual è, dico, la via: cioè, in che modo fanno questo,  con quale artifizio, con quali meccanismi, con quali strumenti o  malie? Stimolano forse l'anima nostra per mezzo dei nostri pensieri cosicché anche noi, pensando, immaginiamo queste cose? Oppure  ce le offrono e ce le fanno vedere dopo averle formate nel loro  corpo o nella loro fantasia? Ma se le formano nel loro corpo, ne  viene come conseguenza che anche noi, quando dormiamo, abbiamo altri occhi corporei interni per mezzo dei quali vediamo ciò  che essi hanno formato nel loro corpo. Se invece per queste  immagini non sono aiutati dal loro corpo, ma le dispongono nella  loro fantasia e in questo modo giungono alla nostra e nasce la  rappresentazione fantastica che è il sogno, perché io, ti domando,  con la mia potenza fantastica non sono in grado di indurre la tua a  generare quei sogni che io stesso prima mi sono formato in essa?  Certamente anch'io ho la fantasia, ed ha la capacità di immaginare  quello che voglio, sebbene non produca in te assolutamente alcun  sogno; però m'accorgo che è il nostro stesso corpo a generare in  noi i sogni. Infatti non appena esso ha avuto qualche cosa, per  l'intimità che lo lega all'anima, c'induce a simulare la stessa cosa  per mezzo dell'immaginazione in modi strani. Spesso, dormendo,  quando abbiamo sete sognamo di bere; ed avendo fame ci par  quasi di star mangiando, e lo stesso vale per molte altre cose di  questo genere che, quasi per uno scambio, si trasferiscono dal  corpo nell'anima attraverso la fantasia. Non meravigliarti se, data la  loro oscurità e la mia imperizia, questi fenomeni sono stati spiegati  con scarsa eleganza e precisione: cercherai di farlo tu per quanto ti  sarà possibile. 

domenica 27 settembre 2020

Lettere di Sant'Agostino

 


LETTERA 7 


Scritta nello stesso tempo (388-91). 

A. risponde alla lettera precedente dicendo che la memoria può  esistere anche senza l'immaginazione (n. 1); i fantasmi sono  generati nell'anima attraverso i sensi (n. 2-3); essi sono di tre  generi (n. 4); e possono influire nefastamente sull'anima (n. 5):  risolve un'obiezione ed esorta Nebridio a resistere ai fantasmi  prodotti dai sensi (n. 6-7). 


AGOSTINO A NEBRIDIO 

Può darsi memoria senza immaginazione. 

1. 1. Lascerò da parte i preamboli e comincerò prontamente a  trattare quello che impazientemente desideri che io ti dica, tanto  più che non arriverò presto alla fine. Tu credi che non possa esservi  affatto memoria senza quelle immagini o rappresentazioni, che  sono frutto di immaginazione, che hai voluto chiamare fantasie; io  la penso diversamente. Bisogna dunque, innanzitutto, osservare  che noi non ci ricordiamo sempre di cose che passano, ma per lo  più di cose che durano. Perciò, sebbene la memoria rivendichi a sé  il compito di ricordare fedelmente il passato, tuttavia è certo che  essa in parte è memoria di cose che ci lasciano, in parte di cose che  sono lasciate da noi. Infatti, quando mi ricordo di mio padre,  evidentemente ricordo una cosa che mi ha lasciato ed ora non è  più; quando invece mi ricordo di Cartagine, ricordo una cosa che  esiste e che io ho lasciato. Tuttavia in entrambi questi casi la  memoria conserva il ricordo del passato. Giacché tanto quell'uomo  quanto questa città io li ricordo per quello che ho visto, non per  quello che vedo. 

La memoria e l'atto di ricordare. 

1. 2. A questo punto tu forse domandi: a che mirano codeste tue  considerazioni? Tanto più che osservi come entrambe queste cose  non possano giungere alla memoria se non attraverso la visione fantastica. Ma a me basta avere intanto dimostrato che si può  parlare di memoria anche a proposito di cose che non sono ancora  passate. Procura comunque di ascoltare attentamente che  vantaggio io ne tragga. Alcuni criticano, senza fondamento, quella  celeberrima scoperta di Socrate per cui si sostiene che ciò che  apprendiamo non s'imprime in noi come cosa nuova, ma è  richiamato alla memoria per reminiscenza, e sostengono che la  memoria riguarda le cose passate e che invece quello che noi  apprendiamo per mezzo dell'intelligenza, per asserzione dello  stesso Platone, dura sempre e non può perire e perciò non è  passato. Costoro però non badano al fatto che è passata la visione  durante la quale abbiamo un tempo contemplato con la mente  queste cose; e poiché ci siamo allontanati da esse ed abbiamo  cominciato a vedere altri oggetti in modo diverso, le rivediamo per  reminiscenza, cioè per mezzo della memoria. Perciò se, per  omettere altri esempi, l'eternità in sé dura sempre e non ha  bisogno di alcuna immagine fantastica per servirsene quasi come  veicolo per giungere alla nostra mente (e tuttavia non potrebbe  giungervi se non la ricordassimo), si può avere memoria di certe  cose senza alcuna immaginazione. 

L'anima senza l'uso dei sensi non può avere immagini. 

2. 3. Quanto poi alla tua opinione che l'anima possa immaginare  oggetti corporei anche senza servirsi dei sensi, si dimostra falsa in  questo modo: se l'anima, prima di far uso dei sensi per la  percezione dei corpi, può con la fantasia rappresentarsi questi  stessi corpi, e (cosa che nessuna persona sana di mente mette in  dubbio) si trovava in uno stato migliore prima di essere impigliata  in questi sensi ingannatori, si trovano in uno stato migliore le anime  delle persone che dormono che le anime di quelle che sono deste,  quelle dei frenetici che quelle di coloro i quali non sono affetti da  una tale calamità: infatti sono colpite dalle stesse immagini da cui  erano colpite prima di avere i sensi, questi messaggeri quanto mai  fallaci; e allora o sarà più vero il sole che essi vedono di quello che  vedono le persone sane e deste o le cose false saranno superiori a  quelle vere. Se queste conclusioni sono assurde, come  effettivamente lo sono, l'immaginazione, o mio Nebridio, non è altro  che una ferita che giunge [all'anima] attraverso i sensi; per opera  dei quali avviene non un'evocazione, come tu scrivi, in modo che si  formino nell'anima siffatte visioni, ma l'azione stessa di introdurre  o, per dirlo più precisamente, di imprimere [in essa] queste false immagini. Quanto poi alla tua osservazione, come sia possibile che  immaginiamo dei volti e delle figure che non abbiamo mai viste,  essa è acuta. Perciò farò una esposizione che renderà questa lettera  più lunga del normale: non però ai tuoi occhi, cui nessuno scritto è  più gradito di quello che mi reca a te più loquace del solito. 

Le varie  specie d'immaginazioni. 

2. 4. Io vedo che tutte queste immagini che tu, con molti, chiami  fantasie si dividono molto opportunamente e veracemente in tre  categorie, la prima delle quali è stata impressa [in noi] dalle cose  percepite attraverso i sensi, la seconda da quelle opinate e la terza  da quelle trovate razionalmente. Esempi del primo tipo si hanno  quando la mia mente si raffigura il tuo volto o Cartagine o il nostro  defunto amico Verecondo e qualsiasi altra delle cose che esistono  ancora o sono scomparse, che però io ho visto e sentito. Nella  seconda categoria si devono mettere le cose che noi pensiamo  siano state o siano in un determinato modo, ad esempio quando  per esporre la nostra opinione su qualcosa facciamo volutamente  delle supposizioni che non sono affatto di ostacolo per giungere alla  verità, oppure quello che immaginiamo quando leggiamo la storia e  quando ascoltiamo delle favole o le componiamo o le inventiamo. Io  infatti mi immagino come mi piace e come mi viene in mente il  volto di Enea, quello di Medea coi suoi serpenti alati legati al giogo,  quello di un Cremete e di un Parmenone. A questa categoria  appartengono anche quelle cose che hanno raccontato sia i saggi,  adombrando qualche verità sotto tali figurazioni, sia, come verità,  gli stolti fondatori delle svariate e false religioni: ad esempio il  tartareo Flegetonte, le cinque grotte degli abitanti delle tenebre  infernali, l'asse settentrionale che tiene insieme il cielo, e mille altre  invenzioni fantastiche dei poeti e dei seguaci di false dottrine. Però  diciamo anche nel corso di un ragionamento: supponi che vi siano  uno sull'altro tre mondi fatti come lo è questo; e: supponi che la  terra abbia forma quadrata, e cose di questo genere. Tutto ciò  infatti noi immaginiamo e ipotizziamo a seconda delle circostanze in  cui si svolge il nostro ragionamento. Quanto poi alle cose  riguardanti la terza specie di immagini, si tratta soprattutto di  numeri e di dimensioni. Ciò in parte trova riscontro in natura, ad  esempio quando per via di ragionamento si trova la forma del  mondo, e a questa scoperta segue, nella mente di colui che pensa,  l'immagine; in parte nelle scienze che formano oggetto di  insegnamento, come le figure geometriche, i ritmi della musica e l'infinita varietà dei numeri. Queste cose, per quanto vengano colte,  come io penso, nella loro verità, tuttavia producono delle false  immaginazioni cui l'intelletto stesso a stento riesce a sottrarsi;  sebbene neppure in un ragionamento condotto con metodo rigoroso  sia facile sottrarsi a questo inconveniente, quando nelle distinzioni e  nelle conclusioni facciamo conto quasi di usare dei sassolini fatti per  il calcolo (4 bis). 

L'anima è soggetta alle falsità delle immagini. 

2. 5. In tutta questa selva d'immagini, io sono convinto che tu non  credi che la prima specie riguardi l'anima prima che sia connessa  coi sensi, e su questo punto non c'è bisogno di indugiare a  discutere. Sulle altre due si potrebbe ancora a buon diritto porre il  quesito se non fosse palese che l'anima, quando ancora non è stata  colpita da ciò che vi è di vano nelle cose sensibili e nei sensi, è  meno soggetta ad ingannarsi: ma chi potrebbe mettere in dubbio  che codeste immagini siano molto meno vere delle cose sensibili?  Infatti ciò che pensiamo e crediamo oppure inventiamo è in ogni  parte assolutamente falso, e certamente, come tu capisci, è molto  più vero quello che vediamo e sentiamo. Infine, per la terza specie,  qualsiasi spazio corporeo io mi rappresenti con la mente, sebbene il  pensiero sembri averlo creato in base a rigorosi principi scientifici  che non permettono il minimo errore, io dimostro irrefutabilmente  che è falso poiché sono di nuovo questi stessi principi a provarlo.  Perciò io non posso credere in nessun modo che l'anima quando  ancora non percepiva attraverso il corpo, quando ancora non era  stata colpita, tramite i sensi sommamente fallaci, da sostanza  mortale e passeggera, giacesse in tanta e così vergognosa falsità. 

Si risolve una obiezione. 

3. 6. Donde ha dunque origine il fatto che noi ci rappresentiamo le  cose che non abbiamo mai viste? Che cosa puoi pensare se non che  vi è una facoltà di diminuire e di aumentare, insita nell'anima, che  essa porta necessariamente con sé dovunque vada? Questa facoltà  si può avvertire specialmente nel campo dei numeri. Per essa  accade che, se ci si pone per dir così dinanzi agli occhi la figura di  un corvo, per esempio, che cioè ci sia nota per averla già  osservata, col togliere e con l'aggiungere ad essa qualcosa, si  trasforma in una figura qualsivoglia assolutamente mai vista. Per  essa accade che, indugiando abitualmente il nostro spirito in siffatte cose, figure di questo genere invadono quasi spontaneamente i  nostri pensieri. È dunque possibile all'anima, servendosi  dell'immaginazione, formare da quello che il senso ha introdotto in  essa (togliendo, come si è detto, e aggiungendo qualche cosa) delle  immagini che nessun senso riesce a cogliere nella loro totalità, ma  che sono parti di ciò che aveva colto in questo o quell'oggetto. Così  noi da fanciulli, pur nati ed allevati nell'entroterra, vedendo l'acqua  anche solo in un piccolo bicchiere, potevamo già immaginarci il  mare; mentre il sapore delle fragole e delle corniole in nessun  modo ci sarebbe venuto in mente prima che le gustassimo in Italia.  Da questo dipende il fatto che coloro che sono ciechi fin dalla  tenera infanzia, quando vengono interrogati sulla luce e sui colori  non sanno che cosa rispondere. Giacché nessuna immagine del  colore possono avere quelli che non hanno mai percepito alcuna  immagine. 

Si deve resistere alle immaginazioni sensibili. 

3. 7. Né devi stupirti come mai gli oggetti, che in natura hanno una  forma e possono immaginarsi, non si trovino fin da principio insiti  nell'anima che è in ciascuno, non avendoli essa mai percepiti  dall'esterno attraverso i sensi. Infatti anche noi quando, per lo  sdegno o la gioia e per gli altri sentimenti dell'animo di tal fatta,  produciamo nel nostro corpo vari atteggiamenti e colori, il nostro  pensiero non può concepire tali immagini prima che noi possiamo  provocarle. Queste cose avvengono secondo quei mirabili  procedimenti (che lascio alla tua meditazione), che si verificano  quando nell'anima si agitano i numeri in essa nascosti senza alcuna  falsa rappresentazione corporea. Di conseguenza io vorrei che tu,  poiché avverti che vi sono tanti moti dell'anima privi di tutte le  immagini su cui ora vai investigando, capissi che l'anima ha in sorte  il corpo per qualsivoglia altro impulso piuttosto che per aver  pensato a forme sensibili, che io ritengo non possa in alcun modo  percepire prima di far uso del corpo e dei sensi. Pertanto per la  nostra amicizia e per la fedeltà alla stessa legge divina, amico  carissimo e amabilissimo, io vorrei caldamente raccomandarti di  non stringere alcuna amicizia con codeste ombre infernali e di non  indugiare a rompere quella che da te è stata stretta con esse.  Giacché in nessun modo si resiste ai sensi, e questo è per noi il  dovere più sacro, se accarezziamo le piaghe e le ferite da essi  inferteci. 

venerdì 4 settembre 2020

Lettere di Sant'Agostino



LETTERA 5

Scritta tra il 388 e il 391. 

Nebridio si lamenta che i concittadini di A. ne disturbino la  contemplazione coi loro affari e lo invita nella propria villa. 

NEBRIDIO AD AGOSTINO 

1. È dunque così, Agostino mio? Spendi energie e pazienza nelle  faccende dei tuoi concittadini e non ti si restituisce ancora la  sospirata tranquillità? Di grazia, chi ha il coraggio di importunare te  che sei tanto buono? Credo quelli che non sanno quale sia l'oggetto  del tuo amore e del tuo ardente desiderio. Non c'è nessuno dei tuoi  amici che riveli loro le tue predilezioni? Né Romaniano né  Luciniano? Ascoltino almeno me. Io proclamerò, io attesterò che tu ami Dio, vuoi servirlo ed essere a Lui unito. Vorrei attirarti nella mia  casa di campagna e che ivi tu stessi tranquillo. Non avrò infatti  paura d'essere chiamato seduttore dai tuoi concittadini che ami  troppo e dai quali sei troppo amato.


LETTERA 6 

Scritta nello stesso tempo (388-91). 

Nebridio sottopone ad A. il problema della memoria la quale, a suo  parere, è inseparabile dall'immaginazione (n. 1); questa poi ricava  le sue immagini non tanto dai sensi quanto da sé medesima (n. 2). 

NEBRIDIO AD AGOSTINO

Memoria e immaginazione. 

1. Provo un grande piacere nel conservare le tue lettere come se si  trattasse degli occhi miei. Infatti sono importanti non per  l'estensione bensì per gli argomenti, e contengono importanti  dimostrazioni di problemi importanti. Esse mi parleranno di Cristo,  di Platone, di Plotino. Di conseguenza saranno per me piacevoli ad udirsi per la loro eloquenza, facili a leggersi per la loro brevità e  salutari ad intendersi per la loro sapienza. Avrai cura perciò di farmi  conoscere quello che a tuo parere sembrerà santo e buono. A  questa lettera poi risponderai quando avrai esaminato più  accuratamente il problema dell'immaginazione e della memoria. Io  credo infatti che, sebbene non ogni immaginazione sia accompagnata dalla memoria, ogni ricordo tuttavia non possa  verificarsi senza l'immaginazione. Ma tu mi obietti: che cosa accade  quando ricordiamo di aver compreso o pensato qualche cosa?  Contro questa osservazione io rispondo dicendoti che ciò si è  verificato perché quando abbiamo percepito o pensato alcunché di  corporeo e di soggetto al tempo, noi abbiamo prodotto una cosa  che interessa la fantasia: infatti o abbiamo rivestito di parole le  nostre percezioni e i nostri pensieri (e queste parole non sono  indipendenti dal tempo e interessano i sensi o la fantasia), oppure il  nostro intelletto o il nostro pensiero hanno subito una qualche  impressione tale da poter lasciare una traccia nella fantasia. Queste  cose io le ho dette senza averci pensato a lungo e in modo confuso,  secondo il mio solito: tu le esaminerai e, rigettato ciò che vi è di  falso, raccoglierai quello che c'è di vero in una lettera.

Le immagini della fantasia. 

2. Senti un'altra cosa: perché, di grazia, non diciamo che la  fantasia ricava tutte le immagini da se stessa, piuttosto che dai  sensi? Infatti come l'intelletto è spinto dai sensi a vedere il mondo  intelligibile, che gli è proprio, piuttosto che ricevere qualcosa da  essi, così può darsi che anche la fantasia sia spinta dai sensi a contemplare le immagini che sono in lei piuttosto che attingere qualcosa da essi. Giacché può darsi che per questo avvenga che  quello che i sensi non vedono essa tuttavia lo possa vedere: e  questo è un indizio che ha in sé e da sé tutte le immagini. Anche su  questo problema mi risponderai esponendomi il tuo pensiero. 

lunedì 27 luglio 2020

Lettere di Sant'Agostino



LETTERA 4 


Scritta dopo la precedente. 

Agostino annuncia a Nebridio i progressi, fatti durante il suo ritiro,  nella conoscenza degl'intelligibili (n. 1) per cui è convinto che la  mente è superiore ai sensi (n. 2). 


AGOSTINO A NEBRIDIO 


Contemplazione delle cose eterne. 

1. È assai strano quanto inaspettatamente mi sia accaduto che,  mentre esaminavo a quali delle tue lettere mi fosse rimasto da  rispondere, ne ho trovato una soltanto per cui ero ancora in debito,  nella quale mi chiedi di informarti dei progressi che ho fatti nel  discernere la natura sensibile e quella intelligibile, impiegando tutto  il tempo che fra te credi o insieme con me desideri che io abbia. Ma  io non penso che tu ignori che, se ciascuno tanto più si radica nelle  false opinioni quanto più a lungo e familiarmente si immerge in  esse, questo con molto maggior facilità accade alla mente in  materia di verità. Però in tal modo progrediamo a poco a poco,  come avviene per l'età. Giacché, sebbene grandissima sia la  differenza tra un bambino ed un giovane, nessuno, se lo si è  interrogato quotidianamente fin dalla puerizia, si dirà mai giovane. 

La mente è superiore ai sensi. 

2. Non voglio però che tu interpreti ciò in un senso tale da pensare  che in questo campo io sia giunto, per così dire, ad una specie di  giovinezza intellettuale per il vigoroso appoggio di una più sicura  intelligenza. Sono infatti un bambino ma forse, come si suol dire, di  belle speranze e non cattivo. Mi spiego: agli occhi della mia mente,  stravolti e pieni di affanni per le violente impressioni prodotte dalle  cose sensibili, solitamente procura respiro e sollievo quel modesto  ragionamento, a te ben noto, che la mente e le facoltà intellettive  sono superiori agli occhi e alla comune facoltà visiva. Il che non si verificherebbe se ciò che percepiamo per mezzo dell'intelligenza  non fosse più reale di ciò che vediamo. Ti prego di esaminare  attentamente con me se esista qualche valida obiezione a questo  ragionamento. Intanto io, confortato da esso, allorché, invocato  l'aiuto di Dio, ho cominciato a sentirmi elevare verso di Lui e verso  le realtà assolutamente vere, in certi momenti sono preso da un  così vivo pregustamento delle cose eterne, che talvolta mi  meraviglio di aver bisogno di quel ragionamento per credere  all'esistenza di cose che sono in noi tanto presenti quanto ciascuno  è presente a se stesso. Controlla anche tu (giacché riconosco che in  questo sei più preciso) se per caso io, senza saperlo, non sia ancora  in debito di qualche risposta. Infatti non mi persuade il trovarmi  così all'improvviso libero da un numero tanto grande di debiti di cui  un giorno avevo fatto il conto: sebbene io non dubiti che tu abbia  ricevuto da me delle lettere di cui non ho le risposte. 

mercoledì 3 giugno 2020

Lettere di Sant'Agostino



LETTERA 3 

Scritta all'inizio del 387. 

A. risponde a Nebridio che, ignorando molte cose, non può essere  chiamato felice (n. 1). La vera felicità (n. 2); più che il corpo si  deve amare l'anima (n. 3-4). Una questioncella grammaticale (n.  5).


AGOSTINO A NEBRIDIO 


La felicità esclude l'ignoranza. 

1. Resto incerto se io debba considerarlo effetto di non so quale tuo  "blandiloquio", per così dire, oppure se la cosa stia veramente in  questo modo: è infatti accaduto all'improvviso e non ho ancora  chiarito abbastanza fino a che punto vi si debba credere. Tu attendi  di sapere di che si tratti. Che cosa pensi? Tu mi hai quasi convinto,  non che io sia beato (giacché un tale bene è possesso esclusivo del  sapiente), ma certo quasi beato: come diciamo di uno che è "quasi  uomo", paragonandolo alla immagine perfetta dell'uomo quale lo  concepiva Platone, o diciamo "quasi rotonde" o "quasi quadrate" le  cose che vediamo, sebbene siano molto lontane dal somigliare alle  figure che pochi competenti vedono con gli occhi della mente. In  verità ho letto la tua lettera al lume della lucerna, quando avevo già  cenato; era vicino il momento di andarmi a riposare, ma non a  dormire: e infatti, disteso nel letto, ho riflettuto a lungo tra me e  me ed ho fatto, io Agostino, questi discorsi con Agostino: È dunque  vero quello che pensa Nebridio, cioè che io sono felice? No di certo: giacché neppure lui osa negare che io sia ancora stolto. E se anche  agli stolti potesse toccare una vita beata? È difficile: quasi che la  stoltezza fosse una piccola miseria o vi potesse essere qualche altra  miseria oltre ad essa. Perché dunque a lui è parso così? Forse che,  dopo aver letto quei miei scritti, ha osato credermi anche sapiente?  Non è così temeraria l'allegria, per quanto sia sfrenata, soprattutto  in una persona che ben sappiamo con quanta ponderatezza proceda  nelle sue considerazioni. È così, dunque: ha scritto quello che  pensava mi avrebbe fatto molto piacere, poiché anche a lui ha fatto  molto piacere tutto ciò che io ho messo in quello scritto; ed ha  scritto in preda alla gioia, senza preoccuparsi di quello che  conveniva affidare ad una penna trasportata dall'allegria. Che cosa  sarebbe capitato, se avesse letto i Soliloqui ? La sua gioia sarebbe  molto più grande e tuttavia non troverebbe un appellativo più  elevato da darmi di quello di beato. Ha dunque avuto troppa fretta  di spendere per me il nome più alto, e non si è riservato nulla da  attribuirmi quando fosse più allegro. Vedi gli effetti dell'allegria! 

In che consiste la felicità. 

2. Ma dov'è questa vita beata dove, dove mai? Oh, se consistesse  nel rigettare la dottrina di Epicuro sugli atomi! Oh, se consistesse  nel sapere che in basso non vi è nulla ad eccezione del mondo! Oh,  se consistesse nel sapere che i punti all'esterno di una sfera  nuotano più lentamente del suo centro ed altre cose di questo  genere che noi parimenti conosciamo! Ora invece, come ed in che  grado posso essere beato io che non so perché il mondo sia grande  così, mentre l'essenza delle figure che lo compongono non  impedirebbe affatto che fosse più grande quanto si vuole? Oppure  come non mi si obietterebbe, anzi non saremmo costretti ad  ammettere che i corpi sono divisibili all'infinito, così da potersi  ricavare come da una data base un numero determinato di  corpuscoli in una determinata quantità? Perciò, mentre non si  ammette che esista un corpo che sia il più piccolo possibile, come  possiamo ammettere che ne esista uno grandissimo, tanto che non  ve ne possa essere uno più grande? A meno che non abbia un  grande valore quello che dissi una volta in gran segreto ad Alipio:  poiché il numero intelligibile cresce all'infinito, ma non decresce  all'infinito (infatti non è possibile scomporlo oltre la monade), al  contrario il numero sensibile (che altro è infatti il numero sensibile  se non qualcosa di materiale, vale a dire la quantità dei corpi?) può  diminuire all'infinito ma non può crescere all'infinito. E per questo forse a ragione i filosofi pongono la ricchezza nelle cose intelligibili,  la povertà in quelle sensibili. Che cosa v'è infatti di più miserabile  che poter diminuire all'infinito? E quale ricchezza più grande che  crescere quanto vuoi, andare dove vuoi, tornare indietro quando  vuoi e fin dove vuoi ed amare grandemente ciò che non può  diminuire? Infatti chi comprende tali numeri, ama nulla tanto  quanto la monade. E non è strano, dato che è grazie ad essa che si  arriva ad amare tutti gli altri. Ma ciononostante perché mai il  mondo è grande così? Avrebbe infatti potuto essere o più grande o  più piccolo. Non lo so: in realtà è così. E perché è qui piuttosto che  là? Neppure di ciò si deve far questione, altrimenti si dovrebbe fare  sulla posizione di qualsiasi cosa. Soltanto questo mi turbava molto,  cioè che i corpi fossero divisibili all'infinito. Al che si è forse dato  una risposta con la teoria della proprietà contraria del numero  intelligibile. 

Il mondo e le immagini fisiche. 

3. Ma aspetta un istante; vediamo che cos'è questo non so che, che  mi viene in mente: certamente si dice che il mondo sensibile è  immagine di non so quale mondo intelligibile. Ora è singolare quello  che vediamo nelle immagini riflesse dagli specchi. Infatti per quanto  grandi siano gli specchi, non rendono le immagini più grandi di  quello che sono i corpi, per quanto piccolissimi, messi loro davanti.  Negli specchi piccoli invece, come nelle pupille degli occhi, anche se  si mette davanti ad essi un gran volto, si forma un'immagine  piccolissima, proporzionata alla misura dello specchio. Dunque è  possibile diminuire anche le immagini dei corpi, usando specchi più  piccoli, ma non si può aumentarle usando specchi più grandi. Qui  senza dubbio c'è sotto qualcosa, ma adesso bisogna dormire. E  infatti non è cercando che appaio beato a Nebridio, ma forse  scoprendo qualcosa. E che cos'è questo qualcosa? È forse quel  ragionamento che son solito accarezzare come mio particolare e di  cui son solito rallegrarmi molto? 

Si deve amare più l'anima che il corpo. 

4. Di che cosa siamo composti? D'anima e di corpo. E di queste due  parti qual è la migliore? L'anima, evidentemente. Che cosa si loda  nel corpo? Nient'altro, vedo, che la bellezza. Che cos'è la bellezza  fisica? La giusta proporzione delle parti, accompagnata da una certa  vaghezza di colorito. Questa forma leggiadra è migliore dove è vera o dove è falsa? Chi oserebbe porre in dubbio che sia migliore dove  è vera? Orbene, dove è vera? Nell'anima, naturalmente. Quindi  l'anima si deve amare più del corpo. Ma in quale parte dell'anima si  trova questa verità? Nella mente e nell'intelligenza. Che cosa  offusca l'intelligenza? I sensi. Bisogna dunque resistere ai sensi con  tutte le forze dell'anima? È evidente. E se le cose sensibili ci  dilettano troppo? Si faccia in modo che non ci dilettino. Come si fa?  Abituandoci a farne a meno e a desiderare cose migliori. E se  l'anima muore? Allora anche la verità muore, o l'intelligenza e la  verità non s'identificano, oppure l'intelligenza non ha sede  nell'anima, oppure può morire una cosa in cui ha la sua sede  alcunché d'immortale: ma che nessuna di queste eventualità possa  verificarsi già è detto nei miei Soliloqui ed è sufficientemente  dimostrato; ma per non so quale abitudine ai mali siamo atterriti e  titubanti. Infine, anche se l'anima è soggetta alla morte, il che vedo  assolutamente impossibile, tuttavia in questo periodo di riposo ho  sufficientemente accertato che la vita beata non consiste nel  godimento delle cose sensibili. Forse per queste e simili ragioni  appaio al mio Nebridio, se non beato, almeno quasi beato. Potrei  sembrarlo anche a me: che cosa ci perdo o perché dovrei rifiutare  la buona stima? Questo mi dissi; poi, come al solito, mi misi a  pregare e m'addormentai. 

Una questioncella di prosodia. 

5. Ecco quanto mi è piaciuto di scriverti. In verità mi allieta il fatto  che tu mi ringrazi se non ti nascondo nulla di ciò che mi viene in  bocca e sono contento di piacerti così. Con chi dunque dovrei  scherzare più volentieri che con colui al quale non posso dispiacere?  E se poi è in potere della fortuna che un uomo ami un altro uomo,  vedi quanto sia fortunato io che godo tanto dei favori della fortuna  e, lo confesso, desidero che tali beni mi crescano copiosamente. Ma  i sapienti più autentici, che soli è lecito chiamare beati, non hanno  voluto né che si temessero i beni della fortuna né che si  desiderassero (cupi o cupiri? veditela tu). E questo è venuto a  proposito. Desidero infatti che tu mi dia chiarimenti su tale  coniugazione; giacché, quando coniugo verbi di questo tipo, sono  molto incerto. Cupio, infatti, come fugio, sapio, iacio, capio, sono  verbi affini; ma non so se l'infinito sia fugiri o fugi, sapiri o sapi. 
Potrei propendere per iaci e capi, se non temessi che mi prendesse e mi gettasse a suo capriccio, dove gli aggradi, chi riuscisse a  convincermi che una cosa è iactum e captum, un'altra fugitum, cupitum, sapitum. Così pure ignoro parimenti se queste ultime tre  forme si debbano pronunciare con la penultima lunga ed accentata oppure non accentata e breve. Vorrei indurti a scrivere una lettera  più estesa; mi auguro di poterti leggere un po' più a lungo. Giacché  non sono in grado di dire appieno quanto mi faccia piacere leggerti. 

domenica 24 maggio 2020

Lettere di Sant'Agostino



LETTERA 2 

Scritta nello stesso tempo (386-7). 


A. esprime a Zenobio la brama d'intrattenersi con lui anche di  persona e di terminare la questione che avevano cominciato a  discutere. 



AGOSTINO A ZENOBIO 

1. Siamo fra noi perfettamente d'accordo, come io penso, che tutte  le cose che la nostra percezione fisica può attingere, non possono  neppure per un istante rimanere nello stesso stato, ma passano,  spariscono e non hanno nulla di attuale: cioè, per parlare chiaro,  non hanno vera esistenza. Per questo la vera divina filosofia esorta  a frenare e a sopire l'amore per esse, che è quanto mai funesto e  fonte di moltissime pene; affinché l'anima, anche durante il tempo  in cui guida questo corpo, con tutto il suo essere tenda e  ardentemente aneli verso ciò che persiste sempre nel medesimo  stato e non piace per una bellezza peregrina. Stando così le cose, e  sebbene la mia mente ti veda in se stessa reale e schietto, come ti  si può amare senza alcuna inquietudine, tuttavia confessiamo che  quando ti diparti da noi fisicamente e sei in luoghi lontani,  cerchiamo di incontrarti e di vederti e perciò lo desideriamo finché è  possibile. Questo difetto, se ben ti conosco, senza dubbio non ti  dispiace in noi, e, pur desiderando ogni bene per le persone a te più  care ed intime, hai paura che esse ne siano guarite. Se poi tu hai una tale forza d'animo da poter riconoscere questa trappola e ridere  di coloro che vi sono incappati, sei davvero grande e diverso. Io,  per parte mia, desidero essere rimpianto nella misura in cui  rimpiango un assente. Tuttavia faccio attenzione, per quanto posso,  e mi sforzo di non amare nulla che possa essere lungi da me mio  malgrado. Insieme con questo dovere io ti ricordo anche,  qualunque sia la tua disposizione in proposito, che bisogna  concludere la discussione iniziata con te, se abbiamo cura di noi  stessi. Infatti non permetterei in nessun modo che si concludesse  con Alipio, anche s'egli lo volesse. Ma non lo vuole, giacché  l'educazione non gli permette ora d'adoprarsi meco per intrattenerti  con noi col maggior numero possibile di lettere, dato che cerchi di  evitarlo per non so quale necessità.

lunedì 4 maggio 2020

Lettere di Sant'Agostino



LETTERA 1 

Scritta alla fine del 386 o all'inizio del 387. 

A. spiega a Ermogeniano perché gli Accademici usarono un  linguaggio ermetico adatto al loro tempo (n. 1), ma presentemente  pericoloso, poiché potrebbe indurre all'agnosticismo (n. 2); gli  chiede infine un giudizio su quanto afferma alla fine del III 1. del  dialogo Contra Academicos (n. 3). 

AGOSTINO AD ERMOGENIANO 


Perché gli Accademici occultarono la verità. 

1. Io non oserei mai, nemmeno scherzando, attaccare gli  Accademici; come potrebbe infatti non impressionarmi l'autorità di  persone tanto grandi, se non ritenessi che essi la pensavano molto  diversamente da come si è creduto di solito? Perciò li ho imitati, per  quanto mi è stato possibile, piuttosto che tentare di confutarli, cosa  che non sono affatto capace di fare. Mi pare infatti si addicesse perfettamente a quei tempi che, se qualcosa di puro sgorgava dal  fonte Platonico, lo si facesse scorrere tra macchie oscure e piene di  spine, così da servire di nutrimento a pochissimi uomini, piuttosto  che, effondendosi per luoghi facilmente accessibili, non potesse in  alcun modo conservarsi limpido e puro per l'irrompere in esso delle  bestie da ogni parte e senz'ordine. Che v'è infatti che più si addica  a una bestia del ritenere corporea l'anima? Contro individui di tal  fatta io penso che sia stato utilmente escogitato quell'accorto  metodo di nascondere la verità. Ma nell'età nostra, in cui non  vediamo più filosofi salvo che nel mantello (e questi io in verità non  li posso reputare degni di un nome così venerabile), mi sembra che  si debbano ricondurre gli uomini alla speranza di trovare la verità,  se qualcuno l'opinione degli Accademici ne ha distolto con la  sottigliezza dei loro discorsi dal cercare di comprendere le cose;  affìnché quello che, date le circostanze, fu opportuno per estirpare  degli errori profondamente radicati, non incominci ora ad essere di  ostacolo nell'inculcare il sapere. 

Il loro metodo può favorire l'agnosticismo. 

2. Mi spiego: allora la passione per le ricerche filosofiche da parte  delle varie scuole era così ardente che niente altro si doveva  temere se non di prendere per vero il falso. Ognuno poi, distolto  per quelle argomentazioni da ciò che di saldo e inconcusso aveva  creduto di possedere, ricercava qualcosa di diverso con tanto  maggiore costanza e cautela quanto più grande era lo zelo nel  campo della morale e si riteneva che la verità si nascondesse  quanto mai profonda e involuta nella natura e nelle menti. Ma ora  così grande è la ripugnanza per la fatica e l'incuria per gli studi  liberali che, non appena si sente dire che dei filosofi molto acuti  hanno creduto che nulla si possa conoscere con certezza, gli uomini  si perdono d'animo e rinunziano per sempre ai propri progetti. Non  osano infatti ritenersi più acuti di quelli, sicché possa rivelarsi loro  con chiarezza ciò che Carneade non è stato capace di trovare con  tanto zelo, ingegno e tempo a disposizione; per di più con una  cultura così vasta e molteplice e infine anche nel corso di una vita  lunghissima. E se pure, resistendo un poco alla pigrizia, leggono i  libri medesimi in cui pare sia dimostrato che alla natura umana è  negata la conoscenza, si addormentano di un sonno così profondo  che non si sveglierebbero neppure al suono della celeste tromba. 

Agostino chiede il parere di Ermogeniano. 

3. Perciò, essendo a me graditissimo il tuo sincero giudizio sui miei  scritti, e tenendoti io in sì gran conto che, a mio avviso, l'errore non  può trovare posto nella tua esperienza né la simulazione nella tua  amicizia, più vivamente ti chiedo di esaminare con maggiore  attenzione e poi di rispondermi se approvi quello che io, sulla fine  del terzo libro, in modo forse più congetturale che certo, e tuttavia  (a mio giudizio) con utilità maggiore di ciò che può esserci di  inverosimile, ho pensato si debba credere. Effettivamente,  qualunque sia il valore di quell'opera, mi compiaccio non tanto di  aver vinto, come tu dici, gli Accademici (lo scrivi infatti mosso forse  dall'affetto più che dal rispetto per la verità), quanto di essermi  spezzato quell'odiosissimo freno per cui io ero tenuto lontano dal  seno della filosofia per sfiducia di poter attingere la verità, che è il  nutrimento dello spirito.