Visualizzazione post con etichetta CHIAMAMI PADRE. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta CHIAMAMI PADRE. Mostra tutti i post

venerdì 4 novembre 2022

SONO TUO PADRE: NON AVERE PAURA!

 


SONO TUO PADRE: NON AVERE PAURA!

O Padre, presente nel cuore di ogni uomo, rivèlati a quanti sono nelle tenebre e nell'ombra di morte, perché nella tua luce riconoscano l'altissima dignità di tuoi figli, da te eternamente scelti, chiamati alla grazia e destinati alla gloria.


NON AVERE PAURA DI ME

Tutto è stato detto fin qui per illustrare la mia identità: sono il tuo Creatore e il tuo Signore, ma soprattutto sono tuo Padre.

Ora ti dico: avvicinati e chiamami col mio vero nome; dimmi con amore la parola che attendo: Papà!

Non avere paura, perché non sono estraneo alla tua vita, non sono un "padrone" cattivo, non sono vendicativo, non sono un giudice impietoso e senza cuore: sono semplicemente tuo Padre; e ti amo con un amore dolce, tenero, attento, misericordioso, forte... anche se divinamente esigente (cf. Sal 62, 1-10; Sal 16, 11).

Se tu sapessi fino a che punto ti amo, non avresti paura!

Ti getteresti perdutamente nelle mie braccia. Vivresti nel fiducioso abbandono alla mia immensa tenerezza, e non mi lasceresti un momento.

Cercami nel silenzio e nella preghiera.

Cercami "nel segreto della tua camera" (cf. Mt 6, 6), nell'intimità del tuo cuore.

E dopo aver fatto tacere le voci dispersive dell'orgoglio, della ribellione, dell' aggressività, degli affanni indebiti, delle evasioni sterili, della superficialità... concentrati su questa parola: Padre.

Ripeti più volte, dolcemente: Padre mio, Dio mio!...

E poi apri la Bibbia e leggi quel che ti dico attraverso Parole scritte tanti secoli fa, ma che sono vive e attuali: per te, oggi, e qui!

Non avere paura!

Accostati con fiducia e parlami. Raccontami la tua giornata, esponimi i tuoi progetti, i tuoi fastidi, le tue difficoltà...

Chi più di tuo Padre può capirti e aiutarti a risolverli?

Avvicinati con l'anima semplice con cui il tuo bimbo si avvicina a te. È commovente il suo slancio, perché è sicuro di essere amato dal suo papà!


NON AVERE PAURA DEL PASSATO

La vita è breve e, nel suo rapido scorrere, si trascina dietro le cose belle, con tanti nostalgici rimpianti.

Tu pensi: poter tornare indietro!

Il passato ti affligge per due motivi:

-       perché vorresti rivivere una felicità perduta che non torna più;

-       perché vorresti cancellare tutta una serie di errori e scelte sbagliate che, al momento, ti danno solo tormento.

Non avere paura del tuo passato, qualunque esso sia!

Anche se ti sei macchiato di colpe gravi, nulla è irreparabile ai miei occhi, perché sono Bontà e Misericordia infinita!

Io non amo il tuo peccato, ma amo te; e tutta la mia attenzione non è rivolta a calcolare l'entità del peccato, ma a suscitare in te un salutare ravvedimento.

Mi bastano due cose: l'umile accettazione e il Sacramento della Confessione... Dopo di che, stanne certo, tutto ritorna come prima.

Io dimentico sul serio, ti rinnovo la mia piena fiducia, ti faccio completamente nuovo (cf. Ez 11, 19-20).

Non avere paura, perché «il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (Os 11, 8).

Nel perdonare e nel dimenticare io ripongo il sommo trionfo del mio amore,' perché il mio Figlio "non è venuto per cercare e salvare i giusti, ma i peccatori" (cf. Le 5, 32). Che cosa vuoi di più?


NON AVERE PAURA DEL FUTURO

So benissimo che la tua fantasia è tutta protesa verso il futuro... e che non ti dà pace!

Quanta paura, quante angosce!

Invece di vivere in serenità il momento presente, non fai che tormentarti per ciò che sarà domani.

E tutto diventa un problema: la salute, la casa, il lavoro, la vecchiaia, i figli, i parenti, la politica...

Rifletti: ma perché vuoi fasciarti la testa prima ancora che si sia rotta?

Come fai a sapere quello che sarà domani, quando ogni evento sarà determinato da fattori oggi imprevedibili e inconoscibili? Non perdere tempo cercando di inoltrarti nel labirinto delle varie combinazioni possibili: il futuro è nelle mie mani.

Tu pensa all'oggi.

Vivi con impegno e pace ogni ora, come fosse la prima, come fosse l'unica, come fosse l'ultima.

Per l'affanno di oggi ti sono vicino con una Provvidenza adatta e proporzionata al bisogno.

Per l'affanno di domani ti sarò vicino con una Provvidenza ugualmente adatta e proporzionata al bisogno.

Il Vangelo ti garantisce questa mia presenza provvidenziale e ti invita a confidare soprattutto in me, che sono tuo Padre (cf. Lc 12, 22-34).

E ti assicura che nulla ti potrà mancare se saprai cercare, prima di ogni cosa, "le cose mie" e l'attuazione della mia volontà (cf. Lc 12, 31).


NON AVERE PAURA NELL'ORA DELLA PROVA 

Chiamami Padre soprattutto nell'ora del dolore, nel quale non hai che due vie da percorrere:

- una in discesa, che porta alla disperazione e al rifiuto;

- una in salita, che faticosamente ti conduce a me.

Nulla è più importante, nulla è più prezioso nella tua vita della sofferenza accettata con umiltà, sopportata con pazienza, offerta con amore.

Io ti sono vicino specialmente in questo duro momento, ma tu forse non lo sai ancora.

Ricorda che nella tua vita nulla avviene per caso: tutto è da me personalmente voluto o permesso, e solo per il tuo bene (cf. Rm 8, 28).

Non sono quindi estraneo al tuo dolore, che è da me previsto e sapientemente sostenuto da una Provvidenza adatta al momento.

Poi, sèntiti personalmente invitato a questa o a quella prova, dal mio Figlio Gesù. È Lui che, staccando la mano insanguinata, sceglie un pezzetto della sua croce, e te lo porge, dicendo:

"non temere, te lo offro io! Ho bisogno del tuo apporto per completare il mio sacrificio" (cf. Coli, 24-25). "Ho scelto la croce adatta per te e ti aiuterò a portarla. Tutto ti sarà più facile se starai con me!".

Chi soffre con me vince sempre. Chi soffre senza di me è solo da compiangere. Quando sei nella prova, non dire più: "come mai, come mai?", ma piuttosto "Padre, tu lo sai!". E ne avrai tanta pace!

 

NON AVERE PAURA DELLA MORTE

Chiamami Padre soprattutto quando pensi alla morte, e hai l'impressione che essa si stia avvicinando.

Non pensare al come essa verrà e a ciò che ti attende oltre i confini della vita.

Tutto sarà più semplice e bello di quanto tu possa pensare!

In quel momento importante ti sarò vicino come non mai: ti accoglierò con l'amore di un Padre che attende da lungo tempo il figlio e per il quale ha già preparato la casa (cf. Gv 14, 2). Allora capirai che ti ho amato con un'intensità di amore che ora non sei in grado di immaginare.

Allora capirai perché e a chi saranno servite le tue sofferenze, le tue battaglie, le tue conquiste, la tua complessa vita.

E allora mi ringrazierai per averti condotto, fra rischi e pericoli, all'ambito premio promesso ai figli.

Pensa al nostro incontro nella luce!

Per questo incontro sei stato creato, hai lavorato, hai sofferto. Verrà il giorno nel quale ti accoglierò, per un abbraccio di gioia, di festa e di amore che non avrà fine.

Pensaci con serenità, e offrimi in anticipo l'accettazione della tua morte, unendola fin d'ora a quella del mio Figlio Gesù.

Preparati

-         con fede, accettando senza la pretesa di pre-vedere il dopo;

-         con fiducia, credendo che tutto sarà più semplice di ciò che pensi;

-         con amore, pregustando nella pace i doni che ti darò!

Non avere paura!

Con la mia Provvidenza ti ho aiutato e ti aiuto a ben vivere.

Con uguale Provvidenza, ti assisterò e ti aiuterò a ben morire.

Se non facessi questo, che Padre sarei?

DON NOVELLO PEDERZINI


lunedì 15 agosto 2022

CHIAMAMI PADRE

 


LA PREGHIERA DEI FIGLI: IL "PADRE NOSTRO"

«Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli". Ed egli disse loro: Quando pregate, dite:

Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male» (cf. Le 11, 1-4; Mt 6, 9-13)4

Dice Tertulliano: «l'orazione domenicale è veramente la sintesi di tutto il Vangelo.

Dopo che il Signore ebbe trasmesso questa formula di preghiera, aggiunse: "chiedete e vi sarà dato". Ognuno può dunque innalzare al cielo preghiere secondo i propri bisogni, però incominciando sempre con la Preghiera del Signore, la quale resta la preghiera fondamentale».


OSIAMO DIRE: PADRE

Nella Messa, prima della Comunione, la Liturgia ci invita alla recita del "Padre nostro", premettendo una significativa precisazione: "osiamo"!

Osiamo, perché?

Perché entrando nel mistero trascendente di Dio, siamo consapevoli dell'infinita distanza che ci separa da Lui.

Non avremmo il coraggio di chiamarlo Padre e di avvicinarci confidenzialmente a Lui se non ci avesse promossi alla dignità di figli e non ci avesse invitati a entrare nel suo dolce e consolante mistero!

Se osiamo è perché siamo divenuti figli, e, a pregare con noi, c'è il suo Figlio unigenito, col quale siamo divenuti una sola cosa!

Se osiamo, è perché lo Spirito Santo grida in noi: "Abbà, Padre", sostenendo e illuminando il nostro incontro col Padre!

Solo Gesù poteva superare la soglia della Santità divina!

Solo Lui, che, avendo "compiuto la purificazione dei peccati", poteva introdurci davanti al Volto del Padre e dirgli: "eccoci, ci sono Io e ci sono i figli che tu mi hai dato".

Il "Padre nostro" è così "la Preghiera dei figli di Dio"; la preghiera di coloro che, nel Figlio e col Figlio, hanno un audace, confidenziale, gioioso, filiale rapporto, sostenuto dalla certezza di essere amati.


IL PADRE NOSTRO: UNA PREGHIERA DA DIRE E DA FARE

Gesù, dandoci il "Padre nostro", ha tracciato la via della preghiera.

Il "Padre nostro" non e una preghiera "finita", ma uno schema per pregare.

Più che una preghiera già "confezionata", e una preghiera da sviluppare.

Più che una preghiera da "dire", è una preghiera da "fare". Il "Padre nostro" non lo si può solo recitare: bisogna pensarlo, penetrarlo, assimilarlo, perché è tutto un programma di vita.

Gesù, insegnandocelo, non ci ha messo solo delle parole sulle labbra, ma ci ha dato dei concetti da sviluppare con le nostre parole.

Il "Padre nostro" è la preghiera riservata ai discepoli: "insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli".

È il distintivo di appartenenza a Lui.

Per questo la Chiesa lo consegna solennemente al battezzato. Per questo possiamo dire che è la preghiera del nostro Battesimo!

È la preghiera dell"'uomo nuovo", che è rinato, in Cristo, alla vita divina, alla vita eterna.


sabato 15 gennaio 2022

CHIAMAMI PADRE

 


LE TRE PARABOLE DELLA PREGHIERA

 

1. L'amico importuno (cf. Le lì, 5-13), che insegna 1' insistenza con cui dobbiamo pregare. A chi prega così il Padre assicura di dare "tutto ciò di cui ha bisogno", e specialmente "il dono dello Spirito Santo".

2. La vedova importuna, che insegna la pazienza della fede, anche quando essa sembra inascoltata e inutile (cf. Le 18, 1-8).

3. Il fariseo e il pubblicano, che insegna l'umiltà del cuore, che spesso porta l'orante a dire semplicemente: "O Dio, abbi pietà di me" (cf. Le 18, 9-14).

 

GESÙ CI ASSICURA CHE LA PREGHIERA È SEMPRE ESAUDITA

 

La parabola dell'amico importuno non ammette dubbi: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto...

Quale padre tra voi se il figlio gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe?

O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?

Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono» (Le 11, 9-13).

Gesù ci dice sostanzialmente tre cose:

- ogni preghiera, espressa con fede, con fiducia, con perseveranza, è certamente esaudita.

- Dio, che è Padre infinitamente buono, accoglie sicuramente la preghiera dei figli: se essi, "che sono cattivi", sono sensibili alle richieste degli importuni, come non potrà esserlo Lui con i figli suoi, che Egli ama?

Egli però non sempre accorda ciò che i figli domandano: perché?

Evidentemente le richieste non sono per il loro vero bene. È certo comunque che non dà loro le cose che chiedono ma quelle che sono loro realmente necessarie.

Dice P. Pio: «se Dio ti concede la grazia richiesta, digli grazie; se non te la concede, digli ugualmente grazie: è tutto un gioco d'amore!».

 

COME CONCILIARE PREGHIERA E PROVVIDENZA?

 

Ora ci chiediamo:

- che senso ha pregare, quando tutto è stato deciso?

- qual è il compito della preghiera nello svolgimento di un disegno, che è già stato previsto dall'eternità?

a che serve pregare quando il Padre "già sa quello di cui abbiamo bisogno"?

Risposta: la preghiera non è

- un chiedere a Dio di cambiare la sua volontà nei nostri confronti;

e neppure il mezzo per informare il Padre delle nostre necessità, perché le conosce già (cf. Mt 6, 8);

  - o un alibi per dispensare dall 'agire, e per assumere un atteggiamento di passività e di distacco: «sarebbe uno scambiare la fede per superstizione».

È anzi dalla fede che si attinge la forza per compiere azioni impegnative e costruttive. Come quelle dei Santi!

La preghiera invece è:

- un chiedere al Padre l'aiuto per corrispondere con amore al suo piano provvidenziale su di noi: "sia fatta la tua volontà e non la mia" (cf. Me 14, 36);

- un uniformarci intimamente alla volontà divina; con una collaborazione rispettosa verso la sua decisione di volerci salvare e aiutare anche in dipendenza della preghiera.

Dio ha voluto far dipendere la realizzazione di determinate cose dal nostro desiderio e quindi dalla nostra preghiera.

Ed è per questo che lo Spirito Santo prega' in noi, suggerendoci ciò che è meglio chiedere per il nostro vero bene.

La preghiera diventa così una risposta alla grazia divina:

preghiamo perché Dio ci dà la grazia di pregare!

Con essa diventiamo corresponsabili del Progetto del Padre che ci vuole protagonisti liberi e attivi.

È un progetto:

- che onora Dio, e non lede i suoi diritti;

- che onora noi, che ci adeguiamo liberamente con la preghiera ai suoi voleri.

DON NOVELLO PEDERZINI


mercoledì 10 novembre 2021

CHIAMAMI PADRE

 


LA PREGHIERA DEI FIGLI: IL PADRE NOSTRO

Rivelaci, o Padre, il mistero della preghiera filiale di Cristo, nostro fratello e salvatore, e donaci il tuo Spirito, perché invocandoti con fiducia e perseveranza, come ci hai insegnato, cresciamo nell 'esperienza del tuo amore.

(Colletta della 27~ Domenica del Tempo ordinario)

 

La preghiera dei figli: il Padre nostro


UN NUOVO MODO DI PREGARE

Gesù, figlio del Padre, divenuto uomo per mezzo di Maria ha imparato a pregare con cuore di uomo.

Da chi ha imparato a pregare Gesù-uomo?

Anzitutto da sua madre, che serbava e meditava nel suo cuore le grandi cose che il Signore operava in lei (cf. Le 1, 49; 2, 19; 2, 51). E poi dalle parole e dai ritmi della preghiera del suo popolo. Ma la sorgente principale era il suo cuore, per quell'unione intima che, fin da bambino, sentiva col Padre.

A 12 anni, smarrito e poi ritrovato nel tempio, Gesù afferma di "doversi occupare delle cose del Padre suo", dimostrando di avere con Lui un rapporto profondo e personale (cf. Le 2, 49).

È con Lui che rinasce il modo nuovo di pregare.

Quella preghiera filiale che il Padre attendeva dai suoi figli viene finalmente espressa dallo stesso Figlio unigenito, nella sua umanità, con gli uomini e per gli uomini.

 

GESÙ PREGA

La preghiera accompagna Gesù sempre e ovunque, lungo tutto il suo cammino terreno.

Si ritira spesso in disparte, specie di notte, interrompendo talune conversazioni pur ritenute urgenti e importanti.

Prega a lungo, nella solitudine, solo col Padre (cf. Mc 1, 35; 6, 46; Le 5, 16).

Prega, pubblicamente, prima di compiere azioni salvifiche, nei momenti più decisivi della sua missione (cf. Le 5, 12; 22, 32; 9, 18-20).

A volte prega a voce alta, sia per chiedere al Padre determinate cose, sia per ringraziarlo anticipatamente per ciò che sta per ricevere (cf. Gv 11, 41-42).

Usa spesso brevi parole, ma talvolta prolunga la sua preghiera, per far comprendere il senso di ciò che sta facendo. Quando prega, usa spesso espressioni tolte dai Salmi, e che quindi erano note alle persone che lo ascoltavano.

E prega con un tale trasporto da far pensare non solo di essere profondamente unito al Padre, ma di essere perennemente con Lui, in un dialogo che non si interrompe mai.

La preghiera pubblica più lunga e più densa di significato èquella pronunciata da Gesù nel Cenacolo, nella cena di addio, e che è considerata come il suo testamento (cf. Gv 17).

 

GESÙ INSEGNA A PREGARE

Quando Gesù prega, già ci insegna a pregare.

Ma come un perfetto pedagogo, guida i suoi discepoli nella scoperta e nella pratica della preghiera, partendo dai contenuti dell'Antico Testamento e giungendo a perfezionarla alla luce della Rivelazione nuova.

Fin dal "Discorso della Montagna" insiste sulla conversione del cuore, come premessa per un'autentica preghiera. Essa consiste in determinati atteggiamenti, prima poco considerati:

-          riconciliati col fratello, prima di presentare la tua offerta (cf. Mt 5, 23-24);

-          ama i nemici e prega per i tuoi persecutori (cf. Mt 5, 44-45);

-          prega il Padre "nel segreto", senza sprecare parole (cf. Mt 6, 6-7);

-          perdona dal profondo del cuore (cf. Mt 6, 14-15); purifica il tuo cuore, nella ricerca del Regno (cf. Mt 6, 21. 25.33).

«Questa conversione è orientata al Padre: è filiale».

Il cuore, deciso a convertirsi e in questo atteggiamento filiale, incomincia a pregare:

- con fede, cioè con adesione filiale a Dio, al di là di ciò che sentiamo e comprendiamo.

Diventa possibile perché il Figlio ci ha aperto l'accesso al Padre, e ci permette di "cercare" e di "bussare", perché egli stesso è la porta e il cammino (cf. Mt 7, 7-11);

- con audacia, nella certezza di ottenere: «tutto è possibile per chi crede» (Me 9, 23);

- con piena adesione alla volontà divina: «Non chiunque mi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7, 21).

E con la determinazione di collaborare al disegno divino, che si attua con l'apporto di tutti e di ciascuno (cf. Mt 9, 38; Le 10, 2; Gv4,34);

- in comunione con Gesù, e anzi in suo nome: «Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena» (Gv 16, 24).

E per una preghiera fatta così, il Padre dona "l'altro Consolatore, lo Spirito di verità", che "rimane con noi" per illuminarci e sostenerci nella nostra preghiera e nella nostra vita filiale (cf. Gv 14, 16-17).

DON NOVELLO PEDERZINI


giovedì 30 settembre 2021

CHIAMAMI PADRE

 


NELLA SOFFERENZA RISPLENDONO LA SAPIENZA E L'AMORE DEL PADRE

 

Ed ecco il mistero!

Ma perché Dio, che aveva tante possibilità di scelta, ha voluto scegliere proprio il dolore come mezzo di salvezza e di vita? Perché ha scelto uno strumento tanto scomodo non solo per noi ma anche e soprattutto per il suo Figlio divino?

Come conciliare dunque sofferenza e Provvidenza?

Risponde S. Agostino: «tutto ciò che quaggiù ci accade contro la nostra volontà, non accade che per volontà di Dio, per disposizione della Provvidenza, per i suoi decreti e sotto la sua direzione.

E se, considerata la debolezza della nostra mente, non possiamo cogliere la ragione di questo o di quell'avvenimento, attribuiamolo alla Divina Provvidenza, facendole l'onore di riceverlo dalle sue mani.

E crediamo che non è senza ragione che essa ce lo manda!».

E il Manzoni aggiunge: «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per procurarne loro una più certa e più grande». Ecco allora l'unica soluzione possibile e ragionevole: accettare la volontà divina, comunque essa si manifesti, facendole credito, nella sicura convinzione che ciò che proviene da essa è sempre e solo per il nostro bene.

Un giorno vedremo come e perché!


L'IMMENSO BENE CHE NASCE DALLA SOFFERENZA ACCOLTA CON AMORE

Sul piano soprannaturale, tutti i battezzati formano, con Cristo, un corpo solo.

In ciascuno palpita la vita della grazia, che viene trasmessa dal Capo.

Tutto quello che appartiene a uno, entrando nel circuito divino del Corpo, viene comunicato all 'intero Corpo, nel bene e nel male.

Tutti però devono vivere in sé il mistero del Capo, che sarà veramente completo solo quando tutti avranno dato il loro contributo di amore e di sofferenza.

Ciascuno quindi, con la sua sofferenza, "completa la passione di Cristo" (cf. Col 1, 24), e rende perfetto e maturo l'intero Corpo.

La sua sofferenza diviene indispensabile e preziosa per la salvezza e la crescita del Corpo di Cristo, che è la Chiesa.

Sul piano naturale, nulla come la sofferenza agisce sull'uomo con insostituibili effetti che potremmo chiamare "le beatitudini del dolore".

Il dolore:

-      conduce alla scoperta di noi stessi;

-      ci matura;

-      affina ed eleva lo spirito;

-      abilita alla comprensione degli altri;

-      espia i nostri errori e peccati;

-      è il messaggero e l'alleato di Dio.

Sono "beatitudini" naturali che ci aiutano a capire la razionalità e l'utilità del dolore, ma non ci danno quella piena luce alla quale aspiriamo.

E per questo il Concilio Vaticano Il dice: «solo per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del Vangelo ci opprime».

«Gesù di Nazaret rischiara per noi il senso del mondo, non istruendoci sulla sua legge e sui suoi misteri, ma dandoci fiducia sul suo fondamento, quella fiducia che i credenti affermano dicendo "Padre nostro"».

«Questo dunque è il senso veramente soprannaturale e insieme umano della sofferenza. E soprannaturale perché ci radica nel mistero divino della Redenzione del mondo; ed è altresì umano perché in esso l'uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione».


giovedì 26 agosto 2021

CHIAMAMI PADRE

 


GESÙ NON ABOLISCE MA PRENDE SU DI SÉ LA SOFFERENZA UMANA

 

Gesù è l'immagine del Padre che in Lui si fa visibile. Facendosi uomo, avrebbe potuto eliminare ogni sofferenza in sé e negli altri, attraverso tanti modi, non esclusi i miracoli.

E invece, proprio per realizzare il suo piano di salvezza, ha scelto la via della sofferenza fisica e del dolore morale.

Non fu solo in mezzo ai malati per lenire le loro sofferenze e per confortarli, ma

- fu addolorato,

- fu messo alla prova,

- fu tentato,

- fu tribolato Lui stesso.

E apparve fra gli uomini come "l'Uomo dei dolori", come Colui che assommava in sé tutto ciò che nel mondo si può soffrire, così che nessuna sofferenza gli si potesse dire estranea o incompresa.

E la sua Croce divenne il simbolo e la sintesi delle infinite piccole e grandi croci disseminate in tutte le vie e in tutti i cuori della terra.

Lui, innocente, soffrì come e più di tutti, non per espiare i peccati che non aveva, ma per operare, con l'altissimo valore della sua sofferenza, la salvezza attesa.

Si fece esempio e punto di riferimento di tutti gli afflitti, promettendo loro aiuto, consolazione, autorevole presenza:

«Beati gli afflitti perché saranno consolati» (Mt 5, 4); «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò... Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 28.30).

DON NOVELLO PEDERZINI


giovedì 29 luglio 2021

CHIAMAMI PADRE

 


DIO, IL PADRE DEI POVERI E DEI SOFFERENTI


GIOBBE E TOBIA


La Bibbia, che nel suo insieme è stata definita "un grande libro sulla sofferenza", già nell'Antico Testamento presenta molte descrizioni impressionanti di vicende, situazioni e persone immerse nelle sofferenze più varie e sconvolgenti.

Due casi-limite molto significativi: Giobbe e Tobia.~ Giobbe è un uomo giusto che soffre atrocemente. Senza sua colpa, perde i figli e tutti i suoi beni; e infine viene colpito egli stesso da una grave e ripugnante malattia.

Gli amici lo ritengono colpevole. Ai loro occhi, la sofferenza può avere un solo senso: è una giusta pena per i suoi peccati!

Interviene Dio, ma non dà la soluzione del problema. Solo afferma che l'uomo non ha diritto di chiedergli il perché dei mali che lo colpiscono.

Giobbe accetta con umiltà, ovviamente senza capire. Riesce a capire che deve accettare le sue sofferenze e che non può pretendere di avere una risposta definitiva.

Tobia, in forma più semplice, propone lo stesso tema. Egli è divenuto cieco, e la moglie gli dice: "dove sono le tue elemosine? Dove sono le tue opere buone? Ecco... lo si vede bene da come ti sei ridotto!".

Più oltre però si dice che, appunto perché era giusto, era necessario che subisse una grande prova!

Non c'è dunque ancora una chiara rivelazione sul perché della sofferenza, e di una sua ricompensa nella vita futura.

Nei Salmi si susseguono considerazioni diverse e alterne, ma in essi già si accentua la certezza:

- che la sorte del giusto sarà diversa da quella del malvagio,

  - che è meglio soffrire con Dio che contro di Lui,

- che un giorno Dio "potrà riscattare il giusto e strapparlo dalla mano della morte" (cf. Salì; 49, 15-16; 53; 37; 73). La prima luce del Nuovo Testamento non è lontana!


IN GESÙ LA SOFFERENZA È VINTA DALL'AMORE


È con Gesù che il mistero viene ad assumere una sua luce piena e convincente.

È Lui a rivelarci l'infinito amore del Padre che proprio nella sofferenza e attraverso la sofferenza, realizza i suoi progetti.

Seguiamo Gesù nel suo incontro col mondo della sofferenza.


1. Gesù è sempre circondato da sofferenti e da malati.

Matteo: «Gesù andava intorno per tutta la Galilea... predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità del popolo» (Mt 4, 23). Luca: «Tutta la folla cercava di toccarlo perché usciva da lui una forza che sanava tutti»; «Al calar del sole tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva» (Le 6, 19; 4,40).

Dunque: un mondo di malati circonda ovunque Gesù. Sono tanti e non danno tregua: lebbrosi, paralitici, zoppi, idropici, ciechi, sordi, muti, storpi, indemoniati... Malati nel corpo e nello spirito.

Sono insistenti, petulanti, ossessivi. Non lasciano in pace Gesù. Ciascuno vuole poterlo avere per sé, per interessarlo al suo particolare problema.

2. Come si comporta con essi?

-       Con un grande senso di pietà e di compassione;

-          con atteggiamento di simpatia, e non di rifiuto;

-          con un trattamento uguale per tutti, senza distinzioni;

-          con un tocco personale di amore, che si traduceva in gesti di tenerezza;

-       a volte, con interventi straordinari miracolosi.


Mai reazioni nervose, mai parole meno che dolci e gradevoli; mai processi alle intenzioni, mai ricerche di colpe e responsabilità...; ma per tutti: interessamento, rispetto, disponibilità.

A Pietro che domanda: «chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?», Gesù, con una risposta che preclude la via a ogni discussione, risponde: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio» (Gv 9, 2-3).


3. A volte compie miracoli.

E perché non sempre e per tutti?

Evidentemente perché non era questo lo scopo della sua missione! I veri miracoli compiuti, (pochi in confronto alle richieste!) non sono direttamente finalizzati soltanto a guarire qualche malato, anche per questo, ma soprattutto per dare autorevolezza e sostegno alla sua Persona e al suo messaggio.

Attraverso i miracoli Gesù vuol dimostrare di essere venuto per salvare gli uomini e non per guarirli dai loro malanni.

Gesù si presenta come il Salvatore dell'uomo: dell'uomo tutto intero, anima e corpo, dell'uomo bisognoso di essere liberato dal peccato e di essere reso partecipe della vita divina; dell'uomo destinato alla vita eterna.

La salute fisica può entrare nel piano della salvezza globale dell'uomo, ma resta un aspetto limitato e transitorio.

Ecco perché


4. a tutti, indistintamente, dà una "cura su misura Ed è la cura dello spirito.

L'espressione "li curava tutti" va presa quindi in senso spirituale e morale: una cura su misura per tutti e per ciascuno, comunicata attraverso quel tocco personale rivolto alla persona che lo cercava.

Una cura che aiutava il sofferente a comprendere il significato e il valore del dolore e a sollevarlo nel suo arduo compito di portare la croce.

Una cura che doveva aiutare il malato ad accogliere e a valorizzare il suo dono: quello appunto del soffrire!

venerdì 21 maggio 2021

CHIAMAMI PADRE

 


DIO, IL PADRE DEI POVERI E DEI SOFFERENTI

O Padre, che scegli i piccoli e i poveri per farli ricchi nella fede ed eredi del tuo regno, aiutaci a dire la tua parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore, perché si sciolgano le loro lingue, e tanta umanità malata, incapace perfino di pregarti, canti con noi le tue meraviglie.


COME CONCILIARE LA PROVVIDENZA DEL PADRE CON LA SOFFERENZA DELL'UOMO?

Domanda: se Dio è onnisciente e onnipotente, come conciliare la sua Paternità, con la triste realtà della sofferenza, soprattutto quella nei piccoli e negli innocenti?

Come conciliare la Provvidenza con la sofferenza?

Cosa pensare di un Padre che si definisce onnipresente e provvidente e che sembra

- tanto lontano,

- tanto assente,

- tanto indifferente,

-          tanto muto,

-          tanto distaccato dalla realtà di un mondo nel quale sembrano trionfare solo il male, il peccato, l'ingiustizia, l'arroganza, la morte?

Il problema angoscia tutti, e proprio perché «il mondo è radicato nella sofferenza», urge dare una risposta, «se non si vuole che la fede si tramuti in una droga consolatoria o in una superstizione paurosa e infantile».


QUANTI MALI!

È difficile compilare un elenco dei molti mali che, da sempre, affliggono gli uomini, anche perché le sofferenze, specie quelle morali, acquistano diverse forme a seconda del carattere e della sensibilità di ciascuno.

S. Agostino afferma che, nell'antichità, i termini usati per indicare la felicità erano 288; ma quelli usati per indicare le varie forme di sofferenza erano oltre 400!

E commenta: «la vita presente è un pellegrinaggio faticoso, di incerta durata, pieno di miserie e intessuto di errori. Tutti i mali vi si danno convegno fino alla morte, e se la felicità vi appare, è solo per far sentire la sua assenza».

E stando così le cose, è davvero fallimentare la condizione dell'uomo, perché:

-          è creato per la vita e sa che deve morire,

-          è alla ricerca della gioia e non trova che sofferenza,

-          cerca l'amore e deve vivere in un mondo di odi e di divisioni,

-          aspira alla giustizia ed è circondato da tante ingiustizie,

-          vuole la pace ed è oppresso dalla guerra.

Come dunque conciliare questi opposti? Come ammirare la sapiente Provvidenza del Padre? Come continuare a dare credibilità a un Dio che sentiamo tanto lontano dai nostri problemi?

 

ALCUNI TENTATIVI DI SOLUZIONE

Lungo il corso della storia sono state tentate tante risposte e tante soluzioni ma esse sono risultate tutte parziali, provvisorie, inutili, e incapaci di dare senso e scopo al dramma della vita.

Nonostante le mille interpretazioni filosofiche e le mille scoperte mediche e scientifiche, il dolore resta il compagno fedele e il denominatore comune di ogni esistenza umana.

Il problema non ha che due alternative:

- o ammettere che tutto è assurdo;

- o accettare la presenza del mistero.

Alcuni affermano: il dolore è un assurdo, è cioè una realtà inspiegabile, che non ha alcun fondamento razionale. E inammissibile l'esistenza di un Dio creatore e provvidente, perché se esistesse, avrebbe già eliminato tutto ciò che si oppone alla sua bontà.

L'uomo non ha che una strada: soggiacere a un destino crudele e trascinare, con sofferta rassegnazione, un'esistenza che non ha senso e scopo.

Altri dicono: il dolore non è un assurdo, ma semplicemente un mistero.

L'assurdo è una contraddizione in termini (come ad es. un cerchio quadrato).

Il mistero è una verità del tutto superiore, ma non contraria alla nostra mente, e che noi accettiamo non per l'evidenza della cosa rivelata, ma per l'autorità infallibile di colui che ce la rivela.

Il dolore, dicono, non è un assurdo, ma un mistero. Non esclude Dio, ma lo interpella perché dia una risposta accettabile all'uomo che, da solo, non sa rendersi conto della presenza del male e del dolore.

 

L'UNICA SOLUZIONE RAGIONEVOLE VIENE DALLA FEDE

Noi ci accostiamo al mistero della sofferenza attraverso la via della Fede, perché essa è la sola che può garantirci l'assoluta verità di ciò che propone.

È troppo arduo il problema per accontentarci di opinioni umane sempre parziali e contraddittorie!

Abbiamo bisogno di sapere con certezza assoluta che cosa si nasconde dietro il buio dell'immenso dolore dell'umanità. Abbiamo bisogno di sapere chi è l'invisibile Regista che guida, dietro la scena, il susseguirsi delle vicende umane.

Abbiamo bisogno di sapere i criteri che ispirano i suoi interventi spesso per noi tanto strani e incomprensibili.

Ci accostiamo così all'unica fonte del nostro sapere.

Ovviamente, con l'umiltà dovuta e con quel senso dei nostri limiti che allontana ogni atteggiamento di meschina arroganza.

Affidiamo alla divina Rivelazione la soluzione del mistero.

DON NOVELLO PEDERZINI