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mercoledì 19 marzo 2025

Commento all‟Apocalisse

 


SEZIONE PRIMA  SUL CAPITOLO OTTAVO DELL’APOCALISSE 

 I quattro primi Angeli, che suonarono la tromba. 


§. II.  

I primi due angeli, che suonarono la tromba. 

Cap. VIII. v. 7-9  


I. I quattro angeli, che suonano la tromba, e a cui sono dedicati i due seguenti paragrafi, designano quattro eresiarchi che mossero una grave guerra alla Chiesa di Cristo (dopo che questa aveva sconfitto i terribili nemici giudei e pagani) riguardo alla natura della SS. Trinità, della Divinità di Cristo e dello Spirito Santo, l‟Umanità, la Persona e la Natura, la Volontà del Verbo Incarnato ecc. Questi quattro angeli indicano poi il complesso di tutti gli altri eretici che trassero origine da quei caporioni e che si fondarono sui loro errori. Sono quattro a similitudine dei quattro animali, figura degli Evangelisti, in quanto, come la verità del Vangelo è stata diffusa nelle quattro parti del mondo, così anche la zizzania delle eresie, Dio permettendolo, si è sparsa nel mondo. Il demonio, infatti, il serpente antico, è la scimmia e il padre degli eretici e dei mentitori, il quale cerca vanamente di imitare Cristo Signore per distruggere la verità rivelata. Suonar le trombe significa intimar la guerra e chiamare a battaglia, come anche promulgare e render noto qualcosa. Significato che conviene agli ultimi [pessimi] tre angeli, e più tardi ai quattro eretici, che pieni di superbia, sparsero nel mondo al loro tempo i loro falsi dogmi. Quindi dice: 

 Vers. 7. E il primo angelo dié fiato alla tromba. Si allude ad Ario, prete della città di Alessandria, che nell‟anno 315, durante l‟episcopato di Alessandro, essendo Imperatore Costantino il Grande e Sommo Pontefice Silvestro, si levò, insegnando che il Figlio di Dio è simile al Padre soltanto di nome, ma non nella sostanza. Contro tale eresia fu convocato il primo Concilio di Nicea, una dei quattro principali Concili, sottoscritto da 318 vescovi cattolici, che condannò Ario, Fotino, e Sabellio, e benché tali errori siano spuntati prima del regno di Giuliano e dei suoi successori e dell‟avvento al pontificato di S. Damaso, tuttavia, più tardi assurse a grande fama, in quanto ebbe la massima diffusione in tempi successivi e si mantenne a lungo, al punto che – come si legge nel Breviario Romano nella festa di S. Damaso l‟11 dicembre – tutta la Chiesa ne gemette, e il mondo  si accorse con stupore di essere divenuto ariano. E venne grandine e fuoco mescolato con sangue, e furon gettati sulla terra. E la terza parte della terra fu arsa, e la terza parte degli alberi furono arsi e ogni erba verde fu arsa. Seguono le calamità, le disgrazie indicibili e i disastri che la Cristianità dovette patire a causa di tal trombettiere. E venne grandine, una grande tempesta, che vien designata volgarmente col nome di „grandine‟, e a causa della quale la Chiesa si trovò divisa, come è narrato al Cap. X della Storia Ecclesiastica. A seguito di tale sconvolgimento il volto della Chiesa  era oltremodo deturpato e sfigurato, essendo devastato, infatti, a differenza di prima in  cui i nemici erano esterni, dai propri e dai  nemici interni. L‟uno cacciava via l‟altro, ed entrambi si dicevano cattolici. Proprio della grandine è distruggere e devastare fiorentissimi pascoli, messi ubertose, vigne, fiori, alberi e frutti. Così fece l‟eresia di Ario, che distrusse e deturpò la Chiesa di Cristo che al tempo di Costantino il Grande era fiorentissima. E fuoco mescolato con sangue delle contese: ovvero che questi due flagelli, grandine e fuoco, provocarono un grande spargimento di sangue, soprattutto al tempo dell‟Imperatore Valente, che caduto in questa eresia, perseguitava i cattolici, gli uni gettandoli alle fiamme, gli altri, facendoli morire di spada, altri affliggendoli con altri generi di supplizi. E fu gettato sulla terra, in quanto questa eresia contaminò quasi tutta la terra, si propagò ovunque, durò a lungo, e fu accettata davvero da tutti. Per cui prosegue: E la terza parte della terra fu arsa, e la terza parte degli alberi furono arsi e ogni erba verde fu arsa. Tali parole alludono alla caduta dei Cristiani nell‟eresia di Ario e la diminuzione della Chiesa. Qui S. Giovanni parla della terza parte della Cristianità, di cui un terzo sia di laici sia del popolo, fu corrotto dal fuoco dell‟eresia ariana, qui designati dal termine terra, in quanto si dedicano alle professioni mondane e al commercio. E la terza parte del ceto ecclesiastico, indicata dagli alberi, in quanto per la cognizione delle sacre scritture e delle cose celesti si elevano al di sopra degli altri ecc. e lo stesso dicasi per la vita e i costumi, in quanto a suo tempo devono dare frutti soprannaturali, e spuntino foglie e fiori di buoni esempi. S. Ilario scrive al riguardo che 105 vescovi ai suoi tempi caddero nella perfidia dell‟eresia ariana. Aggiunge significativamente E ogni erba verde. Si allude ai Goti da poco disposti a ricevere il Cristianesimo. Questi chiesero all‟Imperatore Valente che inviasse loro dei sacerdoti Cristiani, perché insegnassero loro la fede cattolica. Valente – che aveva aderito all‟arianesimo – mandò loro dei preti eretici, che corruppero i Goti con l‟eresia. Fu davvero una grande perfidia, che venne ripagata dai medesimi Goti bruciando vivo Valente, nell‟anno 378, in uno squallido tugurio. 

 II. Vers. 8. E il secondo angelo suonò la tromba. Costui è Macedonio, Patriarca di Costantinopoli, che volle trattare dello Spirito Santo e finì col bestemmiarlo, insegnando che era una mera creatura e servo del Figlio. Apparve nell‟anno 360. Contro questo errore si tenne il Secondo Conci-lio Ecumenico, uno dei quattro principali, a Costantinopoli, che fu sottoscritto da 150 vescovi du-rante l‟Impero di Graziano e Teodosio e il Pontificato di Papa Damaso nell‟anno 381. E come una gran montagna ardente per fuoco fu gettata nel mare. Questo eresiarca e la sua eresia sono para-gonati qui ad un gran monte ardente di fuoco per la sua pessima superbia, ambizione e malizia, per cui si gonfiava e ardeva a guisa di un gran vulcano, glorificando se stesso per i suoi errori, con cui negava la comune divinità e consustanzialità col Padre allo Spirito Santo, mentre Ario in preceden-za aveva negato tali attributi al Figlio. Lo si dice ardente di fuoco, poiché, privato dell‟episcopato, bruciava e fiammeggiava d‟invidia, iracondia e livore, per cui, conducendo vita ritirata in un luogo di Costantinopoli detto i Chiostri, diede la stura, senza tener chiusa la bocca, ad ogni genere di be-stemmie contro lo Spirito Santo. Fu gettato nel mare. 1°. Qui il mare indica la SS. Trinità delle Persone e l‟unità della loro essenza divina. Come il mare, infatti, è insondabile, così e molto di più il mistero della SS. Trinità è imperscrutabile. E come dal mare si originano tutti i fiumi, le sorgenti e le acque, e tutte poi a lui tornano. Così da Dio Uno e Trino deriva ogni bene e a Lui poi fa ritorno. 2°. Il mare qui indica anche lo Spirito Santo. Come il mare vivifica e conserva in vita creature di ogni genere, che al di fuori di lui perirebbero; così il mare è lo Spirito Santo, che vivifica, dal quale tutti riceviamo la vita dell‟anima col battesimo e in lui la conserviamo e viviamo, e senza i suoi ri-voli d‟acqua (ossia la Grazia antecedente, susseguente e concomitante) tosto moriamo. 3°. Il mare è anche simbolo della Chiesa, in ragione del Battesimo. Come il mare, infatti, è il contenitore di tutte le acque, così la Chiesa è la riunione dei fedeli per il sacramento del battesimo. 4°. Indica anche il mondo che, come il mare, è scosso dalle onde delle tentazioni, è instabile e mescola in se buoni e malvagi, come il mare ha pesci buoni e cattivi. In tutte queste varie accezioni qui si dice che questa montagna fu gettata nel mare come facilmente comprenderà il lettore. E la terza parte del mare diventò sangue. 1°. Sangue sta qui per la corruzione che da questa eresia si riversò all‟esterno se-condo il suo apparire esteriore a danno dell‟onore dello Spirito Santo e anche rispettivamente della SS. Trinità e della Chiesa. 2°. Va inteso anche in senso proprio, in quanto a causa di questa eresia e di quella ariana molto sangue cristiano fu versato nel mondo, come attesta la storia ecclesiastica. 

Vers. 9. E morì la terza parte delle creature che son nel mare, ossia della Cristianità. Si di-ce che è morta in riferimento alla vita dell‟anima che consiste nella vera fede e nella carità nello Spirito Santo, essendo membri della vera Chiesa cattolica di Cristo, nella quale solo vi è la vita so-prannaturale e separandosi dalla quale per aderire all‟eresia, si trova la morte. Come infatti, i pesci, al di fuori del mare, possono stare in vita per poco, così, a maggior ragione, le anime possono vivere e salvarsi fuori della Chiesa Cattolica. La terza parte: qui il determinato va sempre inteso come in-determinato, ovvero indica un numero grande e notevole. E la terza parte delle navi andò in rovina. Gran parte dei prelati e dei parroci, che avrebbero dovuto condurre gli altri al porto della sal-vezza, erano stai corrotti dagli errori in parola. 

Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser 

venerdì 31 gennaio 2025

Commento all‟Apocalisse - L‟apertura del settimo Sigillo

 


SEZIONE PRIMA  SUL CAPITOLO OTTAVO DELL’APOCALISSE 

 I quattro primi Angeli, che suonarono la tromba. 

 

§. I.  

L‟apertura del settimo Sigillo  

Cap. VIII. v. 1-6. 


I. Con l‟apertura dei sei precedenti Sigilli fu descritto il combattimento della Chiesa contro i Giudei e i pagani. Con l‟apertura del settimo Sigillo si passa invece alla descrizione della guerra tra la Chiesa e i principali eresiarchi e i loro fautori, i quali sono tutti, fino alla fine del mondo, annoverati sotto questo ultimo Sigillo. Sotto il medesimo è anche aggiunta la breve indicazione della persecuzione di qualche tiranno, come l‟Imperatore Giuliano l‟Apostata, o quella suscitata dai discendenti di Costantino Magno. Segue quindi: 

 Vers. 1. E quando ebbe aperto il settimo Sigillo, ossia quando il Signore Dio rivelò a S. Giovanni le altre persecuzione della Chiesa che avrebbe permesso accadessero fino alla fine del mondo. Si fece silenzio nel cielo per una mezz‟ora circa. Questo silenzio simboleggia la nuova tristezza, orrore e costernazione scagliata contro la Chiesa da Giuliano l‟Apostata, ma poiché, per una singolare disposizione e protezione di Dio, questo tiranno regnò per breve tempo, si dice che il silenzio si fece per una mezz‟ora circa. L‟espressione „farsi silenzio‟ si usa quando tutti inorridiscono, tremano e sono attoniti per l‟imminenza di mali grandi e nuovi, che al tempo dell‟Imperatore Giuliano colpirono improvvisamente la Chiesa di Cristo, per questo aggiunge: si fece silenzio nel cielo, ossia nella Chiesa militante. Giuliano, infatti, dopo aver professato fino ai vent‟anni la fede cristiana, e dissimulando per dieci per timore di Costanzo, fin dal primo anno di regno, ormai liberato da ogni paura, rinnegò solennemente il Cristianesimo, e fattosi iniziare con riti nefandi al Sommo pontificato pagano (di cui fa menzione il sacerdote Prudenzio nel suo inno romano) ordinò di aprire i templi degli dei, e di compiervi sacrifici. Volle poi divenire sacerdote dei misteri eleusini. Tentò inoltre di sostenere finanziariamente la ricostruzione da parte dei Giudei del tempio di Salomone distrutto da Tito. Per contro ordinò di chiudere le chiese cristiane. Proibì che il divino ufficio vi fosse solennemente celebrato, e così si fece silenzio nel cielo. Ma Dio non tollerò a lungo questo scellerato persecutore della sua Chiesa. L‟anno 363, infatti, dopo un regno di appena un anno e sei mesi, morì per una grave ferita ricevuta durante la guerra contro i Parti. Per cui dice: per una mezz‟ora circa, poiché dopo la sua morte furono aperte le Chiese cristiane e chiusi i templi degli idoli, e la religione di Cristo cominciò a prosperare sotto i suoi successori Gioviano e Valentiniano e sotto il Sommo Pontefice S. Damaso. 

 II. Vers. 2. E vidi i sette angeli che stavano al cospetto di Dio, e furono date loro sette trombe. Di questi sette Angeli e delle loro trombe si dirà più sotto. 

Vers. 3. E un altro Angelo venne e si fermò all‟altare. Questo altro Angelo è Papa S. Damaso, che vien detto „altro‟, ossia completamente opposto ai precedenti. È posto tuttavia in mezzo agli altri, poiché alcuni dei sette Angeli lo precedettero, molti, anzi, quasi tutti vennero dopo di lui, prima son detti stare al cospetto di Dio e ricevere le trombe, solo poi invece suonarle. E un altro Angelo venne, costui è proprio S. Damaso, che fu infatti scelto per salire al Papato. E si fermò all‟altare, ovvero vi fu anche confermato e stabilito. Occorre infatti sapere che, quando S. Damaso fu eletto Papa, ebbe un competitore, tale Ursicino Diacono, che gli venne preferito nella Basilica detta di Licinio, dove molti di entrambe le fazioni vi persero la vita, poiché quella elezione fu trattata più con le armi che con i suffragi. Tuttavia, dopo poco tempo, sacerdoti e popolo si accordarono e S. Damaso fu confermata legittimo Papa, mentre il suo avversario Ursicino fu confinato nella diocesi di Napoli. Per questo qui si dice: E un altro Angelo venne e si fermò all‟altare, governando cioè la Chiesa di Dio, simboleggiata dall‟altare, dove ogni giorno nel sacrificio della Messa Gesù Cristo viene immolato, comunicato e offerto in sacrificio incruento e propiziatorio al Padre celeste. Avendo un turibolo d‟oro, ovvero una grandissima devozione, sapienza e carità, cose che sono metaforicamente simboleggiate nel fumo, oro e fuoco contenuti nel turibolo, e in cui questo Papa eccelse. Approvò infatti la traduzione della Bibbia di San Girolamo, e prescrisse che nella Messa venisse recitato il Credo Costantinopolitano al posto di quello di Nicea. Sostenne i corepiscopi, edificò nuove chiese, accrebbe il fasto del culto divino, e prescrisse che in tutte le chiese i salmi fossero cantati, notte e giorno, da cori alternati, aggiungendovi alla fine sempre un Gloria al Padre. E gli furono dati molti aromi, indica i frutti della saggezza di questo Papa, ossia il grandissimo incremento del culto divino e della religione in tutta la Chiesa di Cristo, sia tra il popolo, sia tra gli ecclesiastici. E gli furono dati molti aromi, che indica l‟aumento delle preghiere dei servi di Dio che si verificò allora nella Chiesa, giusta il Salmo 140, 2: Salga la mia preghiera come incenso al tuo cospetto. Si dice che gli furono dati, nel senso che egli ne fu il promotore, avendo ottimamente istituito con la sua autorità apostolica l‟ordine del culto divino, mediante al quale incrementarono assai in tutto l‟orbe cattolico lo spirito d‟orazione e la devozione cristiana.  Perché ne impregnasse le orazioni di tutti i santi sull‟altare d‟oro che è davanti al trono di Dio. Con tali parole si indica l‟ufficio del Sommo Pontefice, ossia promuovere e conservare il culto divino da sé e per mezzo dei suoi subordinati, e indirizzare verso Dio la devozione di tutto il popolo cristiano, essendo egli il capo della Chiesa universale. Perché ne impregnasse ecc., ossia per riferire e rappresentare l‟aumento che con la sua autorità, sapienza, e apostolica devozione al culto divino nella cristianità aggiunse per la maggior glo-ria di Dio, dopo la mala morte dell‟empio tiranno Giuliano. Sull‟altare d‟oro, che è l‟umanità di Cristo, ossia dell‟Agnello che sta al cospetto del trono, e per mezzo del quale sono offerti, esauditi e resi accetti a Dio Padre tutti i nostri meriti e le nostre preci; in Lui infatti si fondano tutti i nostri meriti e le nostre preghiere, e per il Suo tramite sono da Dio Padre accettate, e senza di Lui non hanno valore alcuno, né quella compiacenza data dall‟amicizia al fine del conseguimento della vita eterna. Per cui prosegue: 

Vers. 4. E salì il fumo degli aromi, per le orazioni dei santi, dalla mano dell‟Angelo al cospetto di Dio. Fu assai ben accetto alla divina maestà questo aumento del culto sacro, che si verificò per l‟operosità, l‟industria, la sapienza e la devozione di questo Santo Papa, il quale qui è figura della Chiesa universale. 

Vers. 5. E l‟angelo prese il turibolo e lo riempì col fuoco dell‟altare e lo gettò sulla terra, e seguirono tuoni e voci e lampi e gran terremoto. Segue la descrizione di un‟altra grande e buona opera che avvenne durante il pontificato di questo Papa, ossia il Concilio Ecumenico di Costantinopoli, nel quale centocinquanta Padri definirono la vera natura divina dello Spirito Santo contro le eresie dell‟empio Macedonio e di altri che negavano la sua divinità, come Ario in precedenza aveva negato quella di Cristo. E l‟angelo, ossia S. Damaso prese il turibolo dell‟anatema, che è il Concilio Ecumenico, dove i cuori e le volontà di tutti i Padri sentono all‟unanimità e sono moralmente un cuore solo, come è rappresentato dal turibolo sopra citato. E lo riempì col fuoco dell‟altare, della divinità dello Spirito Santo, che viene designato dal fuoco. Qui dice che lo riempì col fuoco dell‟altare, perché col consenso universale di tutta la Chiesa, di cui è simbolo l‟altare, il Pontefice, in quanto capo supremo e giudice nelle controversie di fede, dichiarò questa verità sulla vera natura divina dello Spirito Santo. E lo gettò sulla terra, lo rese pubblicò e promulgò in tutto il mondo contro Macedonio e i suoi seguaci, definendo con un pronunciamento infallibile che lo Spirito Santo è veramente Dio. E seguirono tuoni, scomuniche, e voci, dichiarazioni di fede sullo Spirito Santo, e lampi, le pene comminate agli scomunicati se avessero ancora pensato o insegnato diversamente da quanto solennemente definito; e gran terremoto, un grande turbamento e commozione riguardo a tali cose. E lo gettò sulla terra, contro gli eretici Macedoniani, i quali avevano dello Spirito Santo una concezione terrena e svilita. E seguirono tuoni, le sante predicazioni sulla vera natura dello Spirito Santo. E voci di lode divina su di Lui. E lampi, gli splendidi miracoli che avvennero per suo mezzo. Così i cuori degli uomini furono mossi a ben intendere la natura dello Spirito Santo. 

Vers. 6. E i sette angeli che avevano le sette trombe s‟accinsero a suonar le trombe. Chi e quali siano questi sette angeli sarà spiegato nel paragrafo seguente. 

Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser 

domenica 10 novembre 2024

Commento all‟Apocalisse

 


§. II. 

La consolazione della Chiesa trionfante di Cristo  

sulle persecuzioni e le vittorie che i SS. Martiri riportarono su di esse. 


Cap. VII. v. 9-17. 


I. Vers. 9. Dopo questo vidi una gran folla, che nessuno poteva contare, di tutte le genti, e tribù e popoli e lingue, che stavano di faccia la trono e di faccia all‟agnello, rivestiti di bianche vesti, e con palme nelle loro mani. Le parole sopra riportate esprimono e rivelano la beatissima condizione di tutti i SS. Martiri nella Chiesa trionfante, i quali al tempo di Diocleziano e dei prece-denti persecutori, attraverso varie e differenti morti e tribolazioni, passarono alla vita immortale. Questa visione è di consolazione e conforto a tutti gli altri soldati di Cristo, che fino alla fine del mondo, patiranno nella Chiesa militante per la fede, l‟onore e la giustizia del Signore Dio. Dopo questo, ovvero seguendo l‟ordine della rivelazione, vidi una gran folla, di Martiri e Santi di Dio, che nei primi trecento anni dopo la Passione di Cristo, passarono alla gloria celeste. Che nessuno poteva contare: si pone un numero infinito, per indicare la sterminata moltitudine dei SS. Martiri che passarono in quei trecento anni alla vita eterna. Di tutte le genti, e tribù e popoli e lingue: que-sti quattro vocaboli significano che uomini di ogni popolo, di ogni parte del mondo, passarono co-me detto alla vita eterna, in quanto nessun uomo è escluso dalla gloria celeste. Che stavano di fac-cia la trono: quest‟espressione indica la condizione dei santi, che è la chiara visione di Dio, il ripo-so e l‟eterna stabilità. Si dice poi che stavano di faccia la trono, per indicare il riposo da ogni fatica nella visione beatifica di Dio. E di faccia all‟Agnello, questo denota il gaudio dei beati per la visio-ne dell‟umanità di Cristo, che godranno in eterno. Come infatti i beati si ricreeranno internamente della visione della divinità, così esternamente di quella dell‟Umanità di Cristo. Rivestiti di bianche vesti, queste indicano la gloria, il premio e le speciali aureole in ordine ai differenti meriti e ai di-versi combattimenti. Per cui subito aggiunge: e con palme nelle loro mani, a significare la perfetta vittoria, la quale in questa vita non si può ottenere, poiché l‟uomo, per quanto santo, deve conti-nuamente combattere. Da ciò si ricava quindi che qui si sta davvero descrivendo la condizione della Chiesa trionfante in cielo. 

 Vers. 10. E gridavano a gran voce. Denotano queste parole l‟ufficio dei beati di Dio, e esprimono nel contempo la veemenza e il massimo affetto del loro amor divino, per cui impulso lo-dano e glorificano Dio e l‟Agnello per la loro salvezza di cui sono sicuri per tutta l‟eternità, dicen-do: La salvezza al nostro Dio, ch‟è seduto sul trono, e all‟Agnello, ovvero salute e felicità, e ogni altro gaudio, derivano da Dio e dall‟Agnello. 

II. Vers. 11. E tutti gli Angeli stavano ritti intorno al trono e dei vecchi e dei quattro animali, e caddero bocconi davanti al trono e adorarono Dio. Segue l‟applauso di tutti i SS. Angeli per la salvezza dei SS. Martiri di Dio. E tutti gli Angeli erano pronti ad eseguire ogni ordine di Dio. Intorno al trono e dei vecchi e dei quattro animali: qui ricorda che l‟ordine dei SS. Angeli che si trova nella Chiesa trionfante consta di tre Gerarchie e di nove Cori. Intorno al trono e dei vecchi, ossia i Profeti e gli Apostoli; e dei quattro animali, ovvero gli Evangelisti e di Dottori, i quali sono continuamente occupati a servire il loro creatore, il che è indicato dal verbo: stare. E caddero boc-coni davanti al trono e adorarono Dio. Queste parole indicano la perfettissima sottomissione, rive-renza, umiltà e culto, con cui gli Spiriti angelici adorano per tutta l‟eternità Gesù Cristo, vero Dio e Uomo, tributandogli ogni lode e onore per la loro condizione beata, e ringraziandolo per il trionfo dei Martiri. Dicendo: Amen.  

Vers. 12. La benedizione e la gloria e la sapienza e il ringraziamento e l‟onore e la poten-za e la forza al nostro Dio per i secoli dei secoli. Amen. Tributano al nostro Dio la potenza, la be-nedizione, la lode, e la gloria, la glorificazione del suo nome, e la sapienza (in quanto forma eterna) e il ringraziamento per tutte le patite tribolazioni per le quali i SS. Martiri conquistarono la somma gloria. L‟onore nelle pubbliche chiese e sugli altari, che dopo l‟ultima persecuzione, erano erette ovunque nel mondo. E la potenza, l‟effetto della potenza di Dio, e i miracoli che avvennero in te-stimonianza della fede. E la forza, ossia la capacità di resistere, per la quale tollerò i tiranni e i persecutori della Chiesa. Ma anche indica la meravigliosa costanza dei SS. Martiri, la cui quasi infinita moltitudine d‟entrambi i sessi sconfisse tutti i tormenti del mondo e si guadagnò il regno dei cieli. Al nostro Dio: i SS. Angeli attestano e dichiarano che tutto ciò bisogna attribuirlo al Signore Iddio, in quanto unica sorgente e infinito mare di tutti i beni, per cui chiudono la loro acclmazione con l‟espressione Amen, ovvero, „così sia‟, „così sia‟, che esprime il loro ardente desiderio. 

III. Vers. 13. E prese la parola uno dei vecchi, dicendomi: Questi che indossano le bian-che vesti, chi sono e da dove sono venuti? Questa domanda viene posta a questo punto in modo as-sai sapiente riguardo alle persone, ossia chi siano e come siano giunte alla condizione tanto beata, allaa consolazione, e al gaudio e alla speranza certa dei giusti in tutte le avversità che per permesso di Dio accade che dobbiamo patire da parte degli empi, così da comprendere che per i giusti non si tratta di un eccidio, di un danno irreparabile o di una fine ignominiosa, ma del transito ad una con-dizione cui appartiene ogni gloria e ogni bene. Nel libro della Sapienza, al cap. 3, 1-3, si legge al ri-guardo: Ma le anime dei giusti son nella mano di Dio, e non li toccherà tormento di morte. Sembra-ron morire agli occhi degli stolti, e si reputò disgrazia la loro scomparsa, e il loro partirsi da noi uno sfacelo, ma essi son nella pace. Anche gli empi il giorno del giudizio finale saranno costretti, ma troppo tardi, e per loro eterno scorno, ad ammettere e deplorare la medesima cosa. Allora sta-ranno i giusti con grande sicurezza in faccia a coloro  che li oppressero e depredarono le loro fati-che. Al vederli gli empi saranno agitati da tremenda paura. Diranno dentro di sé presi da penti-mento, e sospirando per l’angoscia dell’animo: Questi son coloro che facemmo un tempo oggetto di risa e d’obbrobrioso motteggio, noi insensati. La vita loro stimavamo una pazzia e senza onore la loro fine. Eccoli invece annoverati tra i figli di Dio e tra i santi è il loro retaggio (Sap., 5, 1-5). E prese la parola uno dei vecchi, dicendomi: Costui è S. Pietro, detto uno dei vecchi, ossia il primo dei Prelati della Chiesa, come sopra già dicemmo. Questi che indossano le bianche vesti, chi sono e da dove sono venuti? Questa domanda non serve ad apprendere qualcosa, quanto intende istruire noi. Segue infatti l‟umile risposta di S. Giovanni, che ci insegna il modo con cui dobbiamo imparare i divini misteri celesti. 

Vers. 14. Ed io gli dissi: Tu, Signor mio, lo sai. Segue subito l‟istruzione sulla verità eterna. E lui mi disse: Questi son quelli che vengono dalla gran tribolazione, ossia questi sono coloro che in questo mondo furono oggetto del disprezzo degli uomini, e patirono la ruota, il fuoco, le bestie feroci, la spada, il carcere e l‟esilio, e uscirono di vita col martirio al tempo di Diocleziano e di Massimiano e dei tiranni che li precedettero, poiché allora vi fu la gran tribolazione. E han lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel sangue dell‟Agnello. Con queste parole si indica l‟aumento della gloria dell‟anima, che è l‟aureola del martirio, che ottennero testimoniando la fede in Gesù Cristo. Il sangue dei Martiri infatti si dice moralmente il sangue di Cristo, nel senso che è il sangue dei suoi membri, nei quali si dice che ha patito la persecuzione, come in Atti, al cap. 9, 4: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Del pari si dice che han lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel sangue dell‟Agnello, perché ogni merito e morte dei Santi si fonda sulla morte e nel Sangue dell‟Agnello Gesù Cristo, e s‟innestano come i tralci nella vite e come il frutto nell‟albero e come le spighe nel seme. 

Vers. 15. Perciò sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte nel suo tempio, e colui che siede sul suo trono abiterà sopra di essi. Segue la condegna e piena ricompensa delle tri-bolazioni indicata dall‟uso della particella perciò. Sono qui specificate otto tipi di retribuzioni, che corrispondono agli otto difficili gradi delle virtù e della vittoria attraverso di cui i cristiani devono salire per giungere al Regno di Dio. Ciò aveva promesso Cristo in S. Matteo al cap. 5 ai suoi solda-ti. Otto è infatti il numero con cui s‟indica l‟insieme e la pienezza di ogni bene, come vedremo. 

IV. Il primo grado è la povertà in spirito armato della quale il cristiano deve essere pronto a perdere ogni bene temporale piuttosto che rinnegare la fede e distribuirlo ai poveri durante la perse-cuzione, come fece S. Lorenzo e tutti i SS. Martiri i cui beni erano insidiati dal tiranno, e a cui è promesso il Regno dei cieli, che è la personale ed individuale stabilità eterna. Per cui si dice: perciò sono davanti al trono di Dio, ossia posti nell‟eterna stabilità, guardando Dio faccia a faccia, come Egli è.  

Il secondo grado è la mansuetudine, di cui rivestiti i SS. Martiri di Dio sostennero il giogo e la tirannia dei Re della terra ad imitazione di Cristo loro Signore, condotti al macello come Agnelli, senza aprir bocca e così vinsero il male col bene, ai quali sta promesso il possesso della terra, ossia la libertà completa e il possesso eterno del sommo bene, nel quale regneranno con Cristo Gesù loro capo nei secoli dei secoli, poiché servire Dio, è regnare. Per cui segue: e lo servono giorno e notte nel suo tempio, nel riposo eterno, nella libertà e felicità senza timore, nella lode del loro creatore per tutta l‟eternità, come attesta il Salmo 83, 5: Beati coloro che abitano nella tua casa, o Signore: Ti loderanno sempre. Il tempio simboleggia infatti il cielo empireo, il palazzo dell‟eterno Re, il ta-bernacolo incorruttibile, nel quale Dio abiterà con gli uomini e i suoi SS. Angeli come vedremo al cap. 21. 

Il terzo grado è il pianto dei giusti, per cui gemono e piangono nelle avversità, incertezze, agitazioni, cattive tentazioni ed altre numerose calamità e disgrazie di questo mondo. Anche a loro è promessa una consolazione piena, e una perfetta felicità, che consiste nell‟essere con Cristo e regna-re con lui, giustissimo, santissimo e potentissimo Monarca, la cui bontà, potenza e regno non cessa-rà in eterno. E colui che siede sul suo trono abiterà sopra di essi, e non serviranno più un Re terre-no, né gli saranno sottomessi, né più si cambierà la loro condizione nei secoli dei secoli, poiché Cri-sto Signore, Re dei Re e Signore dei Signori, sarà il loro Re, il cui giogo è soave e il peso lieve. Sarà loro Signore per tutta l‟eternità e non potranno più essergli sottratti. 

Il quarto grado è lo zelo della giustizia, a cui è promessa la piena sazietà di ogni desiderio e di ogni bene. I giusti uomini di Dio infatti vedendo che in questo mondo sono commessi tanti mali, il povero, l‟orfano e la vedova sono oppressi, gli empi predominano sui giusti, i che i consigli degli stolti sono ascoltati e quelli dei saggi disprezzati, che tanti beni sono impediti, che nella gran parte degli uomini non si trova né giustizia, né verità, né timor di Dio, né carità, né sincerità, si affliggono nello spirito, come consunti da una sorta di fame e sete che non si può alleviare. Per loro sollievo quindi aggiunge:  

Vers. 16. Non avran più fame né sete, né li colpirà il sole né ardore alcuno. Saranno satol-li di ogni cosa, essendo i loro desideri conosciuti per decreto della divina volontà. Salmo 16, 15: Ma io nella giustizia mi presenterò la tuo cospetto, mi sazierò all’apparir della tua gloria. Non avranno più fame e sete, del pari, non dovendo più sottostare per tutta l‟eternità alle necessità corporali. 

Il quinto grado è l‟essere misericordioso in questo mondo, amare i poveri, i miseri, gli afflit-ti, gli orfani, le vedove e aiutare gli indigenti, mostrarsi verso tutti affabile, mansueto, amabile e compassionevole nella carità di Cristo. A loro è promessa la misericordia di Dio, per la quale meri-teranno di scampare dalle pene eterne e di essere sicuri da ogni altro travaglio per i secoli dei secoli. Per cui si aggiunge: né li colpirà il sole, ossia la giustizia di Gesù Cristo, sole di giustizia. Questa infatti brucerà e tormenterà nell‟inferno per i secoli dei secoli soltanto gli empi, i tiranni e gli immi-sericordi; né ardore alcuno, nessun‟altra tribolazione fra quelle che numerose accadono nel secolo presente, potrà investirli e colpirli in eterno. 

Il settimo grado è la vita santa, immacolata, casta, sobria, e pia in quasto mondo, a cui sta promessa la visione di Dio nell‟altro. Nel regno dei Cieli infatti non entrerà nulla di immondo. 

Vers. 17. Perché l‟Agnello che è in mezzo al trono, li reggerà: l‟Agnello indica l‟Umanità di Cristo, nella quale e per mezzo della quale i beati vedranno per tutta l‟eternità la risplendente di-vinità come una fiaccola che brilla in una lampada. In mezzo al trono: ossia in Cielo, dove Gesù Cristo si mostrerà a tutti i santi visibile e glorioso. Dice poi: l‟Agnello li reggerà, poiché l‟Umanità di Cristo è il mezzo della visione beatifica tra la divinità e la creatura, come sono tutti i beati; poi, perché tutti i beati saranno retti e dipenderanno assolutamente dal cenno della infallibile e buona volontà di Cristo, che mai permetterà loro di più errare e peccare per tutta l‟eternità, ma, completa-mente immersi e uniti al loro creatore mediante la direzione dell‟Umanità di Cristo, rimarranno per tutta l‟eternità in una quiete ineffabile. Per cui poi non potranno mai più perdere la visione beatifica, in quanto non vi sarà niente altro che potranno ancora desiderare o di cui potrebbero essere saziati. 

Il settimo grado è una certa libertà e santa pace dei giusti sulla terra, in forza di cui tengono loro soggette e sottomesse le passioni, e sanno dominare i loro affetti. Per cui in ogni calamità, e sventura, e nelle angustie rimangono incrollabili e mantengono sempre la pace e la tranquillità inte-riore, avendola come testimone della loro buona coscienza davanti al Signore loro Dio. A costoro è promessa la filiazione di Dio, per cui ogni desiderio dei Santi è pienamente e perfettamente saziato, poiché non vi è niente di più grande che si possa desiderare, niente di più degno, cui tendere; niente di più dolce, di cui godere, e niente di più ammirabile che possa loro accadere. Per cui segue: e li guiderà alle fonti delle acque di vita, ovvero all‟immortalità e alla soddisfazione di tutti i beni, di tutte le cose desiderabili, che si possono avere o desiderare. Per cui si dice al plurale alle fonti delle acque di vita. Di conseguenza questa pienezza e filiazione divina si acquisirà pienamente dopo la resurrezione universale dei corpi, quando saremo simili a Cristo e saremo chiamati figli di Dio, e vedremo il Signore nostro Dio, come egli è, faccia a faccia. 

L‟ottavo grado infine è quella della pazienza delle avversità, della prigione, della perdita dei beni temporali, o della morte stessa per la giustizia o la fede nel Signore Gesù Cristo, nella pazienza e nell‟umiltà. Di costoro si parla qui infine, quando dice: E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, ossia non avranno più alcun motivo per patire, ma una piena e perfetta consolazione. E quan-to fu la misura nel calice della passione, altrettanto sarà quello della consolazione. Così nessuno lì si dorrà delle avversità e dei mali subiti, poiché godrà per sempre dei beni eterni, che quelle disgrazie gli avranno meritato. 

Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser 

mercoledì 17 luglio 2024

Commento all‟Apocalisse - La consolazione della Chiesa militante e di quella trionfante dopo aver patito le persecuzioni.

 


Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser 


SUL CAPITOLO SETTIMO DELL’APOCALISSE 


I. Vers. 1. Dopo questo vidi quattro Angeli, ritti ai quattro angoli della terra, che trattene-vano i quattro venti della terra, perché non soffiassero sulla terra, né sul mare, né su albero al-cuno. Dopo aver descritto la durezza della persecuzione di Diocleziano, segue la consalazione mas-sima, che avvenne alla Chiesa di Dio al tempo di Costantino Magno, figlio di S. Elena. Questo capi-tolo consta di due parti. Nella prima viene descritta la consolazione che toccò alla Chiesa militante:  

Vers. 2. E vidi un altro Angelo che veniva su da levante, che aveva il sigillo del Dio viven-te ecc. Nella seconda invece ci si riferisce alla Chiesa trionfante in cielo: Vers. 9. Dopo questo vidi una gran folla.  

 

§. I. 

 

La consolazione e la liberazione della Chiesa militante dal giogo e dalle persecuzioni dei tiranni. 

 

Cap. VII. v. 1-8. 

 

 I. Vers. 1. Dopo questo vidi quattro Angeli, ritti ai quattro angoli della terra, che trattene-vano i quattro venti della terra, perché non soffiassero sulla terra, né sul mare, né su albero al-cuno. Con queste parole si accenna ad una breve continuazione delle persecuzioni ad opera di quat-tro Imperatori nelle quattro parti dell‟Impero, ossia Galerio, Massenzio, Massimino e Licinio. Per questo dice: Dopo questo, ossia dopo la persecuzione di Diocleziano e Massimiano, i quali depose-ro le insegne dell‟Impero. Vidi quattro Angeli, i citati quattro Imperatori e persecutori della Chiesa, ritti, che dominavano, ai quattro angoli della terra, le quattro parti dell‟Impero Romano, che si estendeva per gran parte del mondo conosciuto. Che trattenevano i quattro venti della terra, per-ché non soffiassero, impedivano a tutti i Dottori della Chiesa di predicare il Vangelo e la parola di Dio. Di questo vento si legge nel Cantico dei cantici, al cap. 4, 16: Levati, o Aquilone! Vieni, o Au-stro. Spira nel mio giardino e ne esalino gli aromi. Come infatti la terra è fecondata dai venti, così l‟orto della Chiesa militante sulla terra è fecondato dal soffio della predicazione. Né sul mare, né su albero alcuno. Qui si prende quello che contiene per il contenuto. Alcuni cristiani infatti abitavano i deserti, altri sulle isole, altri nelle foreste, per timore della persecuzione. Il nome dei luoghi designa qui i loro abitatori. 

 II. Vers. 2. E vidi un altro Angelo che veniva su da levante. Qui si descrive la repressione dei citati quattro tiranni per opera dell‟Imperatore Costantino Magno nell‟anno 312. Un altro Ange-lo, ossia del tutto avverso ai precedenti, appunto Costantino il Grande, che veniva su da levante, che veniva all‟Impero Romano per ordine di Cristo, sole di giustizia, per dar pace alla Chiesa. Quando infatti, a Roma, Massenzio, dopo aver fatto uccidere Severo, cominciò a comportarsi da ti-ranno, i nobili romani chiesero soccorso a Costantino, figlio di Costanzo Cloro, che stava in Gallia, perché liberasse l‟urbe dal malgoverno di quello. Che aveva il segno del Dio vivente, ossia il segno di Cristo. La Storia Ecclesiastica, al cap. 9, tramanda infatti che Costantino che muoveva verso Roma per attaccare Massenzio, e spesso meditava sulla strategia da tenersi, implorando la vittoria al Dio del cielo, benché non fosse stato ancora battezzato, vide il segno della Croce risplendere nel cielo, e pieno di stupore per l‟insolita visione, vide presenti gli Angeli che dicevano: In questo se-gno vincerai. Sicuro della futura vittoria allora fece dipingere sui vessilli militari il segno della cro-ce che aveva visto, e così procedendo contro Massenzio ottenne una vittoria completa e un trionfo. 

Vers. 3. E gridò a gran voce ai quattro Angeli, cui era stato dato di danneggiar la terra e il mare, dicendo: Non danneggiate la terra, né il mare, né le piante, fino a che non abbiamo se-gnato sulle loro fronti i servi del nostro Dio. Queste parole descrivono la fortezza e la profonda pietà di Costantino Magno verso la religione cristiana. E gridò a gran voce ai quattro Angeli, ossia ai citati quattro persecutori, e ai loro subalterni sparsi nelle quattro parti dell‟Impero, ai quali gridò con i suoi pii editti, con i quali ordinò che fossero chiusi i templi degli idoli e che tutte le popola-zioni dell‟Impero, rigettato il paganesimo, abbracciasse la religione cristiana, e comandò che ovun-que fossero costruite delle chiese, e fece edificare egli stesso a Roma la Chiesa del Laterano e mol-tissime in altri luoghi completò e ornò con spese immense, vietò di sacrificare agli idoli, di trarre vaticini, di costruire statue, di compiere sacrifici occulti, di non contaminare le città coi sanguinari giochi di gladiatori, di non venerare il fiume dell‟Egitto con uomini effeminati, e perciò fece in mo-do che il genere degli androgeni in quanto impudico fosse tolto di mezzo. Ai governatori delle pro-vince diede ordine di considerare la domenica giorno festivo, e quelli dedicati ai Santi Martiri (cfr. Storia Eccl. Lib. 4, De vita Constantini). Destinò una tassa, dall‟importo fissato, tratta dai tributi che le singole città versavano nell‟erario, per destinarla alle Chiese e ai chierici di ogni luogo, ordi-nando che quell‟atto di generosità divenisse una certa e perpetua legge. Concesse ai Vescovi la fa-coltà d‟appello nelle cause civili, rendendo le loro sentenze superiori a quelle dei giudici laici. I me-desimi Vescovi ebbero riconosciuta la facoltà di giudicare in via esclusiva il Clero; concesse ovun-que ai sacerdoti l‟immunità dei luoghi, favorì la letteratura e le biblioteche, e ne dotò i professori con molti privilegi, immunità, stipendi e onorari. Per questo qui si dice, che gridò a gran voce: Non danneggiate la terra, né il mare, né le piante, ossia smettete di impedire e distruggere la fede e la religione di Cristo, nei deserti, nelle isole e nei luoghi silvestri. Il che ottenne  impedendo ai quattro tiranni e i loro satelliti di nuocere ai cristiani. Massenzio, infatti, fu sconfitto ed ucciso. Lo stesso accadde a Licinio, che incrudelì ferocemente contro i cristiani ad Alessandria ed in Egitto. Gli altri due, infine, dissuase con un suo ordine. Pertanto, quanto maggiormente in precedenza il nome della Chiesa di Cristo fu disprezzato e umiliato, tanto più, a partire dal tempo di Costantino Magno, che regnò piamente e con gran potenza per 33 anni, fu in onore, esaltato e confortato. Fino a che non abbiamo segnato sulle loro fronti i servi del nostro Dio: queste parole significano la pubblica pra-tica del Battesimo, che Costantino, con ordini e esempi, introdusse in tutto l‟Impero. Egli stesso in-fatti lo onorò, facendosi battezzare da Papa S. Silvestro, ed esaltò la Chiesa e i suoi ministri in tutto l‟Impero. Edificò chiese magnifiche. Promulgò ed ordinò il battesimo e il pubblico esercizio della religione cattolica, screditando e bandendo l‟ immoralità, la menzogna e la disonestà dell‟idolatria. Si ha poi da sapere che l‟espressione fino a che va intesa in modo, per così dire, infinito e non fini-to, come se si dicesse: costui non si pentì fin che fisse, ossia non si pentì mai, poiché una volta mor-to non ebbe modo alcuno di mutar idea.  

Vers. 4. Ed udii il numero dei segnati centoquarantaquattromila segnati da tutte le tribù dei figli d‟Israele. Segue il frutto della predetta repressione, ossia il moltiplicarsi di coloro che cre-dettero in Cristo durante l‟Impero di Costantino. Ed udii (con l‟immaginazione e in ispirito) il nu-mero dei segnati, ovvero dei battezzati e dei credenti, centoquarantaquattromila: è un numero de-terminato per uno indeterminato, come spesso avviene nel linguaggio biblico. Moltissimi, infatti, nelle diverse parti  dell‟Impero si fecero battezzare in quel tempo. Segnati da tutte le tribù dei figli d‟Israele: il nome Israele indica tutti i popoli rigenerati dal battesimo di Cristo, come predisse Osea, al cap. 2, 24: E dirò a Non-popolo mio, tu sei il mio popolo. Anche Isaia lo predice al cap. 44, 3-4: Spanderò lo spirito mio sopra la tua semenza, e la mia benedizione sopra i tuoi germi, e ger-mineranno. E ancora (v. 5): Questi dirà: Del Signore sono io. Quello si denominerà da Giacobbe. Altri scriverà sulla tua mano: Al Signore, e col nome d’Israele vorrà essere chiamato. Il che s‟intende dei popoli pagani che si convertiranno a Cristo. Lo stesso dice l‟Apostolo al cap. 2 della Lettera ai Romani: Non è dunque vero Giudeo quello che appare, ne è vera circoncisione quella che è palese nella carne, ma il Giudeo è quello che è tale entro di sé, ossia per la fede di Cristo e per la circoncisione del cuore bello spirito.  

Vers. 5-9: Dalla tribù di Giuda dodicimila segnati, dalla tribù di Ruben dodicimila segnati ecc. Conseguentemente le dodici tribù d‟Israele significano qui alla lettera i dodici Apostoli del Nuovo Testamento, che corrispondono e sono paragonati ai dodici Patriarchi dell‟Antico. Come in-fatti da questi, figli di Giacobbe, derivarono tutti gli Israeliti secondo la carne, così per mezzo degli Apostoli discendono da Gesù Cristo tutti i fedeli in ispirito e secondo la promessa. E come al posto della tribù di Dan, da cui si dice discenderà l‟Anticristo, qui si mette quella di Giuseppe, così il po-sto del traditore Giuda lo ottenne l‟apostolo San Mattia. 


giovedì 31 agosto 2023

Commento all‟Apocalisse - L‟apertura del sesto sigillo.

 


§. III.

L‟apertura del sesto sigillo. 
 
Cap. VI. v. 12-17 

I. Vers. 12. E vidi quand‟ebbe aperto il sesto sigillo, ed ecco seguì un gran terremoto, e il sole diventò nero come una tonaca di cilicio, e tutta la luna diventò come sangue. Con l‟apertura del sesto sigillo vien descritta la decima ed ultima persecuzione contro la Chiesa di Cristo, scatenata nell‟anno 303 da Diocleziano e dal suo collega Massimiano. Essa viene posta sotto uno speciale sigillo a causa della sua straordinaria crudeltà e durata, e poiché fu l‟ultima. Durò infatti per quasi dodici anni, finché Costantino Magno, sconfitto Massenzio, giunse all‟Impero. Di questa persecuzione scrisse Sulpizio: A causa dello scatenarsi di questa tempesta quasi tutto il mondo fu inondato del sacro Sangue dei Martiri. Allora si cercava il martirio con una morte gloriosa molto più avidamente, di quanto oggi si aspiri all’Episcopato con prava ambizione. Il mondo non fu mai spossato dalle guerre, né mai conquistammo più grande trionfo, di quello che ottenemmo con dieci anni di stragi. Per quel che riguarda il numero di coloro che persero la vita durante così lunghi anni, se si deduce il numero totale da quello di un solo mese, allora tale cifra appare immensa. Nel Liber Pontificalis, infatti, si tramanda che in un solo messe ne fossero martirizzati 17.000. Si consideri poi che nei mesi futuri ci si accanì ancor maggiormente contro i cristiani, poiché furono pubblicati altri editti che incrudelirono la persecuzione. Si narra pure che nel solo Egitto, durante il regno di Diocleziano, siano stati uccisi in 144.000, mentre 72.000 fedeli vennero cacciati in esilio. Nelle altre province la strage non fu minore, a parte quelle che governava Costanzo Cloro, padre di Costantino Magno, il quale, benché non fosse cristiano, si comportò con gran mitezza nei confronti dei fedeli. Nessuno poteva comprare o vendere se prima non offriva incenso davanti alle statue di idoli collocate ovunque qua è là. Era posti presso i quartieri, le fontane e i villaggi degli appositi funzionari i quali davano il permesso di attingere acqua o di macinare solo a coloro che avevano sacrificato agli idoli. Cfr. Baronio. Tra le varie forme di persecuzione gravissima fu quella che costringeva i fedeli a bruciare i libri cristiani o a consegnarli. Quelli che, terrorizzati dall‟atrocità delle pene, consegnavano i volumi che possedevano, erano considerati traditori: il loro numero fu enorme. Ma altrettanto grande fu quello di coloro che preferirono una morte tra atroci tormenti, piuttosto che consegnare i libri, la cui commemorazione si fa nella Chiesa Roma il giorno 2 gennaio: A Roma si commemora moltissimi Santi Martiri, i quali, disprezzando l’editto dell’Imperatore Diocleziano che ordinava di consegnare i Santi Codici, preferirono consegnare i corpi al carnefice, piuttosto che dare ai cani le cose sante. Molti si rifugiarono presso i barbari, pur avendoli catturati, li quali li trattarono benevolmente, permettendo loro di praticare il culto cristiano, come si può vedere nel‟editto di Costantino, citato da Eusebio nella Vita Constantini, al lib. II, cap. 15. Avendo gli Imperatori stabilito di voler sradicare del tutto la religione cristiana, decisero di iniziare dall‟esercito, in modo che non vi fosse alcun cristiano armato che potesse opporsi quando gli editti pubblicati in tutto l‟Impero cominciassero ad essere messi in pratica. L‟intera Legione Tebea, col suo comandante S. Maurizio, fu decapitata dai pretoriani. Nella notte di Natale vennero arsi vivi nelle chiese 20.000 fedeli. Patirono il martirio il Papa S. Marcellino, S. Sebastiano, Serena, moglie di Diocleziano, S. Luciano, S. Vincenzo, S. Cristoforo, S. Biagio, S. Gervasio, S. Protasio, i SS. Cosma e Damiano, S. Quirino, S. Gorgonio, S. Agnese, S. Lucia, S. Pantaleone, S. Bonifacio, S. Metodio, S. Clemente, S. Agrano, S. Eufemia, S. Giorgio, S. Barbara, e moltissimi altri. Tutte le chiese, in ogni parte del mondo, furono distrutte dalle fondamenta. Tutti i membri degli ordini cristiani furono trucidati, in modo che non vi fosse più in alcuna provincia alcun segno della cristianità. Nel giorno di Pasqua, ossia della Resurrezione del Signore, si comandò che tutti i cristiani fossero uccisi e le chiese devastate. Le vergini cristiane dovevano essere violate, e costrette a rimaner chiuse nei lupanari. Così scrisse al riguardo S. Basilio, nel suo Elogio della Verginità: Mentre incrudeliva l’immane persecuzione, delle Vergini che avevano scelto di rimaner fedeli al loro Sposo, consegnate agli empi torturatori, mantennero inviolato il loro corpo. La grazia di lui teneva lontani gli assalti alla loro purezza e custodiva intatti i loro corpi. Ad Augusta S. Afra, un tempo pubblica meretrice, Ilaria, madre delle fanciulle, Digna, Eupomia e Eutropia, tutta la sua servitù, con molti altri fedeli di ambo i sessi, convertiti alla fede di Cristo, vi subirono il martirio, conquistando la corona immortale. Per cui rettamente il testo prosegue: 
 
Vers. 12. E vidi, quand‟ebbe aperto il sesto sigillo, ed ecco seguì un gran terremoto. Per terremoto s‟intende un grandissimo perturbamento, uno sconvolgimento, uno sconquasso, una devastazione del Regno di Cristo sulla terra, poiché in tutto in territorio dell‟Impero Romano a seguito degli editti e dei decreti di Diocleziano e Massimiano, i magistrati e i potenti furono sollecitati ad uccidere e distruggere il popolo cristiano. E il sole diventò nero come una tonaca di cilicio. Il sole simboleggia Cristo, che è il sole di giustizia e la luce della verità. Qui viene denigrato, in quanto al suo onore e anche nei suoi membri, i quali erano accusati d‟essere dei maghi e degli stregoni, per il fatto di essere stati ammaestrati da Cristo per mezzo degli Apostoli e degli altri suoi discepoli. Così i pagani, denigravano il nome di Cristo. E tutta la luna diventò come sangue. La luna rappresenta la Chiesa, che come la luna riceve la luce dal sole, così essa riceve la luce della verità da Cristo, sole di giustizia. Inoltre la Chiesa, come la luna, cresce e decresce a seconda dei tempi, e sotto la tirannide di Diocleziano e di Massimiano divenne completamente rossa per il sangue dei Martiri. In ogni parte della terra infatti i cristiani erano ammazzati in massa come le bestie, come sopra spiegammo. 

Vers. 13. E le stelle del cielo caddero sulla terra, come il fico butta i suoi fichi verdi, quand‟è scosso da gran vento. Queste stelle sono alcune personalità eminenti del Regno di Cristo, le quali piegati dal timore della morte e dei tormenti, caddero nell‟idolatria, come Papa S. Marcellino e molti altri, il quale però ricondotto a pentimento patì con fortezza il martirio per Cristo. Per la ferocia della persecuzione cessò pure il Papato Romano per sette anni e sei mesi. Come il fico butta i suoi fichi verdi. I cristiani sono paragonati ai frutti del fico per la loro debolezza. Come infatti i frutti del fico, appena spuntati sono ancora immaturi, e cadono facilmente se squassati da un gran vento, così allora i Cristiani non ben radicati nell‟amore di Cristo, e non maturati nella pazienza, investiti dal turbine di quella tempestosa bufera contro la Chiesa, caddero e apostatarono. 

Vers. 14. E il cielo si ritirò come un volume ch‟è arrotolato. Il cielo simboleggia il Regno e la Chiesa di Cristo, che fu disperso dalla bufera di questa furiosa persecuzione ai quattro venti, come le pagine di un libro che sia stato completamente scompaginato. A Roma infatti cessò l‟Episcopato della Sede Apostolica, i cristiani furono dispersi, altri si nascosero nelle grotte, sui monti, nei luoghi e nelle regioni deserte. Altri fuggirono presso i barbari. I SS. codici poi, come dicemmo, da cui i cristiani traevano la dottrina, per ordine dell‟Imperatore erano bruciati, dispersi, e distrutti. E ogni montagna e isola furono smosse dai loro posti. Si prende qui quel che contiene per il contenuto. Fu tanta la furia di questa persecuzione che addirittura i cristiani che si rifugiavano in monti e isole quasi inaccessibili, erano perseguiti con diligenza (cosa che non accadeva in precedenza) per essere condotti al supplizio ed essere tolti di mezzo. Questi due Imperatori si adoperarono con ogni sforzo per sradicare tutta la cristianità, come dicemmo. Inoltre dice: E ogni montagna e isola furono smosse dai loro posti, appunto per la furibonda guerra scatenata da Diocleziano e Massimiano, con la quale sottomisero all‟Impero Romano quasi tutti i regni, principati, isole e nazioni, e luoghi fortificati  in oriente e in occidente, i cui confini estesero ad est fin quasi all‟India, a sud fino all‟Etiopia, nel nord fino alle barbare e fiere popolazioni dei Sarmati, a ovest fino a Boulogne e all‟oceano Atlantico. Per cui aggiunge:
 
Vers. 15. E i Re della terra e i principi e i capitani e i ricchi e i potenti e ogni schiavo o libero si nascosero nelle spelonche e nelle rocce dei monti.  

Vers. 16. E dicono ai monti e alle rocce: Cadete su di noi e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono e dall‟ira dell‟agnello. 

Vers. 17. Perché è venuto il gran giorno dell‟ira loro, e chi mai può reggersi ritto? Queste parole indicano l‟angustia della tirannide di quei tempi, in cui tutti i cristiani eran costretti, poiché, come s‟è detto, essi non erano al sicuro, né nelle isole delle genti, né nelle fortezze, né nei deserti monti, né presso i barbari, dove erano riparati, nascondendosi addirittura nelle grotte o tra le rupi alpestri. Quei tiranni, infatti, fecero in modo di occupare, conquistare, distruggere, assoggettare tutti quei luoghi. E i Re della terra e i principi e i capitani e i ricchi e i forti e ogni schiavo o libero. Sono indicati sette generi di uomini forti per esprimere la crudeltà della persecuzione: nessuno ne era immune, come nelle altre persecuzioni, che di solito colpivano solo i vescovi, i predicatori e chi vi si opponeva, mentre questa incrudelì contro tutti. I Re inoltre indicano il Sommo Pastore della Chiesa e i Patriarchi, i principi sono i vescovi, i capitani gli altri prelati, i ricchi l‟aristocrazia, i forti sono i soldati cristiani; i servi sono i fedeli che fuggiti presso i barbari e da  questi catturati, i liberi quei cristiani che rimasero in potere dell‟Impero Romano. E dicono ai monti e alle rocce: Cadete su di noi e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono. Queste parole esprimono il desi- derio di morire per l‟eccessiva afflizione, in cui si trovarono i cristiani, timorosi di essere inseguiti, catturati, traditi e condotti a morte dopo lunghi patimenti, anche se in moltissimi si erano rifugiati, come estremo riparo, nelle grotte e tra le rupi montane. Per questo desideravano la morte e di essere sepolti dalle montagne, per non essere indotti dalla violenza delle torture a rinnegare Cristo, come a moltissimi era accaduto. E dicono ai monti e alle rocce: Cadete su di noi e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono, ossia dall‟immane, orribile e crudelissima persecuzione di Diocleziano e Massimiano, che allora sedevano sul trono dell‟Impero Romano. E dall‟ira dell‟agnello, di Cristo, che i fedeli ritenevano fosse adirato contro la sua Chiesa, avendo permesso così grandi mali e di tale durata. Credevano pure che Diocleziano fosse l‟Anticristo, e che incombesse il giorno del giudizio finale, e l‟ultima sterminio della Chiesa e del Regno di Cristo sulla terra. Tale appariva allora la Cristianità. Perché è venuto il gran giorno dell‟ira loro, il tempo dell‟ultima persecuzione, come descritto da Cristo in S. Matteo al cap. 24. Gran giorno è detto per la crudeltà del tiranno e per il permesso di Dio, perché quella tribolazione superò tutte le precedenti, e tutti i permessi di Dio, che son designati metaforicamente dall‟espressione ira dell‟agnello, perché egli flagellerà i suoi e ogni cosa come fosse adirato per purgarci dai peccati e aumentare la gloria e il premio celesti qui sulla terra a tempo debito per sua bontà, non volendo punirli eternamente con gli empi nella geenna di fuoco e nelle fiamme eterne dell‟inferno.    
E chi mai può reggersi ritto? Parla la fragilità umana e l‟umana pusillanimità al considerare tanto grande carneficina, che esprime pure la difficoltà della vittoria sul tiranno, come dimostra la caduta di Papa S. Marcellino. 

Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser 


lunedì 10 aprile 2023

Commento all‟Apocalisse

 


§. II. 
 
L‟apertura del quinto sigillo. 
 
Cap. VI. v. 9-11


Vers. 9.  E quand‟ebbe aperto il quinto sigillo vidi sotto l‟altare le anime di coloro ch‟erano stati sgozzati a motivo della parola di Dio e della testimonianza che avevan reso. 
Vers. 10. E gridarono a gran voce dicendo: Sino a quando, o Signore, o santo e verace, non giudichi tu e vendichi il sangue nostro su quei che abitano la terra? 
Vers. 11. E fu data loro a ciascuno una veste bianca, e fu detto loro che stessero quieti ancor per breve tempo, fino a che fosse completo il numero dei loro conservi e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro. 
Dall‟apertura del quinto sigillo segue la continuazione delle persecuzioni contro i Cristiani, che dal regno dell‟Imperatore Traiano durarono fino a Diocleaziano per duecento anni. Nell‟anno 98 infatti arrivò all‟Impero M. Ulpio Traiano, di nazione spagnola, che scatenò la terza persecuzione contro la Chiesa di Cristo. Ritenendo di esser giunto al potere grazie a Giove, di cui era devotissimo, ed essendo per il resto superstiziosissimo nel culto idolatrico, impose al Senato che la religione dei padri ossia l‟antico paganesimo dovesse essere mantenuto. Allora infatti i cristiani si moltiplicavano in ogni luogo, disprezzavano gli idoli, i resti delle vittime sacrificate non trovavano chi le comprasse, moltissimi oracoli allora smettevano di proferire le loro profezie, come attestano Giovenale e Plutarco. Tutto ciò offrì il pretesto di scatenare la terza persecuzione contro i cristiani. Sotto Adriano e Antonino Pio per un po‟ la Chiesa ebbe quiete, poiché questi due sovrani non emisero alcun pubblico editto contro i cristiani. Nell‟anno 161, divenuto Imperatore Marco Aurelio Antonino, si scatenò la bufera della quarta persecuzione contro la Chiesa di Cristo, in cui perirono Policarpo, Giustino e altri moltissimi cristiani. Sotto Commodo Elio Antonino, Pertinace, e Tito Giuliano la Chiesa ebbe di nuovo pace. Nell‟anno 193 però giunse al soglio imperiale Settimio Severo, che mosse la quinta persecuzione generale contro i cristiani, nella quale perse la vita S. Ireneo, e che fu talmente crudele che molti pensarono si trattasse dell‟Anticristo. Antonio Bassiano Caracalla, Macrino, Eliogabalo e Marco Aurelio Severo non intentarono nulla contro la Chiesa. Nell‟anno 235 giunse al potere Giulio Massimino, autore della sesta persecuzione, per la sua pesante invidia – così almeno si dice – verso la famiglia di Alessandro Severo, molti membri della quale si erano convertiti. Nell‟anno del Signore 249 Decio, nemico implacabile dei cristiani, scatenò la settima persecuzione, la quale fu da Dio permessa per la rilassata disciplina dei fedeli, come attesta con dovizia S. Cipriano, che ne fu testimone oculare, nella sua opera sui Lapsi: Vennero i tormenti, ma tormenti senza fine della tortura, senza esito della condanna, senza il sollievo della morte, tormenti che non permettono di conquistare facilmente la corona immortale, ma tormentano tanto quanto basti per far apostatare, a meno che per degnazione di Dio il malcapitato non la consegua perché vien meno tra le torture, conquistando così la gloria del Paradiso, non perché il supplizio sia terminato, ma perché è morto troppo presto. S. Gregorio Nisseno scrive a sua volta nel Taumaturgo: L’unico affare e l’unico impegno, sia dei privati cittadini che degli uomini che rivestano cariche pubbliche, è quello di aggredire e punire i fedeli. Le minacce verbali erano non solo terribili, ma, accompagnate dal tremendo apparato dei supplizi, provocavano stordimento, e, prima che giungesse alle vie di fatto, incutevano terrore alle persone. Escogitavano la spada, e il fuoco, e le bestie feroci, e le fosse e gli strumenti di tortura atti a straziare le membra, e sedie di ferro arroventate, e letti di legno, su cui erano distesi, per essere dilaniati con orribili uncini, quelli che persistevano nella fede, ed altri numerosi espedienti per tormentare in vario modo i corpi. L’unica preoccupazione di coloro che avevano questo potere era quello di non esser superati nella crudeltà da altri. Gli uni dunque de- nunciavano, altri giudicavano, altri ricercavano quelli che fuggivano, altri, sotto pretesto di pietà e religione, ma in vero coll’unico intento d’impadronirsi dei beni dei cristiani, li tormentavano. Fin qui il Nisseno. Moltissimi allora abbandonarono la patria per rifugiarsi sui monti o nei deserti. Tra i quali vi fu S. Paolo Eremita, che fu il primo anacoreta. Durante questa persecuzione molti rinnegarono la fede, e ciò in duplice modo: alcuni infatti sacrificarono pubblicamente agli Dei, altri non rinnegavano la fede, ma ricevevano un libello o certificato dai magistrati che li dispensava dal sacrificare pubblicamente agli idoli. Nell‟anno 254 Licinio Valeriano, divenuto Cesare, su consiglio di un mago egiziano scatenò l‟ottava persecuzione contro la Chiesa. Vittima illustre ne fu S. Cipriano, Vescovo di Cartagine. Essa fu talmente crudele che Dionisio d‟Alessandria, come riferisce Eusebio nella sua Storia Ecclesiastica (l., 7, cap. 9), ritenne che fossero compiuti in Valeriano gli ultimi infelicissimi tempi dell‟Anticristo, previsti da S. Giovanni nell‟Apocalisse. Nell‟anno 262 Gallieno scatenò la nona persecuzione. Tuttavia, spaventato per le numerosi stragi, mentre ancora infuriava, ne ordinò l‟attenuazione. L‟anno 272 Valerio Aureliano decise però di portarla a compimento. Benché vi siano stati molti Imperatori che regnarono tra gli uni e gli altri di quelli citati, ai cui tempi patirono il martirio molti cristiani, costoro vengono citati in modo  speciale come persecutori della Chiesa, perché o emisero e rinnovarono i decreti che intimavano la persecuzione, cosa che no si può dire per gli altri. Pallido dunque era il volto della Chiesa, sommersa per trecento anni continui del sangue dei martiri. Fu questa un davvero straordinario permesso da parte di Dio contro i suoi amici e la sua Chiesa tanto amata. Per cui segue il grido e l‟ammirazione dei Santi di Dio sotto l‟altare, come vedremo. 
Vers. 9. E quand‟ebbe aperto il quinto sigillo, permettendo le citate persecuzioni, che furono quasi senza interruzione vidi (coll‟immaginazione ed in ispirito) sotto l‟altare delle anime di coloro ch‟erano stati sgozzati, ovvero i Martiri uccisi, nl senso che ivi stavano i loro corpi, allo stesso modo per cui in Esodo, cap. 1, vers. 5: Tutte le anime discendenti da Giacobbe, dove „anime‟ sta per uomini. Al tempo do questi Imperatori non vi erano Chiese o altari stabili, ma si erigevano altari di legno in luoghi nascosti, e soprattutto nelle cripte dei Martiri, per cui si dice che il Veggente vide sotto l‟altare le anime di coloro ch‟erano stati sgozzati, a motivo della parola di Dio, in riferimento ai Dottori della Chiesa che subirono il martirio a causa della predicazione della Parola di Dio,  e della testimonianza che avevan reso, in riferimento ai semplici fedeli, che erano uccisi perché non volevano rinnegare Cristo, ma piuttosto lo confessavano pubblicamente e affermavano che credevano in Lui. 
Vers. 10. E gridarono a gran voce: si tratta di un grido di natura morale (come nella Genesi al cap. 4, 10: La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra) che a seguito dello spargimento di sangue innocente tanto più grida al Signore Iddio, quanto maggiore fu la crudele e duratura persecuzione degli empi e l‟autorità che la ordinò, allora davvero efferata e interminabile. Per cui aggiunge: Sino a quando, o Signore,  quanto a lungo, O Signore, tu permetti, o santo e verace, ti che sei giusto e sai e vedi la malizia degli empi incrudelire contro gli innocenti. Queste parole contengono un‟ammirata considerazione della volontà di Dio, che permise che la sua diletta Chiesa fos- se inondata per trecento anni del sangue  di tante miglia di Martiri, e che gli empi prevalessero. Da quest‟epoca dei Santi anche noi dobbiamo imparare a patire almeno un poco per il Nome di Gesù, perché la misura della dilezione divina non sempre consiste nelle consolazioni e nella prosperità, ma spesso in molte tribolazioni, persecuzioni e oltraggi da parte degli uomini sulla terra. Sino a quando, o Signore, o santo e verace, non giudichi tu e vendichi il sangue nostro su quei che abi- tano la terra? ovvero dei tiranni e dei loro ministri che dominano sulla terra. 
Vers. 11. E fu data loro a ciascuno una veste bianca: la veste bianca simboleggia la gloria dell‟anima che a ciascun martire e all‟anima dei santi vien concessa secondo il merito. Perciò ag- giunge: a ciascuno, per indicare il grado del premio e della gloria di ciascuno. E fu detto loro che stessero quieti ancor per breve tempo, fino a che fosse completo il numero dei loro conservi e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro. Dio con queste parole consola blandamente la Chiesa, di cui sono qui tipo e figura i Santi Martiri di Dio, i quali invocano e supplicano l‟intervento della divina giustizia, e promette la pace di cui la Chiesa godrà al tempo di Costantino Magno. E fu detto loro, ossia ricevettero il responso divino, 1) riguardo alla Chiesa militante, affinché si rassegnassero nella pazienza, sottomettendosi alla volontà divina, cui piacque dall‟eternità permettere questi mali a maggior gloria dei suoi servi. Ancor per breve tempo, ossia fino all‟ultima persecuzione, che fu di tutte la più feroce, iniziata da Diocleziano e Massimiano, come vedremo. Fino a che fosse completo il numero dei loro conservi e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro, ossia finché non si compia il numero dei SS. Martiri rimanenti, che son detti conservi, in quanto tutto servirono assieme Cristo, e fratelli nella carità, che è in Gesù Cristo. Che dovevano es- sere uccisi, appunto durante l‟ultima persecuzione al tempo di Diocleziano, come loro, uccisi come nelle precedenti persecuzioni. 2) Per quel che riguarda la Chiesa trionfante, fu detto loro che stesse- ro quieti coi loro corpi nelle tombe ancor per breve tempo, ossia fino al giorno ultimo del Giudizio, che paragonato all‟eternità è davvero un breve tempo, come si legge nella 1° Lettera di S. Giovanni, al cap. 2: Figlioli, è l’ultima ora, allora infatti questi risorgeranno coi i corpi gloriosi, e avranno quindi una seconda stola, che è la gloria del corpo. Fino a che fosse completo il numero dei loro conservi e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro, fino alla fine del mondo a motivo del nome di Cristo, che come loro saranno uccisi. 

Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser 

domenica 23 ottobre 2022

Commento all‟Apocalisse

 


L‟apertura e la spiegazione dei primi sei sigilli 

 

I. Dopo che San Giovanni per divina rivelazione ha descritto bastevolmente la natura della Chiesa di Cristo, la costituzione universale del suo Regno, e la maestà della sua Chiesa che ne consegue, nei versetti che seguono scende nei particolari, e descrive gli eventi che accadranno alla sua Chiesa fino alla fine dei tempi, ossia le immani persecuzioni, le eresie, i regimi dei tiranni, come pure le consolazioni a tempo debito ecc. cose che tutte sono rivelate con l‟apertura dei sette sigilli. Frattanto occorre a riguardo notare quanto segue: 1) i cavalli e i loro cavalieri che sono descritti in questa parte designano la guerra spirituale tra il Regno di Cristo e quello di questo mondo; 2) essi sono in numero di quattro per simboleggiare che accadranno nelle quattro parti del mondo; 3) che questa guerra sarà duplice: a) contro i pagani e i giudei, b) contro gli eretici e l‟Anticristo, fino alla fine del mondo. L‟apertura dei primi sei sigilli designa la descrizione della lotta coi primi, quella del settimo ed ultimo, invece, la spiegazione dello scontro finale con l‟Anticristo. 4) Le voci dei quattro Evangelisti sono qui aggiunte come testimoni della verità, che doveva essere predicata nelle quattro parti del mondo, e per cui si sarebbe scatenata ogni guerra e persecuzione dei tiranni. 


§. I. 

L‟apertura del primo, secondo, terzo e quarto sigilli, i quattro cavalli e i loro cavalieri, che furono mostrati a S. Giovanni allo scioglimento dei primi quattro sigilli. 

Cap. VI. v. 1-8 

 I. L‟apertura del primo sigillo è la spedizione militare di Gesù Cristo, con cui venendo in questo mondo mosse guerra a tutto il mondo, volendo rivendicarne con somma giustizia il dominio, sconfiggere tutti i suoi nemici, e sottometterli alla sua servitù ed al giogo della fede. Il suo esercito si compose dei dodici Apostoli e del gruppo degli altri discepoli e fedeli, che inviò in tutto il mondo. Per cui dice: 

 Vers. 1. E vidi nell‟immaginazione e in ispirito, che l‟Agnello, Cristo, aprì e sciolse uno, ovvero il primo dei sette sigilli, riguardanti la volontà del Padre suo, che inviò il suo Figlio Unigenito fatto Uomo in questo mondo e lo costituì Re di tutte le cose. Poiché, però, i Giudei e i pagani non vollero diventarne i cittadini e i sudditi, si rese necessario che Cristo combattesse contro di loro col suo esercito e così prender possesso del suo reame e della sua gloria. E udii nell‟immaginazione e in spirito uno, ossia il primo dei quattro animali, i quattro Evangelisti, in questo caso S. Matteo, che dice al cap. 10: Ecco io mando voi, come pecore tra i lupi, dove descrive questa terribile e ammirevole guerra intrapresa da Cristo. Poi aggiunge: che diceva con voce di tuono, per la drammaticità di questa guerra, che S. Matteo come primo testimone della verità evangelica prevede accadrà a seguito della predicazione del Vangelo, dicendo: Vieni e vedi, è un modo di dire con cui si vuole attirare l‟attenzione su qualcosa di eccezionale. E vidi, in ispirito e coll‟immaginazione. 

 Vers. 2. Ed ecco un cavallo bianco, e quello che vi stava sopra aveva un arco, e gli fu data una corona, e uscì da vincitore, per vincere. 

 II. Qui si descrive il supremo Duce di questa guerra, e la sua potenza e forza. Ed ecco un cavallo bianco, che l‟ordine degli Apostoli e dei discepoli di Cristo, che è detto metaforicamente bianco per il candore della purezza, della verità, della semplicità e della santità. Come infatti il cavallo è denominato bianco per la sua bianchezza, così i santi son così per la grazia santificante. Sono assimilati poi ad un cavallo per la forza e la velocità con cui corsero in breve tempo per tutto il mondo a divulgare il Vangelo e il Nome del Signor nostro Gesù Cristo. E quello che vi stava sopra aveva un arco, costui è Cristo Signore, supremo comandante di questa guerra, che cavalca, nel senso che regge i suoi col freno del timor di Dio, e li stimola a compiere la loro corsa cogli speroni della carità di Dio e del prossimo, e del pari con gli ausili della sua santa grazia, di cui abbondarono i Santi di Dio, gli Apostoli e gli altri discepoli e cristiani della Chiesa primitiva. L‟arco designa la potenza e le armi con cui Cristo stava per sconfiggere i suoi nemici, ossia la predicazione della parola e lo splendore dei miracoli. Cristo infatti indirizzava la predicazione degli Apostoli come la freccia vien diretta al bersaglio. Così S. Marco al cap. 16, 20: Quelli poi andarono e predicarono ovunque con l’assistenza del Signore, il quale confermava la loro parola con i miracoli che l’accompagnavano. La lettera agli Ebrei, (4, 12) sottolinea quanto sia efficace, invincibile e insuperabile la Parola di Dio: Poiché viva è la parola di Dio, ed efficace e più tagliente di una spada a due tagli. E gli fu data una corona, ovvero la potestà regale. Poiché a Cristo è stata conferito ogni potere in cielo e sulla terra, è giustamente il Re dei Re, e il Signore dei Signori, e gli è stata data la corona, da suo Padre, la corona del Regno eterno, la corona della vittoria nella risurrezione e nell‟ascensione al di sopra di tutti i Re e tiranni di questo mondo, al di sopra di ogni autorità, anche dell‟inferno. E uscì da vincitore, su questo cavallo bianco  per mezzo degli Apostoli e dei suoi discepoli in tutto il mondo, coll‟arco sopra menzionato in primo luogo i suoi nemici in Giudea. Infatti in un solo giorno si convertirono per la predicazione di San Pietro tremila uomini, cfr. Atti, cap. 2, un altro giorno cinquemila, Atti, cap. 4., per vincere in tutto il mondo sottomettendo alla sua signoria e al giogo della fede i colli delle genti, il che accadde. In breve tempo infatti colla predicazione degli Apostoli e degli altri discepoli, grazia all‟assistenza di Cristo, il quale confermava la loro parola con i miracoli, il Vangelo fu predicato e essendo S. Pietro ancora in vita la fede cattolica si diffuse fino ai confini del mondo, come si ricava dai testi storici e dagli Atti degli Apostoli, come previde il Salmo 18, 5: Per tutta la terra si spande il loro suono e sino ai confini del mondo le loro parole. 

III. Vers. 3 e 4. E quando ebbe aperto il secondo sigillo, udii il secondo animale che diceva. Vieni e vedi. E uscì fuori un altro cavallo rosso, e a colui che ci stava sopra fu dato di toglier via la pace dalla terra, sicché gli uomini si sgozzassero gli uni gli altri, e gli fu data una grande spada. Queste parole descrivono il primo crudelissimo nemico, che su istigazione di Satana mosse guerra contro gli Apostoli e l‟esercito di Gesù Cristo, i cristiani, ed è Domizio Nerone, il quale, per rappresentare al vivo l‟incendio di Troia, bruciò per un infame gioco i quartieri più miserabili di gran parte di Roma, ma col pretesto di questo incendiò colpì di durissima persecuzione i cristiani che vivevano nell‟urbe. Questa fu la prima persecuzione contro i cristiani, e Nerone fu il primo che, soprattutto a Roma, incrudelì contro i seguaci di Cristo. Coloro che sono destinati a morire sono fatti oggetti di ludibrio, col morire, ricoperti di pelli di fiere, dilaniati dai cani, o affissi a croci, o coperti di pece, incendiati come luci notturne. Tanto grande fu il numero dei cristiani arsi così che i rivoli del grasso umano nella sabbia dell‟anfiteatro formò un solco. L‟imperatore ordinò per sua crudeltà che S. Petro, S. Paolo, Seneca, suo precettore, la sua stessa madre, la moglie, il fratello e le sorelle fossero messe a morte. Per cui segue giustamente la descrizione di questo tiranno. E quando ebbe aperto il secondo sigillo, udii il secondo animale che diceva. Costui è S. Luca che qui testi- monia la verità ai santi martiri di Cristo che patirono sotto Nerone. Questo Evangelista infatti è rap- presentato, come sopra si è visto, dal bue, in quanto il suo Vangelo inizia dal sacerdozio. Come i vitelli erano uccisi come sacrificio e vittime gradite al Signore Dio, così infatti venivano sacrificati dagli empi i cristiani e giusti di Dio, il cui sangue e la cui morte era un graditissimo sacrificio a Dio Padre, per mezzo di suo Figlio Gesù, che fu offerto in sacrificio per tutti noi.  

Vers. 4. Vieni e vedi. E uscì fuori un altro cavallo rosso, contrario a quello precedente, ovvero un persecutore evidente e sanguinario. Questo cavallo è il popolo romano sotto Domizio Nerone, il quale è detto rosso per l‟incendio della città di Roma e perché vi furono arsi vivi così tanti cristiani, pure poi per l‟effusione del loro sangue, come detto sopra. E a colui che ci stava sopra, è l‟Imperatore Nerone che regnava in Roma e ne aveva il dominio fin dall‟anno 53. Fu dato il permesso da Dio. Così parla Cristo Signore a Pilato in S. Giovanni al cap. 19, 11: Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Di toglier via la pace dalla terra, 1) in quanto faceva perseguitare e perturbare dai suoi i cristiani che erano a Roma e altrove; 2) in quanto l‟Impero stesso fu sovvertito dalle pessime azioni, crudeltà, stragi e tirannia di Nerone. In quel medesimo tempo dall‟impero si staccò la provincia di Armenia. Per cui a ragione si dice che quello tolse dalla terra la pace che Ottaviano Augusto aveva concesso al tutto il mondo, sicché gli uomini si sgozzassero gli uni gli altri, il che accadde per motivo della sua perfidia, essendo alla fine egli pure stato assassinato, il senatore Sergio Galba si usurpò l‟Impero, adottando (alla maniera antica) come suo figlio e successore il giovane Pisone, ma anche Galba venne ucciso nel foro di Roma dai soldati della fazione di Otone, il quale, dopo tre mesi, fu vinto dall‟esercito di Vitellio. Questi, dopo neppure un anno di Impero, sconfitto tre volte in battaglia, nella stessa Roma dai soldati che sostenevano Vespasiano, trascinato per l‟urbe, nudo, fu alla fine strangolato e gettato nel Tevere. E gli fu data una grande spada, ovvero il potere di uccidere i cristiani. Egli infatti, fu il primo degli Imperatori a scatenare la prima persecuzione contro la Chiesa, e uccise i principi degli Apostoli Pietro e Paolo, e moltissimi altri cristiani, sia in Roma che nel resto dell‟Impero. 

IV. Vers. 5. E quando ebbe aperto il terzo sigillo udii il terzo animale che diceva: Vieni e vedi. Ed ecco un cavallo nero, e quello che vi stava sopra aveva una bilancia nella sua mano. 

Vers. 6. E udii come una voce in mezzo ai quattro animali, che diceva: Una bilibbra di frumento ad un denaro e tre bilibbre d‟orzo a un denaro, e: Non recar danno all‟olio e al vino. Si contiene in queste parole la distruzione della città di Gerusalemme e la strage della Sinagoga del popolo giudaico, come predetto di Cristo in S. Matteo, al cap. 23, e in S. Luca, al cap. 13. E quando ebbe aperto il terzo sigillo udii il terzo animale che diceva: questo terzo animale simboleggia l‟Evangelista S. Marco, equiparato al Leone per significare la predicazione alla penitenza fatta ai Giudei da S, Giovanni Battista. Poiché però essi la disprezzarono, come pure disprezzarono Cristo stesso, così per conseguenza viene qui intimata a S. Giovanni la pena e la strage dovuti a causa della durezza del cuore al popolo e alla Sinagoga giudaica. Vieni e vedi. Ed ecco un cavallo nero, questo cavallo nero è Gerusalemme e il suo popolo. È detto nero, 1) perché per le tenebre della sua cecità, in cui era immerso il popolo e la Sinagoga giudaica, assassinò Cristo Signore, non credendogli neppure dopo la sua Resurrezione e l‟aperta verità della sua divinità, me resistette allo Spirito Santo. 2) E‟ detto nero per l‟inaudita carestia, a memoria d‟uomo, che costò la vita, al dire dello storico ebreo Giuseppe Flavio, di 1.100.000 uomini. Tito, figlio di Vespasiano, infatti, li aveva circondati con un muro attorno alla città di quaranta stadi, nel quale all‟esterno erano tredici castelli, il cui perimetro era di dieci stadi, in modo di prenderli per fame più rapidamente. L‟intera opera fu compiuta con una velocità più che umana in soli tre giorni. Così si adempirono le parole di Cristo in S. Luca, cap. 19, 43-44: Poiché verranno per te giorni, nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, ti circonderanno ecc. e non lasceranno in te pietra su pietra. Così infatti avvenne. Tito distrusse dalle fondamenta la città di Gerusalemme, quando la conquistò. E quello che vi stava sopra, Flavio Ve- spasiano, il quale nell‟anno 69 ottenne il governo dell‟Impero, mentre suo figlio nel 70, dopo aver assediato Gerusalemme, la prese e assoggettò il popolo giudaico.  Aveva una bilancia nella sua mano, ovvero la divina giustizia, di cui eseguiva l‟opera. Per ordine della divina giustizia in vero seguì che il figlio fece perire miseramente il popolo giudaico, per fame, spada, e schiavitù, in vendetta della morte di Cristo e della sua inaudita malizia e crudeltà (cfr. S. Luca cap. 19). Il che avvenne tuttavia, oltre l‟intenzione di Tito e del suo esercito, che aveva mosso guerra ai Giudei per un altro motivo, ossia per sedare la loro ribellione contro l‟Impero romano (come spiega lo storico Giuseppe Flavio nell‟opera La guerra giudaica). Perciò si legge: Aveva una bilancia nella sua mano, ma non nella mente. Si eseguiva così l‟opera della giustizia divina. Il vocabolo „mano‟, infatti, indica siffatta opera, che venne compiuta per mezzo di quella. E udii come una voce in mezzo ai quattro animali, che diceva: segue in queste parole la sentenza di condanna della giustizia divina che infligge una pena speciale per il delitto speciale commesso dagli ebrei. E udii come una voce, quella della giustizia divina, in mezzo ai quattro animali, dal trono di Dio, attorno al quale è detto che stanno i quattro animali, sia nel regno militante di Cristo, sia in quello trionfante, che diceva, in quanto i quattro animali pronunciavano detta sentenza della divina giustizia, in qualità di Arcicancellieri del Regno di Cristo. si conferma quindi che l‟azione di Tito contro i Giudei avvenne per ordine di Dio. Solo da Dio infatti proviene il male della pena, come in Amos, 3, 6: E ci sarà nella città sciagura, ove non sia il Signore che operi? Una bilibbra di frumento ad un denaro e tre bilibbre d‟orzo a un denaro, e: Non recar danno all‟olio e al vino. Per comprendere queste parole occorre notare 1) lo storico Ugone di Flory, scrivendo della fine della guerra dei Romani contro gli Ebrei, dice così: Stanchi, infine, i Romani per le numerose uccisioni, cercavano chi potesse acquistare gli schiavi catturati, ma poiché molta era l’offerta e pochi i compratori, avvenne che trenta schiavi si compravano al prezzo di un denaro. Come, infatti, essi avevano comprato il Signore per trenta denari, così ora, al contrario, con un denaro si acquistavano trenta schiavi giudei. 2) Occorre pure notare che il vocabolo „bilibbre‟ è un nome composto da „bis‟ e „libbra‟, per indicare una misura capace di due libbre; 3) cinque ebrei sono simboleggiati da una libbra, nel senso che i cinque libri di Mose, il Pentateuco, è accettato da tutti. Gli altri libri della Bibbia, invece, non sono accettati dagli ebrei, detti Sadducei. 4) Il grano indica i più forti, abili e nobili ebrei, mentre l‟orzo, che è un cereale di minor pregio rispetto al grano, la feccia e la plebaglia. 5) Il vino e l‟olio designano i cristiani, che non furono oppressi dall‟esercito di Tito. Prima del suo arrivo, infatti, un Angelo avvertì i cristiani che abitavano in Gerusalemme ed in Giudea di andare oltre il Giordano nella città di Pella, appartenete al regno di Agrippa, confederato ai Romani. Il vino significa infatti metaforicamente la carità verso Dio, mente l‟olio quella verso il prossimo. Per cui l‟espressione: Una bilibbra di frumento, ovvero dieci ebrei dell‟aristocrazia, ad un denaro e tre bilibbre d‟orzo, trenta ebrei della plebe si vendevano a un denaro, e: Non recar danno all‟olio e al vino, ossia i cristiani erano risparmiati. 

Vers. 7. E quando ebbe aperto il quarto sigillo, udii la voce del quarto animale che diceva: Vieni e vedi. 

Vers. 8. Ed ecco un cavallo pallido e colui che ci stava sopra, il suo nome è morte e l‟inferno lo accompagnava. E fu dato loro il potere sulla quarta parte della terra, per uccider con spada e con fame e con morte e per mezzo delle fiere della terra. 

Sconfitta e distrutto il popolo giudaico, crudelissimo nemico di Gesù Cristo e di tutti i cristiani, segue la seconda persecuzione principale e la guerra immane promossa contro la Cristianità dall‟Imperatore Domiziano. E quando ebbe aperto il quarto sigillo, udii la voce del quarto animale che diceva: Vieni e vedi. Si tratta della stessa persona di S. Giovanni Evangelista, considerata in astratto, in quanto nel Regno militante di Cristo ed in quello trionfante, tiene il quarto posto per dignità e con la sua testimonianza avvalora la verità del Vangelo. 

Ed ecco un cavallo pallido , che è il popolo romano, pallido per il terrore della tirannide di Domiziano, principe crudele ed avido. Costui giunse a tal punto di follia da ordinare di essere chiamato Dio, per cui mandò in esilio e mise a morte gran parte del Senato e della nobiltà, accusandoli falsamente di vari crimini, per sequestrare i loro beni. Gli altri Romani e gli abitanti dell‟Impero erano così in gran timore che potesse avvenire loro la stessa sorte. Poiché la paura rende le membre esteriori – e soprattutto il viso -  pallidi, l‟Impero Romano di quel tempo vien detto e descritto come un cavallo pallido. E colui che ci stava sopra, è l‟Imperatore Domiziano che salì al trono nell‟anno 81 d.C. Il suo nome è morte, 1) attivamente, visto che, come si è detto, mandò a morte moltissimi innocenti, soprattutto cristiani, contro dei quali scatenò la seconda persecuzione generale, vero erede e successore della crudeltà di un Nerone; 2) passivamente, nel senso che anch‟egli alla fine venne assassinato dalla congiura del liberto Clemente Console, che in precedenza era stato da lui condannato col pretesto d‟empietà, e così il suo ricordo venne cancellato. E l‟inferno lo accompagnava, poiché morendo, a seguito di questa improvvisa circostanza, in stato d‟empietà, fu subito precipitato il misero a patire la pena dell‟inferno. E fu dato loro il potere sulla quarta parte della terra, tanto si era esteso allora l‟Impero Romano, per uccider con spada e con fame e con morte e per mezzo delle fiere della terra : queste parole indicano la crudeltà di questa persecuzione, per la varietà dei tormenti e diversi generi di morte. 1) per uccider con spada: in ogni parte dell‟Impero, infatti, i cristiani erano assassinati con la spada, per ordine e mandato di Domiziano; 2) e con fame, molti morirono nelle carceri tormentati dalla fame; 3) e con morte, indica in generale i versi modi con cui vennero vessati e uccisi i cristiani, ossia l‟impiccagione, il affogamento, il rogo, il soffocamento ecc.; 4) e per mezzo delle fiere della terra, si accenna in queste parole alla raffinata crudeltà, per cui ci si compiaceva di esporre moltissimi cristiani ad essere divorati dalle bestie a mo‟ di ludibrio e scherno. Basta leggere la storia ecclesiastica, i martirologi e le vite dei santi per trovar facile conferma. 

Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser