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mercoledì 10 maggio 2023

L'ultimo Papa canonizzato



Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c. 


CANCELLIERE VESCOVILE 

Mons. Sarto era Cancelliere Vescovile, ma di una Curia dove il Vescovo, per  le sue precarie condizioni di salute, non poteva esercitare la sua antica attività; dove il Vicario Generale era oramai vecchio ed malaticcio e dove  l'unico Coadiuvatore di Curia era quasi sempre ammalato. 

Gli affari della Diocesi - eccettuata la corrispondenza privata del Vescovo -  erano tutti nelle sue mani. Ed erano in buone mani, perché a Mons. Sarto  nulla sfuggiva. 

 “Era un incanto - affermava chi più volte lo aveva veduto al suo tavolo di  lavoro - osservarlo nel suo stanzone a piano terra del Palazzo Vescovile nei  giorni e nelle ore di maggiore affluenza, specialmente nel Martedì, in cui i  Parroci e i Cappellani della Diocesi, cogliendo l'occasione del grande  mercato cittadino, andavano in Curia. 

"Con il capo leggermente inclinato e con una inimitabile espressione di  mitezza accoglieva tutti, ascoltava tutti con il medesimo umore, con  semplicità e naturalezza, con lo stesso vigile e costante controllo di sé. Poche  parole sommesse.... risposte pronte, conciliative, tranquillizzanti che  ispiravano fiducia e confidenza .... misure spicce e risolute .... un largo  sorriso che gli veniva dal cuore .... e quei Reverendi se ne andavano tranquilli  e contenti” 218. 

Si sarebbe pensato che in tutta la sua vita non avesse fatto altro che il  Cancelliere di Curia. 

L'intuizione pronta delle cose che egli aveva, la rapida percezione dei mezzi  più efficaci, il giudizio sicuro e l'inarrivabile sua accortezza ed abilità  sorprendevano tutti. Tutti ne erano meravigliati, tutti lo portavano in palma di  mano e tutti avevano di lui “un concetto come di un uomo senza eccezione”  219, “animato da una rettitudine addirittura ammirabile” 220. 

Ma più di ogni altro il Vescovo, Mons. Federico Zinelli, il quale, soddisfatto  di non essersi ingannato nello scegliere nel Parroco di Salzano il suo  Cancelliere, non cessava dal ripetere di “non avere mai conosciuto un  Cancelliere così assiduo, così laborioso, così pronto, così abile e così destro  nel trattare con ogni ordine di persone e nel risolvere i casi più delicati e le  più complicate difficoltà, come Mons. Sarto” 221. 

*** 

Per i sacerdoti era tutto premure, tutto cuore. Si prestava del suo meglio per  loro, portava e raccomandava al Vescovo i loro desideri, i loro bisogni. Li  favoriva in tutti i modi, ma, rigido custode del loro onore e del loro prestigio  nell'adempimento del dovere e nel dare buon esempio, quando la forza delle  circostanze lo obbligava a richiami o ad ammonizioni, una nube di mestizia gli scendeva sulla fronte, si faceva serio in volto e quel suo occhio, rivelatore  di dolcezza, diventava severo. Allora era la sua fermezza che parlava, era la  sua indomita volontà che si imponeva. 

E guai se qualche prete avesse osato erigersi a censore del Vescovo, di cui  egli - come di tutti i Vescovi - aveva un culto profondo! Era inflessibile  perché nessuna cosa provocava in lui un giusto sdegno come un prete che  non obbedisse ai propri Superiori o che non si diportasse da prete 222. 

*** 

Una volta un suo intimo amico lo interessò per il miglioramento delle  condizioni di un Cappellano. Mons. Sarto accolse la raccomandazione con la  benevolenza dell'amicizia. Ma quando l'incauto patrocinatore ritornò per  sapere che cosa fosse avvenuto della sua raccomandazione, il Servo di Dio,  guardandolo fisso, gli disse: 

- Oh! sei qua tu, avvocato delle cause perse? Già il Cappellano da te  raccomandato .... Ma non sai? ... - e gli fece intendere quanto bastava per  persuaderlo che quel Cappellano non era da raccomandarsi. 

- Povero uomo! ... - sfuggì all'amico. 

- Povero uomo davvero! - riprese con tono energico Mons. Sarto - e non  soltanto povero, ma pazzo e disgraziato .... Pregare per lui, sì!... aiutarlo, fare  per lui di nascosto quanto esige la carità, sì.... ma pubblicamente,  ufficialmente, no: non è giustizia, sarebbe scandalo. Taci e non parlarne più  né al Vescovo, né a me 223. 

*** 

Ma non erano soltanto preti che Mons. Sarto riceveva nel suo stanzone di  Cancelliere. Non erano soltanto cose curiali che egli trattava. 

Erano anche poveri, diseredati dalla Fortuna, miserabili affranti dalle  traversie della vita che andavano a lui per confidargli segrete angustie,  sofferenze, miserie, situazioni pericolanti, casi pietosi. Ed egli aveva per tutti  una dolce parola di fede, di serena speranza e di coraggio cristiano, mentre a  tutti apriva il suo cuore e la sua mano con una larghezza così generosa che a  Treviso si diceva ad una voce che il Beneficio Canonicale di Mons. Sarto  “non era suo ma dei poveri” 224; mentre tutti riconoscevano quanto fosse  bene intesa e bene ordinata la sua carità, perché, non venendo mai meno alla  giustizia ed ai sacri doveri della pietà filiale, alla mamma dilettissima ed alle  sorelle che continuavano a lavorare nella loro umile casetta di Riese “non  faceva mancare mai il necessario, modesto sì, ma sufficiente” 225. 

*** 

E quanta delicatezza, quanta comprensione nel soccorrere personalmente per  un sentimento di carità coloro che altri avrebbero dovuto soccorrere per  dovere di giustizia! 

Un povero tipografo che aveva un credito con la Curia Vescovile, era alla  disperazione. I suoi affari andavano male e gli scadeva d'urgenza una  cambiale di 4.000 lire. Gli mancavano mille lire per arrivare alla cifra voluta.  Si rivolse al Cassiere della Curia, ma questi, temporeggiando, gli diede  soltanto parole. Non vi era tempo da perdere: una dilazione sarebbe stata la  sua rovina. Pallido e come fuori di sé, si presentò a Mons. Sarto,  esponendogli con le lagrime agli occhi la dolorosa situazione. 

Il pietoso Cancelliere si raccolse un momento, come pensando. Poi,  guardando con occhi di compassione il povero tipografo, gli disse: 

- Coraggio, il Signore c'è per tutti, anche per i poveretti e non abbandona mai  chi in lui confida. Io, come sempre, non ho un centesimo, ma ben volentieri  vi verrò in aiuto. 

E, continuando a rivolgergli parole di conforto, si ritirò in una stanza vicina.  Aprì e chiuse cassetti, scatole, pacchetti di tela, involti e buste, levando da  tutte del danaro e ponendovi in ognuna un biglietto per memoria. 

 “Muto e commosso - così raccontava lo sventurato tipografo - con il cuore  gonfio di riconoscenza, io seguivo ogni movimento del pietoso Monsignore.  "Finalmente, mi si avvicina, e, porgendomi il danaro che mi occorreva, tutto  lieto e contento, esclamò: 

- “Ecco i mille franchi che vi mancano: il Signore vi benedica e pregate per  me” 226. 

Così il Cancelliere Vescovile di Treviso, intendeva la carità: sacrificando se  stesso fino a ridursi a vestire poveramente e più ancora a vendere qualcuno  dei suoi magri campicelli di Riese per aiutare tutti e soccorrere tutti 227.  Chi poteva non volergli bene? 


venerdì 11 novembre 2022

L'ultimo Papa canonizzato

 


Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c. 


DIRETTORE SPIRITUALE DEL SEMINARIO 

 “Altro che Parroco di campagna! Avete sentito che discorso"!... 

Questa l'esclamazione dei Seminaristi di Treviso a commento del primo  discorso del nuovo Direttore Spirituale, il quale, esordendo, si era definito un  “povero Parroco di campagna venuto a Treviso per fare solo la volontà di  Dio” 200. 

Il “povero Parroco di campagna", con pochi tratti, si era rivelato per chi era,  obbligando tutti i Seminaristi ad ammirazione e stima. 

*** 

Mons. Sarto, penetrato dalla gravissima responsabilità che aveva incontrato  davanti a Dio ed alla Diocesi, compiva il proprio dovere “scrupolosamente,  con somma diligenza” 201. 

Ogni mattina preveniva in chiesa i chierici pronto a leggere ad alta voce la  Meditazione. Ogni settimana immancabilmente teneva una conferenza; ogni  Domenica la spiegazione del Vangelo; ogni mese una meditazione ed una  conferenza per il sacro ritiro. Ogni Mercoledì ed ogni Sabato, per ore ed ore,  confessava i Seminaristi e gli alunni del Collegio Vescovile - circa 320 - in  una stanzuccia che nei crudi inverni era una Siberia, senza che dalle sue  labbra uscisse mai un lamento e senza cercare mai un po' di ristoro alle  membra intirizzite 202. 

*** 

Le sue conferenze e le sue meditazioni erano semplici, chiare, piene di  sentimento e di efficacia 203, ricche di paragoni e di confronti, di similitudini  e di citazioni sacre e profane che indicavano una vasta cultura ed una non  comune erudizione. 

La sua parola - detta in un bell’italiano - era facile, spontanea e persuasiva, e,  di quando in quando, fiorita di qualche bene appropriata e dignitosa  piacevolezza, la quale serviva per tenere maggiormente desta l'attenzione e  per meglio imprimere nelle menti e nei cuori le verità che spiegava 204. I  giovani lo ascoltavano con avidità e piacere e ne seguivano docili gli  insegnamenti, perché capivano che in lui non vi era solamente della dottrina  soda, ma, sopra tutto - come si esprimeva un Seminarista di allora che doveva  poi essere Vescovo – “un cuore che sentiva profondamente l'amore di Dio”  205. 

Convinto che il sacerdote deve essere la “luce del mondo “ed il “sale della  terra” 206, la formazione dei suoi chierici era la sua continua  preoccupazione, il respiro della sua vita. 

Perciò, la dignità del sacerdozio, l'obbedienza pronta ai Superiori, il distacco  dalle cose della terra, lo zelo per la salvezza delle anime e le virtù proprie di  un sacerdote, erano gli argomenti sui quali insisteva con più calore, mentre  con la massima energia inculcava la pietà, ma senza ostentazione; l'amore  allo studio ed alla disciplina, l'illibatezza dei costumi, l'ordine e la proprietà  della persona, ma senza ricercatezze 207. 

*** 

Parlava con quella dolcezza che era nel suo cuore, ma all'occorrenza sapeva  parlare anche con quella giusta severità che era nel suo temperamento pieno  di vigore e di vita. 

Allora l'avvampava la fiamma sacerdotale ed operava come un chirurgo che  taglia la carne malata e la risana. 

Una Domenica, avendo osservato che alcuni alunni del Collegio Vescovile  nell'entrare in chiesa avevano omesso o fatto male il segno della croce, si  sentì le fiamme al viso, e, prima di incominciare la spiegazione del Vangelo,  si scagliò con tanta veemenza contro quell'atto mancato o fatto così a  mezz'aria, che mai fu veduto così infiammato in volto come quella volta. Ma  da quel momento i segni di croce non furono più un giochetto di mano sul  petto, ma segni di croce a vecchia misura ed a sistema antico 208. 

"Basterebbe questo episodio - scrive Mons. Marchesan - per conoscere  l'indole dell'uomo, il quale se sapeva prendere le mosche con il miele, le  sapeva prendere anche con l’aceto .... e che aceto “! 209 

Così, con i Seminaristi. Sapeva compatire le manchevolezze proprie della  loro età e con facilità sapeva perdonare e dimenticare. Ma, compreso della  sua responsabilità di dare alla Chiesa uomini completi, non tollerava in essi la  pigrizia e la fiacchezza della volontà. 

Li voleva pronti al sacrificio ed al lavoro, sinceri, disinvolti, senza finzioni.  Voleva che venissero su degni della Chiesa, perché un giorno potessero  essere in mezzo al popolo sacerdoti intemerati, spettacolo al mondo,  ornamento e decoro della Diocesi, gaudio e corona del loro Vescovo.  Parlando una volta con un amico, al quale egli era apparso troppo severo,  diceva: “Devono essere preti, sai! E se a loro non si insegna adesso e filare  diritto, che razza di preti diventerebbero mai”? 210 

Ma la severità di Mons. Sarto era sempre accompagnata da tanta bontà che  nessuno se ne adontò mai. Anzi, quanto più severamente riprendeva, tanto  più cresceva la fiducia in lui, perché “nella parola e nel gesto n aveva una  certa cosa - affermava un Seminarista - che ispirava fiducia” 211 

 “Non rifiutava mai nessuno - testimoniava un altro - e nei dubbi ascoltava  con attenzione, senza fretta, senza mai dare segni di impazienza, prendendo  interesse alle situazioni che gli venivano esposte, alle perplessità ed alle  angustie, per le quali si chiedeva il suo consiglio che egli dava con sicurezza,  riportando nelle anime il conforto, la tranquillità e la freschezza della pace”  212. 

 “Si aveva l'impressione - confermava un terzo - che in lui parlasse il Signore,  perché la sua parola rispondeva sempre ai nostri bisogni e dissipava ogni  timore” 213. 

*** 

Con i chierici poveri, poi, aveva sollecitudini e premure più che di madre.  Erano questi che avevano maggiori diritti alle sue cure. 

Perciò, era come un bisogno del cuore per lui il provvederli di libri, di vesti  ed anche di danaro che egli cercava a prestito quando non ne aveva di suo, e,  se ammalati, di provvedere loro perfino le medicine 214. 

Una sera un povero Seminarista pallido e tremante, entrava nella stanza di  Mons. Sarto, raccontando una triste storia di sventure piombate sopra la sua  famiglia e concludendo che per salvarla dal disonore occorrevano d'urgenza 150 lire. 

- Mi dispiace, figliolo, ma non ho che poche lire - rispose con accento di viva  compassione il Servo di Dio. 

Il poveretto dette in uno scoppio di pianto. 

- Via, via, coraggio: vieni domani. Chissà che il Signore possa provvedere.  All'indomani il Seminarista tornò con gli occhi ancora umidi di pianto. 

- Bene! - gli disse Mons. Sarto appena lo vide. 

- Bene? - replicò trepidante il povero chierico. 

- Sì, bene! ... Ho trovato il danaro - soggiunse il caritatevole Monsignore,  mettendo nelle mani del povero giovane le 150 lire che gli erano state  richieste. 

- Presto sarai sacerdote - continuò - e quando lo potrai, senza tuo grave  incomodo, me le restituirai, perché le ho trovate a prestito appositamente per  te”. 215 

*** 

Tra gli alunni del Collegio Vescovile non mancavano di quelli che dovevano  ancora passare alla prima Comunione. 

Non volendo privarsi della gioia di essere lui ad introdurre Gesù per la prima  volta in quelle anime innocenti, voleva riservata esclusivamente a sé la cura  di prepararveli. 

- Lasci, Monsignore, questo compito ad altri che hanno più tempo di Lei -  insisteva il Vice-Rettore del Seminario, Don Antonio Romanello - il quale  avrebbe voluto evitargli quell'aggiunta di fatica. Ma il pio e laborioso  Canonico con la sua solita giovialità, rispondeva: 

- “Caro Don Antonio, tu devi sapere che io sono il Padre Spirituale e devo  compiere il mio dovere sino allo scrupolo” 216. 

E privandosi anche del passeggio, continuava nel suo lavoro, portando il peso  del giorno con fede, con coraggio e con gioia, mentre doveva dare lezioni di  Religione agli alunni delle classi superiori, intervenire al coro in Cattedrale,  attendere a corsi di predicazione in città, in Diocesi e fuori di Diocesi 217 e  sostenere la grave responsabilità, molte volte non troppo simpatica, di  Cancelliere Vescovile. 


giovedì 18 agosto 2022

L'ultimo Papa canonizzato

 


IL CANONICO DI TREVISO (28 novembre 1875 - 16 novembre 1884) 


ALL'ALTEZZA DEL SUO COMPITO 

In una fredda mattina caliginosa Mons. Sarto si presentava in mezzo ai  Canonici di Treviso. 

Era il 28 Novembre 1875: prima Domenica dell'Avvento. 

Il suo Vescovo lo aveva chiamato a Treviso per affidargli due delicatissimi  uffici che esigevano equilibrio, accortezza e prudenza: l’ufficio di Direttore  Spirituale del Seminario e l’altro di Cancelliere Vescovile. 

Sua Ecc. Mons. Zinelli, estimatore delle qualità e capacità dei suoi preti,  sapeva di avere trovato l'uomo che poteva rispondere pienamente alla sua  aspettazione nel governo della Diocesi e l'uomo che nella storia del  Seminario della Diocesi avrebbe lasciato un'impronta incancellabile. 

Mons. Sarto era allora nel pieno vigore dei suoi 40 anni compiuti. 

Portava con sé non le speculazioni dei libri, ma la scienza dei fatti: conosceva  a fondo uomini e cose. Aveva un carattere schietto e risoluto, un'anima  temprata al sacrificio ed al lavoro, un colpo d'occhio sicuro, un ottimismo  equilibrato ed un profondo spirito sacerdotale. 

Con queste invidiabili doti, poteva affrontare con sicurezza responsabilità e  difficoltà, educare senza trepidazione i giovani chierici alla santità del  sacerdozio ed alla virtù gli alunni del Collegio Vescovile annesso al  Seminario ed essere, nello stesso tempo, il braccio destro del suo Vescovo nel  governo della Diocesi. 

Era all'altezza del suo compito! 


LA FORZA DELL'ESEMPIO 

Fino dai primi giorni della comparsa del Beato tra i Canonici di Treviso si  dovette toccare con mano quanto grande fosse la forza dell'esempio e  l'influenza da lui esercitata, la quale sarebbe andata via via crescendo tra i  suoi colleghi. 

Secondo antichi decreti del Senato della Serenissima di Venezia, confermati dalla Santa Sede, ai Canonici di Treviso era stato concesso il privilegio di  indossare una veste di panno violetto con un cappello dello stesso colore. Ma  con il tempo la veste era divenuta di seta ed il colore violetto si era mutato in  rosso, quasi di porpora fiammante, con un fardello di fasce, di cordoni e di  fiocchi. 

Mons. Sarto, appena entrato come Canonico nel Capitolo della Cattedrale,  con quella modestia che in lui era come una seconda vita, lasciò subito tutto  quell'ingombro di insegne abusive e prese l'abitudine di uscire per le vie della  città vestito in nero, senza ornamento che ricordasse la sua dignità ad  eccezione del collare violaceo. 

Qualche Canonico, a cui piacevano assai i colori di porpora e i fiocchi da  baldacchino, considerò quella novità come un'offesa, né mancarono  commenti acri e pungenti. 

Ma il sussurro non durò molto, perché i Canonici più riflessivi non tardarono  ad imitare l'esempio del nuovo Monsignore. 199

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c. 

venerdì 21 gennaio 2022

L'ultimo Papa canonizzato

 


UN ONORE INATTESO 


Un giorno del 1875 il Beato veniva chiamato in Curia a Treviso. 

La chiamata urgeva: obbediente, il Parroco di Salzano si presentò subito. 

Il Vescovo che da molto tempo gli aveva messo sopra gli occhi, perché avrebbe voluto fare di lui un Professore in Seminario 194, sorridendo  dolcemente, gli disse: 

— Ho bisogno di voi. Ho il Seminario senza Direttore Spirituale e in Curia  manca il Cancelliere. Ho pensato che voi potreste fare l'uno e l'altro. Vi  nomino Canonico della Cattedrale. Siete contento? 

Come Don Sarto rimanesse a così inaspettata proposta, non occorre dire.  Appena si riebbe dalla meraviglia per un onore così inatteso, con preghiere e  con particolari ragioni di famiglia, tentò tutte le vie per distogliere il Vescovo  dalla sua decisione e persuaderlo a pensare ad altri migliori e di lui più capaci  195. 

Ma tutto fu inutile. 

Il Vescovo lo lasciò parlare, ma non si commosse e non ammise scuse, né  ragioni. 

Don Giuseppe abbassò il capo, come assorto in un grave pensiero. Ma,  perché non aveva il timore degli Apostoli trepidanti ed incerti sulle onde  tempestose del lago di Genezareth 196, dimenticando la propria libertà, senza  più insistere, si acquietò al volere del suo Vescovo. 

Quando la sera rientrò a casa apparve turbato. 

Le sorelle, dalle quali sarebbe stata necessità di separarsi, come avrebbero  appreso la decisione del Vescovo?. . . Egli stesso come avrebbe fatto senza la  loro affettuosa assistenza?. . . 

Ma fu turbamento di un istante, perché, ripresa tutta l'energia della sua  volontà e soffocata la voce di ogni affetto di sangue e di terra, alle sorelle,  che, preoccupate, lo interrogavano, perché fosse così turbato, rispose con  voce ferma: 

"Il Vescovo mi vuole a Treviso come Canonico. Mi sono fatto prete e devo  obbedire. E voi pure farete la volontà di Dio, continuando a guadagnarvi il  pane con il lavoro delle vostre mani” 197. 

Sistemate le cose della Parrocchia e rimandate le sorelle alla madre che  viveva nella pace serena della sua povera casetta di Riese, lasciava Salzano  per andare ad assumere le nuove responsabilità, alle quali lo aveva chiamato  la fiducia del suo Vescovo. 

Quanto diversa quella partenza dal suo arrivo di otto anni addietro! 

Quel popolo che lo aveva accolto con freddezza, ora lo seguiva con il pianto,  perché a Salzano non vi era stato, prima di lui, un Parroco tanto degno e così santo. E tutti non facevano che ridirsi a vicenda le sue esimie virtù e  l'ineguagliabile bontà del suo cuore. 

Chi non aveva avuto da lui delle manifestazioni di amore?... Chi non aveva  conosciuto una traccia della sua immensa carità? 

A Salzano era venuto povero: povero i Salzanesi lo vedevano partire, perché  tutto egli aveva dato ai poveri. 

La gloria più bella di un sacerdote di Cristo! 

Esprimendo in umili versi il pensiero ed il sentimento universale, un poeta  dialettale del paese disse in quel giorno: 

El xe vegnuo co'la veste sbrisa; 

El xe partìo senza camisa! 198 

Quale migliore elogio?. . . Lo stesso elogio che 39 anni più tardi,  l’ammirazione del mondo doveva scolpire, ai piedi della sua umile Tomba  nella mistica pace delle Grotte Vaticane: “Pauper et dives”. 

Ma più in alto, al di sopra del pianto dei contadini di Salzano, vi era un  grande occhio che osservava: l'occhio di Dio che attendeva per servirsi, a suo  tempo, del pio ed umile Parroco di Salzano per i suoi alti ed imperscrutabili  disegni. 

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c. 

giovedì 11 novembre 2021

L'ultimo Papa canonizzato

 


L'AMORE DI UN POPOLO 

Tanta virtù, tanto zelo, tanti sacrifici e tanti benefici dovevano,  necessariamente, volgere ed obbligare all'amore più vivo per il loro Parroco il  cuore dei Salzanesi. 

No! un Parroco, come Don Sarto, Salzano non l'aveva mai avuto. 

Era stata vera la parola del Vescovo Zinelli quando affermava di avere scelto  per Salzano un “Parroco d'oro”: un sacerdote dotato delle più belle virtù, per  cui i Salzanesi avrebbero finito con il restargli riconoscenti. E il signor Paolo  Bottacin, dando un diverso significato alla espressione sfuggitagli nel primo  incontro con Don Sarto, doveva riconoscere che il Vescovo, con la sua scelta,  aveva fatto veramente “qualcosa di bello” per l'importante Parrocchia 180,  salita oramai al primo posto tra tutte le Parrocchie della Diocesi per l'ordine  che vi regnava e per il più che consolante risveglio della vita cristiana. 

Particolare, questo, segnato “a perpetua memoria” nella dichiarazione lasciata  da Sua Ecc. Mons. Zinelli al termine della sua Visita Pastorale a Salzano:  

 “Ottimo lo spirito religioso che vige in Parrocchia; popolazione unita e  concorde attorno al suo Parroco; consolante la frequenza ai Sacramenti; in  bel numero le Comunioni; e molto bene istruiti nella Dottrina Cristiana i  fanciulli; in piena regola ogni cosa spettante al culto divino” 181. 

Aveva, dunque, ragione Salzano di andare superba del suo Arciprete e di  amarlo come lo amava. 

Tutti gli volevano bene, perché egli era come la vita della vita della  Parrocchia e niente si faceva e nessuna decisione era presa nelle famiglie  senza di lui. 

Tutti gli volevano bene. Lo amavano i fanciulli che egli, per custodirli dalle  insidie del male, alla sera raccoglieva in Canonica, adattandosi a giocare con  essi al pallido bagliore di una vecchia lucerna, come se fosse ritornato  fanciullo intorno al focolare della sua umile casetta di Riese 182. 

Lo amavano quei giovanotti che, dimostrando tendenza a pietà, egli istruiva  ed educava alle speranze della Diocesi, coltivando in loro, come a Tombolo, i  primi germi della vocazione sacerdotale per poi inviarli in Seminario, dove,  se poveri, li manteneva con i sudori dei suoi sacrifici e con gli stenti delle sue  privazioni, perché nessuna incipiente vocazione andasse perduta 183. 

Lo amavano i giovani, a cui, dopo giornate di spossante lavoro, preoccupato  del loro avvenire, ricordava l'intemeratezza dei costumi e l'onestà della vita,  partecipando alle loro oneste ricreazioni per tenerli più saldamente attaccati a  sé ed alla fede degli avi 184. 

Lo amavano i padri di famiglia, perché in lui trovavano un cuore che sapeva  comprendere i loro bisogni, le loro angustie, le loro amarezze e i loro dolori  185. 

Lo amavano i vecchi, perché in lui sentivano il conforto delle loro miserie ed  il consolatore dei loro ultimi giorni. 

Lo amavano gli ammalati, perché nella sua grande e silenziosa carità  esperimentavano l'ampiezza del suo cuore ed il sollievo di ogni loro  sofferenza 186. 

Lo amavano i poveri, perché lo vedevano ogni giorno “farsi povero per loro”  187. 

Lo amavano i suoi Cappellani, perché in lui ammiravano il sacerdote umile,  pio e laborioso che, spoglio di ogni vanagloria, ad altro non pensava che alla salvezza delle anime 188. 

Lo amavano le autorità municipali, le quali, per l'alta considerazione in cui lo  tenevano, gli avevano affidato la Direzione delle Scuole Comunali e la  Presidenza dell'Ospedale e della Congregazione di Carità del luogo 189. 

Lo amavano gli stessi non credenti nella sua fede, perché ammiravano il vero  sacerdote di Dio, e, presi dallo splendore delle sue virtù, si tenevano  sommamente onorati della sua amicizia. 

Il nominato israelita Mosè Vita-Jacur non dubitava di affidare all'Arciprete  Don Giuseppe Sarto l’educazione delle sue due nepotine; mentre il nipote  Leone Romanin-Jacur, divenuto Segretario di Stato, si compiacerà di salire  spesso con memore pensiero le scale del Vaticano per rendere omaggio di  affettuosa e fervida venerazione all’antico educatore delle sue piccole sorelle  190. 

Tutti a Salzano gli volevano bene, perché in lui tutti veneravano un “prete  santo” 191. 

*** 

Lo amavano tutti e guai a chi si fosse azzardato di toccare il loro Parroco!  Nel pomeriggio di una Domenica, Don Giuseppe ritornava dalla visita fatta  ad un ammalato, quando, giunto alle prime case della Parrocchia, si imbatté  in alcuni figuri di Dolo, i quali, sghignazzando, tentavano con la loro carretta  di impedirgli il passo. 

Non l'avessero mai fatto! 

Alcuni Parrocchiani che stavano giocando lì vicino, visto lo scherzo di  cattivo gusto che quelle facce da patibolo volevano giocare al loro Arciprete,  smesso immediatamente il giuoco, si precipitarono a prenderne le difese.  Sulle prime volarono parole grosse da ambo le parti. Ma quando un  Salzanese, tale Giuseppe Basso, detto “Ciaresse”, tendendo le braccia e  stringendo i pugni, disse ai compagni: “Basta cole ciàccole: cussì se fa” 192,  fu il segno della battaglia. 

Quei giovinastri, vedendo che le cose volgevano per loro alla peggio,  infilarono rapidamente la strada, dalla quale erano venuti 193. 

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c. 

sabato 2 ottobre 2021

L'ultimo Papa canonizzato

 


TESTIMONIANZE DIVINE? 

I Salzanesi guardavano con ammirazione al loro Parroco, perché sapevano  che viveva in un continuo clima di eroismo, vivendo la loro stessa vita e  partecipando ai loro dolori, alle loro sventure ed alle loro trepidazioni. 

Lo avevano veduto come sostenuto da una prestigiosa virtù nei giorni, in cui  il colera, infuriando, spargeva tra loro il lutto e la strage ed erano persuasi che  nel loro Parroco rivivesse il buono e fedele Servo del Signore. 

Nessun dubbio! 

Raccontava un Salzanese, che, mentre il Beato si trovava un giorno in una  casa in aperta campagna, dove si era recato per ragioni di ministero, alte  grida si fecero sentire da un'altra non molto lontana invocanti aiuto per un  incendio scoppiato all'improvviso, il quale aveva preso minacciose  proporzioni. 

Don Giuseppe volò tosto sul luogo, dove era già accorsa molta gente.  Spegnere il fuoco era impossibile, perché nei fossi e nei canali non vi era  acqua. 

Don Sarto, impietosito dai pianti della famiglia Impaurita, mentre le fiamme  stavano per raggiungere il fienile, incoraggiando gridò: “Non abbiate paura,  il fuoco si spegnerà”! 

 “In quello stesso momento le fiamme si voltarono dalla parte opposta ed in  breve il fuoco, come obbedendo ad un comando misterioso, si estinse ed il  danno recato dall'incendio alla casa fu lieve. 

 “Tutti — concludeva il Salzanese — commentarono con meraviglia il fatto”  178. 

*** 

 “Un anno — così un altro testimonio — le viti delle nostre campagne furono  devastate da un piccolo insetto, volgarmente conosciuto con il nome di 

sigaraio, perché accartoccia le foglie dei tralci così da dare loro l’aspetto di  un sigaro, le quali poi finiscono con il seccarsi. 

 “Don Sarto, mosso a compassione per il gravissimo danno che minacciava il  raccolto, una Domenica, dopo di avere esortato il popolo a pregare,  conchiuse: 

— “Domani farò suonare le campane e a quell'ora io benedirò i vostri campi  e le vostre viti. Unitevi con me nella preghiera con grande fede e sperate  bene”. 

 “Come aveva promesso, così fece. L'effetto di quella benedizione fu  meraviglioso, come ho veduto io stesso con i miei occhi. Gli insetti erano  spariti e il danno scongiurato”!179 

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c. 

venerdì 27 agosto 2021

L'ultimo Papa canonizzato

 


IL COLERA DEL 1873 

Come fiume regale che non può essere contenuto tra rive troppo anguste, la  carità di Don Giuseppe Sarto aveva bisogno di dilagare, ignorando limiti non  soltanto nella donazione di ciò che era suo, ma perfino di se stesso per il bene  dei suoi Parrocchiani. 

Neppure questo eroismo di carità, indicato dalla solenne parola del Maestro  Divino: “Nessuno ha carità più grande di colui che dà la vita per i suoi  amici” 172, poteva mancare al nostro Beato. 

Fino a non molti anni addietro i vecchi nel Veneto ricordavano il terribile  colera del 1873. 

Il flagello del contagio infierì, mietendo vittime numerose anche tra la quieta  popolazione di Salzano e tu quello per Don Sarto un tempo di inesprimibili  sacrifici e di opprimenti fatiche. 

Vi era da confessare un colpito dal morbo?. . . Era lui che correva di giorno e  di notte, in ogni momento ed in tutte le ore, non volendo, per delicatezza di  carità, che i suoi giovani Cappellani si esponessero al pericolo di contrarre il  contagio 173. 

Vi era un morto da seppellire?. . . Era lui che interveniva alla mesta  cerimonia per benedire, ancora una volta, le salme dei suoi Parrocchiani. 

In qualche casetta sperduta nella desolata pianura mancava il necessario?. . .  Era lui che provvedeva, che aiutava, che confortava. 

In qualche famiglia povera non vi erano persone che sapessero assistere i  contagiosi?. . . Era lui che suggeriva i rimedi opportuni, che consigliava, che infondeva coraggio e non esitava a tarsi  medico ed infermiere pietoso. 

Mancavano braccia per trasportare i morti al cimitero?. . . 

Era lui che premuroso si prestava all’opera misericordiosa. 

Una notte si era recato in una casa lontana per levare un morto. Non vi erano  presenti che tre uomini: mancava il quarto. 

Don Sarto vide e tacque. Asperse con l'acqua benedetta il feretro, intonò il “De profundis”, e, in cotta e stola, si mise, quarto, a portare il defunto 174.  Cessata la furia del morbo, l'eroico Parroco intonò l'inno del ringraziamento.  Ma le emozioni patite, il lavoro sfibrante, l'assoluta mancanza di riposo, i  disagi estenuanti e gli strapazzi senza numero imposti dall'urgenza dei casi, i  lutti e la desolazione del suo popolo così duramente provato, fiaccarono la  sua fibra robusta. 

Lo sorprendeva il pianto, il cibo gli dava nausea, non poteva chiudere occhio.  Si era ridotto ad uno scheletro 175. 

Gli amici, le sorelle, il Vescovo stesso, gli raccomandavano riposo e quiete,  ma il forte operaio di Dio rispondeva: “non abbiate paura! Signore aiuta”!  176 

Don Carminati un giorno rimase vivamente impressionato nel vedere Don  Sarto così cambiato e senza forze. 

— Ma tu non stai bene — gli disse. 

— Pare a te! — rispose Don Giuseppe. 

— Altro se mi pare! ... Tu stai male! — replicò Don Carminati. 

— Sì, è vero! — rispose Don Sarto — lo sento anch'io che non sto troppo  bene da qualche tempo in qua. 

— E' il servo di tutti! — interruppe con forza la sorella maggiore — lo  guardi, Don Carlo, come è ridotto .... pelle ed ossa! 

— Tua sorella ha cento ragioni da vendere — riprese Don Carminati, alzando  la voce in tono di affettuoso rimprovero — tu lavori troppo, caro mio, ma  ricordati che l'arco troppo teso si spezza e quando certi archi sono rotti non si  aggiustano più .... Hai capito? 

— Bravo! ... Sei diventato un oratore eloquente! — commentò Don Giuseppe  con un sorriso che voleva dire: Tenetevi pure i vostri consigli, perché io so  quello che devo fare. 

E, non appena gli ritornò il vigore, continuò nel suo lavoro con un ritmo  ancora più intenso ed una volontà ancora più indomita, teso alla gloria di Dio  ed alla salvezza delle anime 177. 

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c. 

domenica 1 agosto 2021

L'ultimo Papa canonizzato

 


I PRODIGI DEL SUO CUORE 

Se a Tombolo la carità di Don Sarto era apparsa meravigliosa, a Salzano  superò ogni umano eroismo. 
 “Il cuore di lui era sempre aperto a tutte le miserie e tutto quello che aveva  non era suo” 149. Il necessario poteva mancare a lui, ma non a chi era nella  povertà e nella indigenza. 
Davanti al bisogno non discuteva: dava fondo a tutto, “si spogliava di tutto”  150. 
I frequenti richiami delle sorelle che vedevano scomparire biancheria ed  indumenti, frumento, farina di granoturco e lo stesso modesto vitto  quotidiano, non contavano, e, se volevano conservare quel poco di roba che  avevano in casa, dovevano nasconderla, perché il futuro Pio X non vi  mettesse su le mani 151. 
Per Don Giuseppe contava una cosa sola: la sua grande fede nella  Provvidenza. 
Per questo non lo turbò mai la tentazione di accumulare danari, né mai pensò  all'oggi per il domani ed anche con un pingue Beneficio non mise mai da  parte un centesimo! 152 

*** 

Aveva una sola preoccupazione: tergere ogni lacrima amara e rendere meno  umiliante la povertà dei suoi Salzanesi: il resto non aveva importanza per lui.  Quando non aveva più nulla da dare, quando non sapeva come aiutare  qualche famiglia colpita dalla sventura, non era contento se non si prestava a  fare cauzioni, anche sapendo che alla loro scadenza avrebbe dovuto pagare di  sua tasca 153. 
Che cosa gli importava se per uscire da certe situazioni angustianti, create  dalla sua inesauribile carità, doveva privarsi di tutto, dare mano perfino al suo  stesso anello parrocchiale e mandarlo segretamente al Monte di Pietà di  Venezia? 154 
Che cosa gli importava se per soccorrere la povertà e sollevare l'indigenza dei  suoi Parrocchiani doveva dimenticare così se stesso da trascurare perfino di  fare le spese necessarie? 155 
Qualche volta le sorelle si lamentavano che non aveva più calze, ed egli  prontamente: “Aggiustate le vecchie, la tonaca copre tutto” 156. 
La sorella Maria un giorno gli fece notare che aveva bisogno di una veste.  Egli rispose: “non ho soldi”! 157 
Non aveva calze, perché pensava più ai poveri che a sé. 
Non aveva soldi, perché per i poveri aveva — come diceva il popolo — le 
“mani bucate” 158. Non aveva vesti, perché “dava via tutto” 159, perché si  privava di tutto, perfino delle sue stesse camicie e delle sue stesse scarpe 160.  A lui bastava la gioia di chi tutto dona e nulla chiede: a lui bastava quietare  angustie, consolare miserie, lenire dolori, sentire i poveri più vicini a sé e più  vicini a Dio, mentre a chi lo consigliava di pensare un po' a se stesso, con la  fede vittoriosa dei Santi, rispondeva, come tante volte aveva risposto a  Tombolo: il Signore provvedeva! 161 

***
 
Il nostro Beato nel fare la carità era insuperabile. 
Una mattina, verso mezzogiorno, la buona sorella Rosa, tutta affaccendata,  era entrata in cucina. Ma quale la sua sorpresa quando non vide più la pentola  che aveva messo al fuoco con un pezzo di carne per la minestra! 
— Povera me! ... cosa farò adesso?! — esclamò con voce di lamento. 
La udì Don Giuseppe, e, per tranquillizzarla, con un dolce sorriso, le disse:  — E' venuto poco fa un pover'uomo che ha la moglie ammalata e quattro  bambini che hanno fame. Non avendo altro da dargli, gli ho dato la pentola e  con il brodo e la carne. 
 “Va là, va là — soggiunse subito — sta quieta, per noaltri el Signor  provvederà”!162 
— Ma cosa mangeremo noi adesso? — insisté la sorella che non sembrava  volersi acquietare. 
— “Polenta e formaggio”! — rispose lui che ordinariamente si contentava di  un uovo o di una semplice minestra di fagioli 163. 
Avevano bisogno di molta virtù le sue buone sorelle, dovendo sempre tacere!  Se avessero osato di dire una sola parola, dal labbro del loro Don Bepi,  avrebbero udito sempre la medesima risposta: “Avete paura di morire di  fame? Non siamo nati per mangiare, ma per lavorare e per patire. Per noi il  Signore provvederà” 164. 

*** 

Il grano del Beneficio della Parrocchia era destinato ai poveri. I Salzanesi  affermavano che il loro Parroco “aveva sempre il granaio vuoto” 165, e, non  senza commozione, ricordavano che in una annata di tremenda carestia egli  aveva distribuito tutto il suo grano al popolo che pativa la fame, riservando  per sé solamente “un mucchietto di fagioli allampanati e mezzo tisici” 166.  Un giorno, un contadino, passando davanti alla Canonica, domandò: 
— Di chi è quel grano messo lì al sole? 
— E' dell'Arciprete! — gli fu risposto. 
— Bisogna dire che il nostro Arciprete sia senza farina per avere tanta fretta  di disseccare quel grano! — riprese il contadino. 
Era proprio così! 
Ogni anno il Parroco di Salzano era sempre il primo a raccogliere il grano,  perché gli premeva di soccorrere i più miserabili della Parrocchia 167. 
E per lui?. . . Per lui la solita mirabile parola: “La Provvidenza non manca  maì”! 

*** 

Ma se la fame, sopportata non solo senza lamento, ma con gioia, non  spaventava il Parroco di Salzano, non poteva fargli paura nemmeno il freddo.  E di freddo ne faceva molto quel Marzo del 1868 e la legna, per il  lunghissimo inverno, era venuta a mancare in tante famiglie. 
In Canonica ce n'era ancora alquanta, ma veniva meno a vista d'occhio da un  giorno all'altro. 
— E' mai possibile che qui si consumi tanta legna? — domandò una sera  meravigliato, al servo di casa il sacerdote chiamato per il Quaresimale a  Salzano. 
— E! ... — rispose il buon uomo — che vuole! ... qui la porta è sempre  aperta! 
Il Quaresimalista capì: era il Parroco che, nel suo gran cuore, si lasciava  derubare per nascondere la sua carità. Ma, volendo avere da lui stesso la  confessione, un giorno, lo interrogò: 
— Come mai la legna nel cortile va scomparendo tanto rapidamente '? 
— Vi è tanta gente, che patisce il freddo! — rispose Don Giuseppe. 
— E tu?... 
— Io posso farne senza! — replicò tranquillamente il Servo di Dio 168.  Risposta eroica! 

*** 

Per i suoi molteplici impegni parrocchiali il Beato aveva un cavallo ed una  carrozzella: ma il cavallo era di tutti e la carrozzella al solo vederla faceva  pietà. 
Un giorno, conversando con quel Don Giuseppe Menegazzi che abbiamo  ricordato come suo contraddittore nei Catechismi Domenicali a dialogo 169,  gli disse: 
— Senti, caro Don Giuseppe, non ho ancora pagato le tasse e sono in  arretrato con la retta del Seminario per un chierico povero della mia  Parrocchia. Non ho un soldo e non so dove battere la testa. Non potresti tu  che hai tante conoscenze farmi vendere il cavallo e la carrozzella? 
— Il cavallo glielo faccio vendere, signor Arciprete — rispose Don  Menegazzi — ma la carrozzella è così sgangherata che non vale la pena di  arrischiarne la vendita. Non la vorrebbe nessuno anche a donargliela. 
Poco dopo il cavallo fu venduto alla chetichella, ma la carrozzella continuò  ad essere l'omnibus di tutti 170. 

***
 
— Oh! Don Carlo! ... Come mai da queste parti! — così un giorno la buona  Rosa — la prima delle sorelle del Servo di Dio — nel vedersi venire incontro  Don Carlo Carminati: il Cappellano sempre allegro di Galliera, collega di  Don Sarto quando questi era a Tombolo. 
— Sono venuto a salutare in fretta l'Arciprete! — rispose Don Carlo. 
— Bravo, bravo! — ripigliò la buona Rosa — E, tirandolo in disparte, gli  disse: — Senta, Don Carlo, in confidenza, una cosa. Questa mattina è arrivato  in paese un merciaio che ha della buona tela. Don Giuseppe ha riscosso ieri  un po' di danaro. Faccia un piacere, Lei che è tanto buono e conosce bene  mio fratello: lo preghi che comperi un po' di tela. Capisce Don Carlo? Don  Giuseppe non ha più biancheria personale. Ha dato via tutto! 
— Ho capito, Rosina: guarderò di fare del mio meglio! — rispose Don Carlo.  Il Cappellano di Galliera che conosceva il cuore del Parroco di Salzano —  manco a dirlo! — si affrettò a fare la sua ambasciata, aggiungedovi da parte  sua le più calde e persuasive ragioni. 
Fiato sprecato, perché Don Giuseppe tronco subito ogni argomento, dicendo:  “Lasciate là, lasciate là .... la tela si provvederà un'altra volta”! 
Visto inutile ogni tentativo di piegare la volontà dell'Arciprete, Don Carlo e  le sorelle ricorsero ad uno stratagemma piuttosto arrischiato. 
Chiamarono il merciaio: scelsero un certo numero di metri della tela  adocchiata; ne contrattarono il prezzo; la fecero 
tagliare dalla pezza, e, rivolgendosi a Don Giuseppe che guardava  impassibile, conchiusero il contratto, dicendogli: 
— Don Giuseppe, tanti metri.... tanto danaro .... ora paga! 
Don Giuseppe capì il tranello affettuoso, diede un'occhiata a Don Carlo,  scosse il capo, e, con un tono di rimprovero, disse: 
— “Anche tu vieni a tradirmi ed a macchinare inganni”? 
Ma, comprendendo il pensiero che si era avuto per lui, tratto fuori il danaro  che fortunatamente non aveva preso ancora altra via, pagò. 
La buona Rosina ebbe un lungo respiro, e, rivolta al Cappellano di Galliera  che se la rideva di gusto, tutta contenta, esclamò: 
— Benedetto il suo arrivo, Don Carlo! Se oggi non c'era qui Lei, domani non  si aveva né tela, né danari! 171 
Ma la sorpresa non si rinnovò più. 


Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c. 

venerdì 21 maggio 2021

L'ultimo Papa canonizzato

 


PER IL BENESSERE DEL SUO POPOLO 

Ma avrebbe mai potuto il santo Pastore disinteressarsi delle condizioni  economiche del suo popolo, mentre che spendeva tutte le sue forze nel  promuovere la santità dei costumi, nell'eliminare scandali, nel comporre  discordie e nel riparare disordini, con la santa ambizione che la sua  Parrocchia fosse una Parrocchia modello per morigeratezza, probità ed onestà  cristiana? 139 

La Questione Sociale che allora, sotto la pressione del crescente  industrialismo, incominciava ad affacciarsi con i suoi poderosi problemi,  essendo — sopra tutto ed innanzi tutto — questione morale, la cui soluzione  dipendeva unicamente dalla applicazione dei principi cristiani alla evoluzione  economica in corso, non poteva lasciare indifferente il Parroco di Salzano, il  quale era troppo persuaso che, assicurato un pane tranquillo agli operai della  sua Parrocchia, ne avrebbe, nello stesso tempo, immunizzate le anime del  contagio, oramai qua e là serpeggiante, del Socialismo. 

Don Sarto entrò coraggiosamente anche in questo campo, portandovi la  prontezza della sua mente e gli accorgimenti del suo cuore. Non era egli,  forse, venuto a Salzano con il proposito fermo e risoluto di nulla lasciare di  intentato per il bene del suo popolo, disposto a non pesare privazioni, a non contare sacrifici, a non risparmiare sudori? 

Salzano aveva un setificio di proprietà di un notissimo industriale israelita di  Padova, Mosè Vita-Jacur, nel quale lavoravano ben 300 operaie della  Parrocchia, senza contare gli uomini. 

Al nostro Parroco, ai cui modi gentili, ma senza servilismo, ed alla cui  dignitosa fermezza non vi era autorità o grandezza umana che sapesse  resistere 140, fu facile di entrare, per amore della classe lavoratrice del suo  popolo, nella stima e nella confidenza dello Jacur, il quale, onorandone la  virtù ed apprezzandone i criteri e le idee, si mostrò sempre assai lieto di  seguirne le raccomandazioni ed i consigli per il bene dei propri operai 141. 

*** 

Ma a Salzano, oltre le setaiole del Vita-Jacur, vi erano ancora altri operai,  artigiani e contadini, ai quali bisognava pensare. Don Sarto pensò anche a  questi, e, con una idea precorritrice dei tempi — limitatamente al luogo ed  all’epoca non ancora matura — per tenerli più uniti a sé, li associò in una  piccola cassa rurale: primo embrione — almeno in Italia — di quante ne  sarebbero sorte alcuni anni dopo 142 e primo passo al sorgere e allo  svilupparsi di quelle istituzioni economico-sociali che oggi sono così  dovunque in fiore. 

E quante lettere, quante ambasciate non sempre gradite per tutelare gli  interessi economici dei suoi Parrocchiani! “Se non ci fosse stato l'Arciprete  — diceva qualche contadino — sarei già in mezzo ad una strada” 143. E  quante fatiche per superare le resistenze di qualche proprietario, il quale, pur  professandosi cristiano e cattolico, si lamentava che Don Sarto si occupasse  un po' troppo dei suoi fittavoli. Ma poi finiva con il cedere, riconoscendo in  lui un prete, a cui non si poteva dire di no 144: un prete che sapeva difendere  i diritti del suo popolo e salvaguardare gli immutabili principi della giustizia  e della carità. 

*** 

Facile, dopo tutto questo, l'immaginare il continuo andirivieni di gente  intorno alla Canonica di Salzano, aperta a tutti, di giorno e di notte, ed il  cumulo di lavoro del Beato. 

Il popolo nella sua semplicità faceva dei confronti. Avvicinare il Parroco che  lo aveva preceduto era quasi impossibile, perché era uomo più da Certosa che  da Parrocchia. 

Quando qualcuno bussava alla porta della Canonica, si apriva un finestrino dall'aria claustrale: 

— Siora Adriana, Bon giorno! 

— Bon giorno! . . . cosso, volèu? 

— Parlar con l'Arsiprete. 

— Disème a mi, che fa lo stesso! 145 

I malcapitati, il più delle volte, si allontanavano, maledicendo in cuor loro a  tutte le “Perpetue” della terra. 

Con Don Sarto niente finestrini, niente cerimonie, niente “Perpetue”, ma  schiettezza, fronte serena, viso aperto, sorriso cordiale 146. 

E la gente ricorreva al suo Arciprete con semplicità, con confidenza, con  fiducia, perché sapeva che nell'aria festosa del suo volto e nella dolce mitezza  dei suoi occhi egli portava tutto il suo cuore di Pastore di anime e di Padre  del suo popolo 147. 

A memoria di vecchi, Salzano non aveva mai avuto un Parroco così attivo,  così buono, tanto ricco di virtù sacerdotali, ma, sopra tutto, di carità: la virtù  che meglio di ogni altra rivela il Ministro di Cristo e conquista le anime. 

La grande Parrocchia in breve tempo aveva cambiato fisionomia e preso  l'aspetto di una Parrocchia a modo con un popolo onesto, laborioso, assiduo  alla chiesa, amante della previdenza e del risparmio, a cui lo aveva educato il  Parroco santo 148. 

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c. 

martedì 23 marzo 2021

L'ultimo Papa canonizzato

 


OPINIONI CHE CAMBIANO 

Il 14 Luglio 1867 — una Domenica ardente di sole — Don Giuseppe Sarto,  senza sussiego e senza ombre di pose, si presentava davanti al suo popolo  raccolto nella chiesa della grande Parrocchia. 

Dopo il Vangelo della Messa solenne salì sul pulpito, e, con una parola che  rifletteva l'energia e l'ampiezza del suo cuore, delineò a rapidi tocchi la  missione del Parroco, terminando con questa commovente invocazione al  Signore:  

 “Mio Dio, quale grande responsabilità è la mia nel dover rendervi conto di  tutte queste anime affidate alla mia cura! Datemi il vostro aiuto e la vostra  assistenza, o Signore, mentre confido ancora nella corrispondenza di voi, o  Salzanesi, che siete tanto profondamente cristiani. 129 

Il popolo ne fu avvinto, perché aveva già compreso che il nuovo Parroco era  nato per fare il Pastore di anime, non dubitando che quel “pretino” che veniva da Tombolo, non solo avrebbe degnamente continuato la serie dei  Parroci che avevano in passato onorato Salzano, ma che li avrebbe anche  superati 130. E di questo dovevano ancora meglio persuadersi di lì a qualche  giorno, quando il nuovo Arciprete volle conoscere tutti i suoi Parrocchiani,  visitare tutte le famiglie, salutare tutti, portare a tutti la sua benedizione. 

Il suo carattere franco e gioviale, l'amabilità delle sue maniere e la sua parola dolce e schietta gli conquistarono subito la stima, l'affetto e la venerazione  universale. 

Da quel giorno Salzano fu completamente nelle sue mani. 131 

La diffidenza, con cui era stata accolta la sua nomina a Parroco, si era mutata  nella più sincera ed affettuosa ammirazione. 


CATECHISMO E CULTO DIVINO 

Conosciuto il suo popolo e conosciuti i più urgenti bisogni della Parrocchia,  Don Sarto non conobbe indugi, e, con quella calma e serenità che gli dava la  piena coscienza della sua nuova missione, incominciò la sua fatica di Pastore  di anime. 

Tutto ardore per la salvezza delle anime, dell'altare ne fece come il suo trono,  del pulpito e del confessionale i punti di riferimento di tutta la sua giornata, i  luoghi dove i suoi Parrocchiani lo avrebbero sempre trovato in qualunque ora  ed in qualunque momento. 

All'altare pregava per essi: dal pulpito li ammaestrava con chiarezza ed  energia, come se novellasse accanto al loro focolare o nei campi assolati: nel  confessionale solcava a fondo, prudente e paterno, nelle loro coscienze, riconducendole — se deviate — al bene od infiammandole, quando rette e  buone, ad una sempre più perfetta vita cristiana; mentre al letto degli  ammalati e dei moribondi era l'angelo del conforto e della rassegnazione  cristiana che leniva i dolori e sosteneva la fede con la consolante visione dei  gaudi immortali 132. 

Gli stava davanti una grave responsabilità, lo spingeva il bene del suo popolo,  il dovere gli accresceva le forze. 

I Salzanesi non tardarono ad apprezzare lo zelo e la superiorità del nuovo  Parroco, ispirato unicamente da un ardentissimo amore, anche quando,  accendendosi ed arroventandosi, si scagliava, senza umani riguardi, con  accenti che agghiacciavano il sangue, contro i vizi e i disordini, e capirono  che voleva sradicare il male, moltiplicare il bene, salvare ad ogni costo le  anime 133. 

Ma suo campo era il Catechismo, suo centro di azione la Dottrina Cristiana: il  codice insostituibile che è alla base dell'ordine e della morale insegnata dalla  Chiesa di Cristo. 

Persuaso che un popolo senza il Catechismo isterilisce e muore, come  senz'acqua isterilisce e muore la semente nei solchi, le insistenze e le raccomandazioni su questo punto non finivano mai. 

 “Vi prego e vi scongiuro di venire al Catechismo — diceva continuamente al  suo popolo — e piuttosto che mancare al Catechismo mancate pure al  Vespero” 134. 

Che cosa importa il culto divino se non è inteso, se l'anima ignora il codice  della sua fede, e, conseguentemente, della sua vita? Allora il sentimento  religioso si volge in sentimentalismo e la Religione perde ogni efficacia come  norma, come regola ed orientamento di costume. 

Perciò, il Beato, solito a ripetere con la più viva preoccupazione che la  maggior parte del male proveniva dalla mancanza della conoscenza di Dio e  delle sue verità, non cessava un momento dall'invitare con accorate  esortazioni i suoi Parrocchiani alla frequenza del Catechismo che egli  spiegava con molta vivacità e con particolare passione. 

E perché le verità della fede rimanessero più facilmente e più fortemente  impresse nelle menti, nelle intuizioni della sua grande fede e negli slanci  della sua grande carità per il bene delle anime, escogitò la felicissima idea di  adottare il sistema del Catechismo a dialogo che egli teneva, con straordinaria  abilità, con un giovane prete — Don Giuseppe Menegazzi — della vicina  Noale: una novità che alla Domenica richiamava nella chiesa di Salzano non  solo tutti i Parrocchiani del luogo, ma anche molta gente delle Parrocchie dei  dintorni. 135 

Qualche Parroco, nel vedere alla Domenica la propria chiesa deserta, non  mancò di lamentarsi con il Vescovo per questo nuovo sistema di spiegare il  Catechismo. Ma il Vescovo, che seguiva con vivo interesse e con più viva compiacenza lo zelo e la sorprendente attività del Parroco di Salzano,  rispondeva, sorridendo: “Fate altrettanto anche voi”! 136 

*** 

E' evidente che con la formazione delle anime, per mezzo del Catechismo,  doveva andare di pari passo le premure per il rinnovamento del culto divino e  di quanto ad esso appartiene. 

Don Sarto conosceva la grande influenza che sopra il sentimento religioso  esercitano le sacre cerimonie del culto e quanto contribuisca alla devozione  ed alla fede il decoro e la dignità della Casa del Signore, dove il popolo si  raccoglie nella preghiera e nella lode di Dio. 

Una bella chiesa, una chiesa ordinata e pulita, anche se non sontuosa ed  artistica, è sempre un indice della pietà, come del clero che l'ha in custodia, così del popolo che la frequenta. 

Quantunque la Parrocchiale di Salzano non potesse dirsi trascurata, il suo  stato poteva, però, essere migliorato. 

A questo intese alacremente il Beato fino dai primi giorni del suo ministero  di Pastore di anime. 

Così, per tenere sempre più unito il suo popolo alla chiesa della grande  Parrocchia, volle più maestoso lo splendore delle funzioni, ordinate ed  eseguite secondo lo spirito della Sacra Liturgia; il massimo onore nelle cose  riguardanti più da vicino l'altare; tenuti in onore i paramenti e le suppellettili  sacre; educati alla bellezza del canto sacro fanciulli, giovani ed adulti 137;  richiamata a nuova vita la decadente Compagnia del SS.mo Sacramento;  istituita la Confraternita del Sacro Cuore di Gesù; promossa l'Adorazione  delle 40 Ore; introdotto il pio esercizio del Mese di Maggio in onore di Maria  SS.ma; dato incremento alla frequenza dei SS.mi Sacramenti; celebrato con  solennità di cerimonie il giorno della prima Comunione dei fanciulli che egli  ammetteva ad “una età notevolmente minore di quella allora in uso” 138. 

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c.