giovedì 11 novembre 2021

L'ultimo Papa canonizzato

 


L'AMORE DI UN POPOLO 

Tanta virtù, tanto zelo, tanti sacrifici e tanti benefici dovevano,  necessariamente, volgere ed obbligare all'amore più vivo per il loro Parroco il  cuore dei Salzanesi. 

No! un Parroco, come Don Sarto, Salzano non l'aveva mai avuto. 

Era stata vera la parola del Vescovo Zinelli quando affermava di avere scelto  per Salzano un “Parroco d'oro”: un sacerdote dotato delle più belle virtù, per  cui i Salzanesi avrebbero finito con il restargli riconoscenti. E il signor Paolo  Bottacin, dando un diverso significato alla espressione sfuggitagli nel primo  incontro con Don Sarto, doveva riconoscere che il Vescovo, con la sua scelta,  aveva fatto veramente “qualcosa di bello” per l'importante Parrocchia 180,  salita oramai al primo posto tra tutte le Parrocchie della Diocesi per l'ordine  che vi regnava e per il più che consolante risveglio della vita cristiana. 

Particolare, questo, segnato “a perpetua memoria” nella dichiarazione lasciata  da Sua Ecc. Mons. Zinelli al termine della sua Visita Pastorale a Salzano:  

 “Ottimo lo spirito religioso che vige in Parrocchia; popolazione unita e  concorde attorno al suo Parroco; consolante la frequenza ai Sacramenti; in  bel numero le Comunioni; e molto bene istruiti nella Dottrina Cristiana i  fanciulli; in piena regola ogni cosa spettante al culto divino” 181. 

Aveva, dunque, ragione Salzano di andare superba del suo Arciprete e di  amarlo come lo amava. 

Tutti gli volevano bene, perché egli era come la vita della vita della  Parrocchia e niente si faceva e nessuna decisione era presa nelle famiglie  senza di lui. 

Tutti gli volevano bene. Lo amavano i fanciulli che egli, per custodirli dalle  insidie del male, alla sera raccoglieva in Canonica, adattandosi a giocare con  essi al pallido bagliore di una vecchia lucerna, come se fosse ritornato  fanciullo intorno al focolare della sua umile casetta di Riese 182. 

Lo amavano quei giovanotti che, dimostrando tendenza a pietà, egli istruiva  ed educava alle speranze della Diocesi, coltivando in loro, come a Tombolo, i  primi germi della vocazione sacerdotale per poi inviarli in Seminario, dove,  se poveri, li manteneva con i sudori dei suoi sacrifici e con gli stenti delle sue  privazioni, perché nessuna incipiente vocazione andasse perduta 183. 

Lo amavano i giovani, a cui, dopo giornate di spossante lavoro, preoccupato  del loro avvenire, ricordava l'intemeratezza dei costumi e l'onestà della vita,  partecipando alle loro oneste ricreazioni per tenerli più saldamente attaccati a  sé ed alla fede degli avi 184. 

Lo amavano i padri di famiglia, perché in lui trovavano un cuore che sapeva  comprendere i loro bisogni, le loro angustie, le loro amarezze e i loro dolori  185. 

Lo amavano i vecchi, perché in lui sentivano il conforto delle loro miserie ed  il consolatore dei loro ultimi giorni. 

Lo amavano gli ammalati, perché nella sua grande e silenziosa carità  esperimentavano l'ampiezza del suo cuore ed il sollievo di ogni loro  sofferenza 186. 

Lo amavano i poveri, perché lo vedevano ogni giorno “farsi povero per loro”  187. 

Lo amavano i suoi Cappellani, perché in lui ammiravano il sacerdote umile,  pio e laborioso che, spoglio di ogni vanagloria, ad altro non pensava che alla salvezza delle anime 188. 

Lo amavano le autorità municipali, le quali, per l'alta considerazione in cui lo  tenevano, gli avevano affidato la Direzione delle Scuole Comunali e la  Presidenza dell'Ospedale e della Congregazione di Carità del luogo 189. 

Lo amavano gli stessi non credenti nella sua fede, perché ammiravano il vero  sacerdote di Dio, e, presi dallo splendore delle sue virtù, si tenevano  sommamente onorati della sua amicizia. 

Il nominato israelita Mosè Vita-Jacur non dubitava di affidare all'Arciprete  Don Giuseppe Sarto l’educazione delle sue due nepotine; mentre il nipote  Leone Romanin-Jacur, divenuto Segretario di Stato, si compiacerà di salire  spesso con memore pensiero le scale del Vaticano per rendere omaggio di  affettuosa e fervida venerazione all’antico educatore delle sue piccole sorelle  190. 

Tutti a Salzano gli volevano bene, perché in lui tutti veneravano un “prete  santo” 191. 

*** 

Lo amavano tutti e guai a chi si fosse azzardato di toccare il loro Parroco!  Nel pomeriggio di una Domenica, Don Giuseppe ritornava dalla visita fatta  ad un ammalato, quando, giunto alle prime case della Parrocchia, si imbatté  in alcuni figuri di Dolo, i quali, sghignazzando, tentavano con la loro carretta  di impedirgli il passo. 

Non l'avessero mai fatto! 

Alcuni Parrocchiani che stavano giocando lì vicino, visto lo scherzo di  cattivo gusto che quelle facce da patibolo volevano giocare al loro Arciprete,  smesso immediatamente il giuoco, si precipitarono a prenderne le difese.  Sulle prime volarono parole grosse da ambo le parti. Ma quando un  Salzanese, tale Giuseppe Basso, detto “Ciaresse”, tendendo le braccia e  stringendo i pugni, disse ai compagni: “Basta cole ciàccole: cussì se fa” 192,  fu il segno della battaglia. 

Quei giovinastri, vedendo che le cose volgevano per loro alla peggio,  infilarono rapidamente la strada, dalla quale erano venuti 193. 

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c. 

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