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venerdì 19 aprile 2024

Il Dogma dell'Inferno.

 


Del Timor salutare dell'Inferno. 


Dobbiamo temere l'Inferno, perché vi possiamo precipitare. Ahimè, troppo è facile il dannarsi, e molti di fatto si dannano. S. Teresa li paragona ai fiocchi di neve cadenti nelle fosche giornate invernali. Il servo di Dio Antonio Pereira, citato di sopra, vide le anime peccatrici calare nell'abisso; come i grani di frumento sotto la macina, come le pietre ammassate dentro un'ampia fornace di calcina. Il venerabile Padre Baldinucci, celebre missionario della Compagnia di Gesù, morto in odore di santità l'anno 1717, predicando in aperta campagna, perché la chiesa non potea contenere la gran moltitudine: Fratelli miei, dicea parlando dell'Inferno, volete sapere in quanto gran numero sono quelli che si dannano? Riguardate questo albero! Tutti gli occhi furono rivolti ad una pianta, carica di foglie; e nello stesso punto un improvviso soffio di vento agitò tutti quei rami, facendone cadere le foglie in tale abbondanza, che le rimaste qua e là si contavano. Ecco, riprese l'apostolico uomo, ecco le anime che si perdono; ecco le anime che si salvano. Provvedete a tempo, a fine di essere tra le seconde! Ancora il padre Nieremberg narra di un vescovo, che per una speciale permissione di Dio ebbe la visita di un infelice morto impenitente. Questi domandò se erano tuttavia uomini sulla terra. E perché il prelato mostrava stupore di siffatta interrogazione, soggiunse: Dappoichè io sono nella trista dimora, vidi arrivarvi una sì sterminata moltitudine, che stento a capire come rimangano ancora uomini sulla terra! La quale parola ricorda quella del divino Maestro in san Matteo: «Entrate per l'angusta porta; perché larga e spaziosa è la via che mena in perdizione, e molti vi entrano. Quanto angusta e quanto stretta è la porta che conduce alla vita, e quanto pochi vi entrano!». 

    Per mettersi al sicuro dell'Inferno, bisogna schivare di prenderne il cammino, bisogna schivare il peccato di ogni maniera. Gli uomini si lasciano strascinare in perdizione, quando per uno, quando per altro legame d'iniquità: Molti muoiono nelle lor colpe, perché privati degli ultimi sacramenti; e fra quelli che li ricevono non pochi ancora si perdono, perché li ricevono male. Ecco un fatto riferito negli Annali del paraguai al 1640. Nella Riduzione dell'Assunta, una donna era morta, lasciando un figliuolo di circa vent'anni, il quale si vide apparire nel più orribile stato la madre, con queste parole: sono dannata, per aver mancato di sincerità in confessione; e molti altri per questo medesimo sono dannati con me. E tu approfitta dell'esempio della disgraziata tua madre! Il padre Nieremberg ricorda di un altro dannato per la stessa cagione. Era un giovane, che con un'apparenza di vita cristiana, odiava però un suo nemico, e frequentando i sacramenti, nudriva in cuore sensi di vendetta, cui Gesù Cristo comanda di deporre. Dopo morte apparve al proprio genitore, dicendo di essere perduto per non aver perdonato al nemico. E appresso con accento di dolore indicibile gridò: Ah se tutte le stelle del cielo fossero altrettante lingue di fuoco, non potrebbero esprimere i miei tormenti! 

   Ascoltiamo ancora il medesimo autore. Un infelice abituato a compiacersi in disonesti pensieri cadde malato, e ricevette gli ultimi sacramenti. Il dì appresso il suo confessore, mentre tornava per visitarlo, se lo mirò venire incontro dicendo: Non andate più oltre; sono morto e dannato. - perché mai? Non vi siete ben confessato? - Sì, bene: ma dopo il demonio mi rappresentò vietati piaceri, chiedendo se in caso di guarigione vi ritornerei: ho acconsentito alla rea suggestione, e lo stesso momento mi sorprese la morte! Ciò detto aperse le vesti, mostrò il fuoco che lo divorava, e disparve. Una nobile dama e molto pia, narra lo stesso Padre, pregava il Signore di farle conoscere, quali persone del suo sesso maggiormente a lui dispiaceano; e ne fu esaudita in miracolosa maniera, perché si vide aperto sotto gli occhi l'eterno abisso, e dentrovi una femmina in crudeli tormenti, da lei riconosciuta per una sua amica, morta non era molto. Tale aspetto le cagionò stupore pari alla tristezza; perché riputava che la persona in pena non avesse vissuto male. Allora quella perduta le disse: Ho praticata la religione, è vero; ma vissi schiava della vanità; e dominata dalla passione di piacere non temetti di adottare fogge indecenti per attirare gli sguardi altrui, e così accesi il fuoco impuro in più di un cuore. Ah se le donne cristiane intendessero come dispiace a Dio l'immodestia nel vestire! Nello stesso punto la misera venne trafitta da due lance di fuoco e cacciata dentro una caldaia di piombo liquefatto. 

Tomaso Cantipratense, dotto religioso domenicano, racconta di un misero peccatore di Bruxelles, dedito all'intemperanza e ad altri vizii prodottine, che avea con morte prematura posto fine a' suoi disordini. Un suo amico é compagno negli stravizii, dopo assistitone ai funerali, era tornato a casa e stava solo in camera, quando intese gemiti sotterranei. Sgomentato dapprima, non sapea che fare; ma infine arrischiossi a chiedere: Chi è che geme? - Sono io, tuo compagno, si udì rispondere, del quale tu hai seguito il corpo al sepolcro. Ahimè, l'anima mia è sepolta nell'Inferno! Poi con un grido, anzi ruggito spaventoso: Guai a me! l'abisso mi ha inghiottito, e la sua bocca si è chiusa sopra di me! 

    Anche Enrico di Granata ricorda una giovine, di vita regolata, ma di continuo tormentata dalla bramosa vanità di piacere. Si ammalò e morì, dopo ricevuti tutti i sacramenti. Or mentre il confessore pregava per l'anima di lei, essa gli apparve, affermando di essere dannata, per causa della sua vanità, e, aggiunse: Ho cercato di piacere agli occhi degli uomini, e tale passione mi ha fatto commettere quantità grande di colpe, mi ha impedito di ricever bene i sacramenti, mi ha condotto ai tormenti eterni! 

    Un usuraio avea due figliuoli che seguivano i mali esempi del padre. L'uno di questi, tocco da Dio, rinunciò al colpevole mestiere e ritirossi nel deserto. Prima di partire però, si fece lagrimando ad esortare il padre ed il fratello a pensar come lui alla propria salvezza, ma indarno; chè quelli durarono nel peccato e morirono nella impenitenza. Iddio permise appresso che il solitario venisse in cognizione del tristo loro stato. In un rapimento egli si trovò sopra un'alta montagna, appiè della quale vedevasi un mare di fuoco, donde si alzava come una tempesta di confuse grida; e poco stette a scorgere tra quei fluiti divampanti suo padre e suo fratello, furibondi l'uno contro l'altro, scagliandosi reciprocamente rimproveri e maledizioni, con tale orribile diverbio: Io ti maledico, figliuolo detestabile! per te ho commesso l'ingiustizia e perduto l'anima! Io ti maledico, padre indegno! perché mi hai perduto co' tuoi mali esempi! - Io ti maledico, figliuolo insensato, che ti sei associato ai peccati di tuo padre! - Io ti maledico; crudele autor de' miei giorni, che mi hai allevato alla dannazione. - Così si legge raccontato nelle Vite dei Padri. 

del R. P. SCHOUPPES S.J. 


lunedì 25 marzo 2024

Il Dogma dell'Inferno.

 


Un giorno meditava una sant'anima sull'Inferno, e considerandone la eternità dei tormenti nelle parole sempre, mai, entrò in turbamento, perché non vedea come conciliare questa grande severità colla bontà e colle altre perfezioni divine: Signore, diceva, io mi sottometto ai vostri giudizii; ma non pare che voi spingiate troppo lontano i rigori della vostra giustizia! - Comprendi tu, si udì rispondere, che cosa sia il peccato? Chi pecca dice a Dio: Io non voglio servirvi! io sprezzo la vostra legge! io mi rido delle vostre minacce! - Comprendo, Signore, che il peccato è un oltraggio alla vostra Maestà. - Ebbene, misura, se puoi la grandezza di tale oltraggio. - Signore, tale oltraggio è infinito, perché si porta contro un'infinita Maestà, - Non è dunque a punire con un castigo infinito? 
Or come tale non può essere nella intensità, così vuole giustizia che almeno sia tale nella durata. La giustizia divina dunque vuole la eternità delle pene, il terribile sempre, il terribile mai; e li stessi reprobi saranno sforzati a renderle omaggio, gridando in mezzo ai loro tormenti: Giusto siete, o Signore, e retto è il vostro giudizio! (Salm. CXVIII). 
    S. Giovanni Damasceno riporta nella vita di S. Giosafatte, come trovandosi una volta questo giovane principe travagliato da violenti tentazioni, pregò lagrimando il Signore di esserne liberato. 
Fu esaudito, e si vide condotto in ispirito entro un luogo buio, pieno di orrore e di confusione e di spettri spaventevoli. Ivi era uno stagno di fuoco e di zolfo, con entro sommersi a divampare innumerevoli sciagurati, tra le disperate urla dei quali una celeste voce si fece udire così: «Qua riceve il peccato il suo castigo! Qua un piacer momentaneo si punisce con una eternità di tormenti!» A tale spettacolo si sentì egli colmare di una forza novella, onde si rese vincitore di tutti gli assalti dell'inimico. 
    Il più acerbo rammarico dei riprovati, dice san Tomaso, sarà quello di essersi perduti per un niente, mentre era loro sì facile il conseguire una eterna felicità. Gionata venne condannato a morte per avere, contro il divieto di Saulle, gustato un tantino di miele. Ma come sarà più amaro il cordoglio dei reprobi, al vedere come per poco miele, per godimento fuggevole, hanno incontrato la eterna morte! Il re Lisimaco, assediato dagli Sciti che gli aveano tagliato il corso a tutte le fonti, non potendo più reggere ai bruciori della sete, si arrese, ed ebbe salva la vita. Avuta dal nemico una tazza di acqua, bevette avidamente, ma subito esclamando: «Deh come presto trascorse il piacere, a comperare il quale ho perduto il regno e la libertà!» Così ripeteranno i dannati, ma con amaritudine immensamente maggiore: Oh come presto passò il piacere colpevole, a cagione del quale ho perduto una corona di eterna felicità! Tornava Esaù stanco dalla caccia, e per ottenere da Giacobbe una scodella di lenti, gli cedette il suo diritto di primogenitura, e poi se ne andò, poco dandosi pensiero di quello che avea fatto. Ma oh quanto rimase costernato, e quali disperate grida levò, allorquando venuto a raccogliere l'eredità, vide il molto lasciato al fratello ed il pochissimo a sè rimasto! Irrugiit clamore magno, dice la Scrittura. Quali saranno però le urla dei reprobi, quando riconosceranno di avere venduto la celeste loro eredità per manco di un piatto di lenticchie? Quando vedranno di avere per un niente perduto i beni eterni, per un niente incorsi gli eterni supplicii? 
Geremia profeta predisse a Sedecia re di Giuda la futura sua sorte con queste parole: «Ecco la vita e la morte. Se ascolterai il Signore, rimarrai sul trono tuo in pace; se lo disprezzerai, sarai dato nelle mani al re di Babilonia.» Sedecia non tenne conto del divino avvertimento, ed in breve gli piombò sopra il minacciato castigo; perché caduto in potere di Nabucodonosor, venne accecato e carico di catene gittato nelle prigioni di Babilonia. Quale allora esser dovette l'atrocissimo suo rammarico al ricordarsi della predizione di Geremia? Troppo sparuta imagine dei tardi rammarichi, delle angosce crudeli, onde invano si consumeranno i riprovati! Piangeranno il tempo sprecato in vani sollazzi e nell'obblio di loro salute. Un'ora, ripeteranno per sempre, un'ora ci avrebbe acquistato quello che una eternità non potrà darci giammai! Racconta il padre Nieremberg di un servo di Dio, che trovandosi in un'abbandonata solitudine udì lugubri gemiti, che non poteano provenire se non da cagione soprannaturale; il perché domandò chi fossero gli autori di quelle dolorose grida, e che volessero. Noi siamo riprovati, sì udì risposto da una lamentevole voce, che deploriamo nell'Inferno il tempo perduto, il tempo prezioso, da noi consumato sopra la terra nella vanità e nel peccato. Ah un'ora ci avrebbe dato quello che non potrà mai renderci una eternità! 

R. P. SCHOUPPES S.J. 

giovedì 22 febbraio 2024

Il Dogma dell'Inferno.

 


Altro tormento dell'Inferno è la orribile compagnia dei demonii e degli uomini riprovati. Si danno sciagurati peccatori, che vedendosi chiaramente incamminati a quel termine, si rassicurano dicendo: Non vi sarò solo! Oh tristissima consolazione! È quella dei condannati a portar le catene dentro l'ergastolo. Tuttavia si può ancora intendere come un forzato trovi qualche sollievo nella compagnia de' suoi simili; ma ohimè, così non sarà nell'Inferno, dove i reprobi addiverranno carnefici gli uni degli altri! «Là, dice san Tommaso, i compagni d'infortunio, anzi che alleviare la sorte dei reprobi, la renderanno più insopportabile». Così anche la società di quei medesimi, che furono in vita i migliori amici, sarà laggiù intollerabile ai dannati, che riputerebbonsi felici della compagnia di tigri e di leoni, piuttosto che dei loro prossimi, dei loro fratelli, dei loro proprii genitori! 

    Volete or vedere la povertà dell'Inferno e le privazioni soffertevi da coloro, i quali hanno fatto lor dio dei beni del mondo? Considerate il Ricco malvagio. Era in vita assuefatto a delicati cibi, recati in vasellame prezioso; a bere in coppe d'oro vini squisiti; a rivestirsi di bisso e di porpora; ma divenuto abitatore dell'Inferno, si vede ridotto all'estrema indigenza; ed egli che al mendico Lazzaro negava le bricciole della sua mensa, è costretto a mendicare alla sua volta. né domanda lautezze, ma una goccia di acqua, che beato sarebbe a ricevere dal dito di un lebbroso; e questa pure gli è negata! 

Non lo ha detto il Salvatore? «Guai a voi, o ricchi, perché avete la vostra consolazione! Guai a voi, che siete satolli, perché patirete la fame!» (S. Luc. VI, 24, 25). 

    Nell'eterno abisso, scrive santa Teresa nella propria Vita, non è luce; ma tenebre delta più cupa oscurità; e tuttavia, oh mistero! senza che alcun raggio vi trapeli, si scorge tutto quello che può arrecar maggior pena alla vista. E fra gli oggetti di tormento agli occhi dei reprobi, i più orrendi sono i demonii, che a loro si scuoprono in tutta la propria mostruosità. San Bernardo parla di un monaco, il quale tutto ad un tratto mandò dalla cella tali grida di spavento, che fecero accorrere tutta la Comunità. Fu trovato fuori di sè, in atto di ripetere queste tristi parole: Maledetto il giorno che sono entrato in religione! Tutti si conturbarono a tale maledizione, di cui non intendevano la causa; e si fecero ad interrogarlo, ad animarlo, a parlargli della fiducia in Dio; ed egli ben presto ritornato alla calma: No, no, riprese, non debbo io maledire la vita religiosa; anzi benedetto il giorno che divenni monaco! Ma, o fratelli, non vi faccia meraviglia, se mi vedete conturbato. Due demoni si sono mostrati a me; e l'orribile loro aspetto mi ha tratto al tutto di senno. Quale mostruosità! Ah piuttosto ogni altro tormento, che sostenerne ancora la vista! 

    Un santo prete, esorcizzando un ossesso, chiese al demonio, quali pene soffrisse egli nell'Inferno? 

Un eterno fuoco, rispose colui, un'eterna maledizione, un'eterna rabbia, un'orribile disperazione di non poter mai contemplare quello che mi ha creato. - E che vorresti tu fare per avere il bene di veder Dio? - Per vederlo, fosse pure un solo istante, consentirei di buon grado a sopportare i miei tormenti dieci migliaia di anni... Ma vani desiderii! Io patirò sempre, e non lo vedrò mai! - In altra somigliante occasione, l'esorcista domandò al demonio, quale fosse il suo maggior supplizio nell'Inferno. Rispose quegli con un disperato accento indescrivibile: Sempre, sempre! Mai, mai! 

del R. P. SCHOUPPES S.J.

lunedì 29 gennaio 2024

Il Dogma dell'Inferno.

 


L'antichità ci ha conservato il nome di tre tiranni, famigerati per la loro crudeltà, Massenzio, Ezzelino, Falaride. Il primo si dice che legava faccia a faccia, e corpo a corpo le sue vittime a cadaveri, e così le abbandonava fino a che la fetente putredine del morto avesse ucciso il vivo. Il secondo avea prigioni sì orribili, che i condannati chiedeano la grazia di essere scannati per non entrarvi; ma non l'ottenevano, e con funi erano giù calati in sotterranei infetti ad immergersi nella putredine. Il terzo chiudeva i miseri entro un toro di bronzo, che facea poi lentamente arroventare per arrostirli vivi. Supplizii orribili; ma non sono che un'ombra di quelli dell'Inferno, se pure! 

    I Romani punivano i parricidi con un particolare tormento; precipitavano giù nel mare il reo, cucito entro un sacco in compagnia di serpenti: debolissima imagine del supplizio rìservato nell'Infermo a rei di parricidio contro Dio! 

    Si freme leggendo nella storia il supplizio atroce dell'uccisore di Guglielmo d'Orange. Ebbe la persona tutta pesta da ferree verghe, trafitta da punte acute, esposta così agli ardori di un lento fuoco, e mentre dopo indicibili spasimi era sullo spirare, Venne con rovente metallo abbrustolato alle mani, e squartato. Questo infelice avea commesso un delitto enorme, ma contro un principe mortale; quale vorrà esser però il castigo di chi si volse contro l'immortale Re dei re? 

    Secondo alcuni storici, Zenone imperatore, empio del pari che dissoluto, perì di una tragica morte; Nella notte del 9 aprile 91, dopo un'orgia, cadde in sincope si violenta, che si credette estinto, e fu quindi al più presto sepolto nella tomba imperiale. Ivi tornato in sè, chiama indarno i servi e le guardie; nessuno risponde alle sue grida, ed egli si trova nelle tenebre, chiuso tra i morti; con d'intorno da ogni parte fredde muraglie e ferree porte: allora non serba più ritegno; abbandonasi ad ogni trasporto di rabbia e di disperazione, fino a spaccarsi contro la parete il cranio. Così fu trovato il miserabile suo cadavere. Quale orribile condizione di codesto principe sepolto vivo! E la condizione dei riprovati giù nell'Inferno? 

    L'Inferno è la fogna del mondo ed il ricettacolo di tutte le immondizie morali dell'umanità. Là si trovano ammassate la disonestà, l'intemperanza, la bestemmia, la superbia, l'ingiustizia e gli altri vizii tutti quanti, che sono come la putredine delle anime. A queste immondizie morali si accoppia una corporale infezione, più insopportabile di tutto il fetore degli spedali e dei cadaveri; onde se il corpo di un solo riprovato, afferma san Bonaventura, fosse portato sulla terra, basterebbe a renderla inabitabile, più che una stanza con entro un cadavere putresente. A Lione un uomo, entrato in una tomba cadde morto all'istante; tanto le infette esalazioni vi erano violenti, che lo soffocarono. 

Sulpizio Severo scrive di san Martino, che questi sul finir della vita fu tentato dal demonio, venuto a lui sotto forma visibile, vestito alla reale, colla corona in testa, affermando di esser il Re della gloria; il Cristo Figliuol di Dio. Ma il santo Vescovo lo riconobbe sotto quelle bugiarde apparenze di umana grandezza, e da sè lo cacciò con dispregio. Così svergognato disparve il superbo spirito, ma per vendetta lasciò la camera del Santo ripiena di tal puzzo, che non vi si potea più stare. I Padri della Compagnia di Gesù aveano, vivente sant'Ignazio, una casa presso il Santuario di Loreto, e perché operavano gran bene nelle anime, l'invidioso demonio, permettendolo Iddio, venne a disturbarli con visibili apparizioni. Tutta la casa era infestata da maligni spiriti, i quali ora spaventavano, ora maltrattavano, or anche cercavano con seducenti illusioni di risospingere quei religiosi nel mondo. Uno di quei perfidi ricacciato da un padre e costretto ad uscir dalla cella, se ne andò dicendo: Ah non ti piacciono i miei consigli; vedi dunque se ti aggradirà meglio il mio alito! A questi detti, spalancata orribilmente la bocca, mandò un soffio di aria sì fetida in volto all'altro, che questi ne rimanea per poco soffocato; e la stanza per parecchi giorni non si potè più abitare.

R. P. SCHOUPPES S.J. 

sabato 6 gennaio 2024

Il Dogma dell'Inferno.

 

La Storia del Giappone ci parla degli orribili gorghi del monte Ungen vicino a Nangasachi. La vetta di questo, molto alta, si sparte in tre punte, di cui gli intervalli formano voragini spaventose; donde si levano intermittenti vortici di fiamme, e boglienti acque e fanghi cocenti, con esalazioni sì fetide, che quelle gore si hanno dalla gente del paese per fogne dell'Inferno. Tutti gli animali le sfuggono con orrore, e gli stessi uccelli non volanvi sopra impunemente, per quanto in alto levati. Il tiranno Bugondono, signore di Ximabara, pensò di farvi tuffar dentro i cristiani; ed ognuno si figuri la spaventevole agonia, di quei miseri, alla quale non venia la morte a por fine, perché si avea cura di estrarne i dolenti, prima che rimanessero soffocati; ed allora, inzuppati da quelle sulfuree acque, i corpi dei martiri si copriano di orrende pustule, scoppianti ben tosto in maligna piaga, onde ne cadeano putrefatte le carni; e così ridotti, come cadaveri in luoghi immondi si abbandonavano. Sono questi però i tormenti dell'Inferno? Un'ombra, se pure! 

    Il medesimo Bugondono inventò altri non più uditi supplizii per combattere il cristianesimo. Un giorno gli furono condotti sette cristiani, giubilanti in aver da patire per Gesù Cristo. Montò in furore a tal vista il tiranno, e fatte piantar sette croci, quelli vi fece configgere, ordinando che lor si segasser le membra con taglienti canne ed insieme s'introducesse del sale nelle ferite, Il supplizio si eseguì con lentezza crudele, tanto che durò cinque giorni; e per raffinatezza di barbarie vi erano medici a far prendere dei cordiali ai martiri, con che potessero più a lungo reggere nel supplizio. È questo uno dei tormenti dell'Inferno? Un'ombra, se pure! 

    All'invasione dei calvinisti in Olanda, avendo questi settarii preso alcuni sacerdoti gesuiti a Mastricht, vollero su di essi sbramare tutta la crudeltà del diabolico loro odio. Dopo averli dunque colmati di scherni e di oltraggi, fecer loro serrare il collo in cerchi di ferro armati di punte e di coltelli; e così le braccia e le gambe in anella somiglianti; poi li misero a sedere su scanni gremiti di chiodi; di sorte che i martiri non poteano stare né muoversi senza tormento. Appresso li attorniarono di fiamme per bruciarli a fuoco lento; quale tortura! Se i pazienti duravano immobili, erano bruciati; se agitavansi erano straziati dalle punte e dai coltelli. I servi di Dio trionfarono coll'aiuto della grazia di tanta barbarie; ma non è men vero però che i tormenti furono oltre misura spietati. Ma sono poi uno di quelli dell'Inferno? Un'ombra, se pure! 

del R. P. SCHOUPPES S.J. 

martedì 19 dicembre 2023

Il Dogma dell'Inferno

 


Santa Cristina vergine, giustamente sopranomata l'Ammirabile, nata a Santrond nel 1150, risuscitò da morte, e visse di poi quarantadue anni, sopportando inauditi patimenti per sollievo delle anime purganti e per la conversione dei peccatori. Dopo la giovinezza passata nell'innocenza, pazienza ed umiltà, morì ella di trentadue anni in odore di santità, e ne fu portato il cadavere scoperto nella chiesa di Nostra Signora per celebrarvi le esequie. Or mentre i fedeli, concorsivi numerosi, le stanno pregando requie, all'Agnus Dei; la defunta si solleva dal feretro, e pochi momenti appresso si lancia leggiera come piuma in alto, e tranquilla si asside sopra una cornice. A tale portento tutta la gente fugge atterrita, lasciando soli la maggior sorella della morta ed il parroco celebrante. Il quale, compiuta la messa, ordina a Cristina di calare; ed ella scende all'istante soavemente, come non avesse peso il suo corpo, e colla sorella tornasi tranquillamente a casa; dove interrogata dai parenti e dagli amici, ella rispose così: «Quando ebbi dato l'estremo sospiro, l'anima mia uscita dal corpo trovossi attorniata da uno stuolo di angeli, che la trasferirono in luogo buio e pauroso, dove accoglieasi moltitudine innumerevole di anime umane. Ed io vidi pene e tormenti da non potersi esprimere da lingua creata. Fra' tormentati ravvisai parecchi da me conosciuti in vita; all'aspetto dei crudi loro supplizii mi senti a compresa da vivissima compassione, e chiesi alle mie guide che luogo fosse quello. Io lo riputava l'Inferno; ma mi fu risposto che era il Purgatorio. Appresso mi furono dati a vedere i tormenti dei reprobi, e là pure ravvisai alcuni di mia conoscenza. Poscia gli angeli mi trasportarono in Paradiso al trono di Dio; e lo sguardo pieno di amore, a me da lui rivolto, mi ricolmò d'ineffabile allegrezza, che mi facea sentire come per tutta l'eternità io avrei goduto di quella beatissima presenza. Ma il Signore, in risposta a' miei pensieri, disse: Sì, o figliuola, tu sarai meco eternamente: ma per ora lascio a tua scelta, o di goder subito della beatitudine, o di tornare anche in vita, a soffrire in corpo mortale le pene delle anime immortali, senza però che possano queste arrecargli guasto alcuno. Per tali pene libererai tu le anime testè vedute con sì grande tua compassione, e contribuirai validamente alla conversione e santificazione dei vivi, compiuto il tempo di tua missione, qua ritornerai al possesso del mio regno. - Non esitai punto a scegliere la parte della carità, e Dio mostrandosene contento ordinò agli angeli di ricondurmi sulla terra. E voi, o miei cari, non vi maraviglierete ai grandi portenti che vedrannosi nella mia persona; poiché saranno opera del Signore, il quale fa ciò che gli piace, secondo i suoi disegni, sovente occulti, ma sempre adorabili». A tale narrazione, ben si capisce, gli astanti rimasero colpiti di un santo sbigottimento, e mirando sbalorditi a Cristina, tremavano al pensiero dei patimenti serbati a questa risorta figliuola. E di fatto, ella da quel punto venne a parere un'anima del Purgatorio in corpo mortale, di maniera che la vita sua riuscì un tessuto di prodigii e di dolori non più veduti. Si ritrasse dal commercio degli uomini, vivendo abitualmente in solitudine. Dopo udita messa, ove sovente comunicava, si vedea fuggire verso i boschi e le selve, a durarvi giorno e notte  in orazione; e com'era dotata dell'agilità, volava da un luogo all'altro colla prestezza del lampo, lanciavasi al sommo degli alberi, sui tetti delle case, sulle torri dei castelli e delle chiese; sicché spesso i passaggeri la vedeano posare sui rami di una pianta, e tosto dileguavasi via al loro approssimarsi. Non usava di ricovero alcuno; ma vivea come gli animali del bosco, esposta a tutte le ingiurie del cielo, anche nella più rigida stagione: il suo vestire era modesto, ma grossolano e poverissimo: mangiava, come gli animali, ciò che incontrava per via. Se vedeva un fuoco acceso, v'introducea le mani, i piedi, e, se potea, tutto il corpo, durando nel tormento quanto più le era possibile: spiava le occasioni di gittarsi nelle ardenti fornaci, nei forni arroventati, nelle caldaie bollenti. D'inverno passava le notti nelle gelate acque dei fiumi: talvolta lasciavasene portare dalla corrente sotto le ruote dei mulini, ad esserne travolta, sbattuta, conquassata. Altra industria della insaziabile sua brama di tormenti era di stuzzicare le frotte di cani, perché la mordessero e straziassero; o di ravvoltolarsi fra sterpi e spine, fino a grondare tutta di sangue. Sono questi alcuni dei modi, ond'ella non cessava di tormentare il proprio corpo; e cosa mirabile, ma conforme alla promessa fattagliene da Dio, all'uscire del suo supplizio non ritenea veruna piaga, né si vedea tocco il suo corpo dalla minima lesione. La quale vita di patimento tornò ad edificazione di un numero grandissimo di fedeli, che ne furono testimonio per tanti anni; ed ella dopo convertiti moltissimi peccatori, volò infine a goder della gloria degli eletti, l'anno 1224. Ora se rigori somiglianti ci fanno fremere, che pensare dei tormenti dell'altra vita? Là un'ora di pena sarà più tremenda che cento anni passati quaggiù in rigorosissima penitenza, dice l'autore della Imitazione.

R. P. SCHOUPPES S.J.

sabato 25 novembre 2023

Il Dogma dell'Inferno.

 


Racconta il Surio nella Vita di santa Liduina, che in un rapimento ella vide un abisso, di cui l'ampia apertura era contornata di fiori, e la profondità, riguardandovi, agghiacciava di spavento: un tumulto indescrivibile ne usciva, misto di urla, di bestemmie, di fracassi, di percosse rimbombanti, e dal suo buon Angelo seppe che là era la dimora dei riprovati, dei quali volea mostrare a lei i tormenti. Ahimè, risposegli ella, io non ne potrei sostenere la vista! E come potrei, mentre il solo strepito di quei disperati gridori mi cagiona un orrore insopportabile? 

    Se i reprobi non sofferissero altra pena nell'Inferno fuorché quella di restare perpetuamente immobili, senza mai cambiar luogo né positura, questo solo deve riuscire intollerabil supplizio. Un ricco voluttuoso, carico di peccati e pieno di timor dell'Inferno, non avea cuore di finirla con una salutare penitenza; ricorse però a santa Liduvina, prodigio di pazienza, pregandola di farla per lui. 

Volontieri, quella rispose, offerirò per voi i miei patimenti, a condizione che però per una sola notte vi teniate a letto senza cangiar lato né fare il più picciolo movimento. Egli vi si provò, e trascorsa mezz'ora appena, non ne poteva più; pure si rattenne; ma crescendo il travaglio, al termine di un'ora gli venne a parere affatto insopportabile. A tal punto gli sorse in mente il salutare pensiero: Se il durarla immobile per una notte in un soffice letto è tormento sì grande, che sarebbe il giacere così entro un letto di fuoco per un secolo, per una eternità? Ed io esiterò a liberarmene con un poco di penitenza? 

R. P. SCHOUPPES S.J. 

martedì 7 novembre 2023

Il Dogma dell'Inferno.

 


La vista di un'anima che piomba nell'Inferno è per sè sola un incomparabile supplizio. La beata  Margherita Maria, leggesi nella sua vita, si vide comparire una consorella poco anzi defunta a  domandarle suffragi, perché pativa crudelmente in Purgatorio: Vedete, le dicea, il letto dove sono  coricata e patisco intollerabili mali, Ed, io lo vidi, scrive la Beata, questo letto che mi fa tuttavia  fremere, irto di acute punte infuocate, entranti nelle vive carni di quella poverina, la quale dicea, ciò  avvenire per colpa della sua pigrizia e negligenza nell'osservanza della regola, ed aggiungeva: Mi  straziano il cuore con pettini di ferro roventi, per li pensieri di biasimo c disapprovazione nudriti  contro le mie superiore; la mia lingua è rosa da vermini a castigo delle mie parole contro la carità; e  per le mie mancanze al silenzio mi porto la bocca tutta ulcerata. Ma tutto questo è poca cosa verso  un'altra pena da Dio fattami soffrire, la quale, benché non durasse molto, pure la fu il più doloroso  di tutti li miei patimenti! Avendo la Beata mostrato desiderio di conoscerla, l'altra ripigliò: Dio mi  ha dato a vedere una mia stretta parente, morta in peccato mortale, condannata dal divin Giudice,  precipitata nell'Inferno; tal vista mi cagionò uno spavento, un orrore, un travaglio, che niuna lingua  potrà spiegare giammai! 

del R. P. SCHOUPPES S.J. 

venerdì 20 ottobre 2023

Il Dogma dell'Inferno.

 


Il venerdì 18 febbraio 1881, avea luogo in Monaco il ballo carnevalesco dei giovani pittori. Vi  erano essi numerosi, travestiti ridicolmente chi da frate, chi da prete, chi da pellegrino, con bordoni  e rosarii grotteschi, contraffacendo i riti e le pratiche di religione; gli altri da eschimese, coperti di  canape e di capecchio. Un zolfino sbadatamente acceso mette fuoco ad uno di questi, che vedendosi  ad un tratto divampante, gittasi all'impazzata sopra i compagni, sicché in men che si dice tutte  quelle vestimenta di stoppa sono in fiamme. Dodici di quei danzatori, quali faci viventi, corrono  disperati, buttandosi gli uni sugli altri, ravvoltolandosi con dolorosi urli per ogni angolo della sala,  esalando un infetto odore. In breve tre di loro rimangono abbrustolati cadaveri: nove spirano poco  appresso; tredici vengono trasportati allo spedale, ed uno di questi, Giuseppe Sebmertzer, rende  l'anima al primo arrivo, mentre gli si staccava dalle braccia e dal petto la pelle accartocciandosi,  lasciando a nudo le vive carni, anch'esse intaccate dal fuoco. Tale orribil morte fu riguardata, non  senza ragione, come un castigo della Giustizia divina, provocato dall'empia scostumatezza di quei  disgraziati; ma fu supplizio di brevissima durata, e ben più leggiero di quello interminabile  dell'Inferno. 

    Il 24 marzo 1881, un altro disastro gittò lo spavento e la costernazione nella città di Nizza  coll'incendio del teatro municipale. Avea questo le porte molto anguste ed al tutto insufficienti per  la pronta uscita in caso di pressante bisogno. Quella sera essendovi lo spettacolo più splendido  dell'usato, gli spettatori vi erano accalcati. E già il tendone era levato per il primo atto, allorché il  fuoco si apprende in fondo al palco, e ad un tratto la scena è da ogni parte invasa dalle fiamme. Un  grido si levò da tutto il teatro: il fuoco! il fuoco! e lo scompiglio e l'affollamento fu generale, mentre  tutti i lumi si trovarono spenti. Solo il bagliore dell'incendio, che rapidamente si propagava, dava in  confuso a vedere qualche spaventato attore traversare il palco, in cerca di una uscita, dalle fiamme  al misero negata. Gli spettatori delle gallerie giù si precipitavano alla rinfusa per le tortuose scale,  con una veemenza da frenetico: le donne ed i fanciulli erano abbattuti e calpesti dai sorvenienti:  tutto era pieno di grida di terrore e disperazione! di tanti esseri umani, che lottavano per salvare la  vita, e si sentivano morire, soffocati da fumo, o pigiati sotto i piè dei vicini. Quando pompieri,  soldati e marinai poterono colà entrare, lo spettacolo vi era orribile; si vedeano ammonticchiati cadaveri, brutti, anneriti, alcuni anche resi carbone, di uomini, donne, fanciulli, che indarno aveano  lottato per trovarsi scampo all'aperto. Deh quali dovettero essere per loro quegli estremi momenti,  nei quali conobbero che il salvarsi più non era possibile! Alle tre del mattino, sessanta e più  cadaveri si trovarono trasportati nella vicina chiesa di san Francesco di Paola; erano mezzo bruciati,  e dai lineamenti dei loro volti, e dagli atteggiamenti delle persone, ancora si potevano scorgere le  angosce della più atroce agonia. Or che vorrà essere nell'Inferno? Anche là di mezzo all'incendio è  chiuso ogni scampo; anche là sono le angosce dell'agonia più crudele; ma la morte non verrà mai a  mettervi fine! E questi miseri abbruciati erano essi bene disposti a morire? Ah non è luogo il teatro,  dove apparecchiarsi a ben morire! E non è però a temere che sia stato per loro veramente la porta  dell’Inferno? Deh se queste vittime avessero conosciuto qual sorte le aspettava, non avrebbero di  buon grado rinunciato ad un piacere, che dovea costar loro sì caro? Ma i vostri peccaminosi piaceri,  o mondani, vi costeranno assai più caro, e voi non vi rinunciate! 

    Un sinistro ancor più spaventevole fu l'incendio del teatro in Vienna, successo l’8 dicembre 1881.  Vi si dovea rappresentare la prima volta il Conte di Hoffman dell'Offenbach, e più di mille e  cinquecento erano gli accorsi ad esserne spettatori. Ma sul punto di cominciare, alle sette di sera,  scoppia l'incendio, ed un grido di spavento mette tutta sossopra l'assemblea; lo spavento diventò  frenesia, allorquando si videro lanciar le fiamme a rapidamente invadere quel vasto ricinto, per  modo che in un attimo si trovò tutto invaso dal fuoco e cangiato in un vero Inferno. Il descrivere il  tumulto di tanta gente ivi stivata, le grida di orrore, di rabbia, di disperazione, la è cosa del tutto  impossibile. I mal capitati si precipitano verso le porte, si travolgono, si schiacciano gli uni gli altri,  con di più il soffitto che roso dalle fiamme cade loro in parte sui capi. Altri per le gallerie si  accalcano alle finestre del secondo e del terzo piano, per gittarsi da quelle giù sulla strada; e si  vedono dal di fuori sporgersi ed aggrapparsi l'uno all’altro, sospesi per un momento in aria, poi  abbandonati al vuoto, per isfuggire il terribile supplizio del fuoco. Ma il maggior numero si trovava  imprigionato al di dentro. Un migliaio di uomini, donne e bambini periscono tra le fiamme,  abbruciati vivi, ridotti in cenere! Di parecchi si rinvennero le sole ossa calcinate; di più altri i corpi  mezzo abbrustolati; grandissimo numero poi di abbracciati e stretti gli uni contro gli altri, come in  suprema lotta, nella quale erano spirati; onde si dovette con orrore rilevare, che in quella fornace  una disperata battaglia erasi fatta tra' fuggitivi, spingendosi, afferrandosi, percotendosi per aprirsi  uno scampo; ma fu loro forza di sostenere lo spasimo del fuoco e di morirvi. Imagine assai smorta  dell'Inferno, dove i reprobi sono bensì tormentati dal fuoco, ma non vi posson morire; perché il loro  bruciare deve essere inestinguibile. In occasione di questo spaventoso avvenimento, sì fece il  novero dei teatri incendiati da un secolo in qua, e si trovò di parecchie centinaia. Non sembra però  questo una lezione della Provvidenza in confermazione degli avvisi dati dalla Chiesa continuamente  ai fedeli? Certo, il teatro a' nostri giorni è d'ordinario una scuola di empietà e di malcostume; ed i  perenni incendii non danno quindi bastevolmente a conoscere, come tali edificii dannati alle  fiamme, sono per le anime le porte dell'Inferno? 

del R. P. SCHOUPPES S.J. 

domenica 1 ottobre 2023

Il Dogma dell'Inferno.

 


San Pier Damiano parla di un cotale che vivea solo per godere e sollazzarsi, né per quanto  l'avvisassero di pensare all'anima, in pericolo di finire come il ricco malvagio, volle mai ravvedersi.  Dopo morto fu visto da un santo anacoreta, sommerso in uno stagno di fuoco, somigliante a  immenso mare, ove: andavan travolti innumerevoli dannati, che mandavano disperate grida, sempre  in isforzi per guadagnare la riva, e sempre da orribili demonii impediti di approssimarsi e risospinti  in quell'oceano di fiamme. 

   Nicolò di Nizza, parlando del fuoco dell’Inferno, attesta che se di tutti gli alberi delle foreste si  formasse una immensa pira e si accendesse, tanto incendio non varrebbe una scintilla di quello, e  però niuna cosa della terra ce ne può fornire una conveniente idea. 

   Vincenzo di Beauvais, al ventesimoquinto libro della sua Storia, racconta il fatto seguente,  avvenuto egli dice nel 1090. Due giovani libertini si erano, o davvero o da burla, insieme accordati  che chi di loro morisse il primo, venisse a dar notizia del suo stato al superstite. Morì dunque l'uno,  e Dio permise che apparisse al compagno: era in orribile stato, tormentato come da una febbre  divampante. che ne spremea copiosi sudori. Asciugandosi egli con una mano la fronte, lasciò cadere una goccia sul braccio dell'amico, dicendo: Ecco il sudor dell'Inferno; tu ne porterai il marchio fino  alla morte. Quella goccia bruciò il braccio del vivo e ne penetrò le carni con ispasimo inaudito. Ma  buon per lui, che approfittò del terribile avvertimento, raccogliendosi in un monastero. 

   Pietro il Venerabile, abbate di Cluny, racconta un caso del medesimo genere. Un moribondo  ostinato nella colpa era per finire impenitente. Bruciava di febbre, ed a refrigerio della sete chiedea  dell'acqua fresca; e grazie alle preghiere fatte per lui, il Signore permise che due spiriti dannati gli si  presentassero in forma visibile, con una tazza contenente un liquido, di cui gittarono una goccia  sulla mano dell'infermo, dicendo: Ecco l'acqua fresca, onde ci refrigeriamo nell'Inferno! La stilla  trapassò la mano da parte a parte, bruciandone carni ed ossa. Gli astanti videro sbalorditi l'orribile  effetto e le violenti convulsioni, nelle quali per indicibil tormento il misero si contorceva. Ma se  l'acqua fresca di laggiù cuoce a tal segno, che farà l'acqua bollente ed i solfi divampanti? 

    Nel 1875 la città di New-York vide un incendio, di cui le circostanze rappresentano una imagine  dell'Inferno. Il serraglio Baunum, pieno di lioni, di tigri e di altre belve feroci, andò in fiamme, onde  tutte quelle perirono bruciate vive tra le roventi sbarre dei loro gabbioni. A misura che crescea la  vampa, le fiere maggiormente si irritavano; sopra tutte gli orsi e le tigri erano agitati da rabbioso  furore Si lanciavano con violenza spaventosa contro le ferree pareti di loro prigioni, ricadendo come  masse di piombo, per balzar su di nuovo contro l'invincibile ostacolo che li ritenea cattivi. I  disperati ruggiti dei leoni, i fremiti delle tigri, le urla di tutte le altre belve faceano un formidabil  tumulto, che potea in alcun modo adombrare quello dei dannati nell'Inferno. Ma l'orribil frastuono  andavasi di mano in mano illanguidendo; fino a che succedette il silenzio della morte. Ora  figuratevi di vedere chiusi tra quelle gabbie arroventate. non più animali selvaggi, ma uomini; ed  uomini, che in luogo di morir tra le fiamme, vi continuano a vivere, come se le loro persone fossero  di gran lunga più dure del ferro; questo sarebbe una imagine dell’Inferno, ma molto languida ancora  ed imperfetta. 

del R. P. SCHOUPPES S.J.

mercoledì 13 settembre 2023

Il Dogma dell'Inferno.

 


Il fuoco dell'Inferno è fuoco reale, fuoco che brucia come il nostro, ma incomparabilmente più  attivo. Non vi sarà fuoco reale nell'Inferno, mentre vi è nel Purgatorio? «Lo stesso fuoco, afferma  santo Agostino, tormenta i dannati e purifica gli eletti. «Questa verità si dimostra da gran numero di  fatti; ed eccone uno attestato da monsignore di Ségur. Nell'aprile del 1870, scrive egli, ho veduto, a  Foligno, e toccato una di quelle impronte di fuoco, talora prodotte dalle anime che appariscono e  attestano che il fuoco dell'altra vita è fuoco reale. Nel convento delle Terziarie Francescane morì di  apoplessia fulminante, al 4 novembre 1859, una buona suora, Teresa Gesta di nome, da molti anni  maestra delle novizie e custode delle povere vesti del convento. Due giorni appresso suor Anna  Felicia, succedutale in questo ufficio, all'entrare in guardaroba, udì gemiti che pareano provenienti  dall'interno della stanza. Ne fu scossa, aperse tosto l'uscio, ma non vide alcuno. Intanto nuovi gemiti  le vennero all'orecchio, sì spiccati, che malgrado il suo coraggio ordinario, ella ne prese paura, e:  Gesù, Maria! gridò, che è questo! Non avea finito, che sentì una voce lamentevole, accompagnata  da dolenti sospiri, che diceva: Oh Dio, che peno tanto! La religiosa stupefatta riconobbe tosto la  voce di suor Teresa. Allora tutta la stanza riempissi di denso fumo, e l'ombra della defunta  comparve, strisciandosi lungo la parete, diretta verso la porta. Come vi giunse, gridò con forza:  Ecco un testimonio della misericordia di Dio! E insieme diede un colpo nella superior parte della  porta, lasciandovi spiccata nel legno riarso l'impronta della sua destra, e disparve. Suor Anna Felicia  era rimasta mezzo morta di spavento; poi si mise a gridare aiuto! Accorre una delle consorelle, poi  un'altra, poi tutta la comunità, che si serra intorno a lei e stupisce al sentire odor di bruciato. Suor  Anna racconta l'accaduto, mostrando la terribile impronta; e tutte riconosconvi la mano,  notabilmente picciola, della già suor Teresa. Fuggono sgomentate in coro a pregare, passano così la  notte in penitenza, e la mattina si comunicano per la defunta. Intanto se ne sparge al di fuori la  novella, le altre religiose famiglie della città si associano con loro pregando, ed il giorno appresso,  che fu il 18 novembre, suor Anna, sul punto di coricarsi, udissi chiamar nettamente per nome dalla  voce di suor Teresa. Nel medesimo istante le si presenta uno splendido globo ad illuminar la celletta  come di pieno giorno, e la voce della defunta si spicca in accento di gioioso trionfo: Sono morta di  venerdì, giorno della Passione; e di venerdì me ne vado alla gloria! Siate forti a portare la croce,  siate coraggiose a patire, amate la povertà! E aggiungendo con amore addio, addio, addio! si  trasforma in una leggiera nuvoletta di smagliante candore e dispare, volandosene al cielo. Apertosi  tosto dal Vescovo e dai magistrati di Foligno regolare processo del fatto, il 25 novembre si scoprì  alla presenza di numerosi testimonii la tomba di suor Teresa, e confrontata l'impronta dell'uscio  colla mano di lei, si trovò rispondere perfettamente. Laonde per autorevole sentenza le cose su  esposte vennero confermate per vere. La porta colla sua impronta si conserva religiosamente da  quelle monache, e la madre Badessa, già testimonio del fatto, compiacquesi ella medesima di farla  vedere anche a me. 

del R. P. SCHOUPPES S.J.

giovedì 31 agosto 2023

Il Dogma dell'Inferno.

 


Del supplizio dell'Inferno 


Il fatto seguente si toglie dagli Annali della Compagnia di Gesù. Trattasi di un'apparizione  avvenuta nel Perù l'anno 1590, attestata da parecchi autorevoli testimoni. Abitava non lungi da  Lima una buona signora con tre domestiche, una delle quali indiana, di circa sedici anni, appellata  Maria. Era questa battezzata; ma dimenticando a poco a poco i santi propositi mostrati dapprima, la  diede attraverso, fino a che caduta in grave malattia ricevette gli ultimi sacramenti, ma con segni di  molto scarsa pietà; di guisa che ebbe a dir sorridendo alle due compagne di essersi ben guardata dal  palesare tutte le sue colpe al sacerdote. Quelle, sgomentate a tale parlare, ne avvisarono la padrona,  la quale tanto si adoperò con preghiere e minacce, che l'inferma diè mostra di pentirsi con promessa  di riparare il mal fatto. Si confessò dunque di nuovo, e poco appresso morì. Ma tosto il cadavere  cominciò esalare un insolito ed insopportabile fetore, onde fu mestieri portarlo fuori all'aperto in  cortile; il cane di guardia, animale abitualmente tranquillo, prese ad ululare in maniera lugubre e  strana: compiuta la sepoltura, mentre la padrona, secondo l'usanza del paese, desinava in giardino,  un sasso venne repente a cadere con orribil fracasso in mezzo alla tavola, facendone balzare piatti e  stoviglie senza rottura di sorta: una delle serventi, coricatasi nella camera stata della defunta, venne  destata da paurosi strepiti, come se i mobili tutti vi fossero da forza occulta conquassati e gittati a  terra: la poveretta se ne fuggì: volle provare a pigliarne il posto la compagna, ma collo stesso  effetto. Allora si accordarono a passarvi la notte insieme; e questa volta intesero chiaramente la  voce di Marta, e tosto videro anche la sciagurata, comparsa nel più orribile stato e tutta in fiamme.  Ella disse di esser venuta per ordine di Dio a far loro conoscere il proprio stato; di esser dannata per  le colpe d'impurità e per le confessioni sacrileghe continuate fino alla morte; e aggiunse: Raccontate quel che vi dico, affinchè altri approfittino della mia disgrazia. Alle quali parole mandò un disperato  urlo e disparve. 

 R. P. SCHOUPPES S.J. 

giovedì 24 agosto 2023

Il Dogma dell'Inferno.

 


Del supplizio dell'Inferno 


Il terribile tormento del fuoco primeggia nella Scrittura, ove si tratti dell’Inferno, da essa chiamato  stagno di zolfo e di fuoco, la geenna del fuoco, il fuoco eterno, la fornace ardente ove il fuoco non  estinguerassi giammai. Ma questo fuoco, acceso dalla divina Giustizia, sarà di efficacia  incomparabilmente superiore a quella di tutte le fornaci e di tutti gl'incendii del mondo. Ahimè, chi  potrà intendere come sia possibile il sopportarlo? Eppure vi si dovrà dimorare in eterno! Chi di voi, domanda il Profeta, potrà abitare nel fuoco divorante, tra gli ardori sempiterni? 

   Il fatto seguente, accaduto nel 1604, venne raccontato al padre Andrada, missionario gesuita in  Giappone, da quel medesimo che ne fu testimonio e parte. Era questi fra Riccardo, religioso  francescano, martirizzato poi colà stesso nel 1626 col tormento del fuoco. Ed in pruova dello  straordinario fatto mostrava il proprio abito, vestito appunto in conseguenza di quello. Egli dunque,  giovine ancora, ebbe la disgrazia di praticare con un reo compagno, dal quale trascinato per la via  del vizio, smise ogni pratica di pietà, salvo che recitava tutte le sere tre Ave. Una volta i due si erano  trattenuti fino a tarda notte, in una casa di peccato, e Riccardo, non potendo menarne seco il  compagno peggiore di lui, si ridusse da solo a casa, dove recitata la solita preghiera, si pose a letto.  Ed era già immerso nel primo sonno, quando ripetuti colpi lo fecero destare di soprassalto; riguarda  egli, e senza che l'uscio si fosse aperto, si vede innanzi un giovane, che riconosce per l'amico suo.  Sì, certo, son io, disse colui con voce spaventevole, son io, morto e dannato. All'uscire da quel  covo, rimasi pugnalato, e tu ne troverai disteso alla soglia il mio corpo. L'anima è nell'Inferno, e tu  vi saresti meco, se non fossero state le tue preghiere alla santissima Vergine. Ahi che io sono molto  più di te infelice! Mira! E così dicendo, aperte le vesti, si mostra tutto in fiamme e dispare. Riccardo  allora, sciogliendosi in lacrime, balzò a terra, rese grazie a Maria, domandò perdono de' suoi peccati  e promise di mutar vita. In questi pensieri ode la campana dei Padri di S. Francesco suonare a  mattutino, e tosto esclama: Là Dio mi chiama ad espiare le mie colpe! E di fatto corre difilato al  Guardiano del convento, supplicando dì esservi ricevuto. Ma perché, a cagione della conosciuta sua  mala vita, non si voleva esaudire, egli narrò il recente fatto; e due religiosi, andati alla via segnata,  trovarono realmente il cadavere dell'infelice, nuotante nel proprio sangue, tutto nero e di orribile  aspetto in volto. Con ciò Riccardo fu accolto nell'Ordine, dove condusse una vita esemplare, ed  andato a predicare il Vangelo nelle Indie passò al Giappone, dove incontrossi col padre Andrada, e  con tanto zelo affaticò, da meritare in ricompensa la beata corona del martirio. 

R. P. SCHOUPPES S.J. 

domenica 8 gennaio 2023

Verità dell'Inferno.

 


Il Dogma dell'Inferno. 

MOSTRATO DA FATTI 


Ora vediamo come il Figliuol di Dio ci parla dell'Inferno 

   «Guai al mondo per causa degli scandali. Imperocché necessaria cosa è che sianvi degli scandali;  ma guai all'uomo, per colpa del quale viene lo scandalo. Che se la tua mano e il tuo piede ti serve di  scandalo, troncali e gettali via da te: è meglio per te di giungere alla vita con un piede e una mano di  meno, che con tutte due le mani e tutti due i piedi essere gittato nel fuoco eterno. E se l'occhio tuo ti  serve di scandalo, cavatelo e gittalo via da te: è meglio per te l'entrare nella vita con un sol occhio,  che con due occhi esser gittato nel fuoco dell’Inferno».  (S. Matt. XVIII. 7 ss. e V. 29 ) 

   «Non temete coloro che uccidono il corpo, e non possono uccidere l'anima; ma temete piuttosto  colui, che può mandar in perdizione e l'anima e il corpo nell'Inferno». (Id. X. 28.) 

    «Morì anche il ricco, e fu sepolto nell'Inferno. E alzando gli occhi suoi, essendo nei tormenti,  vide da lungi Abramo, e Lazzaro nel suo seno. Esclamò, e disse; Padre Abramo, abbi misericordia  di me, e manda Lazzaro, che intinga la punta del suo dito nell'acqua per rinfrescar la mia lingua;  imperocché io sono tormentato in questa fiamma». (S. Luc. XVI. 22. ss.). 

    «Allora il Giudice dirà anche a coloro che saranno alla sinistra: Via da me, maledetti, al fuoco  eterno, che fu preparato pel diavolo e pe' suoi angeli». (S. Matt XXV. 41) 

   «E vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e sederanno nel regno dei cieli; ma i  figliuoli del regno saranno gittati nelle tenebre esteriori; ivi sarà pianto c stridore di denti». (Id.  VIII. 11, 12). 

    «Ma entrato il re per vedere i convitati, vi osservò un uomo, che non era in abito da nozze. E  dissegli: Amico, come sei tu entrato qua, non avendo la veste nuziale? Ma quegli ammutolì. Allora  il re disse a suoi ministri: Legatelo per le mani e per li piedi, e gettatelo nelle tenebre esteriori: i vi  sarà pianto e stridore di denti» (Id. XXII. 41 ss.) 

   «E il servo inutile gettatelo nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridore di denti». (Id. XXV.  50.) 

   «Ma io vi dico che chiunque si adirerà contro del suo fratello, sarà reo in giudizio. E chi gli avrà  detto stolto, sarà reo del fuoco della geenna». (Id. V. 22) 

   «Il Figliuolo dell’uomo manderà i suoi Angeli; e torranno via dal suo regno tutti gli scandali e  tutti coloro che esercitano l'iniquità. E li getteranno nella fornace di fuoco: ivi sarà pianto e stridore  di denti». (Id. XIII. 41-42.) 

   «Se la tua mano ti scandalizza, troncala: è meglio per te giungere alla vita con solo una mano, che  avendone due andare all'Inferno in un fuoco inestinguibile; dove il loro verme non muore, e il fuoco  non si smorza. E se il tuo piede ti scandalizza, troncalo: è meglio per te il giungere alla vita eterna  con solo un piede, che avendo due piedi essere gettato nell'Inferno in un fuoco inestinguibile; dove  il loro verme non muore, e il fuoco non si smorza. E se il tuo occhio ti scandalizza, cavatelo: è  meglio per te l'entrare con un solo occhio nel regno di Dio, che avendo due occhi essere gettato nel  fuoco dell'inferno; dove il loro verme non muore, e il fuoco non si smorza». (S. Marc. IX. 42. ss.). 

    «Qualunque pianta non porti buon frutto, si taglia e si getta al fuoco» (S. Matt. VII. 19.) 

   «Io sono la vite, voi i tralci: chi si tiene in me, e in chi io mi tengo, questi porta gran frutto. Quei  che non si terranno in me, li gitteranno sul fuoco a bruciare». (S. Giov. XV. 5, 6) 

    «Figliuole di Gerusalemme, non piangete sopra di me; ma piangete sopra voi stesse, e sopra i  vostri figliuoli. Poiché verrà giorno che cominceranno a dire alle montagne: «Cadete sopra di noi; e  alle colline: Ricopriteci. Imperocché se tali cose si fanno del legno verde, del secco che sarà?» E  vuol dire: Che sarà dei peccatori, destinati come il legno secco a bruciare? (S. Luc. XXIII 28. ss.) 

   «La scure sta già alla radice degli alberi. Qualunque albero adunque, che non fa buon frutto, sarà  tagliato e gettato nel fuoco. Quegli che verrà dopo di me, è più potente di me; egli vi battezzerà  collo Spirito Santo e col fuoco. Egli ha la sua pala nella sua mano: e purgherà affatto la sua aia; e  radunerà il suo frumento nel granaio; ma brucierà le paglie con fuoco inestinguibile». Parole del  santo precursore. (S. Matt. III. 40 ss.) 

«E fu presa la bestia, e con essa il falso profeta, che fece prodigi, coi quali sedusse coloro che  ricevettero il carattere della bestia e adorarono la sua imagine. Tutti due furono messi vivi in uno  stagno di fuoco ardente di zolfo. Saranno tormentati dì e notte nei secoli de' secoli. E chi non si  trovò scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco». (Apoc. XIX 20, XX 10, 15) 

    A fronte di tali testimonianze è manifesto, che chi vuole dubitar dell'Inferno, vuol dubitare della  infallibile parola di Dio; vuole ascoltare il linguaggio dei libertini anzichè la dottrina infallibile della  Chiesa. La Chiesa insegna che vi è l'Inferno; il libertino lo nega; a questo vorrete credere? Emilio  Scauro nobile Romano, costretto a scolparsi dinanzi al popolo da un'accusa mossa gli da certo Varo,  uomo senza fede e onore, parlò così: Romani, voi conoscete Varo e conoscete me: or egli mi accusa  come reo, io mi protesto innocente: egli dice sì, io dico no; a chi crederete voi? Il popolo applaudì, e  l'accusatore se ne andò confuso. 

    Anche la ragion naturale conferma il dogma dell'Inferno. Un empio si vantava di non credervi;  ma un uomo di buon senso e modesto stimò suo dovere di chiuder la bocca al fatuo ciarlone con  questa semplice domanda:  «I re della terra hanno prigioni a castigo dei loro sudditi ribelli, e Dio re  dell'universo non le avrà per gli oltraggiatori della sua maestà?» Il malvagio non ebbe replica. 

    L'empio che nega l'Inferno rassomiglia proprio al ladro che volesse negar la prigione. Ad uno dì  questi si minacciava il giudice ed il carcere: l'insensato risponde: «Che giudice, che prigione? non  ve ne sono». Non avea finito, che il pubblico ufficiale lo ghermì e lo tradusse al giudice. Ecco  l'imagine dell'empio, insensato a segno da negare l'Inferno. Giorno verrà, in cui egli sorpreso dalla  Giustizia divina vedrassi precipitare nell'abisso da sé ostinatamente negato, a riconoscerne per forza  la formidabile realtà! 

    L'empio che nega l'Inferno è somigliante all'aghirone di Africa, sciocco uccello, del quale si dice  che vedendosi dietro i cacciatori, ficca il capo nell'arena e si tiene così al sicuro, perché non iscorge  più l'inimico; ma ben presto viene a disingannarlo il dardo che lo trafigge. Allo stesso modo confitto  nelle terrene cose si dà il peccatore a credere che non è a temere l'Inferno; ma viene poi la morte  fargli conoscere per funesta esperienza quanto sia stato grande il suo inganno. 

   La verità dell'Inferno è sì chiaramente rivelata, che l'eresia non osò mai di negarla. Perfino i  protestanti, che per poco hanno abbattuto ogni dogma, innanzi a questo ristettero. Laonde una  signora cattolica, stimolata da due di quei ministri a farsi dei loro, ebbe a dare tale spiritosa risposta:  «Signori, voi avete per verità una bella riforma: avete tolto via il digiuno, la confessione, il  purgatorio; ma per mala sorte avete conservato l'Inferno: togliete via questo, e sono dei vostri». Sì,  o signori miei, liberi pensatori, togliete l'Inferno, e noi pure saremo dei vostri. Ma sappiate che a tal  effetto non basta il dire: Non lo credo. 

   E non è inconcepibile follia l'esporsi a cader nell'Inferno, appoggiandosi ad un misero forse? Due  increduli entrarono un dì nella cella di un anacoreta, ed alla vista de' suoi strumenti di penitenza, lo  chiesero perché menasse vita così austera. Per meritarmi il Paradiso, egli rispose. E quelli  sorridendo: O buon padre, ti saresti bene illuso, se dopo morte non evvi niente! Ed il sant'uomo,  volgendo loro uno sguardo di compassione: Molto peggio sareste illusi voi, se vi è qualche cosa. 

   Un giovine olandese di famiglia cattolica ebbe la disgrazia per le sue malvagie letture di perdere  al tutto la fede, il che ai parenti, e sopra tutti alla pia genitrice, tornò di amarissimo dolore. Invano  questa novella Monica gli porgeva i più sani ammonimenti; invano lo esortava, caldamente  piangendo, a tornare a Dio; a tutto il male arrivato figliuolo si mantenea sordo ed insensibile. Alla  fine per contentare la madre si piegò ad entrare in una casa religiosa, per farvi alcuni giorni di  Esercizii, o com'egli dicea, per riposarsi fumando a piacer suo, Ascoltava dunque sbadatamente le  prediche, e tosto dopo ripigliava il fumare, senza pensar più a quello che avea udito. Anche alla  meditazione dell'inferno parve contenersi come alle altre; ma rientrato in camera, mentre al solito  fumava, una riflessione a mal suo grado gli sorse in meni e: «E se fosse vero che vi è l'Inferno? Se  uno ve ne ha, evidentemente sarebbe per me! E di vero, come so io che non vi è l'Inferno? Convien  dirlo, non ne ho certezza di sorta; solo mi va per la mente un forse! E con un forse arrischiarmi a  bruciare in eterno, per fermo sarebbe stranezza al di là d'ogni termine. Se altri può tanto, io non mi sento spoglio di ragione a segno di seguirlo». Con questo si mette a pregare, la grazia gli penetra  l'anima, i suoi dubbii svaniscono, ed egli si alzò convertito. 

    Racconta un pio autore il grave castigo, onde fu colpito un empio diniegatore dell'Inferno, cui per  riguardo alla famiglia dà il finto nome di Leonzio. L'infelice faceasi vanto di sfidare il Cielo e  l'Inferno, da lui spacciati quali chimeriche superstizioni. Un dì che dove a tenere un convito nel  proprio castello, volle traversarlo con un amico il cimitero, ed avendo a caso urtato in un teschio, lo  respinse da sè, dicendo empiamente: Via di qua, ossa infette, vani avanzi di ciò che non è più! Il  compagno, che era di ben altro pensare, gli oppose: Fate male così parlando. Conviene rispettare le  spoglie dei trapassati, per riguardo alle lor anime, che vivono sempre, e verranno a riprenderle nel  giorno della risurrezione. Leonzio rispose volgendo al cranio cotale sfida: «Se lo spirito che ti  animò esiste ancora, vengami a recar notizie dell'altro mondo, che io l'invito per questa sera al mio  banchetto». All'ora posta sedutosi a mensa con numerosi amici, raccontava l'avventura del cimitero,  ripetendo le medesime empietà; quand'ecco un repentino fracasso si fa udire, e quasi al tempo  istesso appare in sala con ispavento indicibile dei convitati un orrendo spettro. A tal vista Leonzio,  smessa ogni audacia, impallidisce e trema, come fuori di sè; vorrebbe fuggire, ma lo spettro gli è  sopra come folgore, e afferratolo pel collo, gli fracassa il capo contro la parete. - Io non so fino a  che punto sia il racconto autentico; ma il certo si è, che verrà giorno, nel quale sarà la superbia degli  empii abbattuta, e stritolato il loro capo dal Giudice dei vivi e dei morti: Egli giudicherà le nazioni,  le riempirà di cadaveri, conquasserà il capo di molti a terra. (Salm CIX, 6.) 

   Or ecco un altro evento, quasi contemporaneo, riferito da un autore degno di fede. Due giovani,  già condiscepoli ed amici di collegio, che per mantenere il secreto io chiamerò Eugenio ed  Alessandro, l'uno era rimasto in famiglia, spendendosi in opere di carità nella pia opera di S.  Vincenzo; l'altro entrato nella milizia vi avea conseguito il grado di colonnello, ma perduto ogni  traccia di religione. Tornato questi dopo gran tempo a rivedere i suoi, ritrovossi una domenica  anche coll'amico Eugenio. Il quale ad un certo punto del prolungato colloquio: Amico, dice, è ora di 

lasciarvi. Ed Alessandro: Per dove sì sollecitamente? ­ Prima alla benedizione; poi ad una seduta di  beneficenza. - Povero Eugenio! Credete ancora al Paradiso e all'Inferno? Chimere, vi dico,  superstizioni, fanatismo... - Caro Alessandro, non dite così voi, che meco già imparaste, come le  verità della fede si appoggiano a fatti incontrastabili. - Chimere, vi ripeto, alle quali io non credo  più. Se inferno vi è, acconsento di andarvi oggi stesso. Venite, venite meco a teatro. - Caro amico,  accomodatevi; ma non provocate la giustizia di Dio. Ma Eugenio parlava a sordo che udir non volea  salutari avvisi; quindi coll'animo amareggiato se ne andò. A tarda notte però, essendo egli già  coricato: Su, presto, gli corrono a dire, da Alessandro, ricondotto da teatro con un male che fa  spavento! Vola Eugenio, e lo trova agitato da violenti convulsioni, colla bocca schiumosa ed il  torbido sguardo errante! Al primo ravvisarlo: O Eugenio, esclamò l'infelice, tu dici che vi è  l'Inferno, e dici vero! Sì, vi è l'Inferno, e io ci vado; già vi sono; già ne sento il supplizio e la rabbia!  Indarno l'amico si provò a calmarlo; che lo sciagurato non rispose se non con urli e bestemmie. Ne  suoi furibondi trasporti si lacerava con morsi le braccia, sputando i brani di carne contro di lui,  contro la madre, contro le sorelle; ed in questi orrendi accessi spirò! La madre se ne morì di dolore;  le due sorelle entrarono in religione, ed Eugenio ancora voltò le spalle al mondo, rinunziando una  splendida fortuna, per evitar, consecrandosi a Dio, l'Inferno. 

del R. P. SCHOUPPES S.J. 


venerdì 7 ottobre 2022

Del Risveglio dell’Empio nell'Inferno.



 Il Dogma dell'Inferno. 

MOSTRATO DA FATTI 


Del Risveglio dell’Empio nell'Inferno. 

   Gli sciagurati peccatori, che addormentati nelle illusioni del mondo, vivono come non vi fosse  Inferno, saranno di subito tratti d'inganno, precipitando dai loro piaceri nel baratro dì ogni tormento.  La catastrofe del caffè Kivoto a Smirne ci porge una ben languida imagine di quella ben più  tremenda che tosto o tardi li attende. Tale caffè teatro, come si dice, si sporgea sul mare, sostenuto  da fitti pali, ma dal tempo e dalle acque corrosi. Eravamo all'11 febbraio 1873 alle 10 di notte, e là  stavano un duecento persone intente alla commedia, che molto le sollazzava; quando un orrendo  scroscio d'improvviso si fa udire, e nello stesso punto crolla l'edificio che cogli spettatori rimane  inghiottito dal mare. Quale spaventoso trapasso per quei miseri gaudenti! Ma quanto più spaventoso  sarà quello del mondano nel dì che andrà improvvisamente travolto in un pelago di zolfo e di fuoco! 

    Nella notte del 31 marzo al 1 aprile 1875, l'Atlantico, ampio e magnifico naviglio, andò a picco,  lungo le coste del Canadà presso Halifax, e di novecento cinquanta persone che vi erano, perirono  settecento. Il maggior numero dormiva tranquillamente, quando il legno die' negli scogli e quasi  all'istante calò a fondo. Terribile risveglio degl'infelici nell'atto stesso di essere inghiottiti  nell'abisso! ma quanto più terribile sarà quello dell'empio, subitaneamente precipitato nell'Inferno! 

    Il 28 dicembre 1879, avvenne la ruina del ponte della ferrovia sul Tay, fra Edimburgo e Londra  presso Dundee. Era di ferro, lungo una mezza lega, e per quanto robusto, ai ripetuti colpi delle onde  sollevate da fiera burrasca durante il giorno, crollò alfine in parecchie arcate; ma era già notte e  nessuno se ne accorse. Ed ecco alle sette e mezzo un treno spiccatosi da Edimburgo entra volando  con un centinaio di viaggiatori sul fatal ponte, e giunto al vuoto si precipita nelle onde. Un grido  non si udì, e in men di un batter d'occhio quegli sventurati si trovarono in fondo alle acque. Quale  sorpresa! quale istantaneo mutamento! Ma che sarà mai, quando in meno di un batter d'occhi si  troverà il peccatore sommerso nella voragine dell'Inferno! 

del R. P. SCHOUPPES S.J.