venerdì 19 aprile 2024

Il Dogma dell'Inferno.

 


Del Timor salutare dell'Inferno. 


Dobbiamo temere l'Inferno, perché vi possiamo precipitare. Ahimè, troppo è facile il dannarsi, e molti di fatto si dannano. S. Teresa li paragona ai fiocchi di neve cadenti nelle fosche giornate invernali. Il servo di Dio Antonio Pereira, citato di sopra, vide le anime peccatrici calare nell'abisso; come i grani di frumento sotto la macina, come le pietre ammassate dentro un'ampia fornace di calcina. Il venerabile Padre Baldinucci, celebre missionario della Compagnia di Gesù, morto in odore di santità l'anno 1717, predicando in aperta campagna, perché la chiesa non potea contenere la gran moltitudine: Fratelli miei, dicea parlando dell'Inferno, volete sapere in quanto gran numero sono quelli che si dannano? Riguardate questo albero! Tutti gli occhi furono rivolti ad una pianta, carica di foglie; e nello stesso punto un improvviso soffio di vento agitò tutti quei rami, facendone cadere le foglie in tale abbondanza, che le rimaste qua e là si contavano. Ecco, riprese l'apostolico uomo, ecco le anime che si perdono; ecco le anime che si salvano. Provvedete a tempo, a fine di essere tra le seconde! Ancora il padre Nieremberg narra di un vescovo, che per una speciale permissione di Dio ebbe la visita di un infelice morto impenitente. Questi domandò se erano tuttavia uomini sulla terra. E perché il prelato mostrava stupore di siffatta interrogazione, soggiunse: Dappoichè io sono nella trista dimora, vidi arrivarvi una sì sterminata moltitudine, che stento a capire come rimangano ancora uomini sulla terra! La quale parola ricorda quella del divino Maestro in san Matteo: «Entrate per l'angusta porta; perché larga e spaziosa è la via che mena in perdizione, e molti vi entrano. Quanto angusta e quanto stretta è la porta che conduce alla vita, e quanto pochi vi entrano!». 

    Per mettersi al sicuro dell'Inferno, bisogna schivare di prenderne il cammino, bisogna schivare il peccato di ogni maniera. Gli uomini si lasciano strascinare in perdizione, quando per uno, quando per altro legame d'iniquità: Molti muoiono nelle lor colpe, perché privati degli ultimi sacramenti; e fra quelli che li ricevono non pochi ancora si perdono, perché li ricevono male. Ecco un fatto riferito negli Annali del paraguai al 1640. Nella Riduzione dell'Assunta, una donna era morta, lasciando un figliuolo di circa vent'anni, il quale si vide apparire nel più orribile stato la madre, con queste parole: sono dannata, per aver mancato di sincerità in confessione; e molti altri per questo medesimo sono dannati con me. E tu approfitta dell'esempio della disgraziata tua madre! Il padre Nieremberg ricorda di un altro dannato per la stessa cagione. Era un giovane, che con un'apparenza di vita cristiana, odiava però un suo nemico, e frequentando i sacramenti, nudriva in cuore sensi di vendetta, cui Gesù Cristo comanda di deporre. Dopo morte apparve al proprio genitore, dicendo di essere perduto per non aver perdonato al nemico. E appresso con accento di dolore indicibile gridò: Ah se tutte le stelle del cielo fossero altrettante lingue di fuoco, non potrebbero esprimere i miei tormenti! 

   Ascoltiamo ancora il medesimo autore. Un infelice abituato a compiacersi in disonesti pensieri cadde malato, e ricevette gli ultimi sacramenti. Il dì appresso il suo confessore, mentre tornava per visitarlo, se lo mirò venire incontro dicendo: Non andate più oltre; sono morto e dannato. - perché mai? Non vi siete ben confessato? - Sì, bene: ma dopo il demonio mi rappresentò vietati piaceri, chiedendo se in caso di guarigione vi ritornerei: ho acconsentito alla rea suggestione, e lo stesso momento mi sorprese la morte! Ciò detto aperse le vesti, mostrò il fuoco che lo divorava, e disparve. Una nobile dama e molto pia, narra lo stesso Padre, pregava il Signore di farle conoscere, quali persone del suo sesso maggiormente a lui dispiaceano; e ne fu esaudita in miracolosa maniera, perché si vide aperto sotto gli occhi l'eterno abisso, e dentrovi una femmina in crudeli tormenti, da lei riconosciuta per una sua amica, morta non era molto. Tale aspetto le cagionò stupore pari alla tristezza; perché riputava che la persona in pena non avesse vissuto male. Allora quella perduta le disse: Ho praticata la religione, è vero; ma vissi schiava della vanità; e dominata dalla passione di piacere non temetti di adottare fogge indecenti per attirare gli sguardi altrui, e così accesi il fuoco impuro in più di un cuore. Ah se le donne cristiane intendessero come dispiace a Dio l'immodestia nel vestire! Nello stesso punto la misera venne trafitta da due lance di fuoco e cacciata dentro una caldaia di piombo liquefatto. 

Tomaso Cantipratense, dotto religioso domenicano, racconta di un misero peccatore di Bruxelles, dedito all'intemperanza e ad altri vizii prodottine, che avea con morte prematura posto fine a' suoi disordini. Un suo amico é compagno negli stravizii, dopo assistitone ai funerali, era tornato a casa e stava solo in camera, quando intese gemiti sotterranei. Sgomentato dapprima, non sapea che fare; ma infine arrischiossi a chiedere: Chi è che geme? - Sono io, tuo compagno, si udì rispondere, del quale tu hai seguito il corpo al sepolcro. Ahimè, l'anima mia è sepolta nell'Inferno! Poi con un grido, anzi ruggito spaventoso: Guai a me! l'abisso mi ha inghiottito, e la sua bocca si è chiusa sopra di me! 

    Anche Enrico di Granata ricorda una giovine, di vita regolata, ma di continuo tormentata dalla bramosa vanità di piacere. Si ammalò e morì, dopo ricevuti tutti i sacramenti. Or mentre il confessore pregava per l'anima di lei, essa gli apparve, affermando di essere dannata, per causa della sua vanità, e, aggiunse: Ho cercato di piacere agli occhi degli uomini, e tale passione mi ha fatto commettere quantità grande di colpe, mi ha impedito di ricever bene i sacramenti, mi ha condotto ai tormenti eterni! 

    Un usuraio avea due figliuoli che seguivano i mali esempi del padre. L'uno di questi, tocco da Dio, rinunciò al colpevole mestiere e ritirossi nel deserto. Prima di partire però, si fece lagrimando ad esortare il padre ed il fratello a pensar come lui alla propria salvezza, ma indarno; chè quelli durarono nel peccato e morirono nella impenitenza. Iddio permise appresso che il solitario venisse in cognizione del tristo loro stato. In un rapimento egli si trovò sopra un'alta montagna, appiè della quale vedevasi un mare di fuoco, donde si alzava come una tempesta di confuse grida; e poco stette a scorgere tra quei fluiti divampanti suo padre e suo fratello, furibondi l'uno contro l'altro, scagliandosi reciprocamente rimproveri e maledizioni, con tale orribile diverbio: Io ti maledico, figliuolo detestabile! per te ho commesso l'ingiustizia e perduto l'anima! Io ti maledico, padre indegno! perché mi hai perduto co' tuoi mali esempi! - Io ti maledico, figliuolo insensato, che ti sei associato ai peccati di tuo padre! - Io ti maledico; crudele autor de' miei giorni, che mi hai allevato alla dannazione. - Così si legge raccontato nelle Vite dei Padri. 

del R. P. SCHOUPPES S.J. 


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