domenica 29 novembre 2020
mercoledì 25 novembre 2020
MONETA DEL POPOLO: L’ESPERIMENTO DI “GUARDIAGRELE”
Moneta del popolo TASSE ZERO!
Della “moneta del popolo” si è fatto un esperimento scientifico in una cittadina abruzzese, Guardiagrele, ad opera dell’infaticabile professor Auriti, il quale, verso la fine del luglio 2000, nella sua qualità di fondatore e segretario del SAUS (Sindacato anti-usura), ha messo in circolazione i SIMEC (simboli econometrici di valore indotto), di esclusiva proprietà del portatore (come è esplicitamente stampato sui biglietti). Scopo di questo esperimento della teoria del “valore indotto” (che Auriti ha propugnato per trentacinque anni) è quello di verificare “in corpore vili” che i cittadini possono, per convenzione, creare il valore della moneta locale senza alcun intervento né dello Stato né del sistema bancario; l’obiettivo ultimo è quello di sostituire alla sovranità illegittima della Banca d’Italia la proprietà della moneta, quale prerogativa dello Stato, a favore dei singoli cittadini. Questo, sicuramente, rappresenterebbe già un successo enorme, che apporrebbe un punto fermo in materia monetaria, l’accertamento sul piano pratico e fattuale del principio che il “valore” è dato alla moneta solo da chi l’accetta sulla base di una “convenzione”, non importa se solo implicita. E almeno, sotto questo profilo, sembra che la dimostrazione tentata da Auriti stia conseguendo un ampio successo, se è vero che, come riporta la stampa locale, “l’operazione economica ha rivitalizzato il commercio, prima sopito, del paese”, “come se avessimo messo del sangue in un corpo dissanguato”, ha affermato Auriti, cui di certo non è ignoto il messaggio cristiano, contenuto nella enciclica “Quadragesimo anno”. In realtà, non può dubitarsi che l’iniziativa del giurista abruzzese costituisce un importante riscontro scientifico di sociologia giuridica ed economica senza precedenti in Italia, soprattutto perché proviene da un’associazione privata (SAUS) e non da un ente dotato di potere pubblico, come potrebbe essere, se non lo Stato, il Comune. Deve anche aggiungersi che l’esperimento di Auriti ha sollecitato l’attenzione non solo delle forze politiche italiane, oltre che della stampa nazionale, ma anche di numerosi organi di informazione stranieri, a dimostrazione dell’interesse destato dalla nuova rivoluzionaria formula monetaria, che soddisfa il bisogno di usare la moneta come strumento di diritto sociale. In ogni caso, non può non destare sorpresa, oltre che, naturalmente, soddisfazione, il fatto che l’esperimento monetario di Guardiagrele sia riuscito ad imporsi all’attenzione nazionale ed internazionale nonostante che sia stato limitato ad una collettività tutto sommato molto ristretta. Questa, peraltro, ha fornito la prova come il popolo abbia la forza di creare, per proprio conto, valori convenzionali di moneta locale, pur senza invadere le competenze della Banca Centrale, e nel rispetto della circolazione della banconota legale.
Per quanto riguarda le modalità con le quali si articolerà l’esperimento di Guardiagrele, lo stesso Auriti ha posto in evidenza come il progetto debba essere realizzato in due fasi:
– la prima, che si può denominare dell’“avviamento”, serve perché il SIMEC possa conseguire “quel valore indotto che lo oggettivizza come un bene reale, oggetto di proprietà del portatore”, e che lo distinguerà dalla moneta corrente non più soltanto formalmente, ma anche sostanzialmente;
– la seconda fase dovrebbe consentire ai Comuni di “beneficiare del servizio econometrico predisposto dal SAUS (Sindacato anti-usura), mediante un Assessorato per il Reddito di Cittadinanza, che avrebbe il compito di promuovere, anche culturalmente, l’iniziativa, controllarla e attuare la distribuzione dei SIMEC tra i cittadini”.
Unica critica, apparentemente seria, che, in teoria, può muoversi contro l’esperimento di Guardiagrele, riguarda il problema della “riserva”: potrebbe infatti sostenersi che il SIMEC può venire accettato dai cittadini, per essere speso nei negozi convenzionati (cioè aderenti all’iniziativa), in quanto esso è garantito dalla Lira, vale a dire dalle somme di moneta corrente che il cittadino deposita per avere in cambio la moneta locale; con la conseguenza che verrebbe a crearsi una ben singolare situazione che vede, da una parte, la banconota della Banca d’Italia, la quale, pur avendo l’apparenza di una cambiale, e cioè di un titolo di credito, non è tuttavia pagabile per difetto di riserva; e dall’altra parte, il SIMEC, il quale, pur avendo l’apparenza di un biglietto di proprietà del portatore, è tuttavia convertibile nelle lire che ne costituiscono la “riserva”.
La critica è suggestiva, ma infondata.
Se si ponesse, infatti, la dovuta attenzione alla storia della moneta, così come si è dipanata nel corso dei secoli, si avvertirebbe subito che, in definitiva, il SIMEC, così come è stato concepito dal suo ideatore, ha iniziato a percorrere quella storia dalla sua fase iniziale, quando tutte le banconote erano convertibili in oro, dapprima in misura integrale e, poi, in misura percentuale; e che, ad un certo momento, quelle banconote continuarono ad essere accettate e, quindi, a circolare nonostante la soppressione della convertibilità. Tutto ciò, proprio per effetto di quel “valore indotto”, intuito e scoperto da Auriti, che ha consentito alla moneta legale, sebbene a corso forzoso, di mantenere il proprio potere d’acquisto. Riguardo poi alla rilevata contrapposizione tra la banconota della Banca d’Italia ed il SIMEC, non può minimamente dubitarsi che, nel raffronto, è la prima che fa una ben misera figura, perché, proprio a causa della sua apparenza di falsa cambiale, la Banca Centrale ESERCITA LA TIRANNIA DELL’USURA, CHE DÀ INGRESSO ANCHE A QUELLA POLITICO-SOCIALE. D’altra parte, della propria attuale riserva il SIMEC potrebbe fare a meno se, invece che da una Associazione privata, fosse posta in circolazione, come “reddito di cittadinanza”, da un ente pubblico, come potrebbe essere il Comune o, ancora meglio, lo Stato, in modo che alla sicurezza, offerta da una riserva, si sostituisse quella offerta dal potere dell’autorità...
Ma si troverà mai un “cameriere” (cioè l’attuale politico) che si ribelli al suo “Padrone” (cioè al potere tirannico dei banchieri e delle Banche Centrali?).
Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014
domenica 1 novembre 2020
LA MONETA DEL POPOLO È PREVISTA DALLA COSTITUZIONE
Moneta del popolo TASSE ZERO!
lunedì 5 ottobre 2020
Moneta del popolo TASSE ZERO!
Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini
LA TRASFORMAZIONE DEI TITOLI IN MONETA
Raggiungendo il duplice scopo di ridurre sia il debito pubblico sia l’attuale penalizzante rarità monetaria, e senza violare la legislazione o la prassi vigenti, lo Stato, emettendo una propria moneta, sotto forma di “biglietti di stato”, che circoli parallelamente alle banconote emesse dall’Istituto di Emissione, metterebbe a disposizione della collettività un ulteriore volume di “unità di misura di valore” da aggiungersi alla massa di moneta già circolante. In questo modo, anche se limitatamente a questa quota di circolante rappresentata da moneta statale, lo Stato, e per esso il popolo, riacquisterebbe la propria originaria e fondamentale sovranità monetaria; e la moneta diverrebbe veramente proprietà del popolo, realizzando, sia pure in misura parziale, il principio della “moneta del popolo”.
venerdì 25 settembre 2020
Moneta del popolo TASSE ZERO!
martedì 15 settembre 2020
Moneta del popolo TASSE ZERO!
La seconda regola, anch’essa irrinunciabile, è che il rapporto tra il volume della moneta circolante e quello dei
beni prodotti deve essere calcolato, sorvegliato ed eventualmente corretto da un organismo statale o parastatale, formato da scienziati della finanza e dell’economia, eletti a vita dal Parlamento, e per ciò autonomi e
indipendenti dal Governo e sottratti ad ogni tipo di
coinvolgimento di natura politica, e che rispondono del
loro operato soltanto ai rappresentanti del popolo.
Tale organismo deve avere a disposizione, naturalmente,
tutti i dati della produzione dei beni (quelli prodotti e quelli
programmati, secondo l’indirizzo politico-sociale liberamente scelto dal Parlamento e dal Governo) e della circolazione monetaria. In tal modo, mediante rilevazioni statistiche molto ravvicinate nel tempo, esso dovrebbe essere in
grado di fornire al Governo, in termini scientificamente
esatti, le indicazioni sul volume del circolante sufficiente e
necessario perché possa funzionare, a favore dei cittadini,
come mezzo di scambio dei beni. Di conseguenza, il Governo può immettere nella circolazione la “propria” moneta
nella quantità scientificamente utile per la collettività, e
può, all’occorrenza, a seconda dell’andamento della produzione, aumentare il volume di moneta circolante o ridurlo.
Solamente in questo ultimo caso il Governo può procedere ad un prelievo fiscale nei limiti della contrazione
programmata ed a carico, possibilmente, di quelle fasce
di cittadini maggiormente capaci di sopportarlo.
Nel calcolo della popolazione si deve tener conto di tutti i
cittadini: non solo di quelli produttivi, di coloro, cioè, cui
è certamente destinata una quota-parte della moneta circolante come corrispettivo della loro attività di lavoro, di
qualunque natura sia, ma anche di quelli che, per una ragione o l’altra, sono privi di reddito, come possono essere
i disoccupati, i malati, gli anziani, i bambini. mercoledì 9 settembre 2020
Moneta del popolo TASSE ZERO!
Questo non è che il problema della “sovranità monetaria”, la quale non dovrebbe entrare in conflitto (o in competizione) con la “sovranità popolare”, enunciata e garantita dalla nostra Costituzione del 1948. Qualunque riforma di natura sociale si volesse attuare nel Paese o non avrebbe alcuna possibilità di successo o avrebbe vita molto breve, se non venisse attuata la riforma più importante e preliminare a tutte le altre: la riforma della politica monetaria con il ritorno della relativa sovranità allo Stato, e perciò al popolo.
Se lo Stato, per munirsi delle risorse finanziarie da destinare al perseguimento dei propri scopi di istituto, creasse direttamente la moneta occorrente, sotto forma di biglietti di Stato, e la mettesse in circolazione, perché adempisse la propria funzione di strumento di scambio dei beni prodotti dal sistema produttivo nazionale, non sorgerebbe alcun debito a suo carico e, di conseguenza, a carico dei cittadini: ciò significa che, in linea di massima, non sarebbe più necessario il prelievo fiscale!
Con l’attuale sistema (che, come si è già detto, non trova nessun sostegno nella Costituzione repubblicana) il volume del nostro mezzo di scambio (che corrisponde approssimativamente al cosiddetto “circolante”) può subire espansioni o contrazioni, ad opera della Banca Centrale, che governa la politica monetaria in base a criteri “suoi” e che, in ogni caso, non tengono mai conto dell’effettivo volume dei beni reali che si possono e si vogliono produrre e distribuire. Cosicché si crea una artificiosa rarità di moneta, che impedisce al popolo, nel suo insieme, di avvalersi di questo mezzo di scambio per acquisire i beni prodotti dal sistema economico nazionale. Con la conseguenza che i negozi appaiono ricolmi di merce invenduta.“Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014
martedì 1 settembre 2020
Moneta del popolo TASSE ZERO!
Bisogna anche mettere nella dovuta evidenza che la moneta che il popolo è obbligato a pagare come imposta,
non è la stessa moneta che, a suo tempo, la Banca aveva prestato allo Stato: beninteso, le due monete sono costituite dallo stesso supporto cartaceo, contengono gli stessi simboli ed hanno lo stesso valore facciale; nondimeno
hanno una diversa impronta qualitativa e soprattutto
morale, perché, mentre la moneta prestata dall’Istituto di
Emissione allo Stato viene creata dal nulla, la moneta pagata dal popolo è l’effetto delle attività lavorative dei cittadini, costituendone il compenso. Se il costo della prima è
quindi rappresentato soltanto dalla carta e dalla stampa, il
costo della seconda è rappresentato dal lavoro del popolo: la prima non ha, al momento della sua immissione
nella circolazione, alcun valore e puzza solo di inchiostro; la seconda, al contrario, è moneta vera perché, circolando, ha acquistato valore e odora pure della fatica dei
cittadini.mercoledì 26 agosto 2020
Moneta del popolo TASSE ZERO!
domenica 23 agosto 2020
Moneta del popolo TASSE ZERO!
Finora si è più volte accennato al fatto che la Banca Centrale, nel mettere
in circolazione le proprie banconote
mediante operazioni di prestito al Tesoro dello Stato e di anticipazione al
sistema bancario, in sostanza le ad debita al popolo. Siccome questo fatto rappresenta il punto focale di tutto il problema monetario, è necessario che
esso sia reso di agevole comprensione anche per il lettore
completamente a digiuno di tale problema nei suoi numerosi profili.
Detto in modo molto schematico, accade che lo Stato, per il perseguimento dei propri fini istituzionali di
carattere generale (difesa, pubblica
istruzione, sanità, giustizia, ecc.) e di
carattere particolare (opere pubbliche), ha naturalmente bisogno di
notevoli risorse finanziarie. Per
procurarsi tali risorse ricorre o alla
vendita dei propri beni patrimoniali (mediante le privatizzazioni) o
demaniali (mediante le sdemanializzazioni), oppure al prestito che costituisce una fonte di finanziamento
costante e generale.
Esso si rivolge, detto in modo molto
semplificato, in due direzioni:
1. verso gli stessi cittadini, ai quali
vengono offerti titoli di credito statali fruttiferi (buoni del Tesoro, bot,
ecc.) in cambio di moneta;
2. verso la Banca d’Italia che, per
garantire allo Stato le necessarie risorse finanziarie, crea la moneta da
mettere in circolazione.
La differenza tra i due tipi di prestito
contratti dallo Stato non è tanto di
natura quantitativa quanto di natura
qualitativa, se così si può dire: infatti, mentre la Banca Centrale dà in
prestito allo Stato moneta creata
dal nulla – moneta cioè priva di quel
valore che solo la circolazione potrà
conferirle, e della quale essa si arroga, senza alcun fondamento giuridico, la proprietà – i cittadini, in cambio dei titoli di Stato, forniscono invece i propri risparmi, costituiti da
moneta di cui sono proprietari perché, essendo stata da loro accettata a
titolo di pagamento, in essa è incorporato il sudore del loro lavoro.
Quindi, mentre il prestito concesso
dai cittadini è frutto della loro fiducia nello Stato e senza dubbio rappresenta per loro un rischio che potrebbe vanificare anni di lavoro, invece, quello fornito dall’Istituto di
Emissione è soltanto segno della
sudditanza dello Stato nei suoi
confronti e del concreto esercizio
di quella sovranità monetaria cui
lo Stato ha incredibilmente abdicato. “Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014giovedì 20 agosto 2020
Moneta del popolo TASSE ZERO!
lunedì 17 agosto 2020
Moneta del popolo TASSE ZERO!
1) nella seduta della Camera dei Deputati, tenutasi il 17
marzo 1995, il deputato Pasetto
rivolse una interrogazione al Ministro del Tesoro, per sapere se non
intendesse promuovere una riforma legislativa diretta a definire la
moneta un bene reale conferito
all’atto dell’emissione, a titolo
originario di proprietà di tutti i
cittadini appartenenti alla collettività nazionale italiana, con conseguente riforma dell’attuale sistema dell’emissione monetaria, che
trasforma la Banca Centrale da
semplice ente gestore ad ente
proprietario dei valori monetari.
Nel rispondere a tale interrogazione, il Sottosegretario del Tesoro,
Carlo Pace affermò “in sostanza,
per tutta la durata della circolazione, la moneta rappresenta un
debito, una passività dell’Istituto
di Emissione e come tale è iscritta, nel suo Bilancio, tra le poste
passive”.
Alle due interrogazioni, fornì risposta scritta il Sottosegretario di Stato per il Tesoro, Vegas, il quale (sentita, questa
volta nel merito, anche la Banca d’Italia) si adeguò alla
precedente risposta del collega di Governo. Come ulteriore
argomentazione, il Sottosegretario Vegas ricordò come, nella attuale dottrina economica e nelle opinioni degli Stati
europei, fosse avvertita e radicata l’esigenza “di non concentrare nelle mani di uno stesso soggetto politico, quale potrebbe essere l’autorità di governo, il potere di
creare moneta e quello di spenderla, onde impedire che
la moneta diventi strumento di lotta politica”, e ricordò
che tale esigenza aveva trovato esplicito riconoscimento
giuridico nel Trattato di Maastricht.
Entrambe le risposte sono degne di nota solo per il tasso di
ambiguità da cui sono permeate.
Infatti, in primo luogo, stupisce che tutte e due le risposte
sul punto relativo alla proprietà della moneta, al momento della sua emissione, si rifugino in una dichiarazione negativa, affermando che questa non spetta alla
Banca d’Italia: affermazione questa, forse volutamente
elusiva, ma che, tuttavia, non
può sfuggire all’accusa di
menzogna per ciò che essa non
può non sottintendere.
Posto infatti che la moneta (al
momento della sua creazione ed
emissione) non può non avere,
come tutti i beni mobili, un
proprietario, deve trarsi la conclusione che, in quel preciso
momento la moneta, se non è
della Banca d’Italia, è di proprietà dello Stato. Ma ciò contrasta in modo irrimediabile con
quanto riconosciuto dagli stessi
rappresentanti del Governo, vale
a dire la percezione di un utile
monetario da parte di un Ente
che non è proprietario della
moneta che crea ed immette in
circolazione. Tanto più che, per
tutta la durata della circolazione,
la moneta rappresenterebbe un
debito della Banca d’Italia; una
passività che la abilita ad inserirla nel proprio bilancio tra le
poste passive.
Ne deriva che, caso unico, la
moneta sarebbe fruttifera nelle mani dell’Istituto di Emissione, benché questo non ne
sia proprietario, ma anzi debitore.
Mentre, quindi, nei casi normali, il creditore percepisce interessi dalla moneta che presta, ed è il debitore che paga
questi interessi, nel caso in esame, le posizioni appaiono
stranamente invertite. Con un debitore che, anziché pagare, percepisce gli utili.
Il fatto è che, nel concreto, la verità risiede proprio nel secondo corno del dilemma: nel senso che la Banca d’Italia
ritiene di essere proprietaria della moneta che crea ed
emette. Lo sostiene lo stesso Istituto proprio nel giudizio
civile promosso dal professor Auriti; infatti, nella comparsa di costituzione e risposta, datata 20 settembre 1994, si legge: «alla stregua della puntuale disciplina della funzione di emissione, i biglietti della Banca d’Italia costituiscono una semplice merce di proprietà della Banca
Centrale, che ne cura direttamente la stampa e ne assume
le relative spese» ... «Essi acquistano la loro funzione e il
valore di moneta solo nel momento logicamente e cronologicamente successivo, in cui la Banca d’Italia li immette nel mercato trasferendone la relativa proprietà ai
percettori». E ancora: «La Banca d’Italia cede la proprietà
dei biglietti, i quali, in tale momento, come circolante,
vengono appostati al passivo nelle scritture contabili
dell’Istituto di Emissione, acquistando in contropartita, o
ricevendo in pegno, altri beni o valori mobiliari (titoli,
valute, ecc.) che vengono, invece, appostati all’attivo».
Ora, poniamo il caso di un falsario che dia in prestito il
risultato della propria illecita
attività, che a lui non costa nulla se non le spese di fabbricazione; nel fare il bilancio finale
dell’operazione, vi iscrive forse
come posta passiva la somma
falsificata e prestata, e come
posta attiva la somma restituitagli oltre agli interessi? Così facendo, altererebbe il bilancio,
perché la somma falsificata
che dà in prestito non costituisce una perdita, così come peraltro non rappresenta un guadagno; inserendola nel passivo, il falsario non farebbe altro che occultare fraudolentemente una parte dell’attivo.
Tanto per continuare nell’esempio, se il falsario dà in prestito
la somma falsificata di un miliardo di lire al tasso del quindici per cento e, alla scadenza
convenuta ha, in restituzione, la
somma di lire (autentiche) un
miliardo e centocinquanta milioni, il suo attivo è costituito
da quest’ultima somma per
intero, ed il suo passivo dalle
spese sostenute per la fabbricazione della moneta falsa.
Mutatis mutandis, lo stesso
concetto vale per la Banca d’Italia: certamente, qui, non
si tratta di moneta falsificata, ma, come si è detto, di moneta che, all’atto dell’emissione, non può avere ancora alcun valore né di credito né di debito, perché destinata, solamente durante e a causa della circolazione, a misurare il
valore dei beni e ad acquistare il connotato di misura del
valore. Perciò, la Banca d’Italia non è legittimata ad
iscrivere la moneta, che immette nella sua circolazione,
come posta passiva del suo bilancio. A questo punto, ci
si potrebbe domandare quale possa essere la reazione dei
vertici della Banca d’Italia a queste chiare e ineluttabili
considerazioni. “Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014






















