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mercoledì 25 novembre 2020

MONETA DEL POPOLO: L’ESPERIMENTO DI “GUARDIAGRELE”

 


Moneta del popolo TASSE ZERO!

Della “moneta del popolo” si è fatto un esperimento scientifico in una cittadina abruzzese, Guardiagrele, ad opera dell’infaticabile professor Auriti, il quale, verso la fine del luglio 2000, nella sua qualità di fondatore e segretario del SAUS (Sindacato anti-usura), ha messo in circolazione i SIMEC (simboli econometrici di valore indotto), di esclusiva proprietà del portatore (come è esplicitamente stampato sui biglietti). Scopo di questo esperimento della teoria del “valore indotto” (che Auriti ha propugnato per trentacinque anni) è quello di verificare “in corpore vili” che i cittadini possono, per convenzione, creare il valore della moneta locale senza alcun intervento né dello Stato né del sistema bancario; l’obiettivo ultimo è quello di sostituire alla sovranità illegittima della Banca d’Italia la proprietà della moneta, quale prerogativa dello Stato, a favore dei singoli cittadini. Questo, sicuramente, rappresenterebbe già un successo enorme, che apporrebbe un punto fermo in materia monetaria, l’accertamento sul piano pratico e fattuale del principio che il “valore” è dato alla moneta solo da chi l’accetta sulla base di una “convenzione”, non importa se solo implicita. E almeno, sotto questo profilo, sembra che la dimostrazione tentata da Auriti stia conseguendo un ampio successo, se è vero che, come riporta la stampa locale, “l’operazione economica ha rivitalizzato il commercio, prima sopito, del paese”, “come se avessimo messo del sangue in un corpo dissanguato”, ha affermato Auriti, cui di certo non è ignoto il messaggio cristiano, contenuto nella enciclica “Quadragesimo anno”. In realtà, non può dubitarsi che l’iniziativa del giurista abruzzese costituisce un importante riscontro scientifico di sociologia giuridica ed economica senza precedenti in Italia, soprattutto perché proviene da un’associazione privata (SAUS) e non da un ente dotato di potere pubblico, come potrebbe essere, se non lo Stato, il Comune. Deve anche aggiungersi che l’esperimento di Auriti ha sollecitato l’attenzione non solo delle forze politiche italiane, oltre che della stampa nazionale, ma anche di numerosi organi di informazione stranieri, a dimostrazione dell’interesse destato dalla nuova rivoluzionaria formula monetaria, che soddisfa il bisogno di usare la moneta come strumento di diritto sociale. In ogni caso, non può non destare sorpresa, oltre che, naturalmente, soddisfazione, il fatto che l’esperimento monetario di Guardiagrele sia riuscito ad imporsi all’attenzione nazionale ed internazionale nonostante che sia stato limitato ad una collettività tutto sommato molto ristretta. Questa, peraltro, ha fornito la prova come il popolo abbia la forza di creare, per proprio conto, valori convenzionali di moneta locale, pur senza invadere le competenze della Banca Centrale, e nel rispetto della circolazione della banconota legale.

Per quanto riguarda le modalità con le quali si articolerà l’esperimento di Guardiagrele, lo stesso Auriti ha posto in evidenza come il progetto debba essere realizzato in due fasi: 

– la prima, che si può denominare dell’“avviamento”, serve perché il SIMEC possa conseguire “quel valore indotto che lo oggettivizza come un bene reale, oggetto di proprietà del portatore”, e che lo distinguerà dalla moneta corrente non più soltanto formalmente, ma anche sostanzialmente;

– la seconda fase dovrebbe consentire ai Comuni di “beneficiare del servizio econometrico predisposto dal SAUS (Sindacato anti-usura), mediante un Assessorato per il Reddito di Cittadinanza, che avrebbe il compito di promuovere, anche culturalmente, l’iniziativa, controllarla e attuare la distribuzione dei SIMEC tra i cittadini”. 

Unica critica, apparentemente seria, che, in teoria, può muoversi contro l’esperimento di Guardiagrele, riguarda il problema della “riserva”: potrebbe infatti sostenersi che il SIMEC può venire accettato dai cittadini, per essere speso nei negozi convenzionati (cioè aderenti all’iniziativa), in quanto esso è garantito dalla Lira, vale a dire dalle somme di moneta corrente che il cittadino deposita per avere in cambio la moneta locale; con la conseguenza che verrebbe a crearsi una ben singolare situazione che vede, da una parte, la banconota della Banca d’Italia, la quale, pur avendo l’apparenza di una cambiale, e cioè di un titolo di credito, non è tuttavia pagabile per difetto di riserva; e dall’altra parte, il SIMEC, il quale, pur avendo l’apparenza di un biglietto di proprietà del portatore, è tuttavia convertibile nelle lire che ne costituiscono la “riserva”. 

La critica è suggestiva, ma infondata. 

Se si ponesse, infatti, la dovuta attenzione alla storia della moneta, così come si è dipanata nel corso dei secoli, si avvertirebbe subito che, in definitiva, il SIMEC, così come è stato concepito dal suo ideatore, ha iniziato a percorrere quella storia dalla sua fase iniziale, quando tutte le banconote erano convertibili in oro, dapprima in misura integrale e, poi, in misura percentuale; e che, ad un certo momento, quelle banconote continuarono ad essere accettate e, quindi, a circolare nonostante la soppressione della convertibilità. Tutto ciò, proprio per effetto di quel “valore indotto”, intuito e scoperto da Auriti, che ha consentito alla moneta legale, sebbene a corso forzoso, di mantenere il proprio potere d’acquisto. Riguardo poi alla rilevata contrapposizione tra la banconota della Banca d’Italia ed il SIMEC, non può minimamente dubitarsi che, nel raffronto, è la prima che fa una ben misera figura, perché, proprio a causa della sua apparenza di falsa cambiale, la Banca Centrale ESERCITA LA TIRANNIA DELL’USURA, CHE DÀ INGRESSO ANCHE A QUELLA POLITICO-SOCIALE. D’altra parte, della propria attuale riserva il SIMEC potrebbe fare a meno se, invece che da una Associazione privata, fosse posta in circolazione, come “reddito di cittadinanza”, da un ente pubblico, come potrebbe essere il Comune o, ancora meglio, lo Stato, in modo che alla sicurezza, offerta da una riserva, si sostituisse quella offerta dal potere dell’autorità... 

Ma si troverà mai un “cameriere” (cioè l’attuale politico) che si ribelli al suo “Padrone” (cioè al potere tirannico dei banchieri e delle Banche Centrali?).

Chiesa viva”  NUMERO UNICO  ***   Gennaio  2014


domenica 1 novembre 2020

LA MONETA DEL POPOLO È PREVISTA DALLA COSTITUZIONE

 

La Torre di Babele.

Moneta del popolo TASSE ZERO!


L’articolo 42, secondo comma della vigente Costituzione repubblicana, nel riconoscere e garantire la proprietà privata, implicitamente, assicura la funzione sociale della “moneta del popolo” e il suo accesso a tutti i cittadini. Ciò che viene riconosciuta e garantita è la proprietà di ogni bene, sia immobile che mobile, e quindi non può non ritenersi inclusa, nella norma costituzionale, anche la proprietà degli strumenti o mezzi di produzione. Inoltre, una interpretazione di quella norma, che voglia essere non solo completa, ma soprattutto efficace ed utile, non può prescindere dal prendere in considerazione i princìpi fondamentali del diritto sociale. Vale a dire di quella parte dell’ordinamento giuridico che ravvisa nella norma lo scopo di fornire non solo una tutela giuridica ma anche, e soprattutto, il contenuto economico del diritto. Fino ad ora, tutte le scuole politiche si sono limitate a proporre come contenuto economico del diritto sociale soltanto beni reali, dando luogo così non solo ad una divisione del corpo sociale tra una destra ed una sinistra economica, ma anche, su un piano più concreto, o ad una pianificazione dei consumi, come conseguenza della pianificazione della produzione, oppure alla realizzazione di un malsano clientelismo politico che pretende di spacciare, sotto una parvenza di diritto sociale, quella che è soltanto elemosina di Stato. Ecco dunque perché, nella previsione della norma costituzionale in esame, deve essere ricompresa, tra i beni alla cui proprietà è assicurato l’accesso di tutti i cittadini, anche la moneta all’atto della sua emissione, nel senso che invece di essere loro “addebitata” (come avviene attualmente), essa sia loro “accreditata”, cosicché sia possibile dare ad ogni cittadino, invece dei beni reali, il denaro per comprarli a titolo di “reddito di cittadinanza”.

Nel Terzo Segreto di Fatima, la Madonna disse: «... le acque degli oceani diverranno vapori e la schiuma s’innalzerà sconvolgendo e tutto affondando. Milioni e milioni di uomini periranno di ora in ora, e coloro che resteranno in vita invidieranno i morti». Questa è semplicemente la descrizione della Seconda Coppa dell’ira di Dio dell’Apocalisse di San Giovanni. Sarà con questi vapori e schiuma degli oceani, che Dio affronterà, in modo definitivo, il piano di Lucifero di servirsi dei banchieri internazionali per precipitare il mondo nel terrore, per decimarlo e sprofondarlo nel caos più profondo e nella più totale anarchia?

In ciò consiste il principio, sotto il profilo meramente giuridico, della “proprietà popolare della moneta”, come conseguenza di quella geniale intuizione del professore Giacinto Auriti sulla teoria del “valore indotto”, che ha dimostrato come la moneta sia una fattispecie giuridica, perché, come ogni unità di misura, è causata dalla “convenzione”: la moneta è, sì, “misura del valore” (come il metro è misura della lunghezza), ma è anche “valore della misura” (come non lo è il metro) che è appunto il “valore indotto”, cioè il suo “potere d’acquisto”.
Il “valore indotto” è un puro valore giuridico – afferma Auriti – e la moneta, quindi, come “contenitore del valore della misura deve considerarsi un bene reale oggetto di scambio”. “Nella moneta – ha scritto il giurista abruzzese – si verifica un fenomeno analogo a quello dell’induzione fisica. Come nella dinamo l’energia meccanica causa energia elettrica, così, nella moneta, la convenzione causa il valore indotto del simbolo. Pertanto, la moneta è un bene collettivo, in quanto creato dalla convenzione sociale, ma di proprietà privata individuale perché attribuita al portatore del simbolo, in virtù dell’induzione giuridica”. Il riconoscimento della “proprietà popolare della moneta”, secondo i principi enunciati da Auriti, quindi, costituisce un doveroso adempimento del dettato costituzionale.

“Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014

lunedì 5 ottobre 2020

Moneta del popolo TASSE ZERO!

 


Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini


LA TRASFORMAZIONE DEI TITOLI IN MONETA

Raggiungendo il duplice scopo di ridurre sia il debito pubblico sia l’attuale penalizzante rarità monetaria, e senza violare la legislazione o la prassi vigenti, lo Stato, emettendo una propria moneta, sotto forma di “biglietti di stato”, che circoli parallelamente alle banconote emesse dall’Istituto di Emissione, metterebbe a disposizione della collettività un ulteriore volume di “unità di misura di valore” da aggiungersi alla massa di moneta già circolante. In questo modo, anche se limitatamente a questa quota di circolante rappresentata da moneta statale, lo Stato, e per esso il popolo, riacquisterebbe la propria originaria e fondamentale sovranità monetaria; e la moneta diverrebbe veramente proprietà del popolo, realizzando, sia pure in misura parziale, il principio della “moneta del popolo”.

Tutto questo, inoltre, costituirebbe il solo mezzo di difesa per il popolo, se dovesse avverarsi la previsione che, prima o poi, potrebbero sopraggiungere tempi di emergenza, come effetto di quella globalizzazione che rappresenta un fenomeno dai molteplici aspetti: uno di questi è l’attuale eccessiva espansione di liquidità che non trova alcuna corrispondenza reale con la produzione e con i consumi. Una liquidità, beninteso, del tutto fittizia e virtuale, che ha determinato una altrettanto fittizia e virtuale moltiplicazione della moneta. Cosicché, oggi, si assiste ad una evidente contraddizione tra una finanza globalizzata ed incontrollata, che, pur basata sul nulla, è capace di spostare, con la semplice pressione di un tasto, enormi capitali da un punto all’altro del globo e di provocare disastrose crisi economiche, dove e quando la speculazione internazionale vuole, ed una economia reale (quella che interessa la gente) stagnante per rarità di moneta, che non consente agli uomini del mondo “occidentale” il consumo di tutti i beni prodotti, ed a quelli del “terzo mondo” addirittura di sfamarsi. Questa enorme contraddizione, ingiusta ed immorale, impone una urgente riforma dell’attuale sistema monetario e creditizio, e conforta che l’esigenza di una tale riforma sia sostenuta da diverse parti dello stesso mondo finanziario, cui ha fatto eco anche l’economista italiano Paolo Savona, il quale, in una intervista sul quotidiano “Il Tempo” del 17 marzo 1997, non ha esitato a lanciare un inquietante allarme contro la speculazione finanziaria internazionale: «Siamo seduti su una polveriera e fingiamo di non accorgerci; o si decide di recuperare la sovranità attraverso il controllo della creazione monetaria internazionale, oppure rischiamo che esploda»; la soluzione «è tecnicamente possibile», ma «occorre la volontà politica». Sulla stessa lunghezza d’onda, sembra porsi addirittura il Governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, il quale, dando atto che il sistema finanziario e monetario mondiale “ancora non è sotto controllo, nonostante i ripetuti e tentati sforzi”, e che necessita “un’àncora con l’economia reale”, perché invece l’universo della finanza marcia “con una sua autonomia”, auspica che i paesi poveri non diventino più poveri e che non si ripetano disastri finanziari come quello che colpì il Messico nel 1995.

Un attacco alla Banca Centrale Europea è stato portato anche da Franco Modigliani, premio Nobel per l’Economia, quando ha dichiarato: “Non è tollerabile che una banca Centrale, isolata, che non ha nessuna responsabilità né l’obbligo di spiegare quello che fa, possa continuare a creare disoccupazione, mentre i governi stanno zitti”; «il vero limite della BCE (Banca Centrale Europea) è quello di non capire qual è il problema dell’Europa: dovrebbero lasciare andare l’inflazione, che non c’è e non conta, e concentrarsi, invece, su come dare forza agli investimenti”; ma per fare questo è necessario che “l’autorità eletta abbia un’influenza decisiva sulla politica della Banca Centrale».

Ed è contro i moderni e ben più pericolosi speculatori della finanza internazionale, liberi di agire soltanto per il loro tornaconto, in un mercato globalizzato e connotato dal più selvaggio liberismo, che lo Stato dovrebbe attuare un intervento, per contrastare la speculazione internazionale, con la programmazione di un piano diretto a far fronte a tutte le evenienze possibili: sia ad una inflazione, sia ad una ancora più accentuata rarefazione della moneta; evenienze, queste, che dipendono solamente da una scelta arbitraria, operata dalle centrali finanziarie e non controllabili dalle singole autorità nazionali. Contro, quindi, il pericolo che la moneta circolante perda ogni valore (in caso di inflazione) o che non possa essere spesa (in caso di scarsità artificiale), deve essere garantito ad ogni cittadino un “potere di acquisto” attraverso uno strumento di scambio diverso dalle banconote emesse dalla Banca Centrale (nazionale o europea), vale a dire attraverso una moneta emessa dallo Stato in virtù di una sovranità cui ha sempre diritto e che, anzi, costituisce il suo connotato essenziale.




“Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014 


venerdì 25 settembre 2020

Moneta del popolo TASSE ZERO!

 


Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini


L’OPPOSIZIONE ALLA MONETA DEL POPOLO

L’attuazione della Moneta del popolo costituirebbe una rivoluzione epocale, che porrebbe fine a quelle ben radicate posizioni di dominio che potentissime centrali finanziarie hanno gradatamente conquistato nel corso del XIX e del XX secolo, realizzando un piano minutamente concepito e pervicacemente perseguito. Dominio che, attualmente, si concretizza non solo nei singoli Stati (compreso naturalmente quello italiano), ma anche su dimensione mondiale, attraverso il fenomeno della cosiddetta globalizzazione, che costituisce “l’obiettivo pratico e deliberato che uomini concreti, tramite organizzazione con tanto di nome e sede legale, sistemi informativi massmediali ed editoriali – a servizio di forze oscure ed imperscrutabili dell’universo – vogliono raggiungere per il proprio tornaconto personale e di gruppo”. Ed è intuitivo che, conseguendo questo loro obiettivo, i protagonisti della finanza mondiale estendono il loro dominio dall’area prettamente economica e monetaria a quella politica e culturale, aiutati, in ciò, da una enorme schiera di “servitori”.

 Perciò, è facilmente comprensibile come la restituzione allo Stato della sua originaria sovranità monetaria non possa essere gradita alle onnipotenti centrali finanziarie, e come possa essere, perciò, di difficile attuazione. Anche perché si deve tenere nel debito conto, oltre alle complicità ed alle collusioni esistenti nei settori della società che contano (compresi quelli della comunicazione), anche la stratificata ignoranza generale e la rassegnata indifferenza, anch’essa colpevole, sulle questioni inerenti alla moneta. Né devono trascurarsi le certamente non lievi difficoltà rappresentate dalla nuova dimensione europea assunta dal problema monetario, quale è stato finora delineato nei suoi vari profili. Tutto ciò, però, non significa che, anche nell’attuale situazione nazionale ed europea, non si possano adottare dei provvedimenti idonei quanto meno a ridurre, da un lato, il debito pubblico e, dall’altro, la scarsità monetaria.


IL DEBITO PUBBLICO

Se lo Stato fosse veramente interessato ad intervenire nel settore monetario, al fine di invertire la tendenza del debito pubblico a gonfiarsi e del circolante a restringersi, potrebbe operare non solo utilizzando gli imponenti “residui passivi”, oppure orientandosi più proficuamente nel terreno delle privatizzazioni, ma soprattutto programmando la trasformazione in moneta legale dei titoli del Tesoro (o di una loro quota), posseduti dai risparmiatori privati, al momento della loro scadenza. “In altri termini, quote predeterminate di titoli in scadenza non saranno più rimborsati nello stesso tipo di moneta con cui sono stati acquistati, bensì diverranno essi stessi moneta”, munita dello stesso illimitato potere liberatorio che assiste gli altri tipi di moneta cartacea esistenti sul mercato, come le banconote della Banca d’Italia, gli assegni di conto corrente e gli effetti cambiari commerciali. Riportando testualmente quanto scritto dall’economista Santoro: “La trasformazione di titoli in moneta base permette allo Stato di appropriarsi della potestà monetaria crescendo in prestigio, autorità ed in efficacia di governo. Inoltre, tale provvedimento andrebbe concretamente nella direzione del tanto auspicato e mai seriamente perseguito obiettivo di far svolgere, ai fini produttivi, il risparmio dei cittadini e delle imprese (per la quota di titoli del Tesoro acquistati dalle imprese) favorendo, per quanto riguarda queste ultime, il cosiddetto autofinanziamento ossia il reinvestimento nella stessa impresa della parte non distribuita degli utili”.

“Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014

martedì 15 settembre 2020

Moneta del popolo TASSE ZERO!




Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini


SOVRANITÀ MONETARIA PER IL CONTROLLO DELL’INFLAZIONE

Un perfetto funzionamento del sistema monetario impone il rispetto assoluto di alcune regole fondamentali. La prima regola è che il volume totale del circolante deve essere costantemente in rapporto con il volume dei beni che il sistema economico nazionale ha prodotto ed è pronto a distribuire. Attualmente succede, invece, che il volume della moneta oscilla in un senso o nell’altro senza alcuna scientifica relazione con la massa dei beni reali, già prodotti o che si vogliono produrre, oppure si dà vita all’attuale situazione economica, nella quale domina una anomala scarsità della moneta ed una stagnazione del commercio, incapace, peraltro, di determinare una significativa riduzione dei prezzi, a causa degli alti costi e della pressione fiscale.

La seconda regola, anch’essa irrinunciabile, è che il rapporto tra il volume della moneta circolante e quello dei beni prodotti deve essere calcolato, sorvegliato ed eventualmente corretto da un organismo statale o parastatale, formato da scienziati della finanza e dell’economia, eletti a vita dal Parlamento, e per ciò autonomi e indipendenti dal Governo e sottratti ad ogni tipo di coinvolgimento di natura politica, e che rispondono del loro operato soltanto ai rappresentanti del popolo.

Tale organismo deve avere a disposizione, naturalmente, tutti i dati della produzione dei beni (quelli prodotti e quelli programmati, secondo l’indirizzo politico-sociale liberamente scelto dal Parlamento e dal Governo) e della circolazione monetaria. In tal modo, mediante rilevazioni statistiche molto ravvicinate nel tempo, esso dovrebbe essere in grado di fornire al Governo, in termini scientificamente esatti, le indicazioni sul volume del circolante sufficiente e necessario perché possa funzionare, a favore dei cittadini, come mezzo di scambio dei beni. Di conseguenza, il Governo può immettere nella circolazione la “propria” moneta nella quantità scientificamente utile per la collettività, e può, all’occorrenza, a seconda dell’andamento della produzione, aumentare il volume di moneta circolante o ridurlo. Solamente in questo ultimo caso il Governo può procedere ad un prelievo fiscale nei limiti della contrazione programmata ed a carico, possibilmente, di quelle fasce di cittadini maggiormente capaci di sopportarlo. Nel calcolo della popolazione si deve tener conto di tutti i cittadini: non solo di quelli produttivi, di coloro, cioè, cui è certamente destinata una quota-parte della moneta circolante come corrispettivo della loro attività di lavoro, di qualunque natura sia, ma anche di quelli che, per una ragione o l’altra, sono privi di reddito, come possono essere i disoccupati, i malati, gli anziani, i bambini. 

“Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014

mercoledì 9 settembre 2020

Moneta del popolo TASSE ZERO!



Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini


LA MONETA DEVE ESSERE CREATA 
DALLO STATO E ACCREDITATA AL POPOLO

La “moneta” è ciò che, per convenzione, viene usato come “misura di valore” e conseguentemente come mezzo di scambio e che attualmente, per accettazione comune, è costituita da “carta-moneta”, cioè il simbolo cartaceo sul quale è impresso un valore facciale, e che è creato dalla Banca Centrale dal nulla e senza essere sostenuta da alcuna riserva aurea, o argentea, o valutaria.
Quindi, la moneta attuale, pur priva di ogni valore intrinseco, viene tuttavia unanimemente considerata dalla collettività nazionale come “misura del valore”, vale a dire come unità misuratrice del valore delle cose; ogni cosa del mondo sensibile e materiale ha un “valore” che è rapportato alla moneta in corso legale, cioè ad una misura che è uguale per tutte. Ne deriva che la “moneta”, essendo per “convenzione” la comune “unità di misura del valore”, funge anche da “strumento” per lo scambio dei beni.
Si può obiettare che anche il “metro”, anch’esso privo di valore intrinseco, per “convenzione “misura” la lunghezza; ma la differenza con la “moneta” è che, pur materializzandosi anch’esso in uno strumento di metallo, di legno o di tela, il “metro” misura un’unica dimensione, mentre la moneta misura il valore di tutte le cose esistenti nel mondo fisico (a volte anche in quello morale) e di tutti i servizi, ossia di tutto ciò che viene prodotto per il consumo, assolvendo essa anche all’ulteriore funzione di “mezzo di scambio” e, come punto comune di riferimento per ogni operazione, essa circola come “strumento omogeneo” per gli scambi.
La differenza vera e sostanziale, quindi, tra il “metro” e la “moneta” va ricercata nella loro origine e nelle loro vicende: il “metro”, una volta creato dal pensiero umano, è rimasto sempre identico a se stesso e inalterato nel tempo e nello spazio, mentre invece la moneta deve essere sempre continuamente creata e destinata a circolare tra i cittadini.

Questo non è che il problema della “sovranità monetaria”, la quale non dovrebbe entrare in conflitto (o in competizione) con la “sovranità popolare”, enunciata e garantita dalla nostra Costituzione del 1948. Qualunque riforma di natura sociale si volesse attuare nel Paese o non avrebbe alcuna possibilità di successo o avrebbe vita molto breve, se non venisse attuata la riforma più importante e preliminare a tutte le altre: la riforma della politica monetaria con il ritorno della relativa sovranità allo Stato, e perciò al popolo.
Tutti i problemi di assistenza sociale verrebbero meno e sarebbe forse definitivamente superata quella lotta di classe, o di categorie corporative, che ancora oggi contribuisce ad una conflittualità permanente. 

Infatti, con la riappropriazione della “sovranità popolare”, lo Stato non solo riacquisterebbe il potere di emettere moneta, ma sarebbe in condizione di attuare una politica socio-economica libera da qualunque interferenza esterna e nel rispetto più assoluto delle norme previste, in questo campo, dalla vigente Costituzione.
Al di là della forma con la quale questa riappropriazione possa avvenire, essa potrà realizzarsi efficacemente soltanto dopo una incisiva educazione della classe politica, della classe imprenditoriale, dei sindacati, dei cittadini, perché prendano finalmente coscienza che, attraverso il ritorno della “sovranità monetaria” al suo titolare originario, che negli Stati democratici è il Popolo, la moneta, necessaria a funzionare come unità di misura del valore e come strumento di scambio, deve essere, non addebitata, ma accreditata ai cittadini.

Se lo Stato, per munirsi delle risorse finanziarie da destinare al perseguimento dei propri scopi di istituto, creasse direttamente la moneta occorrente, sotto forma di biglietti di Stato, e la mettesse in circolazione, perché adempisse la propria funzione di strumento di scambio dei beni prodotti dal sistema produttivo nazionale, non sorgerebbe alcun debito a suo carico e, di conseguenza, a carico dei cittadini: ciò significa che, in linea di massima, non sarebbe più necessario il prelievo fiscale! 
Certamente se lo Stato, per costruire un ospedale, deve ricorrere al prestito della moneta necessaria, e quindi ad un debito, il problema si pone; ma se lo Stato, riprendendosi la sovranità monetaria e, con essa, il pieno governo della politica socio-economica, mettesse in circolazione una propria moneta per la costruzione di un ospedale, per un importo pari al valore del bene prodotto (valore comprensivo sia del materiale utilizzato sia del lavoro umano impiegato), la comunità si vedrebbe arricchita della nuova opera pubblica senza indebitarsi.

Con l’attuale sistema (che, come si è già detto, non trova nessun sostegno nella Costituzione repubblicana) il volume del nostro mezzo di scambio (che corrisponde approssimativamente al cosiddetto “circolante”) può subire espansioni o contrazioni, ad opera della Banca Centrale, che governa la politica monetaria in base a criteri “suoi” e che, in ogni caso, non tengono mai conto dell’effettivo volume dei beni reali che si possono e si vogliono produrre e distribuire. Cosicché si crea una artificiosa rarità di moneta, che impedisce al popolo, nel suo insieme, di avvalersi di questo mezzo di scambio per acquisire i beni prodotti dal sistema economico nazionale. Con la conseguenza che i negozi appaiono ricolmi di merce invenduta.
Ed è a questo punto che viene affacciato lo spauracchio dell’inflazione, che dovrebbe intimidire i cittadini, convincerli che un maggior volume di circolante provocherebbe un aumento dei prezzi, e rassicurarli sui benefici di una politica monetaria cosi “rigorosa”, che essi, peraltro, riferiscono al Governo e non alla Banca Centrale.

Ma parlare di pericolo di inflazione in una situazione economica, qual è quella attuale in Italia, significa davvero ingannare la gente e nasconderle la sete di dominio politico che contraddistingue l’autorità monetaria. Infatti, scrive l’economista Santoro «Inflazione significa denaro senza cose, rappresentante senza rappresentato; ma se le cose ci sono e c’è denaro che le rappresenta, dov’è l’inflazione? Se cresce la popolazione (e, quindi, la spesa), se cresce la produzione (e, quindi, la spesa), è chiaro che deve crescere anche – a parità di velocità di circolazione – il volume di denaro che circola. L’inflazione c’è soltanto quando alla crescita della circolazione – a parità di velocità – non corrisponde una crescita proporzionata della produzione».


“Chiesa viva”  NUMERO UNICO  ***   Gennaio  2014

martedì 1 settembre 2020

Moneta del popolo TASSE ZERO!



Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini


L’INDEBITAMENTO SIGNIFICA: TASSE

Ma se si contraggono debiti, la conseguenza è che essi debbano essere pagati; e che il denaro ricevuto in prestito debba essere restituito, naturalmente con gli interessi. Ma come fa lo Stato ad adempiere tale obbligazione? In quale modo si procura il denaro necessario per restituire quanto dovuto alla Banca Centrale? Oltre ai soliti modi, dei quali si è fatta già menzione, vale a dire le operazioni di vendita dei beni patrimoniali e di dismissione di quelli demaniali e l’emissione di titoli di credito fruttiferi, quello più efficace e sicuro, quello da cui ritrae il maggior gettito consiste nella imposizione fiscale a carico dei cittadini: le imposte, dirette e indirette, sono infatti le vie attraverso le quali lo Stato riesce ad introitare tutto, o quasi tutto, il denaro da restituire all’Istituto di Emissione. Questo significa allora che il pagamento del debito viene sopportato in massima parte dai cittadini, cioè dal popolo. Cioè è il popolo che si indebita ed è il popolo che, in definitiva, deve pagare.

 Bisogna anche mettere nella dovuta evidenza che la moneta che il popolo è obbligato a pagare come imposta, non è la stessa moneta che, a suo tempo, la Banca aveva prestato allo Stato: beninteso, le due monete sono costituite dallo stesso supporto cartaceo, contengono gli stessi simboli ed hanno lo stesso valore facciale; nondimeno hanno una diversa impronta qualitativa e soprattutto morale, perché, mentre la moneta prestata dall’Istituto di Emissione allo Stato viene creata dal nulla, la moneta pagata dal popolo è l’effetto delle attività lavorative dei cittadini, costituendone il compenso. Se il costo della prima è quindi rappresentato soltanto dalla carta e dalla stampa, il costo della seconda è rappresentato dal lavoro del popolo: la prima non ha, al momento della sua immissione nella circolazione, alcun valore e puzza solo di inchiostro; la seconda, al contrario, è moneta vera perché, circolando, ha acquistato valore e odora pure della fatica dei cittadini.
Ma esiste un’altra via, attraverso la quale i cittadini sono soggetti, quasi sempre inconsapevolmente, a sopportare una posizione debitoria nei confronti della Banca d’Italia. Per far fronte ad esigenze od emergenze personali, familiari o imprenditoriali, i cittadini sono costretti a ricorrere a mutui bancari. È naturale che costoro debbano pagare il prezzo di tali operazioni, sotto forma di un interesse, ma questo interesse contiene in sé anche una quota, la cui legittimità non può sufficientemente sostenersi: è la quota di interesse che corrisponde al tasso di sconto (TUS) che la Banca d’Italia, di sua iniziativa, determina per le anticipazioni fornite alle banche commerciali, che queste debbono quindi pagare alla stessa Banca Centrale, ma che, a volte anche oltre la soglia dell’usura, grava sul cliente della banca, e cioè sui cittadini.


“Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014


mercoledì 26 agosto 2020

Moneta del popolo TASSE ZERO!



Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini


LA BANCA D’ITALIA PADRONA ASSOLUTA DELLA POLITICA MONETARIA

Tralasciamo ogni riferimento al primo dei suddetti due tipi di prestito, quello cioè contratto dallo Stato con i propri cittadini mediante l’emissione di titoli di credito fruttiferi. In tale operazione, infatti, non entra direttamente in gioco o in discussione la sovranità dello Stato, poiché si tratta in definitiva di operazioni di natura civilistica compiute da parti che, sebbene su piani diversi, agiscono ciascuna nell’ambito di una propria autonomia e, soprattutto, della propria opportunità e convenienza economica. Nel rapporto che viene a stabilirsi tra lo Stato e la Banca Centrale, con l’emissione della moneta bancaria (banconota), invece, si coglie in tutta la sua drammaticità la rinuncia da parte dello Stato alla sovranità monetaria ed al conseguente esercizio del potere di “battere moneta”; si avverte soprattutto la stranezza di una situazione che poteva trovare una valida giustificazione in altri tempi, quando la moneta aveva un proprio valore intrinseco perché costituita da pezzi coniati in metalli pregiati, o quando essa, pur rappresentata da simboli cartacei, aveva tuttavia una copertura nelle riserve auree o argentee delle banche: allora era frequente che il re o il principe (cioè lo Stato), non avendo a propria disposizione risorse finanziarie (metallo pregiato) per sostenere, ad esempio, le spese di una guerra, ricorresse ai banchieri per ottenere i necessari prestiti. Ma nell’attuale momento storico, in cui la moneta è costituita soltanto da un supporto cartaceo, privo di qualunque copertura aurea o valutaria, non si comprende la ragione per la quale lo Stato debba richiedere ad un apposito istituto bancario privato il mutuo, sempre oneroso, di banconote create dal nulla e prive quindi di ogni valore intrinseco, trasferendogli in tal modo, con la sovranità monetaria, non solo il potere di emettere moneta, ma anche il governo di tutta la politica monetaria, attraverso il quale, come si è già esposto, non può non influirsi in maniera assolutamente determinante su tutta la politica economico-sociale del Governo, nato dalla volontà popolare. Per ricorrere ad una esemplificazione estrema, ma, comunque sia, idonea a far comprendere l’entità del problema, non si capisce perché non possa essere posta in circolazione moneta statale (biglietto di Stato) anziché moneta bancaria (banconota), dal momento che, tanto, sia l’una sia l’altra non sono garantite da alcuna riserva aurea o valutaria.


LO STATO PUÒ CONIARE MONETA SENZA INDEBITARSI

È bene sapere che lo Stato, oggi, per mezzo dei propri stabilimenti della Zecca, provvede alla creazione ed alla messa in circolazione di tutta la massa di moneta metallica, del cui ammontare (anche se di modestissimo valore rispetto a tutto il circolante cartaceo di banconote) esso non è debitore di nessuno, tanto meno della Banca d’Italia. Così come, fino a pochi anni fa, provvedeva, nello stesso modo, alla creazione ed alla messa in circolazione di carta moneta di “cinquecento lire” e, prima ancora, anche di “mille lire” neanche in relazione delle quali ovviamente sorgeva in capo allo Stato alcuna obbligazione di restituzione né di pagamento di interessi, poiché di esse lo stesso Stato non si indebitava, provvedendo direttamente alla loro creazione ed alla loro immissione in circolazione. Questo dimostra, dunque, che lo Stato avrebbe i mezzi tecnici per esercitare, in concreto, il potere di emettere moneta e per riappropriarsi quella sovranità monetaria che gli permetterebbe di svolgere una politica socio-economica non limitata da influenze esterne, ma soprattutto liberandosi di ogni indebitamento.

“Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014

domenica 23 agosto 2020

Moneta del popolo TASSE ZERO!



Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini


LA BANCA D’ITALIA SI APPROPRIA DI TUTTA LA MONETA DELLA NAZIONE ADDEBITANDOLA AL POPOLO


Sebbene nessun testo legislativo dichiari a chi appartenga la proprietà della moneta al momento della sua emissione, tuttavia la Banca d’Italia agisce come se ne fosse il proprietario, dandola in prestito al sistema economico nazionale e, quindi, addebitandogliela: infatti il mutuo di un bene fungibile, qual è il denaro, dietro corrispettivo di un interesse è facoltà di chi ne ha (o ne vanta) la proprietà. 

Inoltre, si è fatto notare che, ciò nonostante, l’Istituto Centrale iscrive arbitrariamente l’importo della moneta data in prestito tra le poste passive del suo bilancio, invece che tra quelle attive, alterando, in tal modo, a proprio vantaggio il bilancio stesso in misura evidentemente rilevante: infatti, è norma indiscutibile per una corretta contabilità che il prestito di denaro debba essere contabilizzato come credito, da inserire quindi all’attivo, insieme con gli interessi pattuiti. Infine, si è anche posto in evidenza come l’inserimento della moneta, all’atto della sua immissione nella circolazione, tra le poste passive del bilancio della Banca d’Italia sia la conseguenza capziosa, e perciò ingannevole, di rappresentare la banconota come una cambiale (vale a dire come un debito, come una passività) in virtù della nota formula sopra impressavi (“pagabile a vista al portatore”) che non ha più alcuna ragione di esistere, perché, essendo forzoso il corso delle banconote (non più garantite da alcun tipo di riserva, tanto meno aurea), esse non possono essere convertite (“pagate”) in oro; cosicché, nonostante quella ormai inutile formula, la banconota non può essere considerata come cambiale, rappresentativa di un inesistente debito della Banca Centrale. 

Finora si è più volte accennato al fatto che la Banca Centrale, nel mettere in circolazione le proprie banconote mediante operazioni di prestito al Tesoro dello Stato e di anticipazione al sistema bancario, in sostanza le ad debita al popolo. Siccome questo fatto rappresenta il punto focale di tutto il problema monetario, è necessario che esso sia reso di agevole comprensione anche per il lettore completamente a digiuno di tale problema nei suoi numerosi profili. Detto in modo molto schematico, accade che lo Stato, per il perseguimento dei propri fini istituzionali di carattere generale (difesa, pubblica istruzione, sanità, giustizia, ecc.) e di carattere particolare (opere pubbliche), ha naturalmente bisogno di notevoli risorse finanziarie. Per procurarsi tali risorse ricorre o alla vendita dei propri beni patrimoniali (mediante le privatizzazioni) o demaniali (mediante le sdemanializzazioni), oppure al prestito che costituisce una fonte di finanziamento costante e generale. 

Esso si rivolge, detto in modo molto semplificato, in due direzioni: 1. verso gli stessi cittadini, ai quali vengono offerti titoli di credito statali fruttiferi (buoni del Tesoro, bot, ecc.) in cambio di moneta; 2. verso la Banca d’Italia che, per garantire allo Stato le necessarie risorse finanziarie, crea la moneta da mettere in circolazione. La differenza tra i due tipi di prestito contratti dallo Stato non è tanto di natura quantitativa quanto di natura qualitativa, se così si può dire: infatti, mentre la Banca Centrale dà in prestito allo Stato moneta creata dal nulla – moneta cioè priva di quel valore che solo la circolazione potrà conferirle, e della quale essa si arroga, senza alcun fondamento giuridico, la proprietà – i cittadini, in cambio dei titoli di Stato, forniscono invece i propri risparmi, costituiti da moneta di cui sono proprietari perché, essendo stata da loro accettata a titolo di pagamento, in essa è incorporato il sudore del loro lavoro. Quindi, mentre il prestito concesso dai cittadini è frutto della loro fiducia nello Stato e senza dubbio rappresenta per loro un rischio che potrebbe vanificare anni di lavoro, invece, quello fornito dall’Istituto di Emissione è soltanto segno della sudditanza dello Stato nei suoi confronti e del concreto esercizio di quella sovranità monetaria cui lo Stato ha incredibilmente abdicato. “Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014

a cura del dott. Franco Adessa

giovedì 20 agosto 2020

Moneta del popolo TASSE ZERO!



Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini


LA “RELIGIONE”
DELLA BANCA D’ITALIA

Su questo argomento, desta veramente impressione il contenuto di un articolo apparso su “La Repubblica” del 1° giugno 1994, dal titolo di per se altamente significativo: “La religione di Bankitalia”. Questo articolo, scritto con accenti che sembrano davvero ispirati al più cieco fanatismo, dopo aver affermato che la continuità storica dello Stato italiano resta affidata alla Banca d’Italia assai più che alle altre istituzioni, rileva che “la religione della moneta” deve rimanere integra nella sua ortodossia “al servizio di una divinità altamente simbolica – quel biglietto di banca firmato dal Governatore, che personifica il potere d’acquisto del cittadino – ma altresì una divinità che, se fedelmente servita, è dispensatrice di beni, mentre quando viene tradita, si fa implacabilmente vendicativa”; e più oltre che “i Governatori sono i sacerdoti addetti al suo culto”, i quali “se non fossero pienamente indipendenti, e soggiacessero a poteri esterni, la loro qualità liturgica verrebbe meno”. Dunque, la dottrina di Montesquieu non è più attuale, perché accanto al potere legislativo, al potere esecutivo ed al potere giudiziario, nei quali fu frantumato il potere assoluto dei sovrani dopo la Rivoluzione Francese, ce n’é un “quarto”, il potere monetario.
Ma, mentre il potere esecutivo ed il potere giudiziario sono in una posizione di ineliminabile subordinazione (almeno concettuale) rispetto al potere legislativo il potere monetario, invece, non solo dev’essere autonomo, ma addirittura aspira ad occupare e mantenere un ruolo di tutore dello Stato in materia di politica monetaria, tanto da assumere, assecondando la mistica dell’articolo de “la Repubblica”, persino la dignità e l’intoccabilità di una religione, con i suoi misteriosi riti ed i suoi onnipotenti sacerdoti. Si può legittimamente dubitare che questo “quarto potere” abbia le carte in regola con la Costituzione della Repubblica Italiana, o almeno col suo spirito informatore: la nostra Costituzione non brilla certo per sinteticità, poiché, anzi, dopo aver trattato dettagliatamente nella prima parte della posizione del cittadino e, nella seconda, della disciplina della società politica in tutte le sue espressioni, omette qualsiasi accenno, anche solo indiretto, al problema della moneta ed agli enti che ne dovrebbero regolare la politica nell’ambito del sistema economico dello Stato. Quale significato può, pertanto, darsi al silenzio dei costituenti italiani sulla Banca Centrale? Può, di fatto, il nostro Istituto di Emissione riempire questo vuoto costituzionale, pur essendo legittimato da una produzione di leggi soltanto ordinarie, che però non trovano nella Carta Costituzionale alcun titolo che possa giustificare la loro appartenenza all’attuale ordinamento giuridico nazionale, per quanto riguarda sia la posizione di potere assoluto della Banca d’Italia sia il contenuto stesso di quel potere che, come si è visto, stravolge il concetto di proprietà con riferimento alla moneta?
A queste domande è certamente difficile rispondere se non ponendo in evidenza il carattere segreto, misterioso, iniziatico di tutto ciò che circonda il problema della moneta, e che, riesce a far credere al popolo, in tema di moneta, una situazione completamente opposta a quella reale. Tutto ciò è quindi effetto di un vero e proprio disegno, cui presta determinante ausilio, per disonestà o ignoranza, tutto un mondo di politici, di banchieri e di opinionisti, che ha l’unico scopo di tener nascosta la verità. Quella verità che, fin dal 1931, aveva invece denunciato, con accorato vigore, Pio XII con l’enciclica “Quadragesimo anno”, in cui scrisse: «Ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma anche l’accumularsi di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mani di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi dispongono a loro grado e piacimento. Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il denaro, la fanno da padroni: onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso di cui vive l’organismo economico, ed hanno in pugno, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe respirare».  “Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014


lunedì 17 agosto 2020

Moneta del popolo TASSE ZERO!



Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini


LA BANCA D’ITALIA

Nel capitolo I e nei successivi fino all’VIII, viene presentata una breve storia della Banca d’Italia, la sua natura giuridica, la proprietà della moneta all’atto dell’emissione e il potere politico e monetario di questa istituzione e certi aspetti incostituzionali del Trattato di Maastricht. Subito dopo il conseguimento del tormentato processo di unificazione degli Stati italiani, sotto la dinastia dei Savoia, si dovette affrontare lo spinoso problema della creazione di una Banca Centrale che estendesse la propria competenza sull’intero territorio del nuovo Stato. Ma soltanto con la Legge n° 443 del 10 agosto 1893, avvenne la nascita della Banca d’Italia, frutto della fusione della Banca Nazionale del Regno con la Banca Nazionale Toscana e con la Banca Toscana di Credito, e dalla liquidazione della Banca Romana, conseguente al grande scandalo sorto dal suo fallimento. Fu personalmente Giovanni Giolitti, Presidente del Consiglio dell’epoca, a dirigere tutte le operazioni necessarie per la nascita della nuova Banca Centrale, ed a lui, per primo, si devono tutte quelle norme dirette a garantire la sua autonomia da ogni eventuale pressione del potere politico: a tal fine, Giolitti volle mantenere il più possibile il modello societario, evitando che fosse il Governo a nominare i vertici della Banca d’Italia. La Banca d’Italia, dunque, fin dall’origine assunse la forma societaria anonima. Con il Regio Decreto 28 Aprile 1910, n° 204 fu approvato il testo unico delle leggi sugli istituti di emissione e sulla circolazione dei biglietti di banca. La facoltà di emissione fu concessa per un periodo di vent’anni alla Banca d’Italia, al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia. Tra i decreti-legge, emanati nel periodo 1926-27, assunse importanza quello n° 812 del 6 Maggio 1926 che, unificando in capo alla Banca d’Italia il servizio di emissione dei biglietti di banca, stabilì la cessazione della analoga facoltà per il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Il monopolio dell’emissione e il ruolo di Banca Centrale della Banca d’Italia assunse un definitivo assetto con il Regio Decreto del 12 Marzo 1936, convertito nella Legge 7 Marzo 1938, n° 441, e col successivo “Statuto”. Queste disposizioni legislative confermarono l’autonomia della Banca d’Italia, alla quale, per la prima volta, fu esplicitamente riconosciuta la qualifica di “Istituto di Diritto Pubblico”, nonostante che fosse sostanzialmente mantenuta la sua organizzazione interna originaria di una società anonima (oggi detta “società per azioni”). Il potere attribuito al Governatore era enorme in quanto capace di incidere in maniera decisiva sulla vita della Nazione, tanto più che la sua nomina non incontra limiti temporali, a meno di dimissioni o di revoca. Per dimostrare come il potere politico abbia continuato, nel tempo, a defilarsi dalla responsabilità di mantenere una competenza di tanta importanza, quale è quella concernente il tasso di sconto, la Legge 7 Febbraio 1992, n° 82 (tra l’altro promossa dall’allora Ministro del Tesoro, Guido Carli, che, guarda caso, era stato Governatore della Banca d’Italia), ha attribuito all’Istituto di emissione la facoltà di disporre le variazioni del tasso ufficiale di sconto senza doverla più concordare con il Ministro del Tesoro, vale a dire senza doverla concordare con lo Stato. Ora, nonostante l’esplicita formula adoperata dalla legge, secondo cui la Banca d’Italia è “Istituto di Diritto Pubblico”, nonostante la sua organizzazione ricalca sostanzialmente quella di una “società per azioni”, si deve dire che l’approvazione politica della nomina delle cariche della Banca d’Italia (come pure la loro revoca) appare come un mero visto di legittimità e, inoltre, la considerazione che i fini istituzionali dell’ente in esame sono stabiliti con legge non può giustificare la tesi che la Banca d’Italia sia di “Diritto Pubblico”. In conclusione, si deve riconoscere che la Banca centrale è un ente privato, atteggiato strutturalmente come una “società per azioni”, alla quale è stata affidata, in esercizio esclusivo, la funzione statale di emissione di cartamoneta e concesso il pubblico servizio di tesoreria per lo Stato. La Banca d’Italia, dunque, dalla pubblica funzione di emettere moneta, della quale è stata investita dallo Stato, ricava degli utili che vanno a suo beneficio, proprio come una società privata commerciale. Ma la Banca d’Italia può ritenere di essere la proprietaria della moneta cartacea al momento in cui la presta al sistema economico nazionale, per porla in circolazione? La domanda appare del tutto doverosa, poiché su questo punto la legislazione tace completamente e, di conseguenza, non si può dare una risposta che sia sostenuta da un preciso riscontro normativo. La risposta appare, dunque, molto difficile, e di tale difficoltà si è avuta la prova, in sede parlamentare, in due occasioni recenti: 



1) nella seduta della Camera dei Deputati, tenutasi il 17 marzo 1995, il deputato Pasetto rivolse una interrogazione al Ministro del Tesoro, per sapere se non intendesse promuovere una riforma legislativa diretta a definire la moneta un bene reale conferito all’atto dell’emissione, a titolo originario di proprietà di tutti i cittadini appartenenti alla collettività nazionale italiana, con conseguente riforma dell’attuale sistema dell’emissione monetaria, che trasforma la Banca Centrale da semplice ente gestore ad ente proprietario dei valori monetari. Nel rispondere a tale interrogazione, il Sottosegretario del Tesoro, Carlo Pace affermò “in sostanza, per tutta la durata della circolazione, la moneta rappresenta un debito, una passività dell’Istituto di Emissione e come tale è iscritta, nel suo Bilancio, tra le poste passive”. 

2) rispettivamente, il 3 novembre 1994, e il successivo 1° dicembre, i senatori Natali (AN) e Orlando (PRC) interrogarono il Ministro del Tesoro per sapere se non ritenesse necessario l’intervento del Ministero, per la doverosa tutela dei rilevantissimi interessi nazionali, nella causa civile, promossa dinanzi al tribunale di Roma dal Professore Giacinto Auriti, nei confronti della Banca d’Italia, e diretta ad ottenere una sentenza di mero accertamento, che dichiarasse la moneta, all’atto della emissione, di proprietà dei cittadini italiani ed illegittimo l’attuale sistema dell’emissione monetaria, che trasforma la Banca Centrale da Ente gestore ad Ente proprietario dei valori monetari’.

Alle due interrogazioni, fornì risposta scritta il Sottosegretario di Stato per il Tesoro, Vegas, il quale (sentita, questa volta nel merito, anche la Banca d’Italia) si adeguò alla precedente risposta del collega di Governo. Come ulteriore argomentazione, il Sottosegretario Vegas ricordò come, nella attuale dottrina economica e nelle opinioni degli Stati europei, fosse avvertita e radicata l’esigenza “di non concentrare nelle mani di uno stesso soggetto politico, quale potrebbe essere l’autorità di governo, il potere di creare moneta e quello di spenderla, onde impedire che la moneta diventi strumento di lotta politica”, e ricordò che tale esigenza aveva trovato esplicito riconoscimento giuridico nel Trattato di Maastricht. Entrambe le risposte sono degne di nota solo per il tasso di ambiguità da cui sono permeate. Infatti, in primo luogo, stupisce che tutte e due le risposte sul punto relativo alla proprietà della moneta, al momento della sua emissione, si rifugino in una dichiarazione negativa, affermando che questa non spetta alla Banca d’Italia: affermazione questa, forse volutamente elusiva, ma che, tuttavia, non può sfuggire all’accusa di menzogna per ciò che essa non può non sottintendere. Posto infatti che la moneta (al momento della sua creazione ed emissione) non può non avere, come tutti i beni mobili, un proprietario, deve trarsi la conclusione che, in quel preciso momento la moneta, se non è della Banca d’Italia, è di proprietà dello Stato. Ma ciò contrasta in modo irrimediabile con quanto riconosciuto dagli stessi rappresentanti del Governo, vale a dire la percezione di un utile monetario da parte di un Ente che non è proprietario della moneta che crea ed immette in circolazione. Tanto più che, per tutta la durata della circolazione, la moneta rappresenterebbe un debito della Banca d’Italia; una passività che la abilita ad inserirla nel proprio bilancio tra le poste passive. Ne deriva che, caso unico, la moneta sarebbe fruttifera nelle mani dell’Istituto di Emissione, benché questo non ne sia proprietario, ma anzi debitore. Mentre, quindi, nei casi normali, il creditore percepisce interessi dalla moneta che presta, ed è il debitore che paga questi interessi, nel caso in esame, le posizioni appaiono stranamente invertite. Con un debitore che, anziché pagare, percepisce gli utili. Il fatto è che, nel concreto, la verità risiede proprio nel secondo corno del dilemma: nel senso che la Banca d’Italia ritiene di essere proprietaria della moneta che crea ed emette. Lo sostiene lo stesso Istituto proprio nel giudizio civile promosso dal professor Auriti; infatti, nella comparsa di costituzione e risposta, datata 20 settembre 1994, si legge: «alla stregua della puntuale disciplina della funzione di emissione, i biglietti della Banca d’Italia costituiscono una semplice merce di proprietà della Banca Centrale, che ne cura direttamente la stampa e ne assume le relative spese» ... «Essi acquistano la loro funzione e il valore di moneta solo nel momento logicamente e cronologicamente successivo, in cui la Banca d’Italia li immette nel mercato trasferendone la relativa proprietà ai percettori». E ancora: «La Banca d’Italia cede la proprietà dei biglietti, i quali, in tale momento, come circolante, vengono appostati al passivo nelle scritture contabili dell’Istituto di Emissione, acquistando in contropartita, o ricevendo in pegno, altri beni o valori mobiliari (titoli, valute, ecc.) che vengono, invece, appostati all’attivo». Ora, poniamo il caso di un falsario che dia in prestito il risultato della propria illecita attività, che a lui non costa nulla se non le spese di fabbricazione; nel fare il bilancio finale dell’operazione, vi iscrive forse come posta passiva la somma falsificata e prestata, e come posta attiva la somma restituitagli oltre agli interessi? Così facendo, altererebbe il bilancio, perché la somma falsificata che dà in prestito non costituisce una perdita, così come peraltro non rappresenta un guadagno; inserendola nel passivo, il falsario non farebbe altro che occultare fraudolentemente una parte dell’attivo. Tanto per continuare nell’esempio, se il falsario dà in prestito la somma falsificata di un miliardo di lire al tasso del quindici per cento e, alla scadenza convenuta ha, in restituzione, la somma di lire (autentiche) un miliardo e centocinquanta milioni, il suo attivo è costituito da quest’ultima somma per intero, ed il suo passivo dalle spese sostenute per la fabbricazione della moneta falsa. Mutatis mutandis, lo stesso concetto vale per la Banca d’Italia: certamente, qui, non si tratta di moneta falsificata, ma, come si è detto, di moneta che, all’atto dell’emissione, non può avere ancora alcun valore né di credito né di debito, perché destinata, solamente durante e a causa della circolazione, a misurare il valore dei beni e ad acquistare il connotato di misura del valore. Perciò, la Banca d’Italia non è legittimata ad iscrivere la moneta, che immette nella sua circolazione, come posta passiva del suo bilancio. A questo punto, ci si potrebbe domandare quale possa essere la reazione dei vertici della Banca d’Italia a queste chiare e ineluttabili considerazioni.  “Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014 

a cura del dott. Franco Adessa