LA BANCA D’ITALIA SI APPROPRIA
DI TUTTA LA MONETA DELLA NAZIONE
ADDEBITANDOLA AL POPOLO
Sebbene nessun testo legislativo dichiari a chi appartenga la proprietà della moneta al momento
della sua emissione, tuttavia la
Banca d’Italia agisce come se ne
fosse il proprietario, dandola in
prestito al sistema economico nazionale e, quindi, addebitandogliela: infatti il mutuo di un bene fungibile,
qual è il denaro, dietro corrispettivo
di un interesse è facoltà di chi ne ha
(o ne vanta) la proprietà.
Inoltre, si è fatto notare che, ciò nonostante, l’Istituto Centrale iscrive
arbitrariamente l’importo della
moneta data in prestito tra le poste
passive del suo bilancio, invece che
tra quelle attive, alterando, in tal modo, a proprio vantaggio il bilancio
stesso in misura evidentemente rilevante: infatti, è norma indiscutibile
per una corretta contabilità che il
prestito di denaro debba essere
contabilizzato come credito, da inserire quindi all’attivo, insieme
con gli interessi pattuiti.
Infine, si è anche posto in evidenza
come l’inserimento della moneta,
all’atto della sua immissione nella
circolazione, tra le poste passive del
bilancio della Banca d’Italia sia la
conseguenza capziosa, e perciò ingannevole, di rappresentare la
banconota come una cambiale (vale a dire come un debito, come una
passività) in virtù della nota formula
sopra impressavi (“pagabile a vista
al portatore”) che non ha più alcuna ragione di esistere, perché, essendo forzoso il corso delle banconote (non più garantite da alcun tipo di riserva, tanto meno aurea),
esse non possono essere convertite
(“pagate”) in oro; cosicché, nonostante quella ormai inutile formula,
la banconota non può essere considerata come cambiale, rappresentativa di un inesistente debito della
Banca Centrale.
Finora si è più volte accennato al fatto che la Banca Centrale, nel mettere
in circolazione le proprie banconote
mediante operazioni di prestito al Tesoro dello Stato e di anticipazione al
sistema bancario, in sostanza le ad debita al popolo. Siccome questo fatto rappresenta il punto focale di tutto il problema monetario, è necessario che
esso sia reso di agevole comprensione anche per il lettore
completamente a digiuno di tale problema nei suoi numerosi profili.
Detto in modo molto schematico, accade che lo Stato, per il perseguimento dei propri fini istituzionali di
carattere generale (difesa, pubblica
istruzione, sanità, giustizia, ecc.) e di
carattere particolare (opere pubbliche), ha naturalmente bisogno di
notevoli risorse finanziarie. Per
procurarsi tali risorse ricorre o alla
vendita dei propri beni patrimoniali (mediante le privatizzazioni) o
demaniali (mediante le sdemanializzazioni), oppure al prestito che costituisce una fonte di finanziamento
costante e generale.
Esso si rivolge, detto in modo molto
semplificato, in due direzioni:
1. verso gli stessi cittadini, ai quali
vengono offerti titoli di credito statali fruttiferi (buoni del Tesoro, bot,
ecc.) in cambio di moneta;
2. verso la Banca d’Italia che, per
garantire allo Stato le necessarie risorse finanziarie, crea la moneta da
mettere in circolazione.
La differenza tra i due tipi di prestito
contratti dallo Stato non è tanto di
natura quantitativa quanto di natura
qualitativa, se così si può dire: infatti, mentre la Banca Centrale dà in
prestito allo Stato moneta creata
dal nulla – moneta cioè priva di quel
valore che solo la circolazione potrà
conferirle, e della quale essa si arroga, senza alcun fondamento giuridico, la proprietà – i cittadini, in cambio dei titoli di Stato, forniscono invece i propri risparmi, costituiti da
moneta di cui sono proprietari perché, essendo stata da loro accettata a
titolo di pagamento, in essa è incorporato il sudore del loro lavoro.
Quindi, mentre il prestito concesso
dai cittadini è frutto della loro fiducia nello Stato e senza dubbio rappresenta per loro un rischio che potrebbe vanificare anni di lavoro, invece, quello fornito dall’Istituto di
Emissione è soltanto segno della
sudditanza dello Stato nei suoi
confronti e del concreto esercizio
di quella sovranità monetaria cui
lo Stato ha incredibilmente abdicato. “Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014
a cura del dott. Franco Adessa
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