Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini
LA BANCA D’ITALIA
PADRONA ASSOLUTA
DELLA POLITICA MONETARIA
Tralasciamo ogni riferimento al primo dei suddetti due tipi di prestito,
quello cioè contratto dallo Stato con i
propri cittadini mediante l’emissione
di titoli di credito fruttiferi. In tale
operazione, infatti, non entra direttamente in gioco o in discussione la
sovranità dello Stato, poiché si tratta
in definitiva di operazioni di natura
civilistica compiute da parti che, sebbene su piani diversi, agiscono ciascuna nell’ambito di una propria autonomia e, soprattutto, della propria
opportunità e convenienza economica.
Nel rapporto che viene a stabilirsi
tra lo Stato e la Banca Centrale,
con l’emissione della moneta bancaria (banconota), invece, si coglie in
tutta la sua drammaticità la rinuncia da parte dello Stato alla sovranità monetaria ed al conseguente
esercizio del potere di “battere moneta”; si avverte soprattutto la
stranezza di una situazione che
poteva trovare una valida giustificazione in altri tempi, quando
la moneta aveva un proprio valore intrinseco perché costituita
da pezzi coniati in metalli pregiati, o quando essa, pur rappresentata da simboli cartacei, aveva tuttavia una copertura nelle
riserve auree o argentee delle
banche: allora era frequente che
il re o il principe (cioè lo Stato),
non avendo a propria disposizione risorse finanziarie (metallo
pregiato) per sostenere, ad
esempio, le spese di una guerra,
ricorresse ai banchieri per ottenere i necessari prestiti.
Ma nell’attuale momento storico, in cui la moneta è costituita
soltanto da un supporto cartaceo, privo di qualunque copertura aurea o valutaria, non si comprende la ragione per la quale
lo Stato debba richiedere ad
un apposito istituto bancario
privato il mutuo, sempre oneroso, di banconote create dal
nulla e prive quindi di ogni valore intrinseco, trasferendogli
in tal modo, con la sovranità monetaria, non solo il potere di emettere moneta, ma
anche il governo di tutta la politica monetaria, attraverso il quale, come si è già esposto, non può non influirsi in
maniera assolutamente determinante
su tutta la politica economico-sociale
del Governo, nato dalla volontà popolare. Per ricorrere ad una esemplificazione estrema, ma, comunque sia,
idonea a far comprendere l’entità del
problema, non si capisce perché
non possa essere posta in circolazione moneta statale (biglietto di
Stato) anziché moneta bancaria
(banconota), dal momento che, tanto, sia l’una sia l’altra non sono garantite da alcuna riserva aurea o
valutaria.
LO STATO PUÒ CONIARE
MONETA SENZA INDEBITARSI
È bene sapere che lo Stato, oggi, per
mezzo dei propri stabilimenti della
Zecca, provvede alla creazione ed
alla messa in circolazione di tutta
la massa di moneta metallica, del
cui ammontare (anche se di modestissimo valore rispetto a tutto
il circolante cartaceo di banconote) esso non è debitore di
nessuno, tanto meno della
Banca d’Italia.
Così come, fino a pochi anni fa,
provvedeva, nello stesso modo,
alla creazione ed alla messa in
circolazione di carta moneta di
“cinquecento lire” e, prima ancora, anche di “mille lire” neanche in relazione delle quali ovviamente sorgeva in capo allo
Stato alcuna obbligazione di restituzione né di pagamento di interessi, poiché di esse lo stesso
Stato non si indebitava, provvedendo direttamente alla loro
creazione ed alla loro immissione in circolazione.
Questo dimostra, dunque, che lo
Stato avrebbe i mezzi tecnici
per esercitare, in concreto, il
potere di emettere moneta e
per riappropriarsi quella sovranità monetaria che gli permetterebbe di svolgere una politica
socio-economica non limitata da
influenze esterne, ma soprattutto liberandosi di ogni indebitamento.
“Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014
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