giovedì 27 agosto 2020

LA PRESENZA REALE



L'ANNICHILAMENTO, CARATTERE DELLA SANTITÀ EUCARISTICA
Annichilò Se stesso.
Filippesi, II

Nostro Signore nel Santissimo Sacramento è il nostro modello; vediamo in qual modo Egli c'insegna le virtù che fanno i santi. A tal fine osserviamo qual è lo stato in cui si trova: la forma della sua vita sarà la forma delle nostre virtù. Studiare come Egli è, intenderemo quel che vuole, poiché l'esterno indica l'interno. Dalle parole, dalle maniere si argomenta quel che sta nell'anima. Quando si vedeva Nostro Signore povero e conversare con i poveri, si capiva ch'Egli era venuto a salvarci per mezzo della povertà. Quando Egli moriva per noi, c'insegnava quel che dobbiamo fare per andar in Cielo. Ora lo stato di Nostro Signore nel Santissimo Sacramento, il carattere che vi domina e ci colpisce, è l'annichilamento.
Pertanto questo stato ci deve far conoscere di che si occupi e quali siano le sue virtù, che tutte, ciascuna secondo la sua natura, prenderanno questa forma, questa impronta di umiltà e di annichilamento. Studiatelo questo annientamento e saprete quel che dovete fare per rassomigliare al vostro modello, e per essere nella grazia della santità eucaristica. Ricordatevi che questo è il carattere dominante di Gesù in Sacramento e che deve essere anche il vostro se volete vivere della grazia che emana dall'Eucaristia.

I. - Ora Nostro Signore è l'Ostia santa. Prende lo stato delle sacre specie: subentra alla loro sostanza. Egli ha subordinato il suo stato alla maniera di essere delle sacre specie, che diventano così la forma visibile della sua vita, la legge della sua durata sacramentale: né è come il supposto, ad esse è sottomesso, dipende da esse. Non toccano la sua vita divina, è vero, e quando cessano di esistere Gesù non né soffre nel suo corpo glorioso; tuttavia, venendo esse distrutte, Egli si ritira; unito ad esse, ne subisce le leggi di movimento, di umiliazione, è trattato come esse; mirandole, tu vedi la condizione, il modo di essere esterno di Nostro Signore.
Ora, come sono povere dette specie! Così povere che non posseggono più il loro proprio essere: la consacrazione ha tolto la sostanza alla quale la natura le aveva congiunte. Non hanno più la proprietà naturale della loro esistenza: non esistono che per un miracolo.
Così Nostro Signore: non ha proprietà nel Santissimo Sacramento; dal Cielo non porta che Se stesso: non ha una pietra, non una chiesa. E' povero come le sacre specie. Più povero dunque che a Betlemme. Là era padrone di Sé, aveva un corpo che si moveva, vagiva, cresceva, poteva ricevere, accettare dai suoi amici. 
Qui nulla. Attorno a lui può esservi profusione di doni: il suo stato personale non muta. Sia pur d'oro l'altare, mille luci vi risplendano, non per questo Gesù è meno povero e meno oscuro sotto le sacre specie. E' morto civilmente, impossibilitato a ricevere checchessia.

E' un morto! Al religioso che fa il voto di povertà l'onore di rassomigliargli. E' come chiuso, legato in un lenzuolo: è quello il suo vestimento, sempre lo stesso; un vestito che non è neppure una sostanza, né un essere naturale; così fragile che, se cessasse il miracolo, sarebbe distrutto e non potrebbe esistere un istante. Ecco il gran povero: bisogna vederlo, considerarlo, per disporci a fare il voto di povertà. Studiate la povertà di Gesù nell'Ostia santa, e saprete fin dove dovete spingere lo spirito di rinuncia e di povertà.

E come sono umili le sacre specie! Sempre bianche; ma il bianco non è un colore: la sua vista prolungata infastidisce. Così Nostro Signore nel Sacramento non ha alcuna bellezza visibile, nessuna bellezza umana, Egli che era così bello nella sua vita mortale, il più bello tra i figli degli uomini. La nube che lo avvolge nulla lascia trasparire. L'ultimo degli uomini conta più di Gesù, perché è ancora qualcuno; Gesù ha voluto prendere la legge delle specie e non essere che qualche cosa.
Le sacre specie sono immobili e inanimate. Egli, il Verbo, la vita del mondo, il supremo motore di tutti gli esseri, la vita di tutte le vite, si condanna a restare senza moto, senza azione, si fa prigioniero. Si riduce al punto che per piccolo che sia il frammento di Ostia consacrata, vi è ancora tutto intero. Ha in Se la vita e il movimento; non ne usa, perché si è sottoposto alla condizione delle specie inanimate. Insultato, coperto di sputi, non si difende. Se potesse ancora soffrire soffrirebbe più nel Sacramento che durante la sua vita mortale.
Sapete ciò che disse di Se per bocca del Profeta: Io sono un verme e non un uomo. Il verme è l'ultimo degli animali, vicino ai vegetali, e affatto nudo. Gesù fu come un verme sulla croce, ove nudo era esposto agli insulti dei carnefici: ma non fu che per poche ore. Nello stato sacramentale non si fa verme della terra, ma si espone ad essere a contatto coi vermi. Quante Ostie consacrare si guastano casualmente o per incuria! corrompendosi, i vermi se né impadroniscono e ne scacciano Nostro Signore; giacché Egli dimora sotto le specie soltanto finché sono sane. I vermi prendono dunque il suo posto: intanto che l'Ostia si decompone in una parte, Gesù si rifugia nell'altra e lotta così con i vermi della corruzione! Veramente ha preso tutte le miserie delle sante specie, quanto al suo modo di essere esterno: Putredini dixi: pater meus es tu; mater mea et soror mea, vermibus.

Finalmente le specie non hanno volontà. Si prendono e portano ove si vuole. Chiunque gli comandi, Gesù non resiste, non dice mai no: si lascia prendere dalle mani d'un scellerato. E' una delle condizioni dello stato da lui scelto. Non si difende. La società vendica l'aggressione punendo l'aggressore: Nostro Signore permette tutto... Come? Fin là?
Certo, Gesù si è annichilito sul Calvario quanto alla gloria della sua divinità, al benessere della natura umana, e in confronto degli altri uomini; ma nella Eucaristia il suo annichilimento è più profondo. Nella scala delle creature l'ultimo grado è di non avere una sostanza propria ed essere semplicemente una qualità. Ora Gesù Cristo, che non può perdere la sua sostanza, prende la forma esterna e le condizioni di naturali accidenti per dirci: Guardate e fate com'io faccio. Oh, giammai potremo imitarlo pienamente, discendere così basso!
Non sia a nostro eterno rammarico l'avere sì poco pensato agli abbassamenti di Gesù nel Santissimo Sacramento.

II. - Il suo annichilamento eclissa tutto ciò che è glorioso in Lui. Se Nostro Signore lasciasse trasparire la sua gloria, non sarebbe più, nell'adorabile Sacramento, il nostro modello di annichilamento, ed anche noi potremmo cercare la maestà e la gloria delle virtù. Avete mai veduta la gloria di Gesù nel Santissimo Sacramento? Ah! davvero è il sole velato. Vi fa sì dei miracoli, ma questi non sono frequenti, ed essi stessi ricordano e mettono in maggiore evidenza il suo abbassamento abituale. Vuol essere interamente eclissato. Gesù è più grande quando non fa miracoli, perché allora l'amore gli tiene le mani legate. Se ci mostrasse la sua gloria, non ci potrebbe più dire: Guardatemi, vedete come io sono dolce ed umile di cuore! Ci spaventerebbe.
Gesù eclissa la sua divinità molto più che nella sua vita mortale. Allora sempre gli si vedeva qualche cosa di divino sul volto, nel contegno. Perciò prima di beffeggiarlo, i soldati del pretorio gli velarono gli occhi: erano così belli i suoi occhi! Ma qui nulla, affatto nulla. L'immaginazione cerca talora di rappresentarci i suoi lineamenti nell'Ostia santa, ma quanto è lungi dalla realtà! Se lo vedessimo almeno un giorno all'anno, una volta nella vita! No, ha velata la sua gloria entro una nube impenetrabile.
A tale annientamento Gesù si assoggetta essendo nello stato di gloria e in modo positivo e non soltanto negativo. Si umilia negativamente colui che, essendo peccatore, indegno delle divine grazie, riconosce la sua miseria, il suo nulla e quindi gli è facile e naturale riconoscere che non è in lui nulla di buono, troppo sapendo di non produrre che frutti di morte. Ma l'umiltà positiva si pratica nel bene, nella lode meritata, riferendo a Dio la gloria di cui l'uomo si priva volontariamente per fargliene omaggio. E' la lezione che ci da Gesù Cristo col suo annientamento eucaristico.
Umiliatevi nelle vostre virtù. Certo, il cristiano è grande, essendo l'amico, il coerede di Gesù Cristo e partecipe della sua natura divina. La grazia ne fa il tempio e lo strumento dello Spirito Santo. E com'è grande il sacerdote, ministro dei divini misteri, che comanda a Dio stesso, santifica e salva le anime dirigendole a Dio! Come già gli angeli col loro capo Lucifero, il cristiano, il sacerdote, considerando la loro sublime dignità, avrebbero un appiglio per levarsi in alto.
Se Nostro Signore ci avesse soltanto innalzati, noi saremmo in grande pericolo di perderci per orgoglio. Ma Egli annulla la sua gloria, la sua grandezza e ci grida: Vedete com'io mi umilio; certo io sono più grande di voi, ma vedete quel che faccio della mia grandezza, quel che divento.
Se Gesù non fosse là nascondendo tutta la sua gloria, noi sacerdoti non potremmo dirvi: Siate umili. Perché voi potreste risponderei: Noi siamo prìncipi della grazia. E' vero, ma mirate il vostre Re! Questo pensiero fa prostrare in terra alla presenza di Nostro Signore i Vescovi, il Papa: nel vederli così scomparire alla sua presenza, si confessa che Dio solo è veramente grande.
Ma senza l'Eucaristia che avviene? Vedetelo nelle altre religioni: che cosa è divenuta l'umiltà? Il protestante non conosce il disprezzo delle umane grandezze; lavora, si sacrifica per elevarsi. Nessuno è più fiero e altezzoso dell'onesto protestante: non ha più l'Eucaristia e per ciò stesso neppure l'umiltà. E non vedete i cattolici che non vivono dell'Eucaristia coronarsi delle loro opere buone? Sono così belli gli elogi meritati e pronunciati da cristiani. E poi col moltiplicare le opere buone si fa presto a passare per un santo.
Da dove viene l'orgoglio spirituale che si eleva sulle grazie ricevute, sui doni di Dio, sulla cerchia di amici virtuosi e santi, sull'influenza che si abbia sulle anime, donde viene se non dalla dimenticanza dell'Eucaristia? Quando fate la Comunione, vi prende forse questo orgoglio? Ah no, perché sentireste Gesù dirvi: Come mai ti fai un trono delle grazie che ti ho date, dell'amore privilegiato che ti porto? Io mi anniento, fa come faccio io.
Meditare Nostro Signore annichilato nell'adorabile Sacramento è il vero cammino dell'umiltà. Si comprende che il suo annichilamento è la prova più grande del suo amore e che tale deve essere pure la prova del nostro; si comprende che bisogna abbassarsi fino a Gesù Cristo che si è messo al pari con gli ultimi esseri della creazione.
Ecco la vera umiltà, che da del suo, facendo risalire a Dio l'onore e la dignità che ne riceve. Credono molti che non possiamo umiliarci se non dei nostri peccati e delle nostre miserie, non già nel bene, nella grandezza soprannaturale. Ma lo possiamo, certamente. Far risalire ogni bene a Dio è l'umiltà di ossequio, l'umiltà più perfetta. Ce la insegna Nostro Signore, e più ci appressiamo a lui, più come lui ci umiliamo. Vedete la Santissima Vergine, esente da peccato, senza difetto od imperfezione, tutta bella, tutta perfetta, tutta splendente per la sua grazia di Immacolata e per la sua incessante cooperazione: ella si umilia più di ogni altra creatura. Consiste l'umiltà nel riconoscere che nulla siamo senza Dio e nel riferire a lui tutto quel che siamo; e quanto più uno è perfetto, più cresce questa umiltà, perché ha più da rendere a Dio; a misura che le grazie ci elevano, noi discendiamo; le nostre grazie sono i gradini della nostra umiltà.
L'Eucaristia dunque c'insegna a riferire a Dio la grandezza e la gloria e non soltanto ad umiliarci delle nostre miserie. Ed è una lezione permanente. Pertanto ogni anima eucaristica deve divenir umile: la vicinanza, la compagnia di Gesù in Sacramento deve renderci tali che più non pensiamo né operiamo se non per impulso di questa divinità annichilata. Chi alimentasse il proprio orgoglio alla presenza dell'Eucaristia sarebbe un demonio! Ma basta guardarla per sentire il bisogno di annichilirsi. E la Chiesa mettendoci in ginocchio innanzi al Santissimo Sacramento ci pone nell'attitudine dell'umiltà e dell'annientamento.
Ecco l'umiltà dello stato sacramentale; vediamo ora quella delle opere.

III. - Gesù opera nel Santissimo Sacramento. Lavora, è mediatore, salva le anime; applica la sua redenzione e ci santifica. La sua azione si estende su tutte le creature. E' il Verbo che ha detto una parola per cui ogni cosa fu creata, e tutto ancora conserva con la sua parola. Egli continua a pronunciare il fiat che mantiene la vita in tutta la creazione. Non soltanto Gesù nel Sacramento è Creatore, ma è riformatore, restauratore e re di tutta la terra. Tutte le nazioni gli sono state date da governare, ed il Padre per lui agisce nel mondo. Egli governa il mondo: la parola d'ordine che regge l'universo parte dal Santissimo Sacramento. Tiene in mano la vita di tutti gli esseri: è giudice dei vivi e dei morti.
Ora i sovrani circondano di un apparato regale quanto dicono e quanto fanno. E' necessario: l'uomo si governa con l'amore o con il timore.
Ma Nostro Signore! Ove è l'apparato di questo re, a cui appartiene ogni potere in cielo ed in terra? ove la gloria, il fasto delle parole e degli atti? Milioni d'Angeli partono ad ogni istante dal Tabernacolo e vi ritornano dopo aver compiuto i suoi ordini: là è il loro centro, là il quartiere generale, perché là è il generale in capo delle milizie celesti. Vedete voi, udite qualche cosa? Tutte le creature gli obbediscono e noi non ci accorgiamo di nulla. Ecco, come sa nascondere la sua azione! come sa comandare nell'annientamento! E gli uomini che comandano agli altri credono di essere qualche cosa; parlano alto e forte, e pensano così di comandare più efficacemente! Ecco una buona lezione per i superiori, i capi di casa: per imitare Nostro Signore nel Santissimo Sacramento tutti debbono essere umili nel comandare.
Notate ancora l'umiltà di Nostro Signore: egli non comanda direttamente agli uomini, perché allora non si vorrebbe più obbedire che a lui; ma si nasconde affinché obbediamo ad altri uomini, nei quali è un riflesso della sua autorità. Ammirabile unione dell'autorità e dell'umiltà!

Di più: Nostro Signore nasconde la santità delle sue opere. La santità ha due parti. La prima consiste nella vita interiore dell'anima con Dio, ed è la parte principale, da cui dipende la perfezione, la vita della santità. Per lo più basta da sola, ed è tutto. Essa consiste nella contemplazione e nella immolazione inferiore dell'anima. L'altra parte è la vita esteriore.
La contemplazione risulta dalle relazioni dell'anima con Dio, con gli angeli, con il mondo spirituale: è la vita di preghiera che costituisce il valore della santità, che è la radice della carità e dell'amore. Ora questa vita bisogna nasconderla, bisogna che Iddio solo ne possegga il segreto, perché altrimenti l'uomo vi metterebbe il suo orgoglio. Iddio l'ha riservata a sé, vuole dirigerla Egli stesso, che a questo non basterebbe neppure un santo. E' la relazione nuziale dell'anima con Dio, che si fa nel segreto dell'oratorio, a porte chiuse: Intra in cubiculum tuum et, clauso ostio, ora Patrem tuum in abscondito: entra nella tua stanza e, chiusa la porta, prega il Padre tuo in segreto. Ci costa lo starcene così a pregare in segreto. Noi vorremmo sempre andare alle opere, pensare a quel che si farà, a quel che si dirà in questa ed in quell'altra circostanza. Non abbiamo la chiave della preghiera; non sappiamo tenerci in silenzio.
Guardate Nostro Signore. Egli prega, è il grande supplicante della Chiesa! Ottiene con la sua preghiera più che tutte le creature insieme; ma prega nel suo annichilimento. Chi lo vede nella sua orazione? Chi ne ode la supplica incessante? Nella sua vita mortale era veduto pregare dagli Apostoli, i quali pure ne udirono i gemiti nell'Orto degli Olivi. Qui nulla. La sua stessa preghiera è dunque nell'annientamento, ma la potenza che ne acquista è proporzionata all'immolazione che l'accompagna. Premete una spugna e vi darà tutto il liquido che contiene. Ci vuole compressione per avere una grande forza di espansione. Ebbene nostro Signore si comprime, si annichila, affinché il suo amore erompa verso il Padre con una forza infinita.
Qui l'anima contemplativa trova il suo modello: essa non vuole essere conosciuta, vuol essere sola, si raccoglie e si concentra. Quante anime disprezzate dal mondo, eppure onnipotenti, perché la loro preghiera somiglia alla preghiera umile e annichilata di Gesù in Sacramento! Per alimentare e sostenere questa preghiera concentrata e nascosta esse hanno bisogno dell'Eucaristia: se rimanessero in se stesse, perderebbero la testa! Gesù solo con la sua dolcezza tempera la forza di tale preghiera.

La vita interiore consiste inoltre nell'immolazione. Perché l'anima sia libera e tranquilla nella preghiera, bisogna che i sensi, il corpo e tutte le facoltà restino in silenzio. Onde è che l'anima, la quale vuole lavorare interiormente, deve sostenere in se stessa una lotta più torte di qualsiasi altra.
Anche qui è nostro modello la vita annichilita di Nostro Signore. Chi s'immola più di Lui? Si dice ch'Egli non soffre più. Non è necessario soffrire attualmente, ma basta avere la volontà e mettersi nello stato di Sacrificio, perché vi sia una vera immolazione. E' un pregiudizio il credere che il dolore sentito fisicamente o provato attualmente faccia tutto il merito del Sacrificio. Molti dicono: Io non ho merito, perché nulla mi costa. Io faccio ogni cosa facilmente, dunque io non faccio nulla per Iddio. Questo è un errore che tende a far abbandonare la via della santità. Purtroppo alla nostra pietà piace vedere quel che fa, sentir che agisce, sapere che da qualche cosa!
Tuttavia, ditemi, non calcolate più il primo Sacrificio che doveste fare per darvi alla pratica di quella tale virtù? Vi è costato non poco senza dubbio. E contate per nulla il continuare a ripeterne gli atti? Questo prova la perseveranza della vostra volontà. Sappiate che il Sacrificio consiste nella volontà, la quale si mantiene e diviene anzi più forte per l'abito, sebbene per l'abitudine del Sacrificio il dolore sia meno vivo. L'agonia, la morte a se stesso è nel principio, nel primo dono di se: dopo viene la pace, ma il merito dura e si accresce per la rinnovazione e continuazione del Sacrificio. L'amor filiale fa sopportare con semplicità, senza che costi, sacrifici eroici; l'amor di Dio fa che i santi godano in mezzo ai patimenti. Valgono meno tali Sacrifici e patimenti perché sono accompagnati da un godimento che ci rende meno sensibili ad essi?
Or bene Nostro Signore non soffre più nel SS. Sacramento, ma ha preso volontariamente questo stato d'immolazione. Ne ebbe il merito fin da quell'ora in cui, conoscendo i disprezzi, gli insulti che avrebbe sostenuto da parte degli uomini, accettò tutto, istituì il Sacramento e si rivestì dello stato di vittima. Questo merito dura senza dubbio; non è e non sarà mai esaurito: la libera volontà di Gesù, che ha tutto accettato anticipatamente, abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi. E per rendere manifesta la sua volontà, sempre attuale, di immolarsi, ha disposto che la Chiesa rappresenti la sua immolazione nella Santa Messa con la separazione delle specie del vino da quelle del pane e con lo spezzamento dell'Ostia in tre parti. Nella Comunione Egli perde, distruggendosi le sacre specie nel corpo del comunicante, il suo essere sacramentale. Voi vedete pertanto la continua sua immolazione.
Noi ignoriamo la parola del mistero che unisce nell'Eucaristia la vita e l'immolazione, la gloria e l'umiliazione: è il segreto di Dio. Qui ancora Nostro Signore insegna all'anima di vita inferiore a non far conoscere le intime sue pene che a Dio solo.
No, gli uomini non sappiano i nostri patimenti, affinché non ci compatiscano, non ci lodino, il che ci perderebbe. Guardiamo al nostro modello nel SS. Sacramento. Oh, quanto pochi, tra quelli stessi che pregano e comunicano, conoscono l'azione del Nostro Signore nella sua immolazione! Non la suppongono neppure.
Quanto agli atti esterni della vita cristiana, Nostro Signore c'insegna pure a nasconderli, a non ricevere le lodi per quanto siano meritate. Per imitarlo dobbiamo lasciar vedere soltanto il lato meno onorifico delle nostre buone opere: sarà tanto più splendente il lato che guarda verso il Cielo. Così dobbiamo fare ogni qualvolta possiamo disporre liberamente della forma esterna dei nostri atti. Quando sono opere da farsi pubblicamente, facciamole bene, per edificar il prossimo; ma se sono buone opere personali, nascondiamole. Saremo nella grazia eucaristica. Chi vede le virtù di Nostro Signore?

Concludo e vi dico: ricordatevi gli abbassamenti di Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento; abbassatevi come Lui, non guardate più a voi, perdetevi: bisogna ch'Egli cresca e che voi diminuiate. L'annichilamento sia il carattere della vostra virtù e di tutta la vostra vita. Diventate come le specie che più non hanno la naturale loro condizione ed esistono solo per miracolo. Non siate più nulla per voi stessi, nulla attendete da voi, nulla fate per voi: annichilatevi!

di San Pietro Giuliano Eymard

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