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mercoledì 24 aprile 2024

TRATTATO SULL’INFERNO

 


È SCESA DA VIVA... ALL’INFERNO!


Ci sono nel mondo alcune persone privilegiate che sono scelte da Dio per una missione particolare.

A costoro Gesù si presenta in modo sensibile e le fa vivere nello stato di vittime, rendendole compartecipi anche dei dolori della sua Passione. 

Perché possano soffrire di più e così salvare più peccatori, Dio permette che alcune di queste persone siano trasportate, anche se viventi, nell'ordine soprannaturale e che patiscano per qualche tempo all'inferno, con l'anima e col corpo.

Come avvenga questo fenomeno non possiamo spiegarlo. Si sa solo che, quando tornano dall'inferno, queste anime vittime sono afflittissime.

Le anime privilegiate di cui si parla, improvvisamente scompaiono dalla propria camera, anche alla presenza di testimoni, e dopo un certo periodo, talvolta di diverse ore, riappaiono. Sem- brano cose impossibili, ma ci sono documentazioni storiche.


Si è già detto di Santa Teresa d'Avita.


Ora citiamo il caso di un'altra Serva di Dio: Josepha Menendez, vissuta in questo secolo. Ascoltiamo dalla stessa Menendez la narrazione di qualche sua visita all'inferno.

"In un istante mi trovai nell'inferno, ma senza esservi trascinata come le altre volte, e proprio come vi devono cadere i dannati. L'anima vi si precipita da se stessa, vi si getta come se desi- derasse sparire dalla vista di Dio, per poterlo odiare e maledire.

L'anima mia si lasciò cadere in un abisso di cui non si poteva vedere il fondo, perché immenso... Ho visto l'inferno come sempre: antri e fuoco. Benché non si vedano forme corporali, i tormenti straziano le anime dannate (che tra loro si conoscono) come se i loro corpi fossero presenti.

Fui spinta in una nicchia di fuoco e schiacciata come tra piastre roventi e come se dei ferri e delle punte aguzze arroventate si infiggessero nel mio corpo.

Ho sentito come se, pur senza riuscirci, si volesse strapparmi la lingua, cosa che mi riduceva agli estremi, con un atroce dolore. Gli occhi mi sembrava che uscissero dall'orbita, credo a causa del fuoco che li bruciava orrendamente.

Non si può né muovere un dito per cercare sollievo, né cambiare posizione; il corpo è come compresso. Gli orecchi sono come storditi dalle grida orrende e confuse che non cessano un solo istante.

Un odore nauseabondo e una ripugnante asfissia invade tutti, come se bruciasse carne in putrefazione con pece e zolfo. 

Tutto questo l'ho provato come nelle altre occasioni e, sebbene questi tormenti siano terribili, sarebbero un nulla se l'anima non soffrisse; ma essa soffre in modo indicibile per la privazione di Dio.

Vedevo e sentivo alcune di queste anime dannate ruggire per l'eterno supplizio che sanno di dover sopportare, specialmente alle mani. Penso che durante la vita abbiano rubato, poiché gridavano: 'Maledette mani, dov'è ora quello che avete preso?'... 

Altre anime, urlando, accusavano la propria lingua, o gli occhi... ognuna ciò che è stato la causa del suo peccato: 'Ora paghi atrocemente le delizie che ti concedevi, o mio corpo!... E sei tu, o corpo, che l'hai voluto!... Per un istante di piacere, un'eternità di dolore!:.. 

Mi sembra che all'inferno le anime si accusino specialmente di peccati di impurità.

Mentre ero in quell'abisso, ho visto precipitare delle persone impure e non si possono dire né comprendere gli orrendi ruggiti che uscivano dalle loro bocche: 'Maledizione eterna!... Mi sono ingannata!... Mi sono perduta!... Sarò qui per sempre!... per sempre!!... per sempre!!!... e non ci sarà più rimedio... Maledetta me!:.. 

Una ragazzina urlava disperatamente, imprecando contro le cattive soddisfazioni che ha concesso in vita al suo corpo e maledicendo i genitori che le avevano dato troppa libertà nel seguire la moda e i divertimenti mondani. Era dannata da tre mesi.

Tutto ciò che ho scritto - conclude la Menendez - è soltanto una pallida ombra al confronto con ciò che si soffre veramente all'inferno."


martedì 2 aprile 2024

TRATTATO SULL’INFERNO

 


IL CORPO RISORTO


L'anima dannata soffrirà all'inferno da sola, cioè senza il suo corpo, fino al giorno del giudizio universale; poi, per l'eternità, anche il corpo, essendo stato strumento di male durante la vita, prenderà parte ai tormenti eterni.

La risurrezione dei corpi avverrà certamente.

È Gesù che ci assicura questa verità di fede: "Verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene, per una risurrezione di vita e quanti fecero il male, per una risurrezione di condanna" (Gv 5, 28-29).

Insegna l'Apostolo Paolo: "Tutti saremo trasformati in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità" (1 Cor 15, 51-53).

Dopo la risurrezione, dunque, tutti i corpi saranno immortali e incorruttibili. Non tutti però saremo trasformati allo stesso modo. La trasformazione del corpo dipenderà dallo stato e dalle condizioni in cui si troverà l'anima nell'eternità: saranno gloriosi i corpi dei salvati e orrendi i corpi dei dannati.

Perciò se l'anima si troverà in paradiso, nello stato di gloria e di beatitudine, rifletterà nel suo corpo risorto le quattro caratteristiche proprie dei corpi degli eletti: la spiritualità, l'agilità, lo splendore e l'incorruttibilità.

Se invece l'anima si troverà all'inferno, nello stato di dannazione, imprimerà nel suo corpo caratteristiche del tutto opposte. L'unica proprietà che il corpo dei dannati avrà in comune col corpo dei beati è l'incorruttibilità: anche i corpi dei dannati non saranno più soggetti alla morte.

Riflettano molto e molto bene coloro che vivono nell'idolatria del loro corpo e lo appagano in tutte le sue voglie peccaminose! I piaceri peccaminosi del corpo saranno ripagati con un cumulo di tormenti per tutta l'eternità.


lunedì 4 marzo 2024

TRATTATO SULL’INFERNO

 


SEMPRE!... SEMPRE!!... SEMPRE!!!

 

Si narra negli "Esercizi Spirituali" del Padre Segneri che a Roma, essendo stato chiesto al demonio che stava nel corpo di un ossesso, per quanto tempo dovesse stare all'inferno, rispose con rabbia: "Sempre!... Sempre!!... Sempre!!!".

Fu così grande lo spavento che molti giovani del seminario romano, presenti all'esorcismo, fecero una confessione generale e si incamminarono con più impegno nella via della perfezione.

Anche per il tono in cui furono gridate, quelle tre parole del demonio: "Sempre!... Sempre!!... Sempre!!!' fecero più effetto di una lunga predica.


lunedì 5 febbraio 2024

TRATTATO SULL’INFERNO

 


IL GRADO DELLA PENA

 

A chiusura del capitolo sulle pene dei dannati è bene accennare alla diversità del grado di pena.

Dio è infinitamente giusto; e come in paradiso assegna gradi maggiori di gloria a coloro che più lo hanno amato durante la vita, così all'inferno dà pene maggiori a chi l'ha offeso di più.

Chi è nel fuoco eterno per un solo peccato mortale soffre orribilmente per quest'unica colpa; chi è dannato per cento, o mille... peccati mortali soffre cento, o mille volte... di più.

Più legna si mette nel forno, più aumenta la fiamma e il calore. Perciò chi, tuffato nel vizio, calpesta la legge di Dio moltiplicando ogni giorno le sue colpe, se non si rimette in grazia di Dio e muore nel peccato, avrà un inferno più tormentoso di altri.

Per chi soffre è un sollievo pensare: "Un giorno finiranno queste mie sofferenze".

II dannato, invece, non trova alcun sollievo, anzi, il pensiero che i suoi tormenti non avranno fine è come un macigno che rende più atroce ogni altro dolore.

Chi va all'inferno (e chi ci va, ci va per sua libera scelta) vi resta... in eterno!!!

Per questo Dante Alighieri, nel suo "Inferno", scrive: "Lasciate ogni speranza, o voi ch'entrate!".

Non è un'opinione, ma è verità di fede, rivelata direttamente da Dio, che il castigo dei dannati non avrà mai fine. Ricordo soltanto quanto ho già citato delle parole di Gesù: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno" (Mt 25, 41).

 

Scrive Sant'Alfonso:

"Quale pazzia sarebbe quella di chi, per godersi una giornata di spasso, accettasse la condanna di star chiuso in una fossa per venti o trent'anni! Se l'inferno durasse cento anni, o anche solo due o tre anni, pure sarebbe una grande pazzia per un attimo di piacere condannarsi a due o tre anni di fuoco. Ma qui non si tratta di cento o di mille anni, si tratta dell'eternità, e cioè di patire per sempre gli stessi atroci tormenti che non avranno mai fine."

I miscredenti dicono: "Se esistesse un inferno eterno, Dio sarebbe ingiusto. Perché castigare un peccato che dura un momento con una pena che dura in eterno?".

Si può rispondere: "E come può un peccatore, per il piacere di un momento, offendere un Dio di infinita maestà? E come può, con i suoi peccati, calpestare la passione e la morte di Gesù?".

"Anche nel giudizio umano - dice San Tommaso - la pena non si misura secondo la durata della colpa, ma secondo la qualità del delitto". L'omicidio, anche se si commette in un momento, non viene punito con una pena momentanea.

Dice San Bernardino da Siena: "Con ogni peccato mortale si fa a Dio un'ingiustizia infinita, essendo Egli infinito; e a un'ingiuria infinita spetta una pena infinita!".


sabato 30 dicembre 2023

TRATTATO SULL’INFERNO - LA TESTIMONIANZA DI UNA SANTA

 


LA TESTIMONIANZA DI UNA SANTA

 

Santa Teresa d'Avila, che fu una delle principali scrittrici del suo secolo, ebbe da Dio, in visione, il privilegio di scendere all'inferno mentre era ancora in vita. Ecco come descrive, nella sua “Autobiografia” ciò che vide e provò negli abissi infernali. 

"Trovandomi un giorno in preghiera, improvvisamente fui trasportata in anima e corpo all'inferno. Compresi che Dio voleva farmi vedere il luogo preparatomi dai demoni e che avrei meritato per i peccati in cui sarei caduta se non avessi cambiato vita. Per quanti anni io abbia a vivere non potrò mai dimenticare l'orrore dell'inferno. 

L'ingresso di questo luogo di tormenti mi è sembrato simile a una specie di forno, basso e oscuro. Il suolo non era che orribile fango, pieno di rettili velenosi e c'era un odore insopportabile. 

Sentivo nell'anima mia un fuoco, del quale non vi sono parole che possano descrivere la natura e il mio corpo contemporaneamente in preda ai più atroci tormenti. I grandissimi dolori che avevo già sofferto nella mia vita sono nulla in confronto a quelli provati all'inferno. Inoltre, l'idea che le pene sarebbero state senza fine e senza alcun sollievo, completava il mio terrore.

Ma queste torture del corpo non sono paragonabili a quelle dell'anima. Provavo un'angoscia, una stretta al cuore così sensibile e, nello stesso tempo, così disperata e così amaramente triste, che tenterei invano di descriverla. Dicendo che in ogni momento si soffrono le angosce della morte, direi poco. 

Non potrò mai trovare espressione adatta per dare un'idea di questo fuoco interiore e di questa disperazione, che costituiscono appunto la parte peggiore dell'inferno. 

Ogni speranza di consolazione è spenta in quell'orribile luogo; vi si respira un'aria pestilenziale: ci si sente soffocare. Nessun raggio di luce: non vi sono che tenebre e tuttavia, oh mistero, senza alcuna luce che rischiari, si vede quanto vi può essere di più ripugnante e penoso alla vista. 

Posso assicurare che tutto quanto si può dire dell'inferno, quanto si legge nei libri di strazi e di supplizi diversi che i demoni fanno subire ai dannati, è un nulla in confronto alla realtà; c'è la stessa differenza che passa tra il ritratto di una persona e la persona stessa. 

Bruciare in questo mondo è pochissima cosa in confronto a quel fuoco che provai all'inferno.

Sono ormai trascorsi circa sei anni da quella spaventosa visita all'inferno ed io, descrivendola, mi sento ancora presa da tale terrore che il sangue mi si gela nelle vene. In mezzo alle mie prove e ai dolori richiamo spesso tale ricordo ed allora quanto si può soffrire in questo mondo mi sembra cosa da ridere.

Siate dunque eternamente benedetto, o mio Dio, perché mi avete fatto provare nel modo più reale l'inferno, ispirandomi così il più vivo timore per tutto ciò che può ad esso condurre."


venerdì 8 dicembre 2023

TRATTATO SULL’INFERNO - LA PENA DEL SENSO

 


LA PENA DEL SENSO


Oltre alla pena del danno che, come si è visto, consiste nel dolore atroce per la perdita di Dio, ai dannati è riservata nell'altra vita la pena del senso. 

Si legge nella Bibbia: "Con quelle stesse cose per cui uno pecca, con esse è poi castigato" (Sap 11, 10). 

Quanto più dunque uno avrà offeso Dio con un senso, tanto più, sarà tormentato in esso.

E’ la legge del contrappasso, di cui si servì anche Dante Alighieri nella sua "Divina Commedia'; il poeta assegnò ai dannati pene diverse, in rapporto ai loro peccati.

La più terribile pena del senso è quella del fuoco, di cui ci ha parlato più volte Gesù.

Anche su questa terra la pena del fuoco è la maggiore tra le pene sensibili, ma c'è una grande differenza tra il fuoco terreno e quello dell'inferno. 

Dice Sant'Agostino: "A confronto del fuoco dell'inferno il fuoco che conosciamo noi è come se fosse dipinto". La ragione è che il fuoco terreno Dio l'ha voluto per il bene dell'uomo, quello dell'inferno, invece, l'ha creato per punire le sue colpe.

II dannato è circondato dal fuoco, anzi, è immerso in esso più che il pesce nell'acqua; sente il tormento delle fiamme e come il ricco epulone della parabola evangelica urla: "Questa fiamma mi tortura!" (Lc 16, 24).

Alcuni non possono sopportare il disagio di camminare per strada sotto un sole cocente e poi magari... non temono quel fuoco che dovrà divorarli in eterno! 

Parlando a chi vive incoscientemente nel peccato, senza porsi il problema della finale resa dei conti, San Pier Damiani scrive: "Continua, pazzo, ad accontentare la tua carne; verrà un giorno in cui i tuoi peccati diventeranno come pece nelle tue viscere che farà più tormentosa la fiamma che ti divorerà in eterno!". 

È illuminante l'episodio che San Giovanni Bosco narra nella biografia di Michele Magone, uno dei suoi migliori ragazzi. "Alcuni ragazzi commentavano una predica sull'inferno. Uno di essi osò dire scioccamente: 'Se andremo all'inferno almeno ci sarà il fuoco per riscaldarsi!'. A queste parole Michele Magone corse a prendere una candela, l'accese e accostò la fiammella alle mani del ragazzo spavaldo. Questi non si era accorto della cosa e, quando sentì il forte calore alle mani che teneva dietro la schiena, scattò subito e si arrabbiò. “Come - rispose Michele - non puoi sopportare per un momento la debole fiamma di una candela e arrivi a dire che staresti volentieri tra le fiamme dell'inferno?.”

La pena del fuoco comporta anche la sete. Quale tormento la sete ardente in questo mondo!

E quanto più grande sarà lo stesso tormento all'inferno, come testimonia il ricco epulone nella parabola narrata da Gesù! Una sete inestinguibile!!!


martedì 31 ottobre 2023

TRATTATO SULL’INFERNO - IL TORMENTO DEL RIMORSO

 


IL TORMENTO DEL RIMORSO


Parlando dei dannati, Gesù dice: "Il loro verme non muore" (Mc 9, 48). Questo "verme che non muore", spiega San Tommaso, è il rimorso, dal quale il dannato sarà in eterno tormentato. 

Mentre il dannato sta nel luogo dei tormenti pensa: "Mi sono perduto per niente, per godere appena piccole e false gioie nella vita terrena che è svanita in un lampo... Avrei potuto salvarmi con tanta facilità e invece mi sono dannato per niente, per sempre e per colpa mia!". 

Nel libro "Apparecchio alla morte" si legge che a Sant'Umberto apparve un defunto che si trovava all'inferno; questi affermò: "Il terribile dolore che continuamente mi rode è il pensiero del poco per cui mi sono dannato e del poco che avrei dovuto fare per andare in paradiso!". 

Nello stesso libro, Sant'Alfonso riporta anche l'episodio di Elisabetta, regina d'Inghilterra, che stoltamente arrivò a dire: "Dio, dammi quarant'anni di regno e io rinuncio al paradiso!". Ebbe effettivamente un regno di quarant'anni, ma dopo la morte fu vista di notte sulle sponde del Tamigi, mentre, circondata da fiamme, gridava: "Quarant'anni di regno e un'eternità di dolore!...".


lunedì 16 ottobre 2023

TRATTATO SULL’INFERNO

 


IL PENSIERO DI ALCUNI SANTI

 

La perdita di Dio, dunque, è il più grande dolore che tormenta i dannati.

 

San Giovanni Crisostomo dice: "Se tu dirai mille inferni, non avrai ancora detto nulla che possa uguagliare la perdita di Dio".

Sant'Agostino insegna: "Se i dannati godessero la vista di Dio non sentirebbero i loro tormenti e lo stesso inferno si cambierebbe in paradiso". 

San Brunone, parlando del giudizio universale, nel suo libro dei "Sermoni" scrive: "Si aggiungano pure tormenti a tormenti; tutto è nulla davanti alla privazione di Dio". 

Sant'Alfonso precisa: "Se udissimo un dannato piangere e gli chiedessimo: 'Perché piangi tanto?, ci sentiremmo rispondere: “Piango perché ho perduto Dio!”. Almeno il dannato potesse amare il suo Dio e rassegnarsi alla sua volontà! Ma non può farlo. È costretto a odiare il suo Creatore nello stesso tempo che lo riconosce degno di infinito amore".

Santa Caterina da Genova quando le apparve il demonio lo interrogò: "Tu chi sei?" - "lo sono quel perfido che si è privato dell'amore di Dio!".

 

ALTRE PRIVAZIONI

Dalla privazione di Dio, come dice il Lessio, derivano necessariamente altre privazioni estremamente penose: la perdita del paradiso, cioè della gioia eterna per la quale l'anima è stata creata e a cui naturalmente continua a tendere; la privazione della compagnia degli Angeli e dei Santi, essendoci un abisso insuperabile tra i Beati e i dannati; la privazione della gloria del corpo dopo la risurrezione universale.

 

Ascoltiamo che cosa disse un dannato riguardo alle sue atroci sofferenze.

Nel 1634 a Loudun, nella diocesi di Poitiers, si presentò ad un pio sacerdote un'anima dannata. Quel sacerdote chiese: "Che cosa soffri all'inferno?" - "Noi soffriamo un fuoco che non si spegne mai, una terribile maledizione e soprattutto una rabbia impossibile a descriversi, perché non possiamo vedere Colui che ci ha creati e che abbiamo perduto per sempre per colpa nostra!... ".


sabato 23 settembre 2023

TRATTATO SULL’INFERNO

 


AMORE IMPEDITO

Chi non conosce la potenza dell'amore umano e gli eccessi a cui può giungere quando sorge qualche ostacolo? 

Visitavo l'ospedale Santa Marta di Catania; vidi sulla soglia di un camerone una donna in lacrime; era inconsolabile. 

Povera madre! Stava morendo suo figlio. Mi sono soffermato con lei per dirle una parola di conforto ed ho saputo...

Quel ragazzo amava sinceramente una ragazza e voleva sposarla, ma non era da questa corrisposto. Davanti a questo ostacolo insuperabile, pensando di non poter più vivere senza l'amore di quella donna e non volendo che sposasse qualcun altro, giunse al colmo della follia: diede diverse coltellate alla ragazza e poi tentò il suicidio.

Quei due ragazzi spirarono nello stesso ospedale a poche ore di distanza.

Che cos'è l'amore umano in confronto all'Amore divino...? Che cosa non farebbe un'anima dannata pur di arrivare a possedere Dio...?!?

Pensando che per tutta l'eternità non potrà amarlo, vorrebbe non essere mai esistita o sprofondare nel nulla, se fosse possibile, ma essendo questo impossibile sprofonda nella disperazione.

Ognuno può farsi una sia pur debole idea della pena di un dannato che si separa da Dio, pensando a ciò che prova il cuore umano alla perdita di una persona cara: la sposa alla morte dello sposo, la madre alla morte di un figlio, i figli alla morte dei loro genitori... 

Ma queste pene, che sulla terra sono le sofferenze più grandi tra tutte quelle che possono straziare il cuore umano, sono ben poca cosa davanti alla pena disperata dei dannati.


lunedì 4 settembre 2023

TRATTATO SULL’INFERNO

 


LA DISPERAZIONE E I DOLORI SOFFERTI DAI DANNATI IL DOLORE PIU’ ATROCE: 


LA PENA DEL DANNO


Provata l'esistenza dell'inferno con gli argomenti della ragione, con quelli della Rivelazione divina e con episodi documentati, consideriamo ora in che cosa consista essenzialmente la pena di chi cade nel baratro infernale.

Gesù chiama gli abissi eterni: "luogo di tormento" (Lc 16, 28). Molte sono le pene sofferte dai dannati all'inferno, ma la principale è quella del danno, che San Tommaso d'Aquino definisce: “privazione del Sommo Bene”, cioè di Dio.

Noi siamo fatti per Dio (da Lui veniamo e a Lui andiamo), ma finché siamo in questa vita possiamo anche non dar alcuna importanza a Dio e tamponare, con la presenza delle creature, il vuoto lasciato in noi dall'assenza del Creatore. 

Finché è qui sulla terra, l'uomo può stordirsi con delle piccole gioie terrene; può vivere, come purtroppo fanno tanti che ignorano il loro Creatore, saziando il cuore con l'amore a una persona, o godendo della ricchezza, o assecondando altre passioni, anche le più disordinate, ma in ogni caso, anche qui sulla terra, senza Dio l'uomo non può trovare la vera e piena felicità, perché la vera felicità è solo Dio.

Ma appena un'anima entra nell'eternità, avendo lasciato nel mondo tutto ciò che aveva ed amava e conoscendo Dio così com'è, nella sua infinita bellezza e perfezione, si sente fortemente attratta ad unirsi a Lui, più che il ferro verso una potente calamita. Riconosce allora che l'unico oggetto del vero amore è il Sommo Bene, Dio, l'Onnipotente.

Ma se un'anima disgraziatamente lascia questa terra in uno stato di inimicizia verso Dio, si sentirà respinta dal Creatore: "Via, lontano da me, maledetta, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli!" (Mt 25, 41).

Aver conosciuto il Supremo Amore... sentire il bisogno impellente di amarlo e di essere riamati da Lui... e sentirsene respinti... per tutta l'eternità, questo è il primo e più atroce tormento per tutti i dannati.


sabato 26 agosto 2023

TRATTATO SULL’INFERNO

 


RAIMOND DIOCRÉ

Ed ecco un altro fatto sconvolgente, avvenuto alla presenza di migliaia di testimoni ed esaminato in tutti i particolari dai dottissimi Bollandisti. 

Era morto a Parigi il professore della Sorbona Raimond Diocré. Nella chiesa di Nòtre Dame si svolgevano i solenni funerali. Oltre a molti semplici fedeli vi parteciparono numerosi professori e discepoli del defunto. 

La salma era collocata nel mezzo della navata centrale, coperta, secondo l'uso di quel tempo, da un semplice velo. Cominciate le esequie, allorché il sacerdote disse le parole del rito: "Rispondimi: quante iniquità e peccati hai...?", si udì una voce sepolcrale uscire da sotto il velo funebre: "Per giusto giudizio di Dio sono stato accusato!".

Fu tolto subito il drappo mortuario, ma si trovò il defunto immobile e freddo. La funzione, improvvisamente interrotta, fu subito ripresa fra il turbamento generale. Poco dopo il cadavere si alzò davanti a tutti e gridò con voce ancora più forte di prima: "Per giusto giudizio di Dio sono stato giudicato!".

Lo spavento dei presenti giunse al colmo. Alcuni medici si avvicinarono al defunto, ripiombato nella sua immobilità, e constatarono che era veramente morto. Non si ebbe però il coraggio, per quel giorno, di continuare il funerale e si rimandò al domani.

Intanto le autorità ecclesiastiche non sapevano che cosa decidere. Alcuni dicevano: "E’ dannato; non è degno delle preghiere della Chiesa!". Altri osservavano: "Non si può essere sicuri che Diocré sia dannato! Ha detto di essere stato accusato e giudicato, ma non condannato".

Anche il Vescovo fu di questo parere. II giorno seguente fu ripetuto l'ufficio funebre, ma giunti alla stessa frase prevista dal rito: “Rispondimi...” il cadavere si alzò nuovamente da sotto il velo funebre e gridò: "Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all'inferno per sempre!".

Davanti a questa terribile testimonianza, cessarono i funerali e si decise di non seppellire il cadavere nel cimitero comune.


Il prodigio era evidentissimo e molti si convertirono. 

Tra i presenti c'era un certo Brunone, discepolo e ammiratore del Diocré; era già un buon cristiano, ma in quell'occasione decise di lasciare le attrattive del mondo e di darsi alla penitenza. Altri seguirono il suo esempio. Brunone divenne fondatore di un Ordine Religioso, il più rigoroso della Chiesa Cattolica: l'Ordine dei Certosini. In seguito morì da Santo. 

Chi va oggi a Serra San Bruno, in Calabria, può visitare il monastero fatto costruire dal Santo, ove sono sepolti, tra gli altri, non pochi uomini illustri che hanno lasciato tutto per dedicarsi interamente alla preghiera, al lavoro, all'aspra penitenza e al più rigoroso silenzio.

 

• Il mondo potrà giudicare pazzi costoro, ma in realtà sono sapienti; seguendo le orme del fondatore, al pensiero dell'inferno, perseverano nella vita di mortificazione per guadagnarsi il paradiso.


venerdì 11 agosto 2023

TRATTATO SULL’INFERNO

 

UN PROFESSORE DI PARIGI

 

Sant'Alfonso Maria De' Liguori, Vescovo e Dottore della Chiesa, e quindi particolarmente degno di fede, riporta il seguente episodio.

Quando l'università di Parigi si trovava nel periodo di maggior splendore, uno dei suoi più celebri professori morì improvvisamente. Nessuno si sarebbe immaginato la sua terribile sorte, tanto meno il Vescovo di Parigi, suo intimo amico, che pregava ogni giorno in suffragio di quell'anima.

Una notte, mentre pregava per il defunto, se lo vide apparire davanti in forma incandescente, col volto disperato. II Vescovo, compreso che l'amico era dannato, gli rivolse alcune domande; gli chiese tra l'altro: "All'inferno ti ricordi ancora delle scienze per le quali eri così famoso in vita?".

"Che scienze... che scienze! In compagnia dei demoni abbiamo ben altro a cui pensare! Questi spiriti malvagi non ci danno un momento di tregua e ci impediscono di pensare a qualunque altra cosa che non siano le nostre colpe e le nostre pene. Queste sono già tremende spaventose, ma i demoni ce le inaspriscono in modo da alimentare in noi una continua disperazione!"


sabato 5 agosto 2023

TRATTATO SULL’INFERNO

 


RACCONTA UN ARCIVESCOVO...


Mons. Antonio Pierozzi, Arcivescovo di Firenze, famoso per la sua pietà e dottrina, nei suoi scritti narra un fatto, verificatosi ai suoi tempi, verso la metà del XV secolo, che seminò grande sgomento nell'Italia settentrionale. 

All'età di diciassette anni, un ragazzo aveva tenuto nascosto in Confessione un peccato grave che non osava confessare per vergogna. Nonostante questo si accostava alla Comunione, ovviamente in modo sacrilego.

Tormentato sempre più dal rimorso, invece di mettersi in grazia di Dio, cercava di supplire facendo grandi penitenze. Alla fine decise di farsi frate. "Là - pensava - confesserò i miei sacrilegi e farò penitenza di tutte le mie colpe". 

Purtroppo, il demonio della vergogna riuscì anche là a non fargli confessare con sincerità i suoi peccati e così trascorsero tre anni in continui sacrilegi. Neanche sul letto di morte ebbe il coraggio di confessare le sue gravi colpe. 

• suoi confratelli credettero che fosse morto da santo, perciò il cadavere del giovane frate fu portato in processione nella chiesa del convento, dove rimase esposto fino al giorno dopo.

AI mattino, uno dei frati, che era andato a suonare la campana, tutto a un tratto si vide comparire davanti il morto circondato da catene roventi e da fiamme.

Quel povero frate cadde in ginocchio spaventato. II terrore raggiunse il culmine quando sentì: "Non pregate per me, perché sono all'inferno!"... e gli raccontò la triste storia dei sacrilegi.

Poi sparì lasciando un odore ripugnante che si sparse per tutto il convento. I superiori fecero portare via il cadavere senza i funerali.


giovedì 27 luglio 2023

TRATTATO SULL’INFERNO

 


UNA NOBILE SIGNORA DI LONDRA

 

Viveva a Londra, nel 1848, una vedova di ventinove anni, ricca e molto corrotta. Tra gli uomini che frequentavano la sua casa, c'era un giovane lord di condotta notoriamente libertina. 

Una notte quella donna era a letto e stava leggendo un romanzo per conciliare il sonno.

Appena spense la candela per addormentarsi, si accorse che una luce strana, proveniente dalla porta, si diffondeva nella camera e cresceva sempre più. 

Non riuscendo a spiegarsi il fenomeno, meravigliata spalancò gli occhi. La porta della camera si aprì lentamente ed apparve il giovane lord, che era stato tante volte complice dei suoi peccati.

Prima che essa potesse proferire parola, il giovane le fu vicino, l'afferrò per il polso e disse: "C'è un inferno, dove si brucia!".

La paura e il dolore che quella povera donna sentì al polso furono così forti che svenne all'istante.

Dopo circa mezz'ora, ripresasi, chiamò la cameriera la quale, entrando nella stanza, sentì un forte odore di bruciato e constatò che la signora aveva al polso una scottatura così profonda da lasciar vedere l'osso e con la forma della mano di un uomo. Notò anche che, a partire dalla porta, sul tappeto c'erano le impronte dei passi di un uomo e che il tessuto era bruciato da una parte all'altra.

II giorno seguente la signora seppe che la stessa notte quel giovane lord era morto. 

Questo episodio è narrato da Gaston De Sègur che così commenta: "Non so se quella donna si sia convertita; so però che vive ancora. Per coprire agli sguardi della gente le tracce della sua scottatura, sul polso sinistro porta una larga fascia d'oro in forma di braccialetto che non toglie mai e per questo particolare viene chiamata la signora del braccialetto".


lunedì 5 giugno 2023

TRATTATO SULL’INFERNO

 


UN EPISODIO CAPITATO A ROMA


A Roma, nel 1873, verso la metà di agosto, una delle povere ragazze che vendevano il loro corpo in una casa di tolleranza si ferì a una mano. II male, che a prima vista sembrava leggero, inaspettatamente si aggravò, tanto che quella povera donna fu trasportata urgentemente all'ospedale, dove morì poco dopo. 

In quel preciso momento, una ragazza che praticava lo stesso "mestiere" nella stessa casa, e che non poteva sapere ciò che stava avvenendo alla sua "collega" finita all'ospedale, cominciò a urlare con grida disperate, tanto che le sue compagne si svegliarono impaurite.

Per le grida si svegliarono anche alcuni abitanti del quartiere e ne nacque uno scompiglio tale che intervenne la questura. Cos'era successo? La compagna morta all'ospedale le era apparsa, circondata di fiamme, e le aveva detto: "Io sono dannata! E se non vuoi finire anche tu dove sono finita io, esci subito da questo luogo di infamia e ritorna a Dio!".

Nulla poté calmare l'agitazione di quella ragazza, tanto che, appena spuntata l'alba, se ne partì lasciando tutte le altre nello stupore, specialmente non appena giunse la notizia della morte della compagna avvenuta poche ore prima all'ospedale. 

Poco dopo, la padrona di quel luogo infame, che era una garibaldina esaltata, si ammalò gravemente e, ben ricordando l'apparizione della ragazza dannata, si convertì e chiese un sacerdote per poter ricevere i santi Sacramenti. 

L'autorità ecclesiastica incaricò della cosa un degno sacerdote, Mons. Sirolli, che era il parroco di San Salvatore in Lauro. Questi richiese all'inferma, alla presenza di più testimoni, di ritrattare tutte le sue bestemmie contro il Sommo Pontefice e di esprimere il proposito fermo di mettere fine all'infame lavoro che aveva fatto fino allora. 

Quella povera donna morì, pentita, con i conforti religiosi. Tutta Roma conobbe ben presto i particolari di questo fatto. Gli incalliti nel male, com'era prevedibile, si burlarono dell'accaduto; i buoni, invece, ne approfittarono per diventare migliori.


sabato 3 giugno 2023

TRATTATO SULL’INFERNO

 


UNA DONNA DI NAPOLI

 

Tutti sanno che la Chiesa, prima di elevare qualcuno agli onori degli altari e dichiararlo "Santo", esamina attentamente la sua vita e specialmente i fatti più strani e insoliti. 

• seguente episodio fu inserito nei processi di canonizzazione di San Francesco di Girolamo, celebre missionario della Compagnia di Gesù, vissuto nel secolo scorso.

Un giorno questo sacerdote predicava a una gran folla in una piazza di Napoli. 

Una donna di cattivi costumi, di nome Caterina, abitante in quella piazza, per distrarre l'uditorio durante la predica, dalla finestra cominciò a fare schiamazzi e gesti spudorati.

II Santo dovette interrompere la predica perché la donna non la smetteva più, ma tutto fu inutile.

II giorno dopo il Santo ritornò a predicare sulla stessa piazza e, vedendo chiusa la finestra della donna disturbatrice, domandò cosa fosse capitato. Gli fu risposto: "È morta questa notte improvvisamente". La mano di Dio l'aveva colpita. 

"Andiamo a vederla", disse il Santo. Accompagnato da altri entrò nella camera e vide il cadavere di quella povera donna disteso. II Signore, che talvolta glorifica i suoi Santi anche con i miracoli, gli ispirò di richiamare in vita la defunta. 

San Francesco di Girolamo guardò con orrore il cadavere e poi con voce solenne disse: "Caterina, alla presenza di queste persone, in nome di Dio, dimmi dove sei!". 

Per la potenza del Signore si aprirono gli occhi di quel cadavere e le sue labbra si mossero convulse: "All'inferno!... Io sono per sempre all'inferno!".


lunedì 23 gennaio 2023

TRATTATO SULL’INFERNO

 


FATTI STORICI DOCUMENTATI CHE FANNO RIFLETTERE

 UN GENERALE RUSSO


Gaston De Sègur ha pubblicato un libretto che parla dell'esistenza dell'inferno, su cui sono narrate le apparizioni di alcune anime dannate.

Riporto per intero l'episodio con le stesse parole dell'autore:

"Il fatto accadde a Mosca nel 1812, quasi nella mia stessa famiglia. Mio nonno materno, il conte Rostopchine, era allora governatore militare a Mosca ed era in stretta amicizia col generale conte Orloff, uomo valoroso, ma empio.

Una sera, dopo cena, il conte Orloff cominciò a scherzare con un suo amico volteriano, il generale V., burlandosi della religione e in particolare dell'inferno.

• Ci sarà qualcosa - disse Orloff - dopo la morte?

• Se ci sarà qualcosa - disse il generale V. - chi di noi morirà per primo verrà ad avvisare l'altro. Restiamo d'accordo?

• Benissimo! - soggiunse Orloff, e si strinsero la mano in segno di promessa.

Circa un mese dopo, il generale V. ricevette l'ordine di partire da Mosca e di prendere una posizione importante con l'esercito russo per fermare Napoleone.

Tre settimane dopo, essendo uscito di mattina per esplorare la posizione del nemico, il generale V. fu colpito al ventre da una pallottola e cadde morto. Sull'istante si presentò a Dio.

Il conte Orloff era a Mosca e non sapeva nulla della fine di quel suo amico. Quella stessa mattina, mentre stava tranquillamente riposando, ormai sveglio da un po' di tempo, si aprirono ad un tratto le tendine del letto e comparve a due passi il generale V. morto da poco, ritto sulla persona, pallido, con la destra sul petto e così parlò: 'L'inferno c'è e io ci sono dentro!' e disparve.

Il conte si alzò dal letto e uscì di casa in veste da camera, con i capelli ancora spettinati, molto agitato, con gli occhi stralunati e pallido in volto. 

Corse in casa di mio nonno, sconvolto e ansimante, per raccontare l'accaduto.

Mio nonno si era alzato da poco e, meravigliato nel vedere a quell'ora e vestito in quel modo il conte Orloff, disse:

• Conte che cosa vi è capitato?.

• Mi sembra di impazzire per lo spavento! Ho visto poco fa il generale V.!

• Ma come? Il generale è già arrivato a Mosca? 

• No! - rispose il conte gettandosi sul divano e tenendosi la testa tra le mani. - No, non è tornato, ed è questo appunto che mi spaventa! E subito, trafelato, gli raccontò l'apparizione in tutti i particolari.

Mio nonno cercò di calmarlo, dicendogli che poteva trattarsi di fantasia, o di un'allucinazione, o di un brutto sogno e aggiunse che non doveva considerare morto l'amico generale.

Dodici giorni dopo, un messo dell'esercito annunziava a mio nonno la morte del generale; le date coincidevano: la morte era avvenuta la mattina di quello stesso giorno in cui il conte Orloff se l'era visto comparire in camera."


domenica 9 ottobre 2022

È VERITA’ DI FEDE

 


TRATTATO SULL’INFERNO


L'esistenza dell'inferno è assicurata e ripetutamente insegnata da Gesù Cristo; è dunque una certezza, per cui è un grave peccato contro la fede dire che: "L'inferno non c'è!".

Ed è un grave peccato anche solo il mettere in dubbio questa verità: "Speriamo che l'inferno non ci sia!". 

Chi pecca contro questa verità di fede? Gli ignoranti in materia di religione che non fanno nulla per istruirsi nella fede, i superficiali che prendono alla leggera un affare di così grande importanza e i gaudenti ingolfati nei piaceri illeciti della vita. 

In generale ridono dell'inferno proprio quelli che sono già sulla strada giusta per finirci dentro. Poveri ciechi e incoscienti!


Non c'è da stupirsi che il Divino Salvatore abbia quasi sempre sulle labbra la parola “inferno”: non ce n'è un'altra che esprima così chiaramente e così propriamente il senso della sua missione.

(J. Staudinger)


lunedì 25 luglio 2022

TRATTATO SULL’INFERNO - IL NUMERO DEI DANNATI

 


Nota sul tema: "IL NUMERO DEI DANNATI " trattato a pag. 15 Da come l'Autore tratta l'argomento del numero dei dannati si sente che la situazione, dal tempo suo al nostro, è profondamente cambiata.

 

L'Autore scriveva in un tempo in cui, in Italia, poco o tanto, quasi tutti avevano un qualche legame con la fede, se non altro sotto forma di lontani ricordi, mai del tutto dimenticati, che affioravano quasi sempre in punto di morte.

Nel nostro tempo, invece, anche in questa povera Italia, un tempo cattolica e che il Papa è arrivato a definire oggi 'terra di missione", troppi, non avendo più nemmeno un pallido ricordo della fede, vivono e muoiono senza alcun riferimento a Dio e senza porsi il problema dell'aldilà. Molti vivono e "muoiono come cani", diceva il Card. Siri, anche perché molti sacerdoti sono sempre meno solleciti nel prendersi cura dei morenti e nel proporre loro la riconciliazione con Dio!

È chiaro che nessuno può dire quanti siano i dannati. Ma considerando il dilagare attuale dell'ateismo... dell'indifferenza... dell'incoscienza... della superficialità... e dell'immoralità... io non sarei così ottimista come l'Autore nel dire che sono pochi quelli che si dannano. 

Sentendo che Gesù parlava spesso del paradiso e dell'inferno, gli Apostoli un giorno gli chiesero: "Chi si potrà dunque salvare?". Gesù, non volendo che l'uomo penetrasse in una verità tanto delicata, rispose in modo evasivo: "Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!" (Mt 7, 13-14).

Che significato dare a queste parole di Gesù?

La via del bene è aspra, perché consiste nel dominare la turbolenza delle proprie passioni per vivere in conformità al volere di Gesù: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16, 24).

La via del male, che porta all'inferno, è comoda ed è battuta dai più, perché è molto più facile correre dietro ai piaceri della vita, appagando la superbia, la sensualità, la cupidigia, ecc... 

"Dunque, - può concludere qualcuno - dalle parole di Gesù si può pensare che la maggior parte degli uomini andrà all'inferno!". I Santi Padri e, in generale, i moralisti, affermano che i più si salveranno. Ecco le argomentazioni che portano. 

Dio vuole che tutti gli uomini si salvino, a tutti dà i mezzi per raggiungere l'eterna felicità; non tutti però si aggrappano a questi doni e, divenendo deboli, restano schiavi di Satana, nel tempo e per l'eternità. 

Tuttavia pare che la maggioranza vada in paradiso.

Ecco alcune confortanti parole che troviamo nella Bibbia: è "grande presso di Lui la redenzione" (Sal 129, 7). E ancora: "Questo è il mio Sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati" (Mt 26, 28). Dunque, sono molti quelli che usufruiscono della Redenzione del Figlio di Dio. 

Dando uno sguardo sia pur rapido all'umanità, vediamo che molti muoiono prima di essere arrivati all'uso di ragione, quando non sono ancora in grado di commettere peccati gravi. Costoro certamente non andranno all'inferno.

Moltissimi vivono nell'ignoranza completa della religione cattolica, ma senza propria colpa, trovandosi in paesi nei quali non è ancora giunta la luce del Vangelo. Questi, se osservano la legge naturale, non andranno all'inferno, perché Dio è giusto e non dà un castigo immeritato. 

Ci sono poi i nemici della religione, i libertini, i corrotti. Non tutti questi finiranno all'inferno perché in vecchiaia, calando non poco il fuoco delle passioni, facilmente ritorneranno a Dio. 

Quante persone mature, dopo le delusioni della vita, riprendono la pratica della vita cristiana! 

Molti cattivi si rimettono in grazia di Dio perché provati dal dolore, o per un lutto di famiglia, o perché in pericolo di vita. Quanti muoiono bene negli ospedali, sui campi di battaglia, nelle prigioni o in seno alla famiglia! 

Non sono molti quelli che rifiutano i conforti religiosi in fin di vita, perché, davanti alla morte, di solito si aprono gli occhi e svaniscono tanti pregiudizi e spavalderie. 

Sul letto di morte la grazia di Dio può essere molto abbondante perché ottenuta dalla preghiera e dai sacrifici dei parenti e di altre persone buone che pregano ogni giorno per gli agonizzanti.

Quantunque molti battano la via del male, tuttavia un buon numero ritorna a Dio prima di entrare nell'eternità.


venerdì 3 dicembre 2021

TRATTATO SULL’INFERNO - GESU’ HA PARLATO MOLTE VOLTE DEL PARADISO

 


GESU’ HA PARLATO MOLTE VOLTE DEL PARADISO


Nella pienezza dei tempi, duemila anni fa, mentre a Roma imperava Cesare Ottaviano Augusto, fece la sua comparsa nel mondo il Figlio di Dio, Gesù Cristo. Ebbe allora inizio il Nuovo Testamento.

Chi può negare che Gesù sia veramente esistito? Nessun fatto storico è così tanto documentato.

II Figlio di Dio dimostrò la sua Divinità con molti e strepitosi miracoli e a tutti quelli che ancora dubitavano lanciò una sfida: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere" (Gv 2, 19). Disse inoltre: "Come Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra" (Mt 12, 40).

La risurrezione di Gesù Cristo è indubbiamente la prova più grande della sua Divinità.

Gesù faceva i miracoli non solo perché, mosso dalla carità, voleva soccorrere dei poveri ammalati, ma anche perché tutti, vedendo la sua potenza e comprendendo che veniva da Dio, potessero abbracciare la verità senza alcuna ombra di dubbio.

Gesù disse: "lo sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Gv 8,12). La missione del Redentore era quella di salvare l'umanità, redimendola dal peccato, e di insegnare la via sicura che porta al Cielo.

• buoni ascoltavano con entusiasmo le sue parole e praticavano i suoi insegnamenti.

Per invogliarli a perseverare nel bene, spesso parlava del grande premio riservato ai giusti nell'altra vita.

"Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5, 11-12).

"Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria... e dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione dei mondo" (cfr. Mt 25, 31. 34).

Disse inoltre: "Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Lc 10, 20).

"Quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti" (L c 14, 13-14).

“Io preparo per voi un regno, come il Padre mio l'ha preparato per me” (Lc 22, 29).

 

GESU’ HA PARLATO ANCHE DEL CASTIGO ETERNO

A un buon figlio, per obbedire, basta conoscere cosa desidera il padre: obbedisce sapendo di fargli piacere e di godere del suo affetto; mentre a un figlio ribelle si minaccia una punizione.

Così ai buoni basta la promessa del premio eterno, il Paradiso, mentre ai malvagi, vittime volontarie delle proprie passioni, è necessario presentare il castigo per scuoterli.

Vedendo Gesù con quanta malvagità tanti suoi contemporanei e persone dei secoli futuri avrebbero chiuso gli orecchi ai suoi insegnamenti, desideroso com'era di salvare ogni anima, parlò del castigo riservato nell'altra vita ai peccatori ostinati, cioè la punizione dell'inferno.

La prova più forte dell'esistenza dell'inferno è data dunque dalle parole di Gesù.

Negare o anche solo dubitare delle terribili parole del Figlio di Dio fatto Uomo, sarebbe come distruggere il Vangelo, cancellare la storia, negare la luce del sole.


È DIO CHE PARLA

Gli ebrei credevano di aver diritto al Paradiso soltanto perché erano discendenti di Abramo.

E siccome molti resistevano agli insegnamenti divini e non volevano riconoscerlo come il Messia inviato da Dio, Gesù, minacciò loro la pena eterna dell'inferno.

"Vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno (gli ebrei) saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti" (Mt 8, 11-12).

Vedendo gli scandali del suo tempo e delle generazioni future, per far rinsavire i ribelli e preservare dal male i buoni, Gesù parlò dell'inferno e con toni molto forti: "Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!" (Mt 18, 7).

"Se la tua mano o il tuo piede ti scandalizzano, tagliali: è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, piuttosto che essere gettato con due mani e due piedi nell'inferno, nel fuoco inestinguibile" (cfr. Mc 9, 43-46. 48).

Gesù, dunque, ci insegna che bisogna essere disposti a qualunque sacrificio, anche il più grave, come l'amputazione di un membro del nostro corpo, pur di non finire nel fuoco eterno.

Per sollecitare gli uomini a trafficare i doni ricevuti da Dio, come l'intelligenza, i sensi del corpo, i beni terreni... Gesù raccontò la parabola dei talenti e la concluse con queste parole: "Il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti" (Mt 25, 30).

Quando preannunciò la fine del mondo, con la risurrezione universale, accennando alla sua gloriosa venuta e alle due schiere, dei buoni e dei cattivi, soggiunse: "... a quelli posti alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli" (Mt 25, 41).

• pericolo di andare all'inferno c'è per tutti gli uomini, perché durante la vita terrena tutti corriamo il rischio di peccare gravemente.

Anche ai suoi stessi discepoli e collaboratori Gesù fece presente il pericolo che correvano di finire nel fuoco eterno. Erano andati in giro per le città e i villaggi, annunziando il regno di Dio, guarendo gli infermi e cacciando i demoni dal corpo degli ossessi. Ritornarono lieti per tutto questo e dissero: "Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome". E Gesù: "Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore" (Lc 10, 17-18). Voleva raccomandare loro di non insuperbirsi per quanto avevano fatto, perché la superbia aveva fatto piombare Lucifero all'inferno.

Un giovane ricco si stava allontanando da Gesù, rattristato, perché era stato invitato a vendere i suoi beni e a darli ai poveri. II Signore così commentò l'accaduto: "In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli. A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: “Chi si potrà dunque salvare?”. E Gesù, fissando su di loro lo sguardo disse: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile”. (Mt 19, 23-26).

Con queste parole Gesù non voleva condannare la ricchezza che, in sé, non è cattiva, ma voleva farci comprendere che chi la possiede si trova nel grave pericolo di attaccarvi il cuore in modo disordinato, fino a perdere di vista il paradiso e il rischio concreto della dannazione eterna.

Ai ricchi che non esercitano la carità Gesù ha minacciato un maggior pericolo di finire all'inferno.

"C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Persino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: 'Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura'. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra voi e noi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né da lì si può attraversare fino a noi”. E quegli replicò: 'Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento'. Ma Abramo rispose: 'Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro'. E lui: “No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvedranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi”. (Lc 16, 19-31 ).

 

• MALVAGI DICONO...

Questa parabola evangelica, oltre a garantirci che l'inferno esiste, ci suggerisce anche la risposta da dare a chi osa dire scioccamente: "lo crederei all'inferno soltanto se qualcuno, dall'aldilà, venisse a dirmelo!".

Chi si esprime così, normalmente è già sulla via del male e non crederebbe neanche se vedesse un morto risuscitato.

Se, per ipotesi, oggi venisse qualcuno dall'inferno, tanti corrotti o indifferenti che, per continuar a vivere nei loro peccati senza rimorsi, hanno interesse che l'inferno non esista, sarcasticamente direbbero: "Ma questo è matto! Non diamogli ascolto!".