ALCUNE "COLPE"... DI CERTI CONFESSORI
LA FRETTA - Per "non perdere troppo tempo", qualche confessore se la sbriga con i penitenti più in fretta che può, talvolta impedendo loro perfino di concludere l'accusa dei peccati, o comunque senza dedicare ad essi l'attenzione e la calma che sarebbero necessarie.
Chi desidera confessarsi bene avverte la fretta del sacerdote con sofferenza e ne resta deluso, tanto più se, oltre a confessare i suoi peccati, desiderava prospettare al sacerdote qualche problema.
Altri penitenti, invece, i "filibustieri", sono ben contenti di sbrigare le cose in fretta, perché così se la cavano senza tante rogne, senza essere invitati a guardarsi dentro e, soprattutto, senza alcun impegno di conversione.
Sia i primi, i delusi, che i secondi, i contenti, restano comunque gravemente danneggiati da questo comportamento del sacerdote: i primi... perché se ne escono senza quella luce di verità o senza quella parola di conforto che speravano di trovare; i secondi... perché possono continuar a vivere tranquillamente nelle loro colpe, non disturbati, né tanto né poco, da quella stessa luce di verità che desideravano... non ricevere.
LA NOIA - Qualche confessore può dare ai penitenti l'impressione di essere altrove con la mente.
In questo caso chi si confessa avverte una sensazione di distacco, quasi di indifferenza da parte del sacerdote, si sente trattato più come un "numero" che come una persona e questo certamente non facilita l'apertura.
LA SCARSA DISPONIBILITA - La comunità cristiana ha bisogno di sapere quando, come e dove trovare il sacerdote per le Confessioni, ma sono piuttosto poche le parrocchie che danno indicazioni precise di tempo e di luogo perché i fedeli possano andare a colpo sicuro.
E così, persone che hanno il bisogno e il desiderio di "scaricare" il loro fardello se ne restano con la loro "zavorra" e con la loro sofferenza interiore per chissà quanto tempo.
LA DUREZZA - Forse, credendo di servire la verità e di fare il bene delle anime, qualche confessore usa un linguaggio duro anche senza motivo, dimenticando che la Confessione è essenzialmente il sacramento della misericordia. Una certa durezza è utile e necessaria con i falsi pentiti, con coloro che più che convertirsi vorrebbero "convertire" il sacerdote e convincerlo che i loro vizi... non sono vizi, ma virtù. È una situazione, questa, che sempre più spesso capita oggi di vivere nel confessionale.
Ma con chi pecca per debolezza e riconosce il proprio peccato e vorrebbe liberarsene, occorre tutta la bontà, tutta la comprensione, tutto l'incoraggiamento possibili.
Per la verità, questo atteggiamento della durezza oggi non è più molto frequente...
LA DEBOLEZZA - Con i tempi che corrono è invece molto più facile trovare nel confessore una "dolcezza" fuori posto, una specie di bontà mielosa che non è vera bontà e che non viene dalla misericordia, ma dalla paura di doversi scontrare col penitente.
E così, si regalano "tranquillanti" anche a chi avrebbe bisogno di "stimolanti", si dicono parole "buone" anche a chi avrebbe bisogno di una parola forte... si evita di valutare in tutte le sue problematiche la situazione di un'anima, anche se sarebbe il caso di farlo... si sottolinea a dismisura la bontà del Signore, fino a dare di Lui non l'immagine di un "Padre", ma di un "Babbo Natale" un po' rimbambito che tutto dà e nulla chiede.
Questo "befanismo" oggi tanto di moda, impastato di debolezza e di cedimento, non solo non porta ai penitenti alcun beneficio spirituale, ma, al contrario, ne deforma la coscienza.
Chi si confessa ha bisogno di trovare un uomo nel sacerdote, o meglio: un uomo di Dio, non un mollusco!
IN CONFESSIONALE VESTITI IN BORGHESE - Giustamente la Chiesa vuole che il sacerdote sia sempre chiaramente riconoscibile anche nel modo di vestire e, a questo riguardo, stabilisce norme precise.
Quando poi un sacerdote compie un'azione liturgica, la Chiesa gli fa obbligo, ancora più fermamente, di indossare abiti sacri e cioè delle vesti che aiutino i fedeli a percepire più facilmente la sacralità dell'azione che sta per compiersi.
Non solo: le vesti volute dalla Chiesa contribuiscono a ridimensionare la personalità umana del sacerdote, quasi a farlo sparire come persona, perché appaia con maggior risalto la maestà di Colui che il ministro rappresenta: Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore.
Quando un sacerdote confessa, è Gesù che agisce in lui, è Gesù che ascolta l'umile manifestazione che il penitente fa delle sue colpe ed è sempre Gesù che assolve.
Al sacerdote che confessa, la Chiesa impone di portare la veste (non il clergyman, tanto meno un vestito qualsiasi) e, su questa, la stola. Salvo casi urgenti che possono capitare in situazioni impreviste, ogni variante rispetto a ciò che vuole la Chiesa. è un arbitrio del tutto ingiustificato, una scelta che non facilita, ma ostacola il ricorso dei fedeli al sacramento della Confessione, perché più difficilmente vedono Gesù in un prete in blue-jeans e "dolce-vita", o comunque vestito in borghese e magari "targato Valentino".
Come può un sacerdote educare i penitenti all'obbedienza a Dio (perché non solo, ma anche a questo mira la Confessione), se semina il cattivo esempio della disobbedienza alla Chiesa?
I fedeli farebbero bene a tener conto di questo e a non confessarsi dai preti che si ostinano in questa "bravata".
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