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domenica 14 aprile 2024

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Materia delle espiazioni: mancamenti di giustizia - Il Padre d'Espinoza ed i pagamenti. 


Una moltitudine di rivelazioni ci mostrano che Dio con un implacabile rigore punisce tutti i peccati contrari alla giustizia ed alla carità. In materia di giustizia sembra esigere che la riparazione si faccia prima che sia rimessa la pena; come nella Chiesa militante, i suoi ministri devono esigere la restituzione per rimetter la colpa: senza restituzione nessuna remissione. 

    Il P. Rossignoli (46) parla d'un religioso della sua Compagnia chiamato Agostino d'Epinoza, la cui santa vita non era che un atto di continuo suffragio alle anime del Purgatorio. Essendo morto un ricco che da lui si confessava, senza aver sufficientemente regolati i suoi affari, gli apparve e dapprima gli chiese se lo conosceva. - «Senza dubbio, rispose il Padre: pochi giorni prima della vostra morte vi ho confessato. - Sappiate dunque, disse il defunto, che per grazia speciale di Dio vengo a scongiurarvi di placare la sua giustizia fare per me quanto non potei fare io stesso. 

Seguitemi...» 

    Il Padre dapprima va dal suo superiore, gli rende conto di quanto gli si chiede ed insiste per avere il permesso di seguire lo strano suo visitatore. Ottenuto il permesso, esce e segue l'apparso, che, senza pronunziare una parola, lo conduce ad uno dei punti della città. Là questi prega il Padre di aspettar un poco, s'allontana e scompare per un momento; poscia ritorna con un sacco di denaro, pregando il Padre di portarlo, e tutti due rientrano in convento, nella cena del religioso. Allora il morto gli consegna un biglietto scritto, e mostrando il denaro: «Tutto questo, dice, è a vostra disposizione; abbiate la carità di disporne per soddisfare i miei creditori, i cui nomi sono indicati su questo biglietto, colla somma loro dovuta. Di quanto in seguito rimarrà della somma, impiegatelo in buone opere a vostra elezione, pel riposo dell'anima mia». Dette queste parole, scomparve, ed il Padre si fece dovere di compiere tutte le sue intenzioni. 

    Erano appena passati otto giorni che di nuovo si fece vedere al Padre d'Espinoza. Questa volta ringraziò il Padre con effusione. «Per la caritatevole esattezza, gli disse, colla quale avete pagato i debiti da me lasciati sulla terra, e in grazia ancora delle sante messe che per me avete celebrato, ora sono libero da tutte le mie pene, ed ammesso all'eterna beatitudine». 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G. 

giovedì 29 febbraio 2024

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Materia delle espiazioni: immortificazioni della lingua. - Durando, religioso benedettino. Le suore Geltrude e Margherita. - S. Ugo di Cluny ed il violatore del silenzio. 

  

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     Un altro difetto, da cui il cristiano che vuole schivare i rigori del Purgatorio deve molto guardarsi, perché facilmente vi si cade, è l'immortificazione della lingua. Oh! quanto è facile fallare nelle parole! Quanto è raro parlare a lungo senza proferire qualche parola contraria alla dolcezza, alla umiltà, alla sincerità, alla cristiana carità! Le stesse persone pie sono soggette a questi falli; quando sfuggirono a tutte le altre insidie del demonio, si lasciano prendere, dice san Girolamo, in un'ultima rete, la maldicenza. Ascoltiamo ciò che riferisce in proposito Vincenzo di Beauvais (44). 

    Quando il celebre Durando, che nell'undecimo secolo illustrò l'Ordine di S. Benedetto, era ancora semplice religioso, si mostrava un modello di regolarità e di fervore; ma aveva un difetto: la vivacità del suo spirito lo portava a parlar troppo; eccessivamente amava la parola ridendo spesso alle spese della carità. Ugo, suo abate, gli fece su questo oggetto correzioni, predicendogli pure che, se non si correggeva, certamente avrebbe avuto nel Purgatorio a scontare queste giovialità fuor di luogo. 

    Durando non diede troppa importanza a questi avvisi, e continuò ad abbandonarsi senza tanto freno allo sregolamento della lingua. Dopo la sua morte, si realizzò la predizione dell'abate Ugo. 

Durando apparve ad un religioso suo amico, supplicandolo d'aiutarlo colle sue preghiere, perché era crudamente punito per l'intemperante suo linguaggio. In seguito a questa apparizione, si riunì la comunità, si stabilì d'osservare, per otto giorni, un rigoroso silenzio, e di praticare altre buone opere, per sollevare il defunto. Queste caritatevoli preghiere produssero il loro effetto: dopo qualche tempo, Durando comparì di nuovo per annunziare la sua liberazione. 

    Il fatto seguente è tolto da Cesario (45). «In un monastero dell'Ordine dei Cistercensi, dice quell'autore, vivevano due giovani religiose, per nome suor Geltrude e suor Margherita. La prima, sebbene d'altra parte virtuosa, non vigilava abbastanza sulla sua lingua; frequentemente violava il prescritto silenzio, alcune volte anche nel coro, prima e dopo l'uffizio. Invece di raccogliersi con rispetto nel luogo santo e di preparare il suo cuore alla preghiera, si dissipava rivolgendo a suor Margherita, che le stava al fianco, inutili parole, di modo che, oltre alla violazione della sua regola ed alla mancanza di pietà, era per la sua compagna un soggetto di scandalo. Morì ancor giovane, ed ecco che poco tempo dopo la sua morte, suor Margherita, andando all'uffizio, la vede. venire essa pure a sedersi nello stallo che occupava vivendo. 

     «A quella vista la suora fu per svenire. Ripresi i sensi, raccontò alla sua superiora quanto vedeva. 

Questa le disse di non inquietarsi; ma, se ricompariva la defunta, di chiederle in nome del Signore la causa della sua venuta. 

     «Ricomparve difatti l'indomani, allo stesso modo, e, secondo l'ordine della superiora, Margherita le disse: «Mia cara suor Geltrude, donde e vieni e che vuoi? - Vengo, rispose ella a soddisfare alla divina giustizia nel luogo ove peccai. «E' qui, in questo santo luogo, consacrato alla preghiera, che offesi Dio con parole inutili e contrarie al religioso rispetto, col cattivo esempio dato alla comunità, e collo scandalo che diedi a te in particolare, Oh! se tu sapessi, e aggiunse, quanto soffro! sono divorata dalle fiamme; soprattutto la mia lingua ne è crudelmente tormentata». Scomparve quindi dopo di aver domandate preghiere». 

    Quando S. Ugo, che nel 1409 succedette ad Odilone, governava il fiorente monastero di Cluny, uno dei suoi religiosi che era stato poco fedele alla regola del silenzio, venuto a morire comparve al santo abate per implorare il soccorso delle sue preghiere. Aveva la bocca piena di schifose ulceri, a punizione, diceva, delle sue parole inutili. - Ugo ordinò a tutta la sua comunità sette giorni di silenzio, che si passarono nel raccoglimento e nella preghiera. Allora di nuovo comparve il defunto, liberato dalle ulceri, colla faccia raggiante, a testificare la sua riconoscenza pel caritatevole soccorso ricevuto dai suoi confratelli. 

    Se tale è il castigo delle parole semplicemente oziose, quale sarà quello delle parole più colpevoli? 


Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G. 

sabato 3 febbraio 2024

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Materia delle espiazioni: mancanza di rispetto nella preghiera. - La Madre Agnese di Gesù e suor Angelica. - S. Severino di Colonia. - Il Padre Streit della Compagnia di Gesù. 

  

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     Dobbiamo trattare santamente le cose sante: ogni irriverenza negli esercizi religiosi sommamente dispiace al Signore. La venerabile Agnese di Langeac, priora del suo convento, molto raccomandava alle religiose il rispetto ed il fervore in tutte le loro relazioni con Dio. ricordando quelle parole della Scrittura: Maledetto chi fa l'opera di Dio negligentemente! 

    Morì una suora della comunità, chiamata Angelica, e la pia superiora pregava vicino alla sua tomba, quando d'un tratto dinanzi a lei vide la sorella defunta, in abito da religiosa, e nel tempo stesso sentì come una fiamma ardente che le si accostava alla faccia. Suor Angelica la ringraziò di averla eccitata al fervore, ed in particolare di averle spesso in vita ripetuto quella parola dei libri santi: Maledetto colui che fa l'opera di Dio negligentemente! - «Continuate, madre mia, aggiunse, ad eccitare le sorelle al fervore, sicché lo conservino con suprema diligenza e lo amino con tutto il cuore, con tutta la potenza dell'anima loro. Se si potesse comprendere quanto sono rigorosi i tormenti del Purgatorio, di certo niuno si abbandonerebbe alla minima negligenza». 

    Questo avvertimento riguarda particolarmente i sacerdoti, di cui continue e più sublimi sono le relazioni con Dio: se ne ricordino sempre e giammai lo dimentichino, sia che offrono a Dio l'incenso della preghiera, sia che dispensino i divini tesori dei Sacramenti, sia che all'altare celebrino i misteri del corpo e del sangue di Gesù Cristo. Ecco ciò che riferisce S. Pietro Damiani nella sua lettera a Desiderio. 

    San Severino, arcivescovo di Colonia, coll'esempio di tutte le virtù èdificava la sua Chiesa: la sua vita tutta apostolica, le sue grandi fatiche per la dilatazione del regno di Dio nelle anime dovevano meritargli gli onori della canonizzazione. Tuttavia, dopo la sua morte, comparve ad uno dei canonici della sua cattedrale per chiedere preghiere. Quel degno sacerdote non poteva comprendere che un santo prelato, quale aveva conosciuto Severino, avesse bisogno di preghiere nell'altra vita. 

«È vero, disse il defunto, Dio mi fece la grazia di servirlo con tutto il cuore e di lavorare per lungo tempo nella sua vigna, ma spesso io l'ho offeso col modo troppo frettoloso con cui recitai il santo uffizio. Gli affari e le preoccupazioni di ogni giorno talmente mi assorbivano, che, giunta l'ora della preghiera, di questo gran dovere mi sdebitavo con poco raccoglimento, ed alcune volte in ore diverse da quelle fissate dalla Chiesa. Adesso espio queste infedeltà, e Dio mi permette di venir a domandare le vostre preghiere». 

    Aggiunge la storia, che per questo sol fatto Severino stette sei mesi nel Purgatorio. 

    Il 12 novembre 1643, nel noviziato di Brunn (Boemia) morì il Padre Filippo Streit della Compagnia di Gesù, religioso d'una grande santità. Tutti i giorni faceva l'esame della sua coscienza colla più diligente cura, e con questo mezzo acquistò una grande purezza d'anima. Alcune ore dopo la sua morte, glorioso apparve ad un Padre del suo Ordine, il venerabile Martino Strzeda. Un sol fallo, egli disse, l'impedì d'andare diritto al Cielo e per otto ore lo ritenne nel Purgatorio, e fu di non aver creduto con sufficiente fiducia alle parole del suo superiore, che alletto di morte si sforzava di calmare le ultime sue inquietudini di coscienza, e di cui con maggior perfezione avrebbe dovuto riguardare l'assicurazione come la voce stessa di Dio. 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G. 

lunedì 15 gennaio 2024

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Materia delle espiazioni: negligenza nella santa Comunione. - Luigi di Blois. - S, Maddalena de' Pazzi e la defunta in orazione. 

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Alla tiepidezza si unisce la negligenza nel prepararsi al convito eucaristico. Se la Chiesa non cessa di chiamare i suoi figli alla sacra mensa, se desidera che spesso si comunichino, sempre intende che lo facciano colla pietà e col fervore voluto da un sì grande mistero. Ogni volontaria negligenza in un'azione tanto santa, è un'offesa alla santità di Gesù Cristo, offesa che dovrà essere riparata con una giusta punizione. Il venerabile Luigi di Blois, nel suo Specchio Spirituale, parla di un gran servo di Dio, che per mezzo soprannaturale conobbe quanto severamente queste sorta di falli sono puniti nell'altra vita. Ricevette la visita di un'anima del Purgatorio, che implorava il suo soccorso in nome della amicizia che altre volte li univa; sosteneva, diceva essa crudeli tormenti per la negligenza, colla quale s'era preparata a ricevere la santa Eucaristia, nei giorni del suo terreno pellegrinaggio. Non poteva essere liberata che con una fervente comunione, che compensasse la passata sua tiepidezza. - Il suo amico si diede premura di sodo disfarla, fece una comunione con tutta la purezza di coscienza, con tutta la fede, con tutta la possibile divozione: ed allora vide l'anima santa apparirle brillante d'uno splendore incomparabile e ascendente al Cielo (42). 

   L'anno 1589, nel monastero di S. Maria degli Angeli a Firenze, morì una religiosa assai stimata dalle sue sorelle, ma che ben presto apparve a S. Maddalena de' Pazzi, per impetrare il suo soccorso nel rigoroso purgatorio al quale era condannata. Stava la santa dinanzi al Sacramento dell'altare, quando scorse la defunta inginocchiata in mezzo alla chiesa ed atteggiata a profonda adorazione e in uno strano stato. Aveva intorno a sé un mantello di fiamme che sembrava consumarla, ma una veste bianca, di cui era coperto il suo corpo, in parte la difendeva dall'azione del fuoco. Stupefatta, Maddalena desiderò sapere che significava quella apparizione, e le fu risposto che quell'anima così soffriva per avere avuto troppo poca divozione verso il SS. Sacramento. Malgrado le prescrizioni e le sante usanze dell'Ordine, non si era comunicata che assai di rado e con negligenza, ed era per ciò che la divina giustizia l'aveva condannata ad adorare ogni giorno la sant'Eucaristia e subire il tormento del fuoco ai piedi di Gesù Cristo. Tuttavia a ricompensa della verginale sua purità, raffigurata nella bianca veste, il divino Sposo aveva d'assai mitigato i suoi patimenti. 

    Tale fu la cognizione che il Signore diede alla sua serva. Essa ne fu grandemente commossa e con tutti i suffragi che stavano in suo potere si sforzò d'aiutare la povera anima. Di spesso raccontò questa apparizione e se ne servì per esortare le sue figlie spirituali allo zelo per la santa Comunione (43).

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G.

 

domenica 17 dicembre 2023

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Materia delle espiazioni: la tiepidezza. - S. Bernardo ed il religioso cistercense. - Il Padre Seurin e la religiosa di Loudun. 

  

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I buoni cristiani, i preti, i religiosi, che con tutto il loro cuore vogliono servir Dio, molto devono star in guardia contro lo scoglio della tiepidezza e della negligenza. Dio vuol essere servito con fervore; i tiepidi e i trascurati eccitano il suo disgusto, giungendo egli fino a minacciare la sua maledizione a quelli che negligentemente fanno le cose sante. Basti dire che severamente punirà nel Purgatorio ogni negligenza nel suo servizio.

 Fra i discepoli di S. Bernardo che colla loro santità profumavano la celebre vallata di Chiaravalle, uno se ne trovò, la cui negligenza tristamente contrastava col fervore dei suoi confratelli. Mentre si cantava la messa dei suoi funerali, un religioso della comunità, vecchio d'una virtù non comune, per un lume interiore conobbe che la sua anima, senza essere dannata, era nello stato più infelice. - La notte seguente gli apparve in persona il defunto con un aspetto esteriore miserabile e profondamente desolato, che gli disse: «Conoscete l'infelice mio stato; ora mirate i tormenti ai quali sono abbandonato in punizione della mia colpevole tiepidezza». Ciò detto, condusse il vecchio sull'orlo di un pozzo largo e profondo, tutto ripieno di fumo e di fiamme. «Ecco il luogo aggiunse, ove i ministri della divina giustizia hanno ordine di tormentarmi; essi non cessano di precipitarmi in questo abisso, dal quale subito mi ritirano per precipitarmi di nuovo, senza darmi un istante di tregua». 

 L'indomani, al mattino, quel religioso andò a trovare S. Bernardo per partecipargli la sua visione. Il santo abate, che aveva avuto una somigliante apparizione, vi vide un avviso del Cielo dato alla sua comunità. Convocò tosto il capitolo, e con le lacrime agli occhi raccontò la duplice visione, esortando i suoi religiosi a soccorrere con caritatevoli suffragi il loro povero con fratello defunto e ad approfittare di quel triste esempio per conservarsi nel fervore e schivare le più piccole negligenze nel servizio di Dio (41). 

 Citiamo un altro esempio, tutto adatto a stimolare l'ardore dei pii fedeli. Una santa religiosa di nome Maria dell'Incarnazione, del monastero delle Orsoline di Loudun, apparve qualche tempo dopo la morte alla sua superiora, donna di intelligenza e di merito, che ne scrisse i particolari al Padre Seurin della Compagnia di Gesù. La sua lettera, si trova inserita nella corrispondenza del Padre: «Il 6 novembre, gli scriveva, fra le tre e le quattro di mattina, Suor Maria dell'Incarnazione si presentò a me con una faccia dolcissima, che, più che sofferente, pareva umiliata: tuttavia ben m'accorsi che soffriva molto. 

 «In sulle prime, vedendola vicino, provai un grande spavento, ma siccome nulla aveva di spaventevole in se stessa, tosto mi rassicurai. Le chiesi in quale stato si trovava, e se potessimo renderle qualche servizio. Rispose: «Soddisfo col Purgatorio alla divina giustizia». - 

La pregai di dirmi che cosa ve la riteneva. Allora mandando un profondo sospiro, rispose: «Sono parecchie negligenze nei comuni esercizi; una certa debolezza ch'ebbi nel lasciarmi trascinare dall'esempio delle religiose imperfette; finalmente, e sopratutto, l'abito che ebbi di ritenere presso di me cose di cui non aveva il permesso di disporre e di servirmene secondo i miei bisogni e secondo le mie inclinazioni. Oh! se si sapesse, continuò la buona suora, il male che si fa alla propria anima non dandosi alla perfezione, e quanto duramente un giorno si dovrà espiare le soddisfazioni prese contro il lume della coscienza si avrebbe ben altro ardore a farsi violenza in vita! Oh! Dio vede le cose con occhio ben diverso dal nostro, e ben altrimenti le giudica». «La pregai di dirmi se soffriva molto. - «I miei dolori, rispose, sono incomprensibili a quelli che non li sentono». Dicendo queste parole, s'avvicinò al mio volto, come per congedarsi da me: ma mi sembrò che fosse un carbone di fuoco che mi bruciasse, sebbene il suo volto non toccasse il mio, ed il mio braccio avendo un po' rasentato una sua manica, si trovò bruciato: ne provai un vivo dolore».

Un mese dopo di nuovo apparve a questa medesima superiora per annunciarle la sua liberazione. 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G. 

domenica 3 dicembre 2023

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Materia delle espiazioni nel Purgatorio: lo scandalo e l'immortificazione. - Il pittore e il religioso carmelitano. - Espiazioni dell'immortificazione.  

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Quelli che ebbero la disgrazia di dar cattivo esempio e di perdere o di ferire le anime collo scandalo, devono procurare di riparare al tutto in questo mondo, se nell'altro non vogliono scontare una terribile espiazione. Non invano Gesù Cristo ha gridato: Guai al mondo per causa dei suoi scandali! Guai a colui pel quale avviene lo scandalo! (40). Ecco ciò che riferisce il P. Rossignoli nelle sue Maraviglie del Purgatorio. Un pittore di gran talento e d'una vita esemplare, aveva però una volta fatto un quadro poco conforme alle severe leggi della cristiana modestia. Era una di quelle malaugurate pitture, che, sotto pretesto d'arte qualche volta si trovano nelle migliori famiglie e la cui vista produce la perdita di tante anime. L'arte vera è una ispirazione del Cielo, che solleva l'anima a Dio; il genio verista che non si indirizza che ai sensi, che agli occhi non presenta che bellezze di carne e di sangue, non è che un'ispirazione dello spirito immondo; le sue opere ben possono essere brillanti: non sono opere di arte, e falsamente loro si dà un tal nome: sono infami produzioni di una vergognosa immaginazione. Il pittore, di cui parliamo, in questa parte aveva ceduto all'impulso del cattivo esempio. Però, ben presto, rinunziando a questo cattivo genere, s'era obbligato a non far più che quadri religiosi od almeno perfettamente irreprensibili. Finalmente si mise a dipingere un gran quadro nel convento dei Carmelitani Scalzi, quando fu colto da una mortale malattia. Sentendosi morire, domandò al gran Priore il favore d'essere sotterrato nella chiesa del monastero, e legò alla comunità il prezza, assai alto, del suo lavoro, coll'onere di celebrare messe in suffragio dell'anima sua. Egli morì piamente, e passarono alcuni giorni, quando un religioso, che dopo il mattutino era rimasto in coro, lo vide comparire in mezzo alle fiamme e mandare grida dolorose. - «Ecchè! disse il religioso, avete a sostenere siffatte pene dopo una vita tanto cristiana ed una morte sì santa? - Ohimè! rispose, è per un cattivo quadro stato da me dipinto. Quando mi trovai al tribunale del Giudice supremo una folla di accusatori vennero a deporre contro di me, dichiarando d'essere stati eccitati a cattivi pensieri ed a malvagi desideri per una immodesta pittura dovuta al mio pennello. In conseguenza di questi cattivi pensieri gli uni si trovavano al Purgatorio, gli altri nell'inferno. Questi ultimi chiedevano vendetta, dicendo che, essendo stato io la causa della loro perdita eterna, almeno meritava lo stesso castigo. Allora là Santa Vergine ed i Santi, che glorificai colle mie pitture, presero, a difendermi: rappresentarono al Giudice che quella sgraziata tela era un'opera della giovinezza, di cui mi era pentito, che più tardi l'aveva riparata con una quantità di quadri religiosi, che per le anime erano stati una sorgente di edificazione. «In vista di queste ragioni da una parte e dall'altra il Giudice supremo dichiarò che, pel mio pentimento e per le mie buone opere, sarei esente dall'eterna dannazione ma nel tempo stesso mi condannò a soffrire quelle fiamme, finché la maledetta pittura venga abbruciata, sicché non possa più scandalizzare alcuno». Epperò il povero sofferente prego il religioso carmelitano di procurare perché il quadro fosse distrutto. «Ve ne prego, aggiunse: da parte mia andate dal tale, proprietario del quadro; ditegli in quale stato mi trovi per averlo dipinto cedendo alle sue istanze, e scongiuratelo di fame il sacrifizio. Se ricusa, guai a lui! Del resto per mostrare che tutto ciò non è un'illusione e per punizione del suo fallo, ditegli che entro poco tempo perderà i suoi due figli, Se rifiuta di obbedire agli ordini di Colui che ci creò, sarà punito eziandio con una morte prematura». Il religioso non tardò a fare quanto la povera anima gli domandava, e si recò dal possessore del quadro. Questi, conosciuta la cosa, pigliò il quadro e lo gittò sul fuoco. Tuttavia, secondo la parola del defunto, in meno d'un mese perdette i suoi due figli. Passò il rimanente della vita a far penitenza del male che aveva commesso comandando e in casa sua conservando quella immorale pittura. Se tali sono le conseguenze d'un quadro immodesto, come saranno puniti gli scandali in altro modo funesti dei cattivi libri, dei cattivi giornali, delle cattive scuole e delle cattive conversazioni? Vae mundo a scandalis! Vae homini illi per quem scandalum venit! Guai al mondo pe' suoi scandali! Guai all'uomo pel quale avviene lo scandalo! (Matth., XVIII, 7). Vi sono poi oggidì molti cristiani affatto estranei alla voce ed alla mortificazione di Gesù Cristo. La loro vita molle e sensuale non è che una connessione di piaceri; hanno paura di tutto ciò che è sacrifizio; appena osservano le strette leggi del digiuno e dell'astinenza prescritta dalla Chiesa. Dacché non vogliono sottomettersi ad alcuna penitenza in questo mondo, riflettano bene a quella che loro sarà imposta nell'altro. E’ certo che in questa vita mondana non fanno che accumular debiti; non facendo penitenza, non si pag'a alcun debito, e così si arriva ad un totale che spaventa l'immaginazione. La venerabile serva di Dio Francesca di Pamplona, che fu favorita di parecchie visioni intorno al Purgatorio, un giorno vi vide un uomo del mondo, che sebbene fosse stato un cristiano assai buono, doveva passar cinquantanove anni nelle espiazioni in causa della sua ricerca dei comodi. Un altro per la stessa ragione vi passò trentacinque anni, ed un terzo, che per di più aveva avuto la passione del giuoco, vi dimorò sessantaquattro anni. Ohimè! questi malaccorti cristiani lasciarono dinanzi a Dio sussistere tutti i loro debiti, e ciò che facilmente potevano pagare con alcune opere di penitenza, dovettero poi soddisfare con anni di supplizi. Se Dio si mostra severo coi ricchi e coi felici del mondo, non lo sarà maggiormente coi principi, coi magistrati, coi genitori, e generalmente con tutti quelli che hanno il carico delle anime ed autorità sopra gli altri? Un severo giudizio aspetta i superiori (Sap., VI, 6).

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G.

mercoledì 8 novembre 2023

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Materia delle espiazioni nel Purgatorio: vanità e peccati di gioventù. Una signorina di elevata  condizione. La beata Maria Villani. - La principessa Gida di Svezia.   

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Le anime che si lasciano accecare dalle vanità del mondo, se hanno la fortuna di sfuggire alla  dannazione, avranno a scontare terribili espiazioni. 

    Apriamo le Rivelazioni. di Santa Brigida, che nella Chiesa godono una giusta considerazione. Al  capo VI vi si legge che un giorno la santa si vide trasportata in ispirito in un luogo del Purgatorio, e  che, fra molti altri, vi conobbe una giovane signorina di alta nascita, che in altri tempi si era  abbandonata al lusso ed alla mondanità. Quell'anima infelice le fece conoscere tutta la sua vita e la  triste sua situazione. «Fortunatamente diss'ella, prima di morire mi confessai con sufficienti  disposizioni per sfuggire all'inferno; ma quanto soffro per espiare la vita mondana che la sventurata  mia madre non mi impedì di condurre! Ohimè! aggiungeva gemendo, questo capo che si  compiaceva delle acconciature e che cercava di attirare gli sguardi, ora è divorato dalle fiamme al di  dentro e al di fuori, e queste fiamme sono tanto dolorose che mi sembra di morire del continuo.  Queste spalle e queste braccia, che faceva ammirare, sono crudelmente strette fra catene di ferro  rovente. Questi piedi, già addestrati alla danza, sono ora attorniati da vipere che li straziano coi loro  morsi e li insozzano coll'immonda loro bava; tutte queste membra che caricava di gioie, di fiori, di  vari acconciamenti, ora sono in preda a spaventevoli torture. Ah! madre, madre mia, esclamava  quell'anima, quanto a mio riguardo foste colpevole!». Già dicemmo che non bisogna pigliar  letteralmente quanto è detto delle membra tormentate, poiché l'anima è separata dal suo corpo; ma  Dio, supplendo alla mancanza degli organi corporei, fa provare a quest'anima le sensazioni che si  descrivono. 

    La storia della santa ci dice che essa raccontò la sua visione ad una cugina della defunta, la quale  pure si abbandonava alle illusioni delle vanità mondane. Ne fu tanto colpita la cugina, che rinunziò  al lusso ed ai pericolosi mondani divertimenti per consacrarsi alla penitenza in un Ordine austero. 

    Citiamo ancora un esempio dei castighi riservati ai mondani nel Purgatorio, quando non sono,  come il ricco avaro del Vangelo, sepolti nell'inferno. La beata Maria Villani, religiosa domenicana  (38), aveva vivissima divozione per le anime del Purgatorio, che spesse volte a lei si fecero vedere,  sia per ringraziarla, sia per chiedere le sue preghiere e le sue buone opere. Siccome un giorno con  gran fervore pregava secondo la loro intenzione, fu in ispirito trasportata nel luogo della espiazione.  Fra le anime che vi soffrivano ne vide una più crudelmente tormentata delle altre, in mezzo a  orribili fiamme che tutta intera l'avvolgevano. Mossa a compassione la serva di Dio interrogò  quest'anima. «Sono qui, ella rispose, da lunghissimo tempo, punita per le mie vanità e per lo  scandaloso mio lusso. Fino a questo momento non ebbi il menomo sollievo. Quando era sulla terra,  occupata della mia toeletta, dei miei piaceri, delle feste e delle gioie mondane, ben poco pensa va ai  miei doveri di cristiana, e non li compiva che con pigrizia. La mia sola preoccupazione seria era di  aumentare la riputazione e la fortuna dei miei. Ora vedete come sono punita: più non si ricordano di  me; i miei parenti, i miei figli, gli amici miei più intimi di altre volte, tutti mi dimenticarono». 

    Maria Villani pregò quell'anima di farle sentire qualcosa di ciò che pativa; e tosto a lei parve che  la toccasse un dito di fuoco sulla fronte, ed il dolore che ne provò la fece subito uscir dall'estasi.  Ora, il segno restò così profondo e tanto doloroso, che si vedeva ancora due mesi dopo, e  crudelmente ne soffriva la santa religiosa. Ella sostenne quel dolore con ispirito di penitenza a pro  della defunta che a lei si era manifestata, e al termine d'un certo tempo, quell'anima stessa venne ad  annunziarle la sua liberazione. 

    Spesso i buoni cristiani non abbastanza pensano a far penitenza per i peccati della loro gioventù:  bisognerà che un giorno li espiino colle rigorose penitenze del Purgatorio. Ciò avvenne alla principessa Gida, nuora di S. Brigida, come si può leggere negli Atti dei Santi, 24 marzo, vita di S.  Caterina (39). 

    S. Brigida si trovava a Roma colla sua figlia, S. Caterina, quando questa vide apparirle lo spirito  di Gida, di cui non sapeva la morte. Trovandosi un giorno a pregare nell'antica basilica del Principe  degli Apostoli, Caterina si vide dinanzi una donna vestita d'una bianca veste e d'un nero mantello,  che le chiedeva preghiere per una defunta. «È una delle vostre compatriote, aggiunse, che ha  bisogno che s'abbia interesse per l'anima sua. - Il suo nome? domandò la santa. - È la principessa  Gida, di Svezia, moglie del vostro fratello Carlo». Allora Caterina pregò la straniera di  accompagnarla presso la sua madre Brigida per annunziarle questa triste notizia. «Io sono, disse la  sconosciuta, incaricata d'un annunzio per voi sola, e non mi è permesso di fare altre visite, dovendo  subito ripartire. Del resto, non avete a dubitare della verità del fatto: entro pochi giorni arriverà un  altro inviato di Svezia, portandovi la corona d'oro della principessa Gida. A voi l'ha lasciata per  testamento, per assicurarsi il soccorso delle vostre preghiere; ma a lei accordate questo caritatevole  aiuto fin da quel momento, poiché ne ha un pressante bisogno». Ciò detto si allontanò. 

     Caterina volle seguirla, ma le fu impossibile il ritrovarla, sebbene la sua foggia di vestito  facilmente la potesse distinguere; interrogò quelli che pregavano nella chiesa; nessuno aveva veduto  quella straniera. Colpita e sorpresa per questo incontro, s'affrettò di ritornare dalla sua madre e le  raccontò quanto le era successo. Sorridendo S. Brigida rispose: «È la stessa nostra nuora che vi è  comparsa. Nostro Signore si degnò farmi conoscere il tutto per rivelazione. La cara defunta è morta  con sentimenti consolanti di pietà, il che le ottenne il favore di venire a voi ad implorar preghiere.  Dessa ha ancora da espiare i numerosi falli della sua giovinezza. Dunque tutte due facciamo quanto  possiamo per sollevarla. La corona d'oro che vi invia, ne impone un'obbligazione più stringente». 

     Alcune settimane dopo, un ufficiale della Corte del principe Carlo arrivò a Roma, portando la  corona e la notizia del trapasso della principessa Gida. La corona, che era bellissima, fu venduta, ed  il prezzo impiegato in messe e buone opere pel sollievo della defunta. 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G. 


martedì 24 ottobre 2023

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Materia delle espiazioni nel Purgatorio. - Dottrina dello Suarez e di S. Caterina da Genova a tal riguardo. ­ Giovanni Sturton. - Visione di S. Liduina. 

  

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   Perché le anime, prima d'esser ammesse alla visione di Dio, hanno in tal modo a soffrire? Qual è  la materia, quale il soggetto di queste espiazioni? Il fuoco del Purgatorio che cosa deve purificare e  consumare in esse? Sono, dicono i Dottori, le macchie provenienti dai loro peccati. 

   Ma che s'intende qui per materia? Secondo la maggior parte dei Teologi non è la colpa del  peccato, ma la pena o il carico della pena proveniente dal peccato. 

   Per ben comprenderla, bisogna ricordarsi che ogni peccato produce nell'anima un doppio effetto,  che si chiama il debito (reatus) della colpa e quello della pena, rendendo il peccatore non soltanto  colpevole, ma degno ancora di pena o castigo. Ora, dopo perdonata la colpa, d'ordinario rimane a  scontare la pena in tutto o in parte, e dev'essere soddisfatta in questa o nell'altra vita. Le anime del  Purgatorio non hanno più alcuna macchia di colpa: ciò che avevano di colpa veniale al punto della  loro morte, disparve nell'ardore della pura carità di cui si sono accese nell'altra vita: ma portano  tutto il debito delle pene che non hanno deposto prima di morire. 

     Questo debito proviene da tutti i falli commessi durante la vita, sopratutto dai peccati mortali  rimessi, quanto alla colpa, con una sincera confessione, ma che si trascurò d'espiare con frutti degni  di penitenza esteriore. 

    Tal è la dottrina così dallo Suarez riassunta nel suo trattato del Sacramento della penitenza (34): 

     «Conchiudiamo dunque, dice egli, che tutti i peccati veniali coi quali un uomo giusto muore,  sono rimessi quanto alla colpa nel momento in cui l'anima si separa dal corpo, in virtù d'un atto di  amor di Dio o di contrizione perfetta, che allora fa di tutti i passati suoi trascorsi. Infatti, l'anima in  quel momento perfettamente conosce il suo stato ed i peccati di cui è colpevole dinanzi a Dio,  essendo nel tempo stesso padrone delle sue facoltà per operare; d'altronde, da parte di Dio, le è dato  il soccorso più efficace per operare secondo la misura di grazia santificante che possiede. Ne deriva  che, in questa perfetta disposizione, l'anima opera senza il menomo ritardo, tutta intera direttamente  si porta verso il suo Dio, e, per un atto di suprema detestazione. si trova sciolta da tutti i suoi peccati  veniali. Quest'atto efficace ed universale basta per cancellarli quanto alla colpa». 

     Dunque scompare ogni macchia di colpa; ma resta a scontare la pena in tutto il suo rigore e per  tutta la sua durata, a meno che le anime non siano aiutate dai vivi. Per se stesse più non potrebbero  ottenere qualsiasi remissione, perché, passato il tempo del merito, non possono più meritare, non  possono che soffrire, e in tal modo pagare alla terribile giustizia di Dio quanto le devono, fino  all'ultimo quadrante: usque ad novissimum quadrantem (Matth., V, 26). 

    Questi debiti di pena sono le reliquie del peccato ed una sorta di macchia, che impedisce la  visione di Dio e mette ostacolo all'unione dell'anima coll'ultimo fine. «Non esistendo la macchia o  la colpa del peccato nelle anime del Purgatorio, scrive S. Caterina da Genova (35), non vi è altro  ostacolo alla loro unione con Dio tranne le reliquie del peccato, di cui devono purificarsi. Questo  ostacolo, che sentono in sé, loro produce il supplizio del danno, di cui parlo, e ritarda il momento in  cui l'istinto che le porta verso Dio come suprema loro beatitudine, riceverà la piena sua  soddisfazione. Esse chiaramente veggono ciò che è dinanzi a Dio il più piccolo ostacolo cagionato  dalle reliquie del peccato, e che per necessità di giustizia ritarda la piena sazietà del beatifico loro  istinto. Perciò in esse nasce un fuoco d'un estremo ardore e simile a quello dell'inferno, ad  eccezione della colpa del peccato». 

    Dicemmo che il totale del debito delle pene nel Purgatorio proviene da tutti i falli non espiati  sulla terra, ma sopratutto dai peccati mortali rimessi solo quanto alla colpa. Ora, gli uomini la cui  vita intera scorre nell'abito del peccato mortale e che fino alla morte differiscono di convertirsi, supposto che Dio loro conceda questa grazia eccezionale, avranno a scontare, ben s'intende,  spaventevoli espiazioni. L'esempio del barone Sturton è tale da farli riflettere. 

    Il barone Giovanni Sturton, nobile inglese, in fondo al cuore era cattolico, abbenché, per  conservare le sue cariche alla corte, regolarmente assistesse alle funzioni protestanti; anzi in casa  sua nascondeva un prete cattolico con grande suo pericolo, volendosi di lui servire per riconciliarsi  con Dio al punto di morte. Ma fu colpito da un accidente, e come spesso avviene, per un giusto  giudizio di Dio, non ebbe il tempo di realizzare il suo voto di tardiva conversione. Intanto la divina  misericordia, tenendo conto di quanto aveva fatto per la Santa Chiesa perseguitata, gli aveva  concesso la grazia di fare in punto di morte un atto di contrizione perfetta, e ottenere così la salute.  Ma ben cara doveva pagare la sua negligenza.  

     Passarono lunghi anni; la sua consorte si rimaritò, ebbe figli, ed è una delle sue figlie, lady  Arundel, che come testimonio oculare narra questo fatto. 

    «Un giorno mia madre pregò il P. Corneille, gesuita di molto merito, che più tardi doveva morire  martire della fede cattolica (36), di celebrare la messa per l'anima di Giovanni Sturton, suo primo  marito. Accettò l'invito, e stando all'altare, tra la consacrazione ed il Memento dei morti, si fermò  lungo tempo come assorto in orazione. Dopo la messa, in una esortazione rivolta agli astanti, ci fece  conoscere una visione avuta durante il sacrifizio. Aveva veduto un'immensa foresta che si stendeva  dinanzi a lui, ma era tutta in fuoco e non formava che un vasto braciere; nel mezzo si agitava il  defunto barone, mandando lamentevoli grida, piangendo e confessando la vita colpevole tenuta nel  mondo e alla corte. Dopo d'aver particolarmente confessati i suoi falli, l'infelice aveva terminato  colle parole dalla Scrittura messe in bocca a Giobbe: Pietà, pietà, voi almeno che siete i miei amici,  giacché la mano del Signore mi ha colpito! Poscia era scomparso. 

    «Mentre Corneille raccontava queste cose, piangeva molto, e noi tutti, membri della famiglia, che  in numero di ventiquattro persone l'ascoltavamo, ci abbandonammo pure al pianto, e tutto ad un  tratto, mentre il Padre parlava, scorgemmo sul muro, al quale era appoggiato l'altare, come un  riflesso di ardenti carboni». 

    Tale è il racconto di lady Arundel, che si può leggere nella Storia d'Inghilterra di Daniel (37). 

    S. Liduina vide nel Purgatorio un'anima che soffriva molto per i peccati mortali,  incompletamente espiati sulla terra. Ecco come questo fatto è riferito nella Vita della santa. Un  uomo che per lungo tempo era stato schiavo del demonio della lussuria, ebbe finalmente il bene di  convertirsi. Infatti si confessò con grande contrizione; ma, prevenuto dalla morte, non ebbe il tempo  di soddisfare con un'equa penitenza per i numerosi suoi peccati. Liduina, che lo conosceva, molto  pregava per lui. 

    Dodici anni dopo la sua morte pregava ancora, quando in una delle sue estasi, in cui dal suo  angelo custode era condotta al Purgatorio, udì una lugubre voce che usciva da un profondo pozzo.  «È l'anima di colui, disse l'angelo, pel quale pregaste con tanto fervore e costanza». Fu stupita di  trovarlo ancora in quel luogo sì profondo dodici anni dopo la sua morte. L'angelo vedendo che èra  profondamente commossa le chiese se voleva soffrire qualche cosa per la sua liberazione: «Con  tutto il mio cuore», rispose quella vergine caritatevole. Da quel punto quindi soffrì nuovi dolori e  terribili tormenti che sembravano sorpassare le forze umane; tuttavia tutto sopportò con coraggio,  sostenuta da una carità più forte della morte, finché a Dio piacque sgravarnela. Allora, come  ritornata alla vita, respirò, e nel tempo stesso vide quell'anima per la quale tanto aveva sofferto,  uscir dall'abisso bianca come la neve, e spiccar il volo verso il Cielo. 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G. 

martedì 3 ottobre 2023

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Pene del Purgatorio: loro durata (segue). - Narrazione del P. Schoofs. - Apparizione d'un religioso  benedettino. - Una causa della lunga durata delle pene. - Rivelazione di un prete defunto. - Altri  fatti. 

 

__________ 


   Riguardo alla lunga durata del Purgatorio per certe anime, citiamo qui un fatto più recente e più  vicino a noi. Il P. Filippo Scoofs, della Compagnia di Gesù, che morì a Lovanio nel 1878,  raccontava il fatto seguente, avvenuto ad Anversa nei primi anni del suo ministero in quella città.  Ritornava dall'aver predicato una missione ed era rientrato nel Collegio di Nostra Signora, posto  allora nella contrada dell'Imperatore, quando, fu avvertito ch'era chiamato in parlatorio. Disceso  tosto, vi trovò due giovani nel fior dell'età con un fanciullo di nove o dieci anni, pallido e  malaticcio. «Padre, gli dissero, ecco un povero fanciullo che abbiamo raccolto, e che merita la  vostra protezione, perché è buono e pio. Noi gli diamo il vitto e l'educazione; e dopo più d'un anno  che fa parte della nostra famiglia fu non meno felice che ben disposto. Solo da alcune settimane,  cominciò a dimagrire ed a deperire come voi vedete. - Qual è la causa di questo cambiamento?  chiese il Padre. - Sono spaventi, risposero: il fanciullo è svegliato tutte le notti da apparizioni. A  quanto ci assicura, ai suoi occhi si presenta un uomo; lo vede tanto chiaramente come ci vede noi  qui in pieno giorno. Da ciò terrori, continue agitazioni. Padre, veniamo a domandarle un rimedio. -  Amici miei, rispose il P. Scoofs, presso il buon Dio vi sono rimedi per tutte le cose. Cominciate voi  due dal fare una buona confessione ed una buona comunione; pregate il Signore che vi liberi da  ogni male, e siate senza timore. Quanto a te, mio fanciullo, disse al ragazzo, prega bene, poscia  dormi pure tranquillamente, sicché venendo alcuno non ti possa svegliare». Indi li congedò, dicendo  di ritornare, se ancora avveniva qualche cosa. 

    Passano quindici giorni, ed eccoli di ritorno. «Padre, dicono, noi compimmo le vostre  prescrizioni, ed ecco che le apparizioni continuano come prima. Il fanciullo vede sempre comparire  lo stesso uomo; - Questa sera, rispose il P. Scoofs, vegliate alla porta del fanciullo con l'occorrente  per iscrivere le risposte. Quando vi avvertirà della presenza di quell'uomo, avvicinatevi, in nome di  Dio domandategli chi è, l'epoca della sua morte, il luogo che abitò e la ragione della sua venuta». 

    L'indomani ritornarono, portando la carta in cui erano scritte le risposte ricevute. «Abbiamo  veduto, dissero, l'uomo che il fanciullo vedeva». Poscia si spiegarono: era un vecchio, di cui non  appariva che il busto e che portava una foggia antica di vestire. Loro aveva detto il suo nome e la  casa da lui abitata ad Anversa. Era morto nel 1636, esercitava la professione di banchiere in quella  stessa casa, la quale lui vivente, comprendeva altresì le case che oggidì sono attigue a destra ed a  sinistra. Tra parentesi diCiamo, che in seguito si scoprirono negli archivi della città d'Anversa i  documenti che comprovano la esattezza di quelle indicazioni. Aggiunse che si trovava al  Purgatorio, che poco si era pregato per lui, e supplicava le persone della casa di fare una comunione  in suo suffragio; finalmente domandava che si facesse un pellegrinaggio a Nostra Signora delle  Febbri a Lovanio, e un altro a Nostra Signora della Cappella a Bruxelles. «Farete bene, disse il P.  Schoofs, a compiere queste opere: e, se ancora ritorna lo spirito, prima di farlo parlare, esigete che  reciti il Pater, l'Ave Maria, ed il Credo». 

    Compirono essi le opere indicate con tutta la possibile pietà, ed in quella circostanza avvennero  conversioni. Quando tutto fu terminato, ritornarono i giovani. «Padre, egli ha pregato, dissero al P.  Schoofs, ma con un accento di fede e di pietà indicibile. Giammai udimmo pregare in tal modo.  Qual rispetto nel suo Pater! Quale amore nella sua Ave Maria! Quale fermezza nel suo Credo! Ora  sappiamo cosa vuol dire pregare. In seguito ci ringraziò delle nostre preghiere che lo avevano  grandemente sollevato; anzi, diceva egli, ne sarebbe stato interamente liberato, senza il fallo di una  giovanetta di conoscenza che aveva fatto una confessione sacrilega. Questa parola, soggiunsero, 

l'abbiamo riferita alla giovinetta: essa impallidì e confessò il suo fallo; poscia, correndo dal  confessore, si diede premura di riparare al tutto». 

    «Dopo quel giorno, aggiungeva il P. Schoofs terminando il suo racconto, quella casa non fu più  turbata. La famiglia che l'abitava, rapidamente prosperò ed oggidì è ricca. I due fratelli continuano a  vivere in modo esemplare, e la loro sorella si fece religiosa in un convento, ove attualmente è  superiora». 

    Tutto induce a credere che la prosperità di quella famiglia sia dovuta al defunto da lei soccorso.  Questi, dopo i suoi due secoli di Purgatorio non aveva più bisogno che d'un residuo d'espiazione e  d'alcune opere che chiese. Compite queste opere, fu liberato, ed avrà voluto testificare la sua  gratitudine ottenendo le benedizioni di Dio per i suoi liberatori. 

     Il seguente fatto fu riferito con prova autentica dal giornale Le Monde. n. del 4 aprile 1860.  Successe in America, in un'abbazia di Benedettini, posta nel villaggio di Latrobe. Durante l'anno  1859 avvenne una serie di apparizioni. Se n'era impossessata la stampa americana ed aveva trattato  coll'ordinaria sua leggerezza queste gravi questioni; e a porre fine a questa sorta di scandalo, l'abate  Wimmer, superiore della casa, indirizzò ai giornali la seguente lettera: 

    «Ecco la verità: nella nostra abbazia di San Vincenzo, presso Latrobe, il 10 settembre 1859 un  novizio vide comparire un religioso benedettino in abito completamente corale. Questa apparizione  si rinnovò ogni giorno dal 18 settembre fino al 19 novembre, tanto dalle undici ore a mezzodì,  quanto da mezzanotte a due ore di mattina. Il 19 novembre soltanto il novizio interrogò lo spirito  alla presenza d'un altro membro della comunità, e gli domandò qual era il motivo delle sue  apparizioni. Egli rispose che soffriva da oltre settantasette anni, per aver tralasciato di celebrare  sette messe d'obbligo; che già in diverse epoche era comparso a sette altri benedettini, ma che non  era stato inteso; che ancora sarebbe costretto di comparire undici anni se esso, il novizio, non lo  soccorresse. Finalmente lo spirito domandava che per lui fossero celebrate queste sette messe; di  più il novizio per sette giorni doveva restar ritirato, conservando un profondo silenzio; e per trenta  giorni recitare tre volte il salmo Miserere, a piedi nudi e colle braccia in croce. 

   «Tutte queste condizioni furono adempite dal 20 novembre al 25 dicembre; dopo la celebrazione  dell'ultima messa scomparve l'apparizione. 

   «Durante questo tempo, lo spirito si era mostrato ancora parecchie volte, esortando il novizio nei  termini più pressanti a pregare per le anime del Purgatorio; giacché, diceva, esse soffrono  terribilmente, e sono profondamente riconoscenti a quelli che concorrono alla loro liberazione.  Aggiunse, cosa ben triste a dire, che dei cinque preti già decessi nella nostra abbazia, nessuno  ancora si trovava in Cielo, ma tutti soffrivano nel Purgatorio. Non deduco conclusioni, ma tutto ciò  è esatto». 

     Questo racconto, firmato dalla mano dell'abate, è un documento storico irrecusabile. Quanto alla  conclusione che il venerabile prelato ci lascia la cura di cavar da questi fatti è evidentemente  molteplice. A noi basti, vedendo un religioso soffrire nel Purgatorio dopo settantasei anni,  l'imparare ciò che bisogna pensare della durata delle future espiazioni, tanto per i preti e religiosi,  quanto per i semplici fedeli che vivono in mezzo alla corruzione del mondo. 

    Una causa troppo frequente della lunga durata del Purgatorio, si è il privarsi del gran mezzo  stabilito da Gesù Cristo per abbreviarlo, ritardando, quando si è gravemente infermi, a ricevere gli  ultimi sacramenti. Questi sacramenti destinati a preparare le anime all'ultimo passaggio, a  purificarle delle reliquie dei loro peccati ed a risparmiar loro le espiazioni dell'altra vita,  domandano, per produrre i loro effetti, che l'infermo li riceva colle dovute disposizioni: Ora, per  poco che si differisca il riceverli e che si lascino indebolire le facoltà dell'infermo, queste  disposizioni sono difettose. Che dico? troppo spesso avviene che, in conseguenza di queste  imprudenti dilazioni, l'infermo muore privo totalmente di questi soccorsi tanto necessari, la  conseguenza ne è che il defunto, se non è dannato, discende nei più profondi abissi del Purgatorio  con tutto il peso dei suoi debiti. 

    Michele Alix (32) parla di un ecclesiastico, il quale, invece di ricevere prontamente i soccorsi  degli infermi, e di dare il buon esempio ai fedeli si rese colpevole di negligenza in questa parte e ne fu punito con cent'anni di Purgatorio. Trovandosi gravemente infermo ed in pericolo di morte, quel  povero prete avrebbe dovuto riconoscere il suo stato e chiedere assai per tempo i soccorsi dalla  Chiesa riservati ai suoi figli per l'ora estrema. Niente fece; e, sia che, per una illusione troppo  comune agli infermi, non volesse confessare la gravezza della sua situazione, sia che subisse quel  fatale pregiudizio che a tanti fedeli cristiani fa temere di ricevere gli ultimi sacramenti, egli mai li  chiedeva, né pensava a riceverli. Ma si conoscono le sorprese della morte: l'infelice differì e tanto  tardò che morì senza aver il tempo di ricevere né Viatico, né Olio Santo. Ora, Dio volle in questa  circostanza dar un grande avvertimento. Lo stesso defunto rivelò ad un confratello che era  condannato a cento anni di Purgatorio. «In tal modo, diss'egli, sono punito del mio ritardo a ricevere  la grazia dell'ultima purificazione. Se avessi ricevuto i sacramenti, come avrei dovuto fare, sarei  sfuggito alla morte per la virtù dell'Estrema Unzione, ed avrei avuto il tempo di fare la penitenza». 

    Il fatto seguente appartiene alla storia della Compagnia di Gesù. Due Scolastici o giovani  religiosi di questo Istituto facevano i loro studi nel Collegio Romano verso la fine del secolo XVI, i  fratelli Finetti e Rudolfini. Tutti due erano modelli di pietà e di regolarità; tutti due pure ricevettero  un avviso dal Cielo che, secondo la regola, scoprirono al proprio direttore spirituale, ed era che Dio  loro aveva fatto conoscere la vicina morte e l'espiazione che loro rimaneva da fare nel Purgatorio;  l'uno doveva rimanervi due anni e l'altro quattro. Morirono difatti l'uno dopo l'altro. 

    Tosto i fratelli di religione fecero per le loro anime le più ferventi preghiere ed ogni sorta: di  penitenze. Sapevano che se la santità di Dio impone ai suoi eletti lunghe espiazioni, possono essere  abbreviate ed interamente rimosse coi suffragi dei vivi. 

    Se Dio è severo con quelli che ricevettero molte cognizioni e grazie, è d'altra parte assai  indulgente coi poveri e coi semplici, purché lo servano con rettitudine e pazienza. S. Pietro Claver,  della Compagnia di Gesù, apostolo dei negri di Cartagena, conobbe il Purgatorio di due anime, che  erano vissute povere ed umili sulla terra: questa espiazione si riduceva ad alcune ore. Ecco quanto  leggiamo nella Vita del gran servo di Dio (33). 

    Aveva indotto una virtuosa negra, di nome Angela, a ritirarne presso di sé un'altra, chiamata  Orsola, l'attratta in tutte le membra e tutta coperta di piaghe. Un giorno che andava a visitarla, come  faceva di quando in quando, per confessarla e portarle alcune piccole provvisioni, con aria mesta la  caritatevole ospitaliera gli disse che Orsola stava per spirare. No, no, rispose il Padre consolandola, 

ha ancora quattro giorni di vita e non morirà che sabato. Arrivato il sabato, egli dice la messa  secondo la sua intenzione, ed uscì per andare a disporla alla morte. Dopo d'esser stato per alcun  tempo in preghiera: Consolatevi, disse all'ospite con un'aria sicura: Dio ama Orsola; ella morrà  oggi, ma non istarà che tre giorni in Purgatorio. Solo quando sarà con Dio, si ricordi di pregare  per me e per quella che fin adesso le fece da madre. Morì difatti a mezzogiorno ed il compimento  d'una parte della profezia non poco servì per far maggiormente credere l'altra. 

    Trovandosi un altro giorno per confessare una povera inferma che soleva visitare, conobbe che  stava per morire. Estremamente afflitti erano i genitori, ed egli stesso, che non aveva creduto che  dovesse tanto presto morire, non poteva consolarsi di non averla assistita negli ultimi suoi momenti.  Si mise subito a pregare vicino al suo corpo, poscia tutto ad un tratto levandosi con un'aria serena: 

Una tal morte, disse, merita più la nostra invidia che le nostre lagrime: quest'anima non è  condannata che a ventiquattro ore di Purgatorio. Con fervore delle nostre preghiere sforziamoci ad  abbreviar il tempo delle sue pene. 

    Tanto basti circa la durata delle pene. Vediamo che si prolungano per un tempo spaventevole;  anche le più brevi, dato il loro rigore, sono sempre lunghe. Sforziamoci di abbreviarle per gli altri,  di anticipatamente addolcirle per noi, o meglio ancora, di interamente prevenirle. 

    Ora, si prevengono togliendone le cause. Quali sono queste cause? Qual è la materia delle  espiazioni nel Purgatorio? 

Padre F. S. SCHOUPPE

domenica 10 settembre 2023

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Pene del Purgatorio: loro durata. - Sentimento dei Dottori in proposito: il ven. Bellarmino. - S.  Ludgarda e un religioso cistercense. - Apparizione del papa Innocenzo III. - S. Vincenzo Ferreri. 

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    La fede non ci fa conoscere la precisa durata delle pene del Purgatorio: in generale sappiamo che  è misurata dalla divina giustizia e ad ognuno proporzionata secondo ]a gravità ed il numero dei suoi  falli non ancora espiati. Dio tuttavia, senza pregiudicare alla sua giustizia, può abbreviare queste  pene aumentandone l'intensità: anche la Chiesa militante può ottenere la remissione, totale o  parziale, col santo sacrifizio della Messa e con altri suffragi offerti pei defunti. 

    Secondo il comune sentimento dei Dottori, le pene espiatrici sono di lunga durata. «È fuor di  dubbio, dice Bellarmino (30), che le pene del Purgatorio non sono limitate né a dieci né a venti  anni, e che talvolta durano secoli interi. Ma, dato anche che la loro durata non oltrepassi i dieci o  vent'anni, si calcola per niente sostenere per dieci o vent'anni pene dolorosissime, pene  inconcepibili, senza alcun sollievo? Se uno fosse assicurato che per vent'anni dovesse soffrire nei  piedi od alla testa o ai denti un qualsiasi violento dolore, non bramerebbe forse di morire cento volte  anziché vivere in quel modo? E se a lui fosse data la scelta o d'una vita tanto miserabile o della  perdita di tutti i suoi beni, starebbe in forse a sacrificare la sua fortuna per liberarsi da quel  tormento? Ecchè? per liberarci dalle fiamme del Purgatorio, avremo difficoltà d'abbracciare i rigori  della penitenza? Non crederemo di praticare gli esercizi più penosi, le vigilie, i digiuni, le limosine,  le lunghe preghiere, e sopra tutto la contrizione accompagnata da gemiti e da lacrime?» 

    Nella Vita di santa Ludgarda, scritta dal suo contemporaneo Tomaso di Cantimprè, si parla di un  religioso, fervente assai, ma che per un eccesso di zelo fu condannato a quaranta giorni di  Purgatorio. Era un abate dell'Ordine dei Cistercensi, per nome Simone, tenuto in grande  venerazione da Ludgarda; la santa da parte sua volentieri seguiva i suoi avvisi, e le frequenti  relazioni avevano formato fra essi una specie d'intimità spirituale. 

    Ma l'abate non era coi suoi soggetti tanto dolce come verso la santa. Severo per se stesso, lo era  pure nella sua amministrazione, e spingeva l'esigenza della disciplina fino alla durezza,  dimenticando la lezione del Maestro che insegna ad, essere dolci cd umili di cuore. Venuto a morte,  siccome S. Ludgarda ardentemente pregava per lui e s'imponeva penitenze pel sollievo dell'anima  sua, egli le apparve e confessò d'essere condannato a quaranta giorni di Purgatorio. Fortunatamente  aveva in Ludgarda un'anima generosa e potente. Ella fu prodiga delle sue preghiere e delle sue  austerità; indi, avendo ricevuto da Dio l'assicurazione che il defunto sarebbe in breve liberato, la  santa caritatevole rispose: Signore, non cesserò di piangere, non cesserò d'importunare la vostra  misericordia, finchè non lo vegga liberato dalle sue pene. Infatti lo vide ben presto apparirle pieno  di riconoscenza, risplendente di gloria e nel colmo della felicità. 

    Giacché citai S. Ludgarda, parlerò della celebre apparizione di papa Innocenzo III. Confesso che  questo fatto da principio non mi parve da narrarsi ed avrei voluto non parlarne. Mi ripugnava il  pensare che un papa, ed un tal papa, era stato condannato ad un lungo e terribile purgatorio. Si sa  infatti che Innocenzo III, che presiedette il celebre Concilio di Laterano nel 1215, fu uno dei più  grandi pontefici che occuparono la Sede di S. Pietro: la sua pietà ed il suo zelo gli fecero compiere  le più grandi cose per la Chiesa di Dio ce per la santa disciplina. Ora, come ammettere che un tal  uomo fosse stato al supremo tribunale giudicato con tale severità? Come conciliare questa  rivelazione di S. Ludgarda colla divina misericordia? 

    Avrei dunque voluto non vedervi che un'illusione, e cercava ragioni in appoggio a questa idea.  Ma, tutto all'opposto, trovai che l'autenticità dell'apparizione è ammessa dai più gravi autori e che  nessuno la rigetta. Del resto, lo storico Tomaso di Cantimprè è assai affermativo e nel tempo stesso  assai riservato: «Notate, lettore, scrive terminando il suo racconto, che dalla bocca stessa della pia Ludgarda appresi i falli rivelati dal defunto, e che qui non li sopprimo che per rispetto a un sì grande  Papa». 

    D'altra parte, considerando il fallo in se stesso, vi si trova forse una vera ragione che obbliga a  metterlo in dubbio? Non si sa forse che Dio non è accettatore di persone? che dinanzi al suo  tribunale i papi sono come gli ultimi fedeli? che tutti, grandi e piccoli, dinanzi a lui sono uguali e  che ognuno riceve secondo le sue opere? Non si sa forse che quelli che governano gli altri hanno  una grande responsabilità e dovranno rendere un conto severo? Judicium durissimum his qui  praesunt fiet: un giudizio di tutto rigore è riservato ai superiori (Sap., VI, 6): è lo Spirito Santo che  lo dichiara. Ora, Innocenzo III regnò diciott'anni, in tempi assai difficili. E, aggiungono i  Bollandisti, non è forse scritto che imperscrutabili sono i giudizi di Dio e spesso ben differenti dai  giudizi degli uomini? Judicia tua abyssus multa (Ps. 35). 

     Dunque non si potrebbe con ragione mettere in dubbio la realtà dell'apparizione. D'altronde non  veggo alcuna ragione di sopprimerla, poiché Dio non rivela questa sorta di misteri se non perché si  facciano conoscere ad edificazione della sua Chiesa. 

    Ora, il papa Innocenzo III morì il 16 luglio 1216. Lo stesso giorno apparve a S. Ludgarda nel suo  monastero di Aywieres nel Brabante. Sorpresa al vedere un fantasma circondato di fiamme, gli  domandò chi era e ciò che voleva. «Sono, le rispose, il papa Innocenzo. - possibile che voi, nostro padre comune, siate in tale stato? ­ Non è che troppo vero: pago la pena di tre falli che ho  commesso e che poco mancò non mi cagionassero l'eterna mia rovina. Grazie alla santa Vergine  Maria, ne ottenni il perdono, ma mi rimane a scontarne la espiazione. Ohimè! quanto è terribile! e  durerà per secoli, a meno che voi non mi soccorriate. In nome di Maria, che mi ottenne il favore di  venire a pregarvi, aiutatemi!» Disse e sparve. Ludgarda annunziò la morte del papa alle sue sorelle,  e con esse si diede a pregare e a far esercizi di penitenza in favore dell'augusto e venerato defunto, il  cui trapasso fu loro annunziato alcune settimane dopo dalla pubblica voce. 

     S. Vincenzo Ferreri, il celebre taumaturgo dell'Ordine di S. Domenico, che con tanta forza  predicò la grande verità del giudizio di Dio, aveva una sorella che in niun modo era commossa, né  dalle parole, né dagli esempi del santo suo fratello. Era ripiena dello spirito del mondo, abbacinata  dalle sue vanità, inebriata dei suoi piaceri, ed a grandi passi correva all'eterna sua rovina. Intanto per  la sua conversione pregava il santo, e finalmente la sua preghiera fu esaudita. L'infelice peccatrice  cadde mortalmente inferma; e nel momento di morire, rientrando in se stessa, si confessò con un  sincero pentimento. 

     Alcuni giorni dopo la sua morte, mentre il fratello per lei celebrava il divin sacrifizio, gli apparve  in mezzo alle fiamme, in preda a due mali intollerabili. «Ohimè! fratello mio, diss'ella, io sono  condannata a questi supplizi fino al giorno dell'ultimo giudizio. Però, voi potete aiutarmi. Sì potente  è la virtù del santo sacrifizio! Per me offrirete una trentina di messe: ne spero il più felice effetto». Il  santo si diede premura d'assecondare quella domanda, celebrò le trenta messe, ed il trentesimo  giorno, la sua sorella gli apparve circondata dagli Angeli e in atto di salire al Cielo (31). Grazie alla  virtù del divino sacrifizio, una espiazione di parecchi secoli si trovò ridotta a trenta giorni. 

    Questo fatto ci dimostra al tempo stesso la durata delle pene in cui un'anima può incorrere, ed il  potente effetto della santa Messa, quando Dio degnasi applicarla ad un'anima. Ma questa  applicazione, come quella di altri suffragi, non si effettua sempre, almeno non sempre con la stessa  pienezza. 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G. 


martedì 29 agosto 2023

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Pene del Purgatorio: diversità di esse. - Il fanciullo Biagio Massei - La ven. Francesca del  Santissimo Sacramento. - S. Corpreo. 
  
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Secondo le rivelazioni dei Santi, nelle pene afflittive del Purgatorio vi è un'a grande diversità.  Benché il fuoco sia il supplizio dominante, vi è anche il tormento del freddo, vi è la tortura delle  membra, e vi sono supplizi applicati ai sensi differenti del corpo umano. Questa diversità di pene è  ordinata dalla divina giustizia, e sembra sopratutto rispondere alla natura dei peccati, esigendo  ognuno di essi il suo proprio castigo, secondo quelle parole: Quia per quae quis peccat, per haec et  torquetur: l'uomo è punito in quello in cui pecca (Sap., XI, 17). Del resto, fa d'uopo che sia così pel  castigo, esistendo la medesima diversità per le ricompense. Ognuno nel Cielo riceve secondo le sue  opere, e, come dice il venerabile Beda, ognuno riceve la sua corona, la sua veste di gloria: veste che  pel martire ha lo splendore della porpora e pel confessore lo splendore d'una abbagliante  bianchezza. 
    Il celebre Biagio Massei, risuscitato da S. Bernardino, vide nel Purgatorio una grande diversità di  pene. Questo miracolo si trova narrato diffusamente negli Acta Sanctorum, appendice al 20 maggio. 
    Poco tempo dopo la canonizzazione di S. Bernardino da Siena, morì a Cascia nel regno di Napoli  un fanciullo di undici anni, chiamato Biagio Massei. I suoi genitori gli avevano inspirato la  divozione che essi stessi nutrivano per quel nuovo santo, e questi seppe ricompensarli. Il giorno  dopo la morte portandosi a seppellire, Biagio si risvegliò come da un profondo sonno, e disse che  Bernardino lo richiamava alla vita per narrare le meraviglie fattegli vedere nell'altro mondo. 
    Si comprende lo stupore e la curiosità che eccitò un tal fatto. Per un mese intero Biagio non fece  che parlare di ciò che aveva veduto, e rispondere alle domande mossegli dai visitatori. Parlava colla  semplicità d'un fanciullo, ma nel tempo stesso con un'esattezza di espressione, con una cognizione  della vita futura ben superiore alla sua età. 
    Al momento della sua morte, diceva, S. Bernardino s'era a lui presentato, e l'aveva preso per  mano dicendogli: «Non aver paura, ma guarda bene tutto quanto ti mostrerò, per ritenerlo e  raccontarlo in seguito». 
    Nell'inferno Biagio vide orrori inesprimibili, ed i vari supplizi dai quali erano tormentati gli  orgogliosi, gli avari, gli impudici e gli altri peccatori. Fra questi, parecchi ne riconobbe che aveva  veduto durante la vita, ed anzi due ne vide arrivare appena morti, uno dei quali era dannato per aver  posseduto beni malamente acquistati. Il figlio suo, colpito da questa rivelazione come da un  fulmine, e d'altra parte conoscendo la verità delle cose, s'affrettò a fare piena restituzione; e non  contento di quest'atto di giustizia, per non esporsi a dividere un giorno la triste sorte del padre, ai  poveri distribuì il rimanente della sua fortuna ed abbracciò la vita monastica. 
    Di là condotto al Purgatorio, Biagio vide pure spaventevoli supplizi, diversi secondo i peccati di  cui erano il castigo. Vi riconobbe un gran numero di anime, e parecchie di esse lo pregarono  d'avvertire i propri parenti e prossimi della loro dolorosa situazione, indicando pure i suffragi e le  buone opere di cui abbisognavano. Quando veniva interrogato sullo stato di un defunto, senza.  esitare rispondeva e dava le più precise particolarità: «Vostro padre, disse ad uno di quelli che lo  visitavano, trovasi al Purgatorio fin dal tal giorno: vi incaricò di distribuire in elemosina la tal  somma, e non l'avete fatto». - «Il vostro fratello, disse ad un altro, vi aveva detto di far celebrar  tante messe, e ne conveniste con lui; ma non avete compito il vostro impegno: rimangono ancora da  soddisfare tante messe». 
    Biagio parla va pure del cielo, ove in ultimo era stato condotto, ma ne parlava pressappoco come  S. Paolo, il quale, essendo stato rapito al terzo cielo, con o senza il suo corpo, ciò che non sapeva,  aveva udite parole misteriose, non possibili a ridirsi da bocca mortale. Ciò che sopratutto aveva colpito gli sguardi del fanciullo era l'immensa moltitudine di angeli che circondano il trono di Dio, e  l'incomparabile bellezza della S. Vergine Maria, innalzata al disopra di tutti i cori degli Angeli. 
    La vita della venerabile madre Francesca del santo Sacramento, religiosa di Pamplona (29), offre  parecchi fatti che mostrano come le pene sono proporzionate ai falli da espiare. Questa grande serva  di Dio aveva le più intime comunicazioni colle anime del Purgatorio, tanto che in gran numero  venivano e riempivano la sua cella, umilmente, ognuna alla sua volta, aspettando che le aiutasse  colle sue preghiere. Spesse volte, per meglio eccitare la sua compassione, le apparivano cogli  strumenti dei loro peccati, divenuti nell'altra vita strumenti di tortura. Un giorno vide un religioso  circondato di oggetti preziosi, quadri, poltrone, accesi. Egli, contrariamente alla povertà religiosa  aveva nella sua cella ammassato queste cose: dopo la morte formavano il suo tormento. Altri erano  preti coi loro paramenti in fuoco: la stola cambiata in catena ardente, le mani coperte di schifose  ulceri. In tal modo erano puniti per aver senza rispetto celebrato i divini misteri. 
    Un giorno le apparve un notaio con tutte le insegne delle sua professione, le quali erano in fuoco  e, circondando il suo corpo, lo facevano soffrire in modo orribile. «Impiegai questa penna, questo  inchiostro, questa carta, le diceva, a compilar atti illeciti. Aveva anche la passione del giuoco e  queste carte brucianti che sono costretto a tener continuamente in mano, formano il mio castigo.  Questa borsa accesa contiene i miei guadagni illeciti e me li fa espiare,.. 
    Da tutto ciò si ricava una grande e salutare lezione. Le cose create sono date all'uomo come  mezzi per servire Dio: egli ne deve fare strumenti di virtù e di buone opere; se ne abusa e ne fa  strumento di peccato, è giusto che siano rivolte contro di lui e siano strumenti del suo castigo. 
     La vita di S. Corpreo, vescovo d'Irlanda, che si trova nei Bollandisti sotto il 6 marzo, ci dà un  altro esempio dello stesse genere. Un giorno che questo santo prelato stava pregando dopo l'uffizio,  vide alzarsi dinanzi a lui un orribile personaggio, pallido il viso, con un collare di ferro attorno al  collo, e sulle spalle un miserabile mantello tutto stracciato. «Chi sei? Domandò il santo, senza  turbarsi. - Sono un'anima passata all'altra vita. - Donde viene il triste stato in cui ti veggo? - Dai  miei falli che mi tirarono addosso questi castighi. Malgrado la miseria cui ora sono ridotto, sono  Malachia, già re d'Irlanda. In quest'alta posizione poteva far molto bene; era allora il mio dovere: lo  trascurai: ecco perché son punito. - Non hai fatto penitenza dei tuoi falli? - Non ne ho fatto a  sufficienza, per la colpevole debolezza del mio confessore, che piegai ai miei capricci offrendogli  un anello d'oro. Ed è perciò che ora porto al collo questo collare di fiamme. - Vorrei sapere, riprese  il vescovo, perché sei coperto di questi brandelli. - È ancora per castigo: non ho vestito quelli che  erano nudi, non ho soccorso i poveri colla carità, col rispetto e colla liberalità comandata dalla mia  dignità di re e dal mio titolo di cristiano. Ed ecco perché vedete me pure vestito da povero e coperto  d'una veste di confusione». 
    La storia aggiunge che S. Corpreo, essendosi messo a pregare con tutto il suo capitolo, alla fine di  sei mesi ottenne un alleggerimento di pena, ed un po' più tardi, l'intera liberazione del re Malachia. 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G.