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domenica 12 novembre 2023

VITA DI SAN CARLO BORROMEO

 


Della patria e de' parenti di San Carlo  

La cura e protezione che Gesù Cristo nostro Signore promise avere della Chiesa sua, è stata sempre molto manifesta e particolarmente in questa sua Chiesa di Milano che fu fondata colla predicazione di san Barnaba apostolo, primo nostro vescovo (1), avendola provvista in tutti i tempi di ottimi pastori, in dottrina e bontà di vita, i quali come vivi empi della vita apostolica, l'hanno difesa da molte insidie del comune nostro nemico, illustrata colle loro famose gesta e governata con gran pietà e giustizia, ristorando sovente i danni che per la varietà de' tempi, rivoluzioni di Stati e per altri sinistri accidenti patiti aveva. Ond'ella ora si gloria fra il numero di centoventisei vescovi ed arcivescovi di vederne trentacinque numerati nel catalogo de' Santi e dalla Chiesa santa venerati, venti de' quali furono suoi cittadini discesi tutti da illustri famiglie, risplendendo fra così gloriosa schiera di beati pastori il gran dottore sant'Ambrogio, come Patrono e protettore suo principale.  

Ma in questo nostro secolo nel quale, per le lunghe guerre d'Italia e di altri regni e per molti contrari avvenimenti, erano ridotte le cose del culto divino e della disciplina cristiana a male stato non solamente in questa città e diocesi di Milano ma nella sua provincia ed in assai altre parti, molto singolare si può chiamare la grazia e raro il favore che l'infinita sua bontà si è degnala farle, con mandare a questo governo un arcivescovo dotato di virtù, di zelo pastorale e di santità così grande, che non solo ha ristorati i danni ch'ella patiti aveva, con restituire gli antichi santi istituti e riformare i costumi del clero e popolo suo, ma anche con la santissima vita, illustri esempi ed ottimi ordini da lui ritrovati è stato di norma e regola ad altri vescovi e pastori delle anime, con frutto universale di tutta la cristiana repubblica. Questi fu san Carlo Borromeo prete cardinale del titolo di santa Prassede, la cui vita e gesta gloriose mi sono io ora, col favore divino, proposto di scrivere.  

E per serbare lo stile degli altri scrittori dovrei cominciare dalla nobiltà del sangue della sua casa e narrare l'antichità della sua famiglia con le persone graduate ed illustrissime che da quella in tutti i tempi discesero. Ma perché ciò è notissimo al mondo, sapendosi come casa Borromeo da cui egli discese, è antichissima in Italia ed in Milano, congiunta in parentado co' primi principi e signori d'Italia, e da essa, come da proprio seminario di uomini famosi in armi, in lettere, in prelature, in governi di Stati ed in ogni altra nobile ed onorata professione, ne sono usciti sempre in tutti i secoli soggetti rari ed al  mondo molto utili, tralascerò questa narrativa e dirò solamente alcune buone qualità de' suoi genitori, affinché s'intenda, che come da albero buono (conforme all'oracolo divino) ne vengono buoni frutti; così da questi pii e religiosi parenti nacque al mondo un santo figliuolo.  

Il padre suo fu il conte Giberto figliuolo del conte Federico Borromeo nobilissimo milanese; e la madre Margherita de Medici, sorella di Giovan Giacomo de Medici - marchese di Melegnano famosissimo capitano dell'imperatore Carlo V e generale alcuna volta del suo esercito - e del cardinale Giovanni Angelo de Medici, che assunto al pontificato si chiamò Pio IV. Genitori veramente non meno chiari per lo splendore della singolar bontà di vita e costumi cristiani, che illustrissimi per la nobiltà del sangue (1). Il conte Giberto non tralignò punto dalla bontà de' suoi antecessori; perciò si mostrò egli sempre cavaliere onoratissimo di spirito e di religione cristiana singolare. Fu dotato di molta prudenza, in modo che in quelle rivoluzioni dello Stato di Milano, al tempo delle guerre d'Italia. si mantenne continuamente in possesso de' suoi feudi e dominii; conservandosi nella buona grazia delle due corone di Francia e di Spagna, fra se stesse allora nemiche; sicché essendo poi restato l'imperatore Carlo V signore di questo l'onorò col titolo di senatore, di colonnello e di altri gradi principali. Egli era molto timorato di Dio e tanto divoto che si confessava e si comunicava ogni settimana recitando genuflesso ogni giorno tutto l'uffizio del Signore, avendo per il lungo orare i calli duri sopra le ginocchia. Si rinchiudeva talvolta ancora a far orazione, vestito di sacco, in una cappelletta fabbricata a guisa di grotta nella Bocca di Arona, mostrando molta inclinazione  alla vita solitaria. Verso i suoi vassalli era tanto pio, che lo tenevano piuttosto in luogo di padre che di signore.  

Aveva particolarmente gran cura degli orfani e delle povere zitelle, maritandone molte; mostrandosi così liberale in far limosine a' poverelli, che ne veniva talora ripreso dagli amici per esser egli carico di figliuoli. Ai quali rispondeva in questa guisa: se io avrò cura de' poveri, Dio ancora terrà cura de' miei figliuoli. E con uno spirito quasi profetico disse così una volta: dopo la morte mia, i miei figliuoli saranno in istato grande e non avranno bisogno d'altri. Il che poi si vide appieno verificato. Osservava egli inviolabilmente questo santo costume di non mangiare, finché non aveva fatta la limosina ai poveri. Per le quali buone e rare qualità sue lasciò di se stesso una perpetua e felice memoria. Onde quando si videro risplendere nel mondo le opere meravigliose e la vita santissima di Carlo, dicevasi che Dio nostro Signore aveva voluto premiare i meriti del padre in dargli un santissimo figliuolo.    

Non punto fu a lui dissimile la contessa Margherita; poiché rilucevano in lei virtù tali che la rendevano come uno specchio di buon esempio e molto onorata fra le matrone milanesi; fuggendo ella in maniera il commercio del mondo pieno allora di mali esempi e di molte profanità, che quasi non usciva di casa se non per udire la Messa ogni mattina nella vicina sua chiesa parrocchiale e per visitare talora i monasteri delle sacre vergini ed altri luoghi divoti, mostrando nella sua modesta ed umile compostezza esterna, come di dentro ella era molto unita e congiunta con Dio. Tali furono i genitori di Carlo; e ben conveniva che un figliuolo di tanta santità di vita avesse origine da così pii e religiosi parenti.  

Ebbero sette figliuoli, due maschi e cinque femmine, che allevarono con gran diligenza e cura nel timore di Dio. Il primo fu il conte Federico, che dal Sommo Pontefice Pio IV, suo zio, venne poscia onorato con molte dignità e gradi, ed ebbe per moglie donna Virginia della Rovere  sorella germana del serenissimo Francesco Maria duca di Urbino, oggi vivente; l'altro maschio si chiamò Carlo, di cui tosto parleremo. La prima delle femmine, dimandata Isabella, si fece monaca nel monastero detto delle vergini in Milano, chiamandosi suor Corona. Le altre quattro si congiunsero in matrimonio tutte con principi grandi; cioè Camilla, con don Cesare Gonzaga principe di Molfetta; Geronima, con Fabrizio Gesualdo primogenito del principe di Venosa; Anna, con Fabrizio primogenito di Marc' Antonio Colonna principe romano; ed Ortensia col conte Annibale Sittich d'Altaemps, fratello del cardinale di questo nome, figliuolo di un'altra sorella di Pio IV, per nome Clara - non essendo Ortensia figlia della contessa Margherita, ma di un'altra signora della casa de' conti dal Verme che ebbe per moglie il conte Giberto dopo la morte della contessa Margherita.  

Queste signore furono tutte onoratissime e molto esemplari; ma donna Anna avanzò assai le altre in pietà e divozione; poiché invitata dall'esempio del fratello cardinale, si diede tutta al Signore, frequentando l'orazione ed i santi sacramenti con sentimenti e spirito tale, che dopo la sacra comunione particolarmente con sì gran forza d'affetto orando per lo spazio di due ore, con Dio si univa che pareva immobile. Amava sommamente i poveri, e per far loro maggiori limosine si levava fin del proprio vitto e vestito; e furono così segnalate tutte le altre sue virtù cristiane, ch'ella era tenuta e stimata come santa massimamente da' suoi domestici, i quali le virtù e bontà di lei più intimamente conoscevano. La quale dopo la morte di don Fabrizio suo marito - che passò a miglior vita oppresso da febbre acuta con segni nella guerra di Portogallo, generale delle galere di Sicilia - attese a Dio con più fervore ed al governo de' suoi figliuoli nella città di Palermo in Sicilia, ove Marc’Antonio suo suocero che l'amava unicamente, risiedeva per vice-re; e quivi poi morì santamente l'anno 1582 essendo da tutti pianta e particolarmente dai poveri, ai quali parve d'aver perduta la propria madre. 

GIOVANNI PIETRO GIUSSANO SACERDOTE