giovedì 23 ottobre 2025

L'esaudimento delle preghiere

 


IL CUORE DEL PADRE


Una delle funzioni più specificamente paterne è quella di venire incontro alle richieste di chi ha bisogno. Cristo ci ha raccomandato di rivolgerci al Padre nelle nostre necessità con l'assicurazione che verremo esauditi; e ha insistito sul fatto che l'esaudire è proprio di un cuore paterno: « Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve; chi cerca trova; e a chi bussa verrà aperto. Chi tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? E se chiede un pesce, una serpe? Se dunque voi, pur essendo cattivi, sapete dare questi doni ai vostri figli, tanto più il Padre vostro, che è nei cieli, a chi glieli domanderà.

Con queste parole Cristo risponde a un timore di cui soffrono spesso gli uomini nei loro rapporti con Dio. Infatti essi sono pronti a dubitare dell'efficacia delle loro preghiere ed esitano a far domande perché ne temono l'inutilità; inoltre provano quasi un senso di diffidenza nei riguardi di Dio, come se l'audacia con la quale si rivolgono a lui rischiasse di essere punita con l'avverarsi dell'evento contrario a quello che é stato domandato, col male esattamente opposto al bene che essi desiderano. Se dovessimo analizzare il sottofondo segreto di tale diffidenza, vi troveremmo un residuo della vecchia convinzione che Dio é geloso della sua potenza e non permette agli uomini di ingerirsi nel suo governo con delle richieste; che é geloso della felicità degli uomini, di quella che hanno o vorrebbero avere, e che di conseguenza, per umiliarli, é pronto ad ostacolare le loro aspirazioni.

È naturale che Cristo reagisca vivacemente contro questa diffidenza umana, così ingiuriosa per la bontà del Padre. Egli ci fa osservare che noi attribuiamo al Padre celeste sentimenti che non troveremmo in alcun padre umano, per malvagio ch'egli fosse; e soggiunge, prendendo esempio dalla bontà di un padre umano, che la generosità del Padre celeste é incomparabilmente superiore. Le parole « pur essendo cattivi » non devono far pensare che Cristo abbia una idea meschina dell'uomo o della paternità umana. Scrive san Giovanni Grisostomo a proposito di questa espressione: « Egli non lo diceva con l'intenzione di diffamare la natura umana, di dichiarare cattivo il genere umano; ma é a paragone della propria bontà che diceva cattiva perfino la tenerezza paterna, tanto é grande l'eccesso del suo amore per gli uomini! ». Infatti Cristo non intendeva dare un giudizio della bontà paterna umana, ma unicamente dell'amore del Padre celeste, del quale ha voluto sottolineare l'infinita superiorità. E, più esattamente, egli non dice « cattiva » la bontà di un padre umano, sia pure relativamente alla bontà divina, ma dice: « pur essendo cattivi », prendendo il termine di paragone più sfavorevole, cioè quello di un uomo cattivo. Se, dunque, nemmeno un uomo cattivo darebbe al figlio una pietra in luogo del pane, quale non sarà la bontà di Colui che non può avere in sé né male né cattiveria, a quale altezza non giungerà la bontà di un Padre che é tutto amore!

Se la generosità del Padre celeste supera di gran lunga ogni bontà umana, preme osservare che essa non risulta semplicemente da un sentimento di benevolenza e d'indulgenza paterne, ma che ha le sue radici nella disposizione fondamentale adottata dal Padre nel dramma della redenzione. Un padre umano può soddisfare la domanda del figlio con un gesto istintivo di bontà; ma la risposta del Padre celeste alle nostre preghiere proviene sempre dalla decisione irrevocabile che egli ha preso nei confronti degli uomini peccatori procurando loro la salvezza. Ogni atto di liberalità divina ha origine in quell'atto primordiale di liberalità che ci ha meritato il Salvatore.

Dobbiamo sempre ritornare alle parole di san Paolo « Egli, che non ha risparmiato il suo unico Figlio e lo ha dato in sacrificio per tutti noi, come non ci darà con lui tutto il resto? » Dal dono di Cristo derivano infallibilmente tutti gli altri favori. Perciò Gesù dichiara ai suoi discepoli che tutto ciò che essi chiederanno in nome suo al Padre sarà loro dato, e sarà loro dato in suo nome: « In verità, in verità, vi dico: tutto ciò che domanderete a mio Padre egli ve lo darà in nome mio » . Nelle preghiere che gli vengono rivolte il Padre ode la voce del suo unico Figlio, per lui irresistibile; e quando concede la grazia domandata egli rinnova in certo modo il dono del Figlio, perché la sua generosità di ogni istante non è diversa da quella per la quale ci è stato dato Cristo.

Noi abbiamo dunque parte nel potere che Gesù esercita sul cuore del Padre. Tale verità ci appare così eccessiva che non osiamo quasi ammetterla. È difficile per la nostra mente cogliere la sovrabbondanza divina dell'amore del Padre, credere che l'Onnipotente si sottometta realmente a un nostro desiderio, che ci lasci intervenire efficacemente nel governo degli avvenimenti terreni, governo che appartiene a lui soltanto. Eppure il Padre del cielo non esita a darci questo potere che a noi sembra esorbitante, e soprattutto non tollera che noi abbiamo dubbi sul dono che ci è stato fatto. Essendo onnipotente, è libero di soddisfare i nostri minimi desideri e di lasciarci intervenire nella sua azione sul nostro mondo; e poiché ci ama, ci ha conferito un potere autentico sul suo cuore paterno, risolvendo di non resistere alle nostre richieste, desiderando anzi che usiamo abbondantemente del potere meraviglioso che ci è stato concesso in modo definitivo.

È da notare che la sollecitudine del Padre nell'esaudire le nostre preghiere deriva dalla sua volontà di darci ciò che domandiamo. Prima ancora che la nostra domanda sia formulata, egli ha pensato ai nostri bisogni, alle nostre preoccupazioni, ai nostri desideri, e aspira a soddisfarli con una brama più intensa di quella che poniamo noi nel chiedere. Se attende le nostre richieste, è solo in obbedienza al principio generale che egli ha adottato nelle sue relazioni con noi quello del rispetto della nostra libertà. Egli non vuol costringere gli uomini a ricevere i suoi doni; preferisce chiedere la nostra libera collaborazione, in modo che quei doni siano bene accolti e bene usati, in modo anche che si stabiliscano tra noi e il Padre dei rapporti di confidenza filiale. Sta a noi esprimerci spontaneamente, esporre al Padre celeste l'oggetto dei nostri desideri e delle nostre richieste. Sta a noi partecipare umilmente, ma con dignità di figli, al governo della nostra vita e del mondo, secondo l'invito del Padre.

Quando una delle nostre domande giunge al Padre, essa trova dunque in lui un desiderio ardente di esaudirci. Il Padre è sempre nostro alleato, mai un oppositore che bisogna convincere. E sappiamo, perché Gesù lo ha detto, che non dobbiamo temere di importunare il Padre né con l'audacia delle nostre sollecitazioni né con l'insistenza ostinata delle nostre preghiere. Gesù ha insistito su questa audacia e su questa perseveranza, che, lungi dal dispiacere al Padre celeste, gli sono gradite e provocano un più generoso esaudimento. Basta rileggere la parabola dell'amico importuno per capire come è stato consigliato di importunare il Padre, con l'assicurazione che proprio per il nostro importunare saremo esauditi. Il Padre desidera che si bussi con più forza alla porta del suo cuore paterno, affinché quella porta si apra con maggior larghezza.

Se dura fatica credere a questo immenso potere che ci è stato accordato sul cuore del Padre, ancor più difficilmente crediamo che tutte le nostre domande possano essere esaudite. La nostra esperienza, basata su fatti provati e constatati, ci dice che talune domande ricevono soddisfazione, mentre altre non conseguono i risultati attesi. Accade così che troviamo sul nostro cammino il contrario di ciò che avevamo domandato. Non è dunque temerario affermare che ogni domanda viene esaudita?

E tuttavia è questa la verità energicamente affermata da Gesù: « Chiedete e vi sarà dato...; perché chi chiede riceve ». Nessuna eccezione, nessun limite è previsto. La fede ci comanda dunque di credere che nessuna delle nostre domande resterà senza effetto; ma è possibile che questo effetto, che e certo in tutti i casi, non sia afferrabile dall'esperienza e non sia nemmeno il bene che la nostra preghiera invoca. Cristo ci assicura che il Padre celeste non manca mai di dare buone cose a coloro che gliele domandano; il che significa che egli dà soltanto delle cose buone. Ma noi siamo indotti a chiedere, per la debolezza e l'inesperienza del nostro umano intendimento, cose che non sono né buone né utili, per noi o per gli altri, o anche cose pericolose o cattive. Come un padre umano non soddisferebbe la richiesta di un figlio quando ne prevedesse un effetto nocivo, così il Padre celeste non è disposto a farci danno esaudendo voti avventati. Egli ci protegge contro noi stessi; ed è questo ancor un segno della sua bontà. Quando non riceviamo precisamente quello che abbiamo chiesto, dobbiamo credere che vi è in ciò una manifestazione dell'amore del Padre, il quale ci ha esauditi in altra maniera, concedendoci un bene migliore. Egli conosce bene le nostre aspirazioni e sa soddisfarle in ciò che hanno di più profondo, anche quando sono formulate imperfettamente. Quando la sua bontà paterna gli vieta di prendere alla lettera una delle nostre domande, il Padre risponde tenendo conto dell'intenzione profonda che vi è espressa e ci esaudisce in questa direzione. Perciò, mai una « buona cosa » ci è rifiutata; nessun limite, in questo campo, all'esaudimento delle nostre preghiere.

Significativa è anche la ragione ché Cristo dà di tale esaudimento, lo scopo finale che il Padre persegue. « Domandate e riceverete, affinché la vostra gioia sia piena ». E diceva ciò nel momento in cui, con le sue sofferenze, stava per meritare per i suoi discepoli il gaudio definitivo. Questo gaudio il Padre lo vuol perfezionare e rendere completo accettando le richieste dei suoi figli. La sua felicità paterna consiste nell'elargire loro la gioia più piena.

Di Jean Galot s. j. 


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