Visualizzazione post con etichetta IL CUORE DEL PADRE. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta IL CUORE DEL PADRE. Mostra tutti i post

lunedì 26 agosto 2024

IL CUORE DEL PADRE

 


Il dono della Chiesa

Come ha voluto fare di Maria un'immagine del suo cuore paterno, così il Padre ha voluto imprimere profondamente il segno della sua paternità nella Chiesa, affinché essa si presentasse a noi come una madre. Per dare ai suoi figli un ambiente che avesse 1'atmosfera, il calore del focolare umano, ha voluto che la vita cristiana non si sviluppasse semplicemente nelle anime individuali isolate, bensì in una comunità, e che questa comunità funzionasse come un autentico ambiente materno. Così il dono della Chiesa agli uomini appare una manifestazione caratteristica di un amore paterno, che desidera esprimersi in forme concrete.

La Chiesa é stata riconosciuta come una madre fin dai primi secoli del cristianesimo, perché si vedeva in essa la generatrice della fede nelle anime. In realtà, la comunicazione della fede fa parte della comunicazione, più ampia, della vita della grazia. Mediante i sacramenti, innanzi tutto il battesimo, la Chiesa immette e sviluppa nelle anime la vita divina. Al momento del battesimo in particolare, essa impersona colui che dà nascita al nuovo cristiano; e in seguito ha il compito di favorire con ogni mezzo questa vita che ha trasmesso. Compito materno, che adempie mettendo a disposizione dei fedeli, oltre ai sacramenti un numero considerevole di elementi che sono di aiuto alla santificazione e che favoriscono il completo sviluppo dello spirito: la proclamazione della verità col magistero e la chiarificazione progressiva di quella verità con tutto un lavoro di ricerche e di precisazioni compiuto dalla teologia, lavoro che costituisce un patrimonio della Chiesa; il governo gerarchico, che dà ai cristiani un quadro giuridico di leggi e d'istituzioni e un quadro vivente di orientamento delle varie attività; la distribuzione di tesori di grazie con la solidarietà comunitaria e l'esercizio di una missione educatrice, con la quale la Chiesa mira ad elevare il livello spirituale e morale dei popoli e dell'umanità intera. La Chiesa ha veramente un compito di madre, consistente nel far sfociare la vita della grazia, nel proteggerla, favorirla e guidarne lo sviluppo.

Il termine di funzione materna è quello che meglio esprime la missione della Chiesa, la quale fu formata dal Padre a sua immagine, come Maria, per rappresentare in mezzo agli uomini la sua paternità. Noi tendiamo spesso a dimenticarlo; ammiriamo la provvidenza materna della Chiesa senza pensare che essa e una emanazione del cuore del Padre, che la sua qualità di madre è una testimonianza di quella celeste paternità « da cui ogni famiglia in cielo e in terra prende il suo nome », la sua esistenza.

Nella Chiesa stessa molte manifestazioni particolari della sua attività portano in modo tutto speciale il sigillo della paternità celeste. È noto che una delle caratteristiche essenziali del governo della Chiesa è il suo aspetto paterno. La sua gerarchia è stabilita, e vero, in vista di una funzione amministrativa, ma questa non deve essere considerata unicamente un lavoro di funzionari, bensì un compito tutto impregnato di sollecitudine paterna. L'autorità di cui sono investiti gli uomini della gerarchia ecclesiastica è una autorità di pastori, poiché la loro missione è quella di guidare un gregge di cui conoscono ed amano ogni pecorella. Così è del Papa, il quale porta il bel titolo di pastore di tutti i fedeli. Gli ampi poteri di cui è investito comporterebbero, se gli fossero conferiti in una società puramente umana, pericoli di assolutismo, di tirannia, di arbitrio; ma, appunto perché inseriti in una missione pastorale e paterna d'ordine superiore, essi si esercitano in uno spirito diametralmente opposto all'arbitrio tirannico, lo spirito di un potere vastissimo che mette tutte le sue risorse a servizio di coloro per i quali esiste e che manifesta la sua forza in una più profonda benevolenza. Esso è una immagine luminosa dell'autorità. del Padre celeste, la cui onnipotenza, che avrebbe potuto affermarsi con una sovranità tirannica, ha preferito concentrarsi in un più fervido e generoso amore.

Così è di tutti coloro che in qualche modo partecipano alla missione pastorale del sommo pontefice, e che non devono usare dei poteri di cui sono investiti se non per lasciarne trasparire la paternità divina di cui sono i messaggeri. Sotto quest'aspetto i sacerdoti non sono soltanto i rappresentanti di Cristo sulla terra, ma anche i rappresentanti del Padre. Infatti, quando impartiscono l'assoluzione ai fedeli che hanno appena confessato i loro peccati, essi compiono un atto eminentemente paterno, l'atto di una misericordia che accoglie, perdona e guarisce. Quando si chinano sulle umane miserie cercando di apportarvi aiuto, rappresentano presso gli uomini il Padre celeste sempre chino su di essi. La cura d'anime che è loro affidata richiede che il loro comportamento personale rispecchi, per quanto è possibile, la sollecitudine generosa del Padre verso i suoi figli. Il loro apostolato deve dunque effettuarsi sotto il segno dell'amor paterno.

È così, d'altra parte, che Cristo aveva inteso la propria missione di pastore. Egli ha voluto essere buon pastore, come il Padre aveva annunciato in precedenza di essere il pastore del popolo ebreo. E modellava il suo amore su quello del Padre: « Come il Padre ha amato me, così io amo voi ». Perciò la nota di tenerezza paterna che risuona nelle parole di Cristo riecheggia l'amore del Padre. « Figli miei », egli dice talvolta ai suoi discepoli. « Abbi fede, figlia mia », dice alla donna atterrita e tremante che si presenta a lui dopo aver toccato il suo mantello e ottenuto la guarigione. Allo stesso modo si rivolge al paralitico per concedergli la remissione dei suoi peccati: « Figliolo, confida, e ti saranno perdonati i tuoi peccati » ; ad un tempo il gesto e la voce del Padre che perdona. E la stessa paterna sollecitudine Cristo dimostra nel vegliare sui suoi discepoli con ogni sorta di attenzioni. Pur vivendo in semplicità e povertà, egli non lascia mancar loro nulla e provvede ad ogni loro bisogno come farebbero un padre o una madre. I discepoli al momento della passione ne renderanno testimonianza.

Anche verso coloro che gli resistono si manifesta l'amore paterno di Gesù. « Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che a te sono mandati; quante volte ho voluto io radunare i tuoi figli, come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali, e tu non hai voluto! ». In questa apostrofe, solenne e tenera ad un tempo, l'aspirazione del Padre a formare intorno a sé l'unità dei suoi figli si manifesta in tutto il suo fervore insieme a un profondo rispetto per la libertà che non si vuole conculcare, sia pure con un amore troppo esclusivo.

Continuatrice di Cristo, la Chiesa si trova direttamente nel prolungamento di questa aspirazione paterna a riunire in unità i figli del Padre, « come la gallina raduna i pulcini sotto le sue ali ». La Chiesa ha il compito di realizzare progressivamente per tutti i popoli e per tutti gli uomini ciò che Gesù aveva tentato di fare, in nome del Padre, per l'unione del popolo eletto. Attraverso essa il Padre stende le ali della sua paterna protezione sull'umanità intera, fondendola in un solo blocco col calore del suo amore.

Testimoni di quest'amore non sono soltanto coloro che sono stati istituiti pastori di anime, ma anche gli innumerevoli operai dell'opera educatrice di cui, come abbiamo notato, è investita la Chiesa e che risponde così bene ad un compito materno. A questa missione consacrano la loro vita un gran numero di uomini e di donne, tutti coloro, cioè, che si dedicano alla formazione cristiana della gioventù. Il primo titolo di nobiltà di questa vocazione consiste nella sua somiglianza con la paternità di Dio. Quegli uomini e quelle donne, infatti, vanno considerati innanzi tutto come un dono del Padre all'umanità, un dono profondamente paterno. Questa attività fa loro assumere una paternità o una maternità di ordine morale e spirituale. In essi e per essi il Padre celeste modella lo spirito, il cuore e il carattere dei suoi figli, aprendoli a una vita divina più generosa e più aperta, ve li stabilisce solidamente infondendo loro i principi di una condotta morale rispondente alla loro qualità di figli di Dio. Grandezza degli educatori e delle educatrici, ai quali il Padre ha affidato le sue responsabilità paterne e ai quali desidera prestare il suo volto di Padre, volto di una bontà coraggiosa, attiva e instancabile!

E ancora la stessa paternità che risplende in tutti coloro che nella Chiesa dedicano la loro attività al sollievo delle umane miserie, portando il suo messaggio di carità evangelica tra i poveri, tra i malati, tra tutti quelli che soffrono o che hanno bisogno di aiuto. Nella svariata molteplicità delle opere con le quali si organizza quest'aiuto al prossimo, nella generosità di quelle esistenze umane le cui forze sono tutte consacrate a sollevare la miseria altrui, dobbiamo riconoscere il Padre dei cieli sempre chino sugli uomini a prodigare loro il suo amore misericordioso. Quando un malato è preso d'ammirazione per la religiosa che lo cura con devozione materna, è il cuore del Padre che egli incontra in lei, e la stessa verità si rivela al lebbroso, che chiama « mano di Dio » la mano della suora missionaria che medica le sue piaghe.

Quanti uomini ribelli alla religione sono stati convinti dell'esistenza di Dio dalla dedizione sino al sacrificio di una suora! E la loro intuizione è giusta, perché è veramente Dio che si scopre in quella meravigliosa generosità, anzi ciò che di più profondo vi è in Dio: un cuore paterno. E con esso scoprono anche la Chiesa sotto il suo vero volto: il volto di una madre piena di bontà.

Di Jean Galot s. j.


mercoledì 22 novembre 2023

IL CUORE DEL PADRE - Il dono di Maria

 


Il dono di Maria

Il Padre ha voluto circondarci da ogni lato col suo amore, e poiché sapeva che non sarebbe stato facile per noi concepire un amore paterno, cosa, per quanto prossimo e dimorante in noi, troppo astratta per i nostri occhi affamati di ciò che è visibile, ha deciso di darcene una rappresentazione concreta, che toccasse più direttamente il nostro cuore. Per questo ci ha presentato la persona di Maria in qualità di madre, affinché attraverso il suo affetto materno ci giungesse con un linguaggio più persuasivo e toccante una testimonianza della sua paterna tenerezza. Egli sapeva quale eco suscita in un cuore umano la presenza amorosa di una madre e voleva, attraverso Maria, attirarci con maggior forza a sé e formare in noi un cuore filiale. Nella Vergine bisogna, quindi, vedere una figura illuminosa dell'affetto e della sollecitudine del Padre per noi; nei suoi tratti materni è ancora e sempre l'immagine del Padre che si delinea ai nostri occhi.

Per ben comprendere questa verità, dobbiamo ricordare che il cuore del Padre contiene in sé tutta la perfezione e tutta la ricchezza di un cuore paterno e di un cuore materno. La sua qualità di Padre non si oppone, come avviene tra gli uomini, alla qualità di madre. Nella specie umana la funzione generativa è divisa tra il padre e la madre e si effettua con l'unione dei due, non rappresentando nessuno di essi il principio generatore totale. Ma in Dio l'atto creatore ha per unico autore il Padre, che riunisce di conseguenza in sé ciò che noi chiamiamo paternità e maternità. Egli ha nel suo cuore la forza dell'amore paterno e la tenerezza dell'amore materno; dispiega contemporaneamente l'energia inflessibile del Padre, che vuole il bene dei suoi figli e lo procura loro con un grandioso piano di salvezza e un lavoro tenace, e l'estrema delicatezza della madre, sempre attenta anche ai più piccoli avvenimenti e difficoltà che si presentano nella vita di ciascuno dei suoi figli.

Perciò non solo la paternità umana, ma anche la maternità deve al Padre celeste ciò che essa è. Ogni maternità umana si presenta come una partecipazione e una derivazione della paternità divina. Quando Adamo ed Eva furono formati a immagine e somiglianza di Dio, il Padre li creò in modo particolare a immagine della sua paternità, uno in qualità di padre e l'altro in qualità di madre. Egli ha, in un certo senso, diviso tale immagine in due aspetti e ha voluto che Adamo rappresentasse certe tendenze e sfumature del suo cuore paterno, ed Eva le altre. Tutti i tesori d'affetto che un cuore umano di madre racchiude, provengono dunque dal Padre, anche secondo ciò che tale affetto ha di specificamente femminile e materno; perché il Padre riunisce in sé tutta la ricchezza affettiva, di cui ha suddiviso i riflessi in diversi tipi nella comunità umana.

Nell'amore di ogni madre per il figlio dobbiamo dunque riconoscere un'immagine vivente del cuore del Padre. La calda atmosfera che ella crea intorno ai figli, la sua profonda tenerezza, la sua attitudine a provare in se stessa ogni loro gioia o dolore, la perseveranza della sua sollecitudine, la sua benevolenza piena di attenzioni, i prodigi a volte eroici della sua dedizione sono altrettante manifestazioni di un amore che le fu comunicato dal Padre celeste. Se gli uomini apprezzano e giudicano a volte meraviglioso il cuore della loro madre, è perché di fatto vedono in esso una replica del cuore del Padre celeste, un affetto ispirato dal suo amore ineffabile.

Ma non solo nel campo della generazione fisica si trova questa replica. La paternità del Padre celeste é spirituale e negli uomini ha voluto riflettersi in una paternità e una maternità più elevate di quelle che hanno il loro fondamento nella famiglia. Vi é una paternità spirituale di cui san Paolo ha fatto l'esperienza ed espresso l'entusiasmo nella sua prima lettera ai Corinti: « Se anche aveste in Cristo diecimila maestri, non avreste tuttavia parecchi padri, perché sono io che, con la predicazione del Vangelo, vi ho generato in Cristo Gesù. D'altra parte l'apostolo era consapevole che quella esaltante paternità era stata pagata con molte sofferenze, inseparabili dalla missione di chi vuol formare salde coscienze cristiane: « Figli miei, ecco che per voi io soffro di nuovo i dolori del parto finché Cristo sia formato in voi ». Da queste parole si capisce che san Paolo considerava la sua paternità spirituale anche, in certo modo, maternità, poiché comportava i dolori del parto e una profonda tenerezza; e ciò perché nel campo spirituale paternità e maternità sono molto più vicine l'una all'altra: più una paternità si pone ad un livello superiore, più strettamente essa partecipa della generosità totale del cuore del Padre celeste. Per questo san Paolo, nella sua missione apostolica e nella sua influenza sulle anime, si sentiva un cuore paterno generosissimo.

La maternità spirituale non é meno ricca. Tutta la bellezza del compito di una madre che dedica la propria vita ai suoi figli secondo la carne si trova trasferita nel campo delle anime. Essa consiste nell'influenza profonda che un'anima esercita su un'altra anima per aiutarla a ricevere le ricchezze della grazia e a sviluppare in sé la vita di Cristo. Sostenuta da un intenso amore, da una efficace generosità, da un'apertura di profonda simpatia, tale influenza si esplica con una forza particolare di penetrazione e si colloca su un piano nettamente superiore all'istinto, sul piano di un amore distaccato da sé, più disinteressato, ma anche più vigoroso come amore.

Il Padre celeste ha voluto creare un tipo unico e ideale di maternità spirituale, in cui esprimere nel modo più evidente e più concretamente umano i prodigi di affetto di cui egli colma il cuore delle madri. E l'ha realizzato in Maria, stabilita come madre universale degli uomini nell'ordine della grazia. Egli, che possedeva in misura infinita le risorse dell'amore paterno, era altresì in grado di conferire a un cuore umano la capacità di abbracciare tutta l'umanità nella sua sollecitudine e nel suo amore e di esercitare effe&tivamente su tutte le anime il calore di un'influenza materna.

Più ancora, egli ha voluto una profonda somiglianza di struttura tra la maternità spirituale di Maria e la sua paternità divina. Il Padre aveva deciso d'instaurare la sua paternità nei confronti di tutti gli uomini ponendola all'interno della sua paternità rispetto al Verbo, suo unico Figlio. Attraverso Cristo, dunque, egli aveva desiderato amarci come suoi figli. Allo stesso modo egli ha posto a fondamento della maternità universale di Maria la sua maternità di fronte a Cristo. Diventando madre del Verbo incarnato, Maria sarebbe stata destinata a divenir madre degli uomini, e il suo cuore materno, come quello del Padre, sarebbe stato chiamato a riportare su tutti e su ciascuno l'affetto che ella avrebbe votato al Figlio di Dio. Da ciò si manifesta l'intenzione del Padre di dare alla maternità spirituale di Maria non solo la maggior estensione possibile, ma anche la maggiore profondità. La maternità di Maria non doveva consistere semplicemente in una effusione di amor materno, ma doveva fondarsi sulla generazione del Redentore. Maria non diventerà madre della grazia tra gli uomini se non dopo esser divenuta madre dell'autore della grazia; la sua influenza materna sulle anime avrà le radici più profonde e il suo affetto materno acquisterà le dimensioni di un affetto rivolto innanzi tutto al Figlio di Dio. Seguendo l'esempio del Padre, Maria guarderà gli uomini attraverso il suo Figlio diletto e in questa luce li considererà figli suoi.

Se san Paolo contribuiva a formare la vita di Cristo in coloro che erano stati affidati al suo zelo apostolico, Maria era destinata a farlo in maniera certamente più invisibile, ma anche più reale. Poiché essendo la madre di Cristo, ella ha il potere di generarlo nuovamente nelle anime. Ella che lo ha formato fin dal momento della sua venuta sulla terra, deve ripetere a beneficio degli uomini quel primo atto materno, riproducendo in ciascuno di noi il suo parto mirabile.

Ma la maternità di Maria a nostro riguardo, più ancora di quel parto di cui parla san Paolo a proposito dei Galati, è stata posta sotto il segno del dolore. Affinché Cristo potesse vivere in noi, Maria non lo ha messo soltanto al mondo: lo ha donato sul Calvario e ha pagato con quel sacrificio il prezzo della sua maternità spirituale. In virtù dell'offerta di Gesù crocifisso, infatti, ella può trasmetterci il Figlio trionfante, in quanto ha ricevuto il compito materno di distribuzione della grazia nelle nostre anime in ragione della sua partecipazione intima, in qualità di madre, al supplizio della croce. Maria ci ha dunque generato nel dolore, ed è sul Golgota, nel momento in cui perdeva il suo unico Figlio, che è stata investita della sua maternità universale: proponendola come madre al discepolo prediletto, Cristo intendeva che ella fosse madre a tutti.

Sotto questo aspetto la maternità spirituale di Maria si rivela simile alla paternità del Padre celeste e le e strettamente congiunta. Il Padre ci ha fatto suoi figli donandoci il Figlio suo e offrendolo in sacrificio per noi; Maria ci dà quello stesso Figlio che ella ha generato secondo la carne e che ha offerto in olocausto. Per questo la maternità di Maria è una rappresentazione particolarmente eloquente della paternità del Padre celeste. Ai piedi della croce, infatti, Maria sembra adempiere il compito di delegata del Padre sostituendolo presso il Figlio sofferente.

Delegata del Padre Maria lo è anche accanto a quelle anime che ha generato nel dolore del Calvario. Ad esse ella porta l'affetto paterno di Dio e nel suo cuore trafitto ci mostra il prezzo con cui il Padre ha voluto pagare la sua paternità a nostro riguardo. Nella madre di dolore che tanto ci commuove noi dobbiamo scorgere l'ardore di un amore paterno spinto all'estremo.

Non si tratta dunque di opporre la persona e la funzione di Maria a quelle del Padre, sebbene ciò qualche volta sia stato fatto. Si è facilmente indotti ad attribuire a Maria un'indulgenza., una bontà, una misericordia che non si riconoscono al Padre celeste, rappresentato invece come un giudice che deve, per quanto buono, attenersi nei suoi rapporti con noi alle, norme della giustizia. Maria avrebbe il compito di addolcire la rigidezza del giudice, obbedendo agli impulsi pietosi del suo cuore materno e lasciandosi più facilmente commuovere dalle preghiere dei suoi figli. Ella offrirebbe così un rifugio, dove la debolezza degli uomini potrebbe nascondersi e trovar riparo alla severità divina.

Abbiamo già notato, a proposito del dramma della redenzione, quanto fosse inesatto considerare l'opera di salvezza un atto della giustizia divina vendicatrice o punitrice: in essa il Padre si è lasciato guidare esclusivamente dal suo amore. Ora, se la bontà paterna è all'origine di tutta l'opera di salvezza, essa sola regola i rapporti del Padre con noi nel conseguimento della nostra salvezza individuale. Il Padre non agisce con ciascuno di noi diversamente da quanto non abbia agito con l'umanità nel suo insieme. Il suo amore per noi, la cui forza culminò nel dramma; del Calvario, continua a manifestarsi con la stessa forza. Sarebbe dunque fargli ingiuria rappresentarlo unicamente sotto i tratti di un giudice severo, in contrasto col viso dolce e soave di Maria.

Non c'è nulla nel cuore della Madonna che non sia venuto dal cuore del Padre. Ella ci appare come una madre piena di comprensione per le nostre debolezze e di misericordia per la nostra miseria, perché il cuore del Padre possiede al massimo grado tale comprensione e misericordia. Ella ci presenta tesori inestinguibili di pazienza e di bontà, perché il Padre ne ha una riserva infinita. Ella attira gli uomini con la dolcezza e l'amabilità: ma è ancora il Padre che li attira attraverso lei, perché il suo cuore trabocca di tenerezza e di simpatia per gli uomini. I cristiani hanno ragione di cercare in Maria un rifugio dove sono sicuri di essere ricevuti e soccorsi; ma avrebbero torto di considerarla un rifugio contro Dio: ella è piuttosto un rifugio nel Padre stesso, un asilo d'amore che egli ha costruito per noi. E ragione hanno pure i peccatori di alzar gli occhi all'Immacolata, di cui conoscono l'indulgenza estrema, e di confidare nel suo affetto nonostante tutte le colpe commesse; quest'indulgenza non è per nulla in contrasto con la severità divina: essa è l'autentica espressione della bontà paterna di Dio. Mettersi al riparo in Maria, nel suo cuore materno, significa mettersi al riparo in Dio, nel profondo del cuore del Padre. La figura di Maria è

così ricca di fascino appunto perché traspare in essa la sublimità dell'amore del Padre per noi.

Questa è la funzione della Vergine: di far giungere a noi l'amore del Padre. Dio sapeva che il nostro spirito avrebbe trovato difficoltà a capire come il suo cuore paterno nutrisse per noi tutto l'amore che possiamo desiderare da un padre e da una madre. Abbiamo già notato come per molti uomini il Padre sia un'astrazione: il suo volto paterno, essendo invisibile, appare loro lontano, freddo e privo d'interesse; a maggior ragione essi sono incapaci di percepire in lui tutto il calore che si trova in un amore materno. Ma il Padre è venuto in aiuto alla nostra impotenza e ci ha presentato una madre, che è ad un tempo una donna del nostro mondo e un ideale perfetto d'amore. Ella ci fa sentire la tenerezza e la sollecitudine del Padre, e vi riesce così bene, che per molti l'attrazione che ella esercita supera quella del Padre stesso. Maria non è, in realtà, che una messaggera della bontà divina, che vuole offrirsi a noi in maniera più convincente; ella non è che espressione del cuore del Padre. 

Di Jean Galot s. j. 1959.


giovedì 15 giugno 2023

IL CUORE DEL PADRE - La dimora del Padre nelle anime

 


La dimora del Padre nelle anime

Il sacrificio di Cristo ha operato la riconciliazione degli uomini con Dio. Da quel momento noi abbiamo, secondo le parole di san Paolo, « accesso al Padre »; possiamo cioè considerarci come facenti parte della sua casa, come suoi familiari, ricorrere a lui nei nostri bisogni e contare sul suo aiuto. Il Padre ci offre la sua intimità e si mette a nostra disposizione: possiamo dirgli ogni cosa, con l'audacia che usiamo solitamente con le persone che conosciamo bene, dalle quali non attendiamo che favori e simpatia. Le relazioni col Padre devono essere ispirate dalla confidenza, dato che l'accesso a lui è libero'. Vi è qui un'atmosfera nuova, diversa da quella dell'Antico Testamento, in cui il timore, senza tuttavia escludere l'amore, aveva la parte più importante nelle relazioni degli ebrei con Jahvé.

Per definire le relazioni d'intimità col Padre, san Giovanni usa una espressione forte ed efficace: « Chi sta nella carità sta in Dio, e Dio in lui » 3. E basa quest'affermazione sul principio che « Dio è amore », per cui stare nell'amore è stare in Dio. Abbiamo visto come la presenza della carità nei nostri cuori implicasse una presenza dell'amore del Padre. Consapevole di questa verità, san Giovanni considera il nostro rapporto col Padre più profondo di quanto non sia un semplice accesso a lui considerato come un familiare; perché chi sta nella carità non sta soltanto col Padre come un figlio della sua casa, ma in lui; la sua dimora è nell'essere stesso di Dio. Si noti la differenza che esiste tra « stare con qualcuno » o « stare presso qualcuno », e « stare in qualcuno ». In quest'ultimo caso l'intimità si riferisce al più profondo dell'essere; è una condizione vitale. Stare in Dio significa trovare in lui la sorgente della propria vita.

Questo dimorare in Dio significa anche che si trova in lui il proprio riposo. Il termine « dimorare » evoca calma e tranquillità: si sta in Dio in maniera stabile, al di sopra del flusso e del riflusso degli avvenimenti terreni. Ha in certo senso inizio la stabilità della vita eterna. Questa stabilità è superiore non solo a tutte le prove e gli sconvolgimenti esterni che travagliano un'esistenza umana, ma resiste pure ai movimenti e mutamenti psichici, alle variazioni dei moti affettivi, purché si rimanga nella carità. Non è necessario sentire che si dimora in Dio; il sentimento non può essere costante: esso va e viene. Ma il fatto che si sia in lui, indica un'intimità che persiste obiettivamente, quali che siano le impressioni soggettive che si possono avere.

E questa intimità Cristo aveva voluto conservare con i discepoli; al momento di lasciarli, aveva chiesto loro di rimanere nella sua carità, al fine di restare non soltanto con lui, ma in lui. « Rimanete nella mia carità, aveva detto, rimanete in me, come io in voi ». Ed è questa stessa intimità che deve legarci al Padre, poiché si tratta, in forza della carità, di dimorare in Dio, intimità tutta reciproca, perché Dio dimora a sua volta in noi.

Una tale reciprocità ha qualche cosa di sconcertante. È abbastanza facile concepire la nostra dimora in Dio, poiché Dio è l'essere infinitamente grande, che può tutto contenere e tutto circondare. Abitare in lui significa abitare in un abisso di cui non vediamo il fondo. E se è già motivo di entusiasmo pensare che il Padre ci accoglie nell'immensità del suo essere divino e che in tale immensità, invece di sentirci sperduti o schiacciati, godiamo l'intimità del suo amore paterno, e ancora più inebriante il pensiero che Dio dimora in noi. Che Dio contenga noi è comprensibile; ma che noi conteniamo Dio in noi stessi, è davvero sorprendente. Che la piccolezza umana possa contenere l'immensità divina, che il Padre voglia abitare nelle sue creature, come non fosse un favore sufficiente l'averle accolte in sé, ci riempie di uno stupore immenso. Soltanto l'ardore di un cuore paterno senza limiti poteva portare Dio a risiedere stabilmente in esseri tanto inferiori a lui e usciti interamente dalla sua mano.

Il Padre, non contento di averci dato lo Spirito Santo, col quale ci elargisce il suo amore e ci dà il suo cuore in pegno; non contento di far « abitare Cristo nei nostri cuori » in virtù dello stesso Spirito Santo, viene egli stesso in persona, col suo Spirito e il Figlio suo, ad abitare in noi. Gesù lo aveva annunciato, dicendo dello Spirito Santo: « Egli abiterà con voi e sarà in voi »; e del Padre e di sé: « Chiunque mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà, e noi verremo da lui, e faremo dimora presso di lui ».

Con questa promessa egli andava ben oltre quello che nell'Antico Testamento era stato presentato come il favore supremo concesso ad Abramo: la visita che tre uomini gli avevano fatto sotto le querce della valle di Mambre e che aveva il significato di un'apparizione dello stesso Jahvé. Il patriarca era corso loro incontro appena li aveva scorti, aveva offerto loro ospitalità e servito il pranzo con le sue mani. Quella visita era una prima figura di questo modo di procedere di Dio, il quale spinge la sua benevolenza fino a venire a cercare riposo tra gli uomini, ad accettare gli umili omaggi e i servigi, partecipare al loro pasto in segno di una comunità di vita. Nella visita dei tre personaggi senza nome è adombrato un mistero, che, considerato. a distanza di tempo, alla luce del Nuovo Testamento, ci sembra indicare già l'intenzione delle tre persone divine di venire ad abitare tra gli uomini. È una prima figura, e assai imperfetta, perché si tratta di una visita breve e di un incontro esteriore. Mentre la realtà la supera di molto; essa consiste in un incontro che avviene nelle profondità dell'anima e in una visita che diventa dimora perpetua, e al posto dei tre personaggi senza nome noi riceviamo in noi le tre persone divine che Cristo ci ha rivelato.

È significativo che Gesù citi come fondamento della venuta della Trinità in noi l'amore del Padre: « Mio Padre lo amerà e noi verremo da lui ». Tutto ha origine nel cuore del Padre; il suo amore paterno comanda le relazioni tra Dio e noi. Tuttavia l'amore del Padre non appare qui come la realtà che precede tutte le altre, poiché esso si manifesta in risposta alla carità degli uomini; per goderne, noi dobbiamo prima amare Cristo e osservare i suoi comandamenti. Vi è forse contraddizione con- il primato assoluto dell'amore del Padre che, come abbiamo visto, si rivolge a noi con una generosità tutta gratuita e indipendentemente dai nostri meriti, per puro favore divino? No, perché quell'amore primo rimane; ma per compiere il suo disegno in ogni anima individuale esso ha bisogno di una libera collaborazione dell'anima stessa. L'amore del Padre non ci costringe a seguirlo né c'incatena a sé per forza; appunto perché è amore, esso evita di asservirci, di privarci della nostra spontaneità e della padronanza di noi stessi; ma ha la delicatezza di rispettare scrupolosamente la nostra libertà. Soltanto in virtù del nostro consenso e della nostra buona volontà il Padre stabilisce in noi la sua dimora. Quando un uomo si trova in buone disposizioni, un nuovo amore, per così dire, viene a rinforzare l'amore primitivo che il Padre nutriva per lui; e in virtù di questo nuovo amore il Padre inizia ad abitare nell'anima sua, realizzando pienamente il suo amore per noi.

Il Padre non vuole dunque entrare in un'anima per effrazione, bensì quando le porte gli si spalancano spontaneamente. E allora, accolto da una volontà che gli si offre liberamente, con quanto compiacimento egli penetra in quell'anima, con quanta soddisfazione il suo cuore paterno prende riposo nel cuore dell'uomo! Dal Vangelo possiamo intuire la gioia che doveva provare Cristo quando, alla sera di una faticosa giornata, andava a riposare a Betania nella casa di Lazzaro, di Marta e di Maria. L'elogio dell'atteggiamento di Maria, piena di sollecitudine per Gesù, rivela il valore che egli attribuiva all'essere ricevuto non solo nella casa, ma anche nel cuore di coloro che l'abitavano. Con la stessa sollecitudine il Padre entra nei cuori che si aprono a lui e li riempie della sua presenza consolatrice.

La sua venuta nell'anima avviene con delicatezza tale da passare facilmente inosservata. Il Padre non e un ospite importuno che impone la sua presenza come un peso; né un gran personaggio la cui importanza provoca imbarazzo. Lo portiamo in noi senza accorgercene, senza provare turbamento né disagio. Egli modella la sua presenza sulla forma della nostra vita e ne segue il ritmo per meglio entrare nella nostra intimità; in modo che è difficile per noi persuaderci che egli, l'Essere onnipotente, abiti veramente in noi. Infatti egli dimora in noi nel silenzio, mentre potrebbe rivelarsi, se lo volesse, nello splendore della sua luce o in una paurosa affermazione della sua sovranità; è il suo il silenzio della bontà che si mette a disposizione del prossimo senza farsi notare, il silenzio dell'amore che si fa tutto a tutti. Benché possa protrarsi senza farsi riconoscere né sentire, la presenza amorosa del Padre crea nell'anima una atmosfera nuova apportando un riflesso della gioia celeste. È una felicità segreta, a volte appena percettibile ma sicura, un senso di pace, quella pace dell'amicizia divina che è un dono della redenzione, la conseguenza della riconciliazione avvenuta tra Dio e gli uomini; la pace che gli ebrei auguravano quando salutavano, che san Paolo menzionava al principio delle sue lettere come un dono essenziale proveniente dal Padre e da Cristo: « A voi, egli scriveva, grazia e pace da parte di Dio nostro Padre e del Signore Gesù Cristo ». Nell'anima in cui l'amore divino ha trionfato, la pace ha preso il posto del tormento interiore, del profondo dissidio che il peccato ha prodotto nell'uomo. Separando l'uomo dal suo Creatore e il figlio dal Padre, il peccato provoca una frattura nell'anima, un'insoddisfazione fondamentale, una perturbante inquietudine; ma con la grazia, che sopprime lo stato di peccato e, di conseguenza, ogni causa di turbamento, sopravviene un senso di soddisfazione, di pace profonda, che deriva appunto dalla presenza del Padre e che testimonia l'accordo dell'uomo con Dio e di conseguenza con se stesso. La gioia che proviene dall'accordo con Dio altro non è che il sentimento, discreto ma reale, di una coscienza pura; sentimento che ha tanta parte nella felicità di un'esistenza umana e che, ripetiamo, è sostenuto e sviluppato dalla dimora del Padre nell'anima.

Se riuscissimo ad approfondire maggiormente le verità della fede e a comprenderne tutta la grandezza, noi considereremmo la dimora del Padre in una anima ben disposta una delle verità più consolanti. Il Padre è molto più vicino a noi, molto più unito alla nostra esistenza di quanto supponiamo, e vive in nostra compagnia più di quanto noi viviamo nella sua. Perciò la felicità profonda che egli ci offre lasciandosi possedere da noi, la dimensione che con la sua presenza dà alla nostra anima dovrebbe essere motivo di un'esultanza ben più viva. Quale immensa gioia « possedere il Padre! », secondo l'espressione di san Giovanni, il quale ancora dichiara: « Colui che riconosce il Figlio possiede egualmente il Padre! ».

Di Jean Galot s. j.


lunedì 25 luglio 2022

IL CUORE DEL PADRE - Il destino umano, predestinazione dell'amore paterno.

 


Il destino umano, predestinazione dell'amore paterno.

Abbiamo già notato come san Paolo capovolga la prospettiva alla quale avremmo trovato più comodo adeguarci. Infatti noi saremmo portati a pensare che al momento della sua creazione l'uomo fosse semplicemente promesso, nel proposito divino, ad un destino naturale arricchito da doni soprannaturali e da privilegi speciali; e che solo in conseguenza del peccato la volontà di Dio avesse concepito il piano della redenzione, col quale Cristo doveva meritarci la salvezza. Noi distingueremmo così due stadi nel destino dell'umanità, e solo nel secondo, dopo l'evento del peccato e la promessa della redenzione, situeremmo la nostra chiamata a diventare, mediante Cristo e in lui, figli di Dio. Indubbiamente questi due stadi sono esistiti nell'ordine dei fatti; ma noi sappiamo dalle parole dell'apostolo che fin dall'inizio, prima ancora della creazione del primo uomo, l'intenzione del Padre si era rivolta al Redentore, che egli contava di darci perché ricevessimo da lui la nostra filiazione divina. Così il destino umano non fu mai altro, agli occhi di Dio, che la predestinazione di un amore paterno. Nel suo pensiero la nostra qualità di figli precedeva la nostra esistenza.

Se san Paolo insiste ripetutamente sulla priorità assoluta di tale proposito del Padre, parlando di una scelta stabilita « prima della creazione del mondo » e ripetendo che si tratta di una predestinazione, di un progetto elaborato in precedenza nel seno della sola volontà divina, egli lo fa non solo per rendere omaggio al Padre e alla sua decisione sovrana di tutta l'opera della salvezza, ma anche perché in questa priorità del disegno paterno egli trova la ragione della sua infallibile realizzazione. Nulla può distogliere il Padre da ciò che egli ha deciso di mandare ad esecuzione; e precisamente perché non è risultata da questo e da quell'avvenimento terreno, tale decisione non può essere caduca com'è delle cose umane. Essa contiene in sé un fondamento incrollabile di fiducia e di speranza: la volontà del Padre d'essere nostro Padre è così radicata nell'eternità che trascina con sé tutto il corso del nostro tempo umano; ed è a tal punto opera della sua onnipotenza, che fa prodigiosamente convergere tutto alla sua esecuzione. Non è confortante pensare, soprattutto nelle ore difficili, che siamo stati prescelti prima ancora di esistere? Così appare evidente la bellezza inalterabile del nostro destino.

Ciò che anzitutto portiamo impresso nella nostra vita è la qualità di figli per la quale siamo creati, qualità tutta pervasa dell'amore infinito del Padre. Questa nostra, per così dire, chiamata è fondamentale quanto la nostra stessa esistenza. Abbiamo visto, infatti, che legge profonda del mondo inanimato è di fornire un contributo alla trasformazione degli uomini in figli di Dio; ne consegue allora che l'orientamento verso la filiazione divina rappresenta la legge sostanziale del nostro essere umano. Tutto in noi è previsto e organizzato per farci giungere a tale filiazione, poiché siamo il prodotto di un mirabile affetto paterno, che ispira e dirige integralmente la nostra vita facendole conseguire il suo fine.

Quest'affetto è tanto più generoso in quanto è del tutto gratuito. Avrebbe potuto manifestarsi in misura meno larga, poiché, anche se consideriamo il fatto di essere destinati alla filiazione divina come legge fondamentale del nostro essere, ciò non significa che un essere umano sarebbe inconcepibile senza tale filiazione. Il Padre avrebbe potuto creare uomini dotati semplicemente delle perfezioni e delle gioie inerenti alla loro natura umana, i quali si sarebbero semplicemente rivolti a lui come al loro creatore; e anche in ciò vi sarebbe stato un rapporto di paternità divina, quello di un autore nei confronti della  sua opera, soprattutto quando quest'opera è una persona. Chiamando ad esistere quegli uomini, conservandoli nell'essere e mettendo il mondo a loro disposizione, il Padre avrebbe ugualmente dato prova di un reale amore. Il suo dono si sarebbe limitato, è vero, alla natura d'uomo con tutto ciò che essa comporta: i beni materiali destinati a soddisfare i bisogni del corpo e i beni intellettuali destinati ad arricchire lo spirito. Gli uomini avrebbero limitato a quei beni le loro ambizioni e trovato la felicità nella facoltà di usare degli agi della vita e in una certa nobiltà morale, disponendo di tutto ciò che è necessario alla natura umana per svilupparsi. Sarebbe stato un dono apprezzabilissimo da parte del Padre; il quale nulla deve alle sue creature, dovendo queste ricevere tutto da lui.

Ma il Padre ha voluto chiamare gli uomini ad una, ' vita soprannaturale, innalzarli al disopra di se stessi, stabilirli in relazioni d'intimità con lui; aggiungere, insomma, al dono già gratuito della natura umana un dono più gratuito ancora. Anche qui dobbiamo notare che il Padre avrebbe potuto arrestarsi a un certo grado di questa vita soprannaturale e ammettere semplicemente gli uomini a rapporti d'affetto filiale. Sarebbero stati, questi rapporti personali col Padre e con le altre Persone divine, un grande privilegio; gli uomini avrebbero avuto accesso al cuore del Padre. L'orizzonte dei destini umani si sarebbe considerevolmente allargato e le aspirazioni dell'umanità avrebbero superato i beni di questo mondo per giungere a un'intima relazione col Padre, relazione che avrebbe prodotto una profonda trasformazione della natura umana, facendola partecipare del mondo celeste e divino.

Tutto ciò il Padre lo ha voluto, ma non é tutto egli ha deciso di dare alla vita soprannaturale degli uomini la forma più alta. Con un dono più profondamente gratuito ha voluto conferire agli uomini la filiazione in Cristo, mettendola tosi al livello supremo, nel prolungamento del Figlio unico incarnato. Comunicandoci la vita divina perché tale filiazione penetri interamente nel nostro essere, egli ci ha introdotto nella comunità d'amore della Trinità, amandoci dello stesso amore che porta al Figlio e invitandoci a condividere l'amore col quale il Figlio si dà a lui. Era necessario descrivere la graduazione che dalla vita semplicemente naturale conduce alla vita soprannaturale e, in questa, alla filiazione degli uomini in Cristo, per comprendere tutta la gratuità del dono del Padre. Il Padre ha voluto superare tutti i limiti della generosità: superare la paternità che con la creazione gli sarebbe appartenuta nei riguardi degli uomini e superare il semplice commercio d'intimità paterna con i figli elevati alla vita soprannaturale, al fine di instaurare una paternità e una filiazione di grado più elevato, nel seno dell'amore eterno del Padre e del Figlio.

Ciò che più impressiona è che l'intenzione del Padre si sia portata immediatamente al livello dell'amore supremo, che il suo primo pensiero sia stato quello del dono massimo. La generosità del Padre, è vero, non si è manifestata immediatamente in tutta la sua portata: il primo uomo fu creato in uno stato non uguale al nostro, uno stato che non comportava la filiazione in Cristo. Soltanto dopo la caduta cominciò a palesarsi la risoluzione di mandarci il Redentore, essendo questa risoluzione una risposta al primo peccato dell'umanità. Ma il Padre, prendendo questa decisione e annunciandola misteriosamente, non faceva che realizzare un proposito di gran lunga anteriore. Avendo previsto il peccato, egli aveva previsto e voluto il dono di Cristo come redentore, destinato a farci partecipare alla sua filiazione divina. Adamo ed Eva furono dunque creati in vista di questo destino filiale, circondati di un amore paterno di cui non potevano ancor conoscere la vera ambizione. Chiamandoli ad esistere, il Padre pensava a Cristo, di cui avrebbero dovuto un giorno vantare la somiglianza e condividere la vita divina.

 Modellando la loro anima, egli preparava il volto del Salvatore e per questo nel momento della creazione egli si dava loro completamente come Padre, volendo sin d'allora riconoscere ed amare in essi i tratti del Figlio incarnato.

Paolo intuisce tutto ciò ed altro ancora, poiché non dice soltanto che fummo prescelti al momento della creazione, ma prima. Vi è stato un periodo, prima della creazione, che non possiamo immaginare né esprimere in termini di tempo umano, poiché appartiene all'eternità divina, periodo in cui il Padre contemplava coloro che non esistevano ancora, ma che stavano già davanti ai suoi occhi perché li aveva prescelti come figli. Egli li vedeva attraverso il Figlio diletto e se ne compiaceva. Fin da quel periodo noi siamo stati, per così dire, portati dal cuore del Padre. Prima di mettere al mondo un figlio una donna lo porta per nove mesi nel suo seno; e benché non si tratti che di una vita fisica, vi é in questo periodo un misterioso inizio d'intimità tra la madre e il figlio, il germe del loro reciproco amore. Prima di metterci al mondo il Padre ci ha portati nel suo cuore, ha forgiato la nostra immagine e ci ha tenuti sotto il suo sguardo amorevole, nel segreto della sua contemplazione divina. Ha voluto così che nascessimo veramente dal suo amore e che la nostra vita sorgesse tutta intera da quest'amore: in quella prima contemplazione si é elaborato il nostro destino, in quell'intimità silenziosa ha avuto inizio l'intimità che il Padre avrà con noi durante la nostra esistenza terrena e nella visione dell'al di là.

Di Jean Galot s. j.


domenica 17 luglio 2022

IL CUORE DEL PADRE - Priorità assoluta del dono del Padre

 


Priorità assoluta del dono del Padre

Considerando il modo con cui il Padre ha voluto fare di noi i suoi figli, noi preferiremmo immaginare questa decisione come presa davanti al mondo abitato dai primi uomini. Dio avrebbe creato prima. l'universo, poi gli uomini, e avrebbe chiamato questi alla grazia della filiazione adottiva. Ma san Paolo dice chiaramente che non è così che dobbiamo rappresentarci il susseguirsi degli eventi. Il Padre, egli afferma, ci ha prescelti « prima della creazione del mondo ». Ne consegue che la scelta divina era già fatta quando nulla ancora esisteva dell'universo. Questa priorità assoluta della volontà del Padre di averci per figli dimostra che la creazione è avvenuta con quell'obbiettivo originario. Facendo sorgere il mondo dal nulla, il Padre pensava già a popolarlo di figli: l'universo intero fu predisposto a questo scopo.

Se si vuol cogliere il senso dell'universo e di tutte le cose create bisogna dunque guardarle da questo cuore paterno, cercando di ritrovare lo sguardo primitivo ed eterno del Padre. La scienza attuale fa risalire a parecchi miliardi di anni gli inizi del mondo e si sforza di darci una rappresentazione della massa iniziale e della sua espansione, mediante la quale ha prodotto le nebulose, occupando uno spazio sempre più vasto. Nulla di più appassionante di queste ricerche della scienza volte a scoprire l'origine del nostro mondo siderale e a ritracciare il suo sviluppo progressivo. Ma la vera visione dell'universo è quella che non si limita a determinare 1'apparizione dell'atomo primitivo e la storia della sua diffusione: sopra le leggi fisiche che presiedevano a quell'espansione dell'universo, vi era una legge superiore, legge che la scienza non può né raggiungere né formulare, perché appartiene ad un altro piano.

Era il disegno divino che orientava il mondo materiale verso un destino che lo sorpassava, il proposito del Padre di formarsi dei figli. Appunto in vista di questi figli il primo atomo fu chiamato ad esistere e tutto l'universo siderale a dispiegare la sua immensità.

Quando si confrontano i molti miliardi di anni che quest'universo conta con le poche centinaia di migliaia d'anni dell'umanità si é colpiti dalla sproporzione evidente, come se il passato dell'universo schiacciasse con il suo peso il passato umano. Allo stesso modo, quando si confrontano le dimensioni di un uomo col raggio dell'universo e con le distanze che ci separano dalle galassie più lontane non si può non ricavarne una mortificante lezione di piccolezza. Ma questa lezione si capovolge se si adotta il punto di vista di san Paolo, punto di vista autentico perché é quello del Creatore. Prima che l'universo iniziasse la sua lunga esistenza, gli uomini si trovavano già nel pensiero di Dio, tutta l'umana famiglia era davanti agli occhi del Padre. E ciascuno degli innumerevoli istanti che hanno segnato l'evoluzione della materia, non é esistito che per l'istante privilegiato in cui la umanità avrebbe avuto accesso in Cristo alla filiazione divina. Le stesse enormi dimensioni del mondo non esistono che per mettere in evidenza quel punto centrale in cui, in Cristo, l'umanità acquista dimensioni divine.

San Paolo ci illumina dunque sull'indirizzo fondamentale di tutta la creazione. Non si tratta, notiamolo, soltanto della verità che il mondo é stato creato per l'uomo; ma di un'altra ben più profonda: che il mondo é stato creato per i figli del Padre. L'atto della creazione, che potrebbe apparire ai nostri occhi una semplice manifestazione di potenza, era in realtà penetrato di tutto il calore di un amore paterno che aspirava ad effondersi, che preparava in anticipo la grandezza dell'uomo. Nella sollecitudine che il Creatore dimostrava al suo universo, il primo pensiero era sempre quello dei figli futuri, in modo che su questo mondo materiale, che non avrebbe di per sé meritato tanto interesse, operava continuamente una sollecitudine paterna. L'universo beneficiava della tenerezza che il Padre voleva testimoniare a quelli che sarebbero stati i suoi figli. La vera storia del mondo si andava iscrivendo nel cuore del Padre: l'espansione dell'universo era l'effusione di un amore.

Essendo l'atto della creazione una realtà permanente, poiché sostenere il mondo nell'esistenza e conservarlo altro non é se non continuare a crearlo, esso rappresenta anche attualmente la perseveranza di quest'amore paterno. In tutte le cose che ci circondano é celata la divina sollecitudine che le fa esistere unicamente per coloro che saranno dei figli. I movimenti degli astri che i nostri osservatori astronomici si studiano di seguire, le leggi della costituzione degli atomi che i fisici vogliono definire, i paesaggi di cui i poeti ammirano la bellezza, la varietà delle cose che fanno parte della nostra vita quotidiana e che noi guardiamo ormai con occhio distratto o troppo assuefatto, tutto ciò è guidato dall'alto da un'unica idea; tutto ciò obbedisce al grandioso disegno del Padre di farci suoi figli, e tutto ciò contribuisce alla sua realizzazione. L'universo è come una sinfonia costruita su un unico tema, ma orchestrata con una prodigalità ricchissima. Noi studiamo i particolari dell'orchestrazione, quelli almeno che cadono nel campo della nostra esperienza, e siamo spesso portati a trascurare il tema fondamentale, a concentrarci sulla tecnica dell'opera dimenticando l'idea che l'anima; e tuttavia nel tema, inafferrabile ma dovunque presente, è racchiusa la gioia della sinfonia e il suo significato. È il tema di un amore paterno che vuole abbracciare tutta l'umanità, che ritorna in ogni cosa come un'ossessione, l'ossessione di colui che ama e che vuole esprimere il suo amore; il tema che contiene la primitiva ed essenziale bellezza del mondo creato e della nostra vita all'interno di questo mondo. Questo tema, che bisogna ascoltare nella complessa sinfonia dell'universo, e la voce del Padre che ci colmerà di beatitudine.

San Paolo non ha soltanto compreso il piano d'amore paterno che ha preceduto e dominato tutta la creazione, ma ha scorto anche fino a qual punto quella mira divina si era iscritta nell'essere profondo delle cose create. Contemplando il mondo, egli lo vede animato da una tendenza fondamentale e misteriosa a favorire lo stabilirsi della filiazione divina negli uomini. E poiché questa tendenza è stata contrastata dal peccato, che ha distolto gli uomini da Dio e li ha privati della dignità di figli, l'apostolo coglie nell'universo una specie di aspirazione dolorosa alla restaurazione di quella filiazione, un gemito per ottenerla. « La creazione attende con impazienza che compaiano in piena luce i figli di Dio. Poiché essa fu assoggettata a una sorte illusoria e vana, senza il suo volere, e per il fatto della sottomissione che le fu imposta nei riguardi dell'uomo peccatore. Vi è una speranza, poiché la creazione medesima sarà così liberata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla libertà della gloria dei figli di Dio. Noi sappiamo infatti che la creazione intera è unita fino ad oggi nei gemiti e nei dolori del parto »

Da queste parole risulta come san Paolo ricavi in maniera concreta le conseguenze del disegno concepito dal Padre già prima della creazione. Questo disegno egli lo riconosce impresso nel mondo, perché il Padre « opera tutto secondo la decisione della sua volontà » ed esso è divenuto realtà ad un punto tale che l'universo attuale appare essenzialmente orientato, come il pensiero divino che l'ha formato, verso l'adozione degli uomini da parte del Padre. Per esprimere tale orientamento l'apostolo attribuisce alle creature inanimate dei sentimenti umani e un comportamento consapevole. Egli sa, ben inteso, di essere su un piano metaforico, ma la metafora di cui si serve ha un senso: attendere con impazienza che appaiano in piena luce i figli di Dio significa per l'universo possedere come legge del suo essere sostanziale l'obiettivo della filiazione divina degli uomini, e possederlo in modo tanto più urgente in quanto il peccato degli uomini è tutto teso al fallimento di questo scopo. Il destino di tutte le cose risponde così al desiderio del Padre: favorire il destino di coloro che sono chiamati ad essere figli di Dio. Poiché si tratta di far venire al mondo questi figli, l'universo soffre, in un certo senso, i dolori del parto; e sono i gemiti della donna che partorisce quelli che san Paolo udiva tra i disordini e i mali di questa terra. Ma al dolore presente doveva succedere l'ora della gloria, in cui l'universo avrebbe partecipato, secondo le sue possibilità, alla libertà superiore dei figli di Dio.

In questa dolente aspirazione, in questo parto, l'universo è unanime. L'apostolo lo sottolinea, notando che la creazione intera vi è impegnata, che tutti gli esseri creati gemono e soffrono insieme. E a questa unanimità si deve l'unità di un mondo così vario, di cose tanto disparate: tutto converge verso la filiazione divina degli uomini, tutto è ordinato per presentare al Padre i suoi figli e per accogliere la loro gloria.

In ciò consiste anche la vera grandezza dell'universo, che viene a collaborare alla realizzazione di un destino che supera di gran lunga tutte le forze materiali. Con la sua nobile visione del mondo san Paolo ci ricorda che né lo studio della costituzione fisica degli elementi, né la definizione astratta dell'essere metafisico delle cose ci permettono di cogliere quella che è la loro ultima consistenza, la loro unità e il loro valore. Le energie della materia sono trascinate da una corrente invisibile, ma reale e profonda, che le associa al destino umano. Con l'aspirazione a veder rivelarsi lo splendore dei figli di Dio, l'universo partecipa al mistero che s'è formato nel cuore del Padre. Egli per primo ha nutrito quest'aspirazione e l'ha fatta condividere alle sue creature. Infine, è da essa che l'universo mutua la sua dimensione più sublime, in quanto riflette il cuore del Padre nel suo disegno più generoso.

Di Jean Galot s. j.


sabato 11 giugno 2022

IL CUORE DEL PADRE

 


Da Cristo al Padre

È ancor più significativo il fatto che, pur attribuendo alla carità di Cristo un posto centrale nel proprio pensiero é nella propria vita, quale essa ha nel messaggio cristiano, san Paolo si sia costantemente preoccupato di raggiungere Dio Padre attraverso il Figlio. Pure concentrando il suo spirito spontaneamente e a fondo sulla persona di Gesù, egli riconosce in essa il disegno dell'amore onnipotente del Padre e subito si innalza fino a questo. Tale atteggiamento fondamentale si riscontra in ciascuno dei testi che abbiamo citato.

Quando dichiara che egli non vive più e che è Cristo che vive in lui, san Paolo designa Cristo come « il Figlio di Dio » che l'ha amato e che si è sacrificato fino alla morte per lui; e lascia intendere che si tratta dell'amore di un Figlio nel quale si deve discernere l'opera e l'amore del Padre. Completando poi il suo pensiero, egli identifica il dono di Cristo con la grazia di Dio. Significherebbe « render vana la grazia di Dio » il non ammettere che la nostra salvezza fu unicamente ottenuta dall'amore di Cristo, quando si e sacrificato per noi. Per « grazia di Dio » l'apostolo intende qualche cosa di più vasto .di ciò che intendiamo noi oggi per grazia. Con questa parola infatti noi designamo un aiuto particolare che ci viene da Dio, cioè la grazia attuale, oppure una qualità permanente dell'anima che possiede in sé la vita divina, cioè la grazia santificante. Ma prima ancora che gli stimoli divini di grazie attuali ci fossero destinati e che ci fosse comunicata la vita divina come grazia abituale, vi fu una prima grazia che è la fonte di tutte le altre: il dono che il Padre ci fece dandoci il Figlio. Se la carità di Cristo è la grazia di Dio, ciò significa che il dono di Gesù nel suo sacrificio è innanzi tutto un dono elargito dal Padre. Questa origine prima del dono di Cristo era sempre presente in san Paolo.

Nella seconda lettera ai Corinti, dopo aver parlato della carità di Cristo che lo premeva e aver ricordato che con la sua morte a beneficio di tutta l'umanità Cristo aveva mutato ogni cosa e rinnovato la creazione intera, l'apostolo aggiunge che tutto ciò « viene da Dio, che ci ha riconciliato con se stesso per mezzo di Cristo ». Il Padre, dunque, offeso dal peccato dell'uomo ha preso l'iniziativa della riconciliazione. Da lui provengono i mirabili risultati della redenzione, a lui si deve innanzi tutto la trasformazione d'un universo gemente sotto il peso del peccato in un universo salvo e santificato. San Paolo avrebbe potuto accontentarsi di ricordare l'amore di Cristo, di dimostrare come la sua morte avesse tutto mutato nell'universo. E invece no: subito dopo aver rievocato questa trasformazione del mondo, il suo pensiero si volge al Padre e sente il bisogno di dire che ogni cosa proviene da lui. Cristo agi con mirabile generosità quando diede la sua vita per tutti: ma, in lui, era il Padre che agiva. In Cristo dobbiamo vedere il Padre che si riconcilia con l'umanità, il Padre che offre il suo perdono cessando d'imputare agli uomini i loro peccati: « in Cristo Dio era presente riconciliando con sé il mondo ».

Non si può dunque capire Cristo e ciò che egli ha fatto se non riscoprendo in lui la presenza del Padre e l'azione del Padre. Quale errore sarebbe il nostro se guardassimo esclusivamente l'amore che Cristo ci ha testimoniato, come se questo amore fosse il primo e il Padre non ne fosse stato la sorgente originaria! Quale errore di prospettiva se si volesse opporre l'amore ardente di Cristo per gli uomini all'atteggiamento freddo, distante o anche ostile del Padre a loro riguardo! E' innegabile che agli occhi del Padre gli uomini erano dei peccatori; ma appunto per questo il Padre non ha voluto guardarli che attraverso Cristo, con uno sguardo che operava la riconciliazione e cancellava i peccati. Vi è d'altra parte qualche cosa di più di . questo sguardo: in Cristo, secondo l'espressione di san Paolo, Dio è presente, e Dio opera. In lui il Padre compie la sua opera.

Ne consegue che l'amore di Cristo per noi è la prova e la manifestazione dell'amore che il. Padre ci ha portato: questi due amori ci sono elargiti contemporaneamente, al punto da non formarne che uno solo. Alla domanda: « Chi ci separerà dall'amore di Cristo? » l'apostolo risponde: « Sono sicuro che né la morte né la vita, né gli angeli... né nessun'altra creatura ci potrà separare dall'amore di Dio in Cristo Gesù nostro. Signore ». L'amore di Cristo e' dunque l'amore di Dio in Cristo Gesù; il che significa che quando Cristo ci ama, è l'amore del Padre che giunge a noi; poiché l'amore del Padre per gli uomini si è rivelato nell'amore di Cristo, si è condensato in lui e in lui ha preso la sua forma definitiva. Perciò (entusiasmo suscitato in Paolo dalla certezza che nulla al mondo avrebbe potuto separarlo da Cristo che lo amava, era ancor, più profondo e più solido perché si fondava sulla convinzione di non poter essere separato dall'amore del Padre. Se l'apostolo era « più che vincitore », con gli altri cristiani, nelle sue prove, perché disponeva della forza dell'amore di Cristo, questa vittoria esaltante era pure quella dell'amore del Padre: donde un suo carattere più completo, più decisivo. Per il fatto che Paolo si era guadagnato l’amore di Cristo, Dio amoroso era unito a lui per sempre. Ovvero, per usare un linguaggio più modero: attingendo tutta la sua certezza al cuore di Cristo é alla sua fedeltà indefettibile, l'apostolo sapeva che in quel cuore gli veniva dato il cuore del Padre stesso, con l'onnipotenza del suo amore. Il Padre si era dato nel Figlio, e quel dono non era suscettibile di pentimento.

Quando affermava, nella sua predicazione, di voler Conoscere soltanto Cristo, e Cristo crocifisso, san Paolo era consapevole d'insegnare in tal modo ciò che vi era di più profondo nel cuore del Padre e che egli chiama il « mistero di Dio » cioè il disegno concepito da Dio per la salvezza degli uomini. Oggi noi usiamo il termine mistero per designare una verità rivelata, verità che supera la nostra intelligenza naturale; ma con le parole « mistero di Dio » san Paolo intendeva qualche cosa di più di una verità da credere; per lui significavano un piano d'azione elaborato da Dio. Il Padre aveva concepito quel piano nel segreto del suo cuore paterno. Da lungo tempo portava in sé l'intenzione di presentare agli uomini il Cristo con la sua opera di redenzione per mezzo della croce; ma l'intenzione restava nascosta e il mistero. custodito nel silenzio dei tempi eterni ». Solo al momento di attuarla il Padre la rivelò. In Cristo si era dunque manifestata la potenza del Padre che finalmente realizzava il suo sogno, la sua decisione più ferma. In Cristo, e in. modo particolare in Cristo crocifisso, era contenuto tutto il « mistero di Dio »; in lui il Padre aveva rivelato e realizzato il suo piano. Per questo, presentando a sua volta ai suoi ascoltatori Cristo crocifisso, san Paolo era consapevole non solo di annunciare loro « il mistero di Dio », ma di continuare l'attuazione di tale mistero con la sua predicazione. Il Padre, che aveva agito attraverso Cristo, agiva ancora attraverso l'apostolo che parlava di Cristo, di quella realtà di Cristo in cui il Padre aveva posto tutta la sua sapienza e tutta la sua potenza. E quella sapienza e potenza divina si manifestavano nella predicazione di Paolo con dei risultati straordinari, come se nelle sue parole il Padre fosse presente, con il suo « mistero », quanto Cristo.

Poiché riconosceva che tutte le meraviglie dell'opera di redenzione venivano in primo luogo dal Padre, a lui san Paolo tributava la sua adorazione « piego il ginocchio davanti al Padre »; a lui domandava per i suoi seguaci la grazia di conoscere l'amore di Cristo. Le ricchezze di Cristo erano insondabili proprio perché erano celate in quel « mistero » che per tanto tempo il Padre aveva nascosto agli occhi degli uomini; e il suo amore superava ogni intendimento perché si era spinto lontano quanto la sapienza del Padre, una sapienza « multiforme », dalle mille facce, piena di scoperte sorprendenti. Infine, Cristo ci ha amati senza misura perché possedeva la pienezza della vita divina del Padre. Questi, dunque, deteneva tutti i segreti di Cristo e a lui bisognava rivolgersi per conoscerli. Quei tesori appartengono prima che ad ogni altro al suo cuore di Padre ed egli solo può svelarli agli uomini. Nella preghiera che san Paolo gli rivolge chiedendogli di concedere ai cristiani la capacità di conoscere l'amore di Cristo, amore che supera ogni conoscenza, sembra di ascoltare un'eco della dichiarazione fatta da Gesù: « Nessuno sa chi è il Figlio, se non il Padre ». Per poter penetrare nella persona di Gesù e cogliere tutta la portata del suo amore bisogna risalire al Padre. Responsabile e autore di tutto il piano di salvezza, il Padre si trova all'origine dell'amore di Cristo per noi: contemplando e ammirando quell'amore noi dobbiamo riconoscervi l'opera della sua paterna bontà. Per guardare Cristo si deve alzare gli occhi verso il Padre; per lodare e ringraziare Cristo come si conviene, si deve portare lode e azione di grazie al Padre.

Risalendo ogni volta da Cristo al Padre, san Paolo sapeva d'altra parte di rispondere al desiderio formale di Cristo stesso. Perché Cristo aveva sistematicamente attribuito al Padre l'onore di tutto ciò che faceva, dei suoi miracoli e della sua dottrina: dichiarava di dovergli tutto, e indicava in lui non solo colui che aveva preso l'iniziativa dell'opera redentrice, ma anche colui che attualmente la dirigeva e che la portava a compimento. E’ noto con quale vivacità Gesù ha ripreso quel giovane che avrebbe voluto trovare in lui una bontà migliore di quella di Dio « Buon maestro », aveva detto il giovane, sottintendendo di aver scoperto un maestro la cui bontà superava quella dell'autore dei comandamenti. Ed è proprio questa impressione che Gesù corresse immediatamente: « Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, all'infuori di Dio ». Cristo non voleva che si separasse la sua bontà da quella del Padre, né che si preferisse l'una all'altra. Sarebbe stato recare ingiuria al Padre, da cui proveniva ogni bontà.

San Paolo, che aveva compreso a fondo questa verità, non ha mai avuto l'atteggiamento del giovane del Vangelo. Più entusiasta ancora di lui di fronte alla carità di Cristo, non pensò mai di opporre la bontà di Cristo a quella di Dio, né volle attaccarsi alla persona amorosa di Cristo come se questa dovesse proteggerlo da un Dio più severo. Nella carità, che durante la vita terrena Gesù testimoniò col sacrificio della croce, egli colse un'intenzione d'amore che si era formata nell'eternità divina, il « mistero » in cui si era concentrata la sapienza del Padre. Se vogliamo seguire la via tracciata da san Paolo, la bontà del maestro del Vangelo ci apparirà sotto il suo vero volto: un'espressione della bontà eterna del Padre. Per raggiungere il fondo del cuore di Cristo bisogna dunque andare fino al cuore del Padre.

Di Jean Galot s. j.


mercoledì 1 giugno 2022

IL CUORE DEL PADRE

 


IL DISEGNO GRANDIOSO DEL PADRE

Cristo, centro del nostro pensiero e della nostra vita

San Paolo, la cui vita intima trascorreva tutta nella familiarità con Cristo, non arrestava il suo pensiero alla persona di Gesù quando contemplava l'opera della redenzione; ma nell'entusiasmo che gli ispirava tale opera, i cui frutti egli vedeva moltiplicarsi nella sua esperienza di apostolo, innalzava i suoi ringraziamenti ogni volta più in alto di Cristo, fino a Dio Padre.

Tuttavia agli occhi dell'apostolo l'amore che Cristo aveva manifestato all'umanità era la meraviglia delle meraviglie. Sin dall'incontro folgorante sulla via di Damasco san Paolo era rimasto affascinato dalla persona di Gesù, che si era insediato da signore nel cuore della sua esistenza e al centro della sua visione del mondo. Ecco perché le formule « in Cristo », « in Cristo Gesù », « in Cristo Gesù nostro Signore » sono frequenti nei suoi scritti per esprimere l'orientamento essenziale del suo pensiero e della sua vita. Il grande apostolo viveva a tale punto in Cristo, che gli sembrava di sentire la propria vita annullarsi per far posto a quella di Cristo: « Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me ». Egli era convinto, e lo andava esperimentando nella sua fede, che Cristo comandava e animava tutto il suo fervore interiore e che si trovava in qualche modo alla sorgente di tutte le sue azioni vitali. Ciò che egli riconosceva innanzi tutto in questo Cristo che abitava spiritualmente in lui era il suo amore, di cui aveva provato in modo così vivo la benevolenza al momento del primo incontro. Cristo aveva scelto lui, il persecutore della Chiesa, il meno degno di tutti di ricevere un così grande appello. Vedendosi oggetto di un amore del tutto gratuito da parte di Cristo e riflettendo sul messaggio della Rivelazione, l'antico nemico dei cristiani aveva compreso dove si trovava la testimonianza definitiva e irrefutabile di quell'amore. Perciò, dopo aver dichiarato: « È Cristo che vive in me », aggiunge in modo da sviluppare il proprio pensiero: « lo vivo nella fede al Figlio di Dio che mi ha amato e che si è sacrificato per me ».

L'amore che Cristo aveva dimostrato nel sacrificio del Calvario, san Paolo lo concepiva come rivolto a sé personalmente; e questa verità illuminava tutte le altre e lo toccava nel più profondo dell'essere, come rivela l'emozione che affiora nelle parole: « si è sacrificato per me ». Forse, se avesse consentito a lasciarsi, guidare più lontano da quella emozione e a sviluppare maggiormente ciò che gli suggeriva il pensiero del proprio dramma personale e dell'amore di Cristo per lui, avrebbe potuto scrivere che Gesù aveva pagato il riscatto di sangue per poter fare di un persecutore un cristiano e un apostolo. Cristo condannato a morire era il prezzo della sua salvezza e della sua vocazione attuale. E' dunque comprensibile che san Paolo considerasse tutta la sua esistenza come sospesa a quell'amore e tutta la sua vita intima come fondata su di esso. Ed é, così, anche chiara la ragione per cui, nel suo apostolato, la persona di Cristo é sempre stata al centro di tutto. Per san Paolo predicare il Vangelo era predicare Cristo e il suo amore fatto di sacrificio. Quando ricorda ai Corinti la prima predicazione fatta loro, egli scrive: « Non volli sapere altro in mezzo a voi che Gesù Cristo, e Gesù Cristo crocifisso ». Queste parole rivelano un atteggiamento deliberato da parte dell'apostolo, una decisione personale di concentrare il proprio insegnamento sulla persona di Cristo e sull'atto supremo del suo amore. Ed era anche, per lui, un modo di scomparire davanti a Cristo, di non cercare nessun'altra eloquenza all'infuori di quella che emanava dal Salvatore stesso, reso presente attraverso il suo messaggio. Questa presentazione semplice della per=sona amorosa di Gesù aveva prodotto sull'uditorio un effetto sorprendente, che doveva essere attribuito non alla forza o all'abilità del predicatore, ma alla potenza divina.

Di più, l'amore di Cristo non era soltanto l'oggetto essenziale della predicazione di san Paolo, era anche il motore segreto di tutta la sua attività apostolica. Quando spiegava ai Corinti il vero motivo del suo zelo, volendo far loro comprendere che il suo ardore nulla aveva a che vedere con l'ambizione o il desiderio di comparire e di dominare, egli scriveva: « La carità di Cristo ci sprona ». E con ciò intendeva non l'amore che egli stesso votava al suo Salvatore, né semplicemente l'amore che Cristo aveva testimoniato a lui personalmente chiamandolo a un grande destino, ma quella forma universale di carità, per cui Cristo si era sacrificato al fine di dare la vita agli uomini e di portare la riconciliazione di Dío ai peccatori: « uno solo é morto per tutti ». Era questa l'immensa carità della quale l'apostolo si sentiva circondato da. ogni parte, incalzato e come prigioniero. Per designare questa stretta egli usa un termine che ha spesso il significato di abbattimento o di oppressione e che nel Vangelo suole designare una persona in preda alla febbre, gente sotto l'impressione del terrore, o il desiderio ardente, incoercibile di Cristo, il desiderio di essere battezzati nel suo sangue. Paolo vuol dunque dire che l'amore di Cristo lo preme come una febbre, una passione o un desiderio violento, e lo spinge a non vivere che per Cristo e a far di tutto perché gli altri siano altrettanto generosi perciò egli chiede loro in nome di Cristo di raccogliere i frutti della riconciliazione con Dio, che il sacrificio della croce ha loro meritato. Tutta l'attività apostolica di san Paolo è dunque governata dall'impulso di quell'amore per cui Cristo apportò la salvezza al mondo. Avendo senza posa davanti agli occhi questa carità estrema, l'apostolo è portato al dono completo di sé, pronto al massimo dello sforzo per la conversione di coloro per i quali Cristo è morto. L'amore salvifico di Gesù agisce su di lui come un esempio che trascina e ad un tempo come una costrizione interiore che unisce e stringe insieme tutte le sue energie.

Quest'amore non si limitava a un fatto passato, cioè al dramma del Calvario, in cui si era manifestato in tutta la sua grandezza: per san Paolo esso era attuale e non cessava mai di essere presente, perché, dopo il dramma della passione e della resurrezione, era stato definitivamente acquisito agli uomini. L'apostolo sentiva che quell'amore lo accompagnava dovunque senza affievolimenti né infedeltà, opponendo una barriera insormontabile a tutte le forze avverse che avrebbero potuto ispirar timore; sentiva che rappresentava una sicurezza invincibile contro ogni pericolo. « Chi ci potrà separare dall'amore di Cristo? La tribolazione, o l'angoscia o la persecuzione o la fame o la nudità o il pericolo o la spada, secondo che sta scritto: Per causa tua noi ogni giorno siamo dati a morte, siamo trattati come pecore da macello? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori, grazie a colui che ci ha amato ». Anche se Cristo aveva amato gli uomini durante la sua vita terrena, il suo fu un amore che non riguardava la carne, ma lo spirito, il solo che contasse; e tutta la forza di quell'amore avrebbe persistito sulle tempeste dell'esistenza umana fino al compimento finale dei nostri destini. San Paolo voleva comunicare ai suoi fratelli l'ardente convinzione che la gioia e la protezione di quell'amore non sarebbero mai venute meno. Su quest'amore del Salvatore egli fondava la sua speranza e ad essa voleva legare indissolubilmente la fiducia di tutti.

Perciò egli raccomanda agli Efesini di cercar di conoscere quell'amore. Alcuni di loro avrebbero preferito dilettarsi di cose arcane, quali erano promesse da certe dottrine pagane; ma san Paolo fa loro comprendere che esiste una conoscenza la quale sta al vertice di tutte le altre, la conoscenza della carità di Cristo, a cui si perviene quando si possiede Cristo nel proprio cuore per mezzo della fede e quando si é radicati nella carità. Egli afferma paradossalmente che ciò significa conoscere l'inconoscibile, perché la carità di Cristo sorpassa ogni conoscenza. Bisogna dunque innalzarsi al di sopra di se stessi per comprendere questa carità, che si pone, ad un livello superiore a tutti gli orizzonti umani. L'apostolo fa rilevare che tale conoscenza è assai diversa da quella dell'amore di una persona, che potremmo acquisire per contatto, per esperienza o per testimonianza, come avviene ordinariamente nelle relazioni tra gli uomini. Penetrare nella carità di Cristo significa superare ogni veduta terrena e accedere al sapere supremo, un sapere che nonostante la sua altezza si riconosce sempre inferiore a ciò che esso raggiunge.

L'amore di Cristo è dunque la realtà che anima la vita di san Paolo, che lo spinge all'azione: quella realtà che per lui è da conoscere prima di ogni altra e che si pone al disopra delle conoscenze umane.

Di Jean Galot s. j.