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lunedì 25 dicembre 2023

TESORI DI RACCONTI



La morte di una vanitosa.  

A Spoleto viveva una giovane, quanto avvenente di volto, altrettanto dissoluta di costumi, immersa nel fango d'ogni più sozza disonestà. Avvisata più volte a correggere una vita di tanta infamia, disprezzava le ammonizioni, le volgeva in beffe e continuava a sfoggiare in pompe, a trescare sfrontatamente ed appagare la sua brutale passione. La madre compiacendosi dell'avvenenza e del brio della figliola, e di vederla corteggiata da buon numero di amanti, lasciava correre la cosa senza farne gran rumore, colla speranza che alla fine troverebbe un buon partito di accasarsi, e dato poi già il bollore dell'età un po' alla volta si quieterebbe. Purtroppo si trovano di tali madri cieche e sconsigliate che tradiscono le loro figlie col tener mano alle loro bizzarrie, o almeno col non impedirle.  

Intanto avvenne che la figliuola gravemente infermò. Non giovando i rimedi, ed il male sempre più aggravando, alcune persone caritatevoli del vicinato, che venivano ad assisterla, la esortavano a ricevere i Sacramenti, e prepararsi alla morte. Ma la misera ostinata ed impenitente non dava retta alle loro esortazioni, anzi ne fremeva di rabbia e di dispetto. Animata dal sacerdote che l'assisteva a far senno, a raccomandarsi e a chiedere perdono a Gesù Cristo, stridendo coi denti come una furia d'inferno, e stralunando gli occhi orribilmente: Che perdono, urlava, che misericordia! Non me ne curo, non lo voglio. E che cosa ho io da fare con Cristo? Vieni, o diavolo, e pigliati l'anima mia, poiché tua sono stata, tua sono e tua sarò in eterno. E con tali parole sul labbro spirò.  

 DON ANTONIO ZACCARIA 

mercoledì 23 agosto 2023

TESORI DI RACCONTI

 


La restituzione.  

Una giovane cattolica trovandosi in Aleppo, al servizio di una famiglia scismatica, rubò alla sua padrona tutte le gioie, e avendone data la colpa al servo, questi fu licenziato. Venuta la Pasqua, la giovane si confessò, e il confessore le intimò di restituire, dichiarandole che altrimenti non potrebbe assolverla. Ma essa rispose che trovato ben ella avrebbe qualche altro prete che la avrebbe assolta, e se ne andò da un prete scismatico, Questi, udita che ebbe la confessione, le disse, che se voleva l'assoluzione, desse a lui la metà delle gioie rubate. La serva, sdegnata a tali parole, domandò il perché doveva dare a lui quelle gioie, e sentendosi rispondere: “per avere l'assoluzione...» tutta indispettita se ne andò.  

Riflettendo poscia che se non facesse la restituzione dovrebbe vivere e morire senza Sacramenti, o, se si confessasse tacendo la colpa, commetterebbe un sacrilegio, ritorna dal confessore cattolico, e gli dice: - Io sono pentita di essere andata da un prete scismatico: non ho pace, voglio confessarmi bene, sono risoluta di restituire le gioie come voi mi avete ordinato, ma non so come fare. - Se volete, disse egli, me ne incarico io, assicurandovi che le farò avere alla padrona senza che questa saper possa chi le abbia rubate.  

Ma il cuore della giovane non era tranquillo per il servo, che era stato per colpa sua cacciato di casa, e così non le pareva la confessione fatta veramente bene, se non riparava il danno cagionato a quel povero uomo innocente. Perciò un giorno ebbe il coraggio di gettarsi ai piedi della padrona, e di confessare la sua colpa con tutte le circostanze suaccennate, dicendo che volentieri subiva qualunque pena, piuttosto che mancare al suo dovere con Dio, e perdere il paradiso per una confessione mal fatta. La padrona vedendo il suo ravvedimento le perdonò, e ripigliò il servo in famiglia. V'ha anche di più: la padrona, commossa della gioia, che aveva provata la povera serva per la confessione ben fatta, si fece cattolica, e pubblicò il fatto sui giornali di Costantinopoli ed altrove. 

DON ANTONIO ZACCARIA 


domenica 25 dicembre 2022

TESORI DI RACCONTI

 


Una ispirazione a tempo seguita.  

Baldassare Guinigi, giovane nobilissimo di Lucca, era dedito perdutamente al gioco, che di molti mali gli era funesta cagione. Avviandosi un dì alla casa dov'era solito trattenersi lunghe ore coi compagni a giocare, nel passar che fece davanti alla chiesa di San Michele, sente al cuore questa voce del Signore: Entra in chiesa, e con una confessione ben fatta mettiti nella mia grazia. Egli, dopo avere seco lottato, per sua ventura cede a quella ispirazione, e fa al Venerabile Padre Cesare Franciotti, che ivi era, una generale accusa delle sue colpe. Appena uscito di chiesa col cuor contrito, s'incontra in alcuni suoi amici, i quali al vederlo inarcano per grande stupore le ciglia, come vedessero un morto risuscitato: e dopo averlo ben bene squadrato, esclamarono tutti ad una voce: Tu qui? ma non sei Baldassarre Guinigi? E se lo sei, come ancor vivi? Noi ti abbiamo già pianto morto. Egli che nulla sapeva della disgrazia toccata ai suoi compagni di gioco, se ne stava muto, non sapendo che dire. Ma lo stupore gli si cambiò in orrore, che lo fece gelare, quando da essi intese, che mentre egli stava in chiesa, era improvvisamente caduta la casa, nella quale erano i suoi compagni, seppellendoli tutti sotto le sue rovine: e questi suoi amici lo credevano anch'esso, secondo l'usato, in quella casa e quindi malamente perito. Guinigi riconoscendo dall'ispirazione del Signore la grazia di non aver fatto la misera fine dei suoi compagni, tutto a lui si consacrò nell'Ordine religioso della Madre di Dio, dove perseverò in buona e santa vita fino alla morte.  

La morte infelice dei compagni di Baldassare Guinigi ci ispiri orrore verso il vizio del gioco, che tante anime allontana dalla virtù e conduce all'inferno; e la miracolosa liberazione di lui da tale castigo ci induca e seguire con animo pronto le sante ispirazioni di Dio. 

DON ANTONIO ZACCARIA 

venerdì 14 ottobre 2022

TESORI DI RACCONTI - Ermanno Cohen.

 


Ermanno Cohen.  

Ermanno Cohen natio in Amburgo di Sassonia da genitori ebrei, levatosi in grande superbia per gli strepitosi applausi che ricevette nelle primarie città di Europa, nelle quali dava saggio della straordinaria sua abilità nel trarre dal pianoforte non più udire armonie da lui stesso composte, era divenuto vizioso. settario, ateo e propagatore caldissimo delle più orribili dottrine.  

Nel 1847 trovandosi a Parigi fu pregato da un suo amico a dirigere in sua vece, ché per improvviso ostacolo non poteva, una musica sacra, che si doveva eseguire nella chiesa di Santa Valeria, per una solenne esposizione del SS. Sacramento, ed egli, quantunque Israelita ed uso solo a musiche profane, accettò l'invito. Al pietoso Cuore di Gesù bastò questo ossequio del Cohen per farne un trofeo delle sue misericordie. Nell'atto che al riverbero di cento lumi s'impartiva all'affollato popolo la benedizione col Sacramento, ei fu come abbagliato da un raggio divino partito dall'Ostensorio, che gli scoprì la verità del cristianesimo, gli inspirò un grande orrore dei suoi eccessi, e lo forzò a curvare le ginocchia davanti all'Ostia consacrata.  

Né questi furono impulsi passeggieri: poco appresso si fece cristiano, poi religioso carmelitano assumendo il nome di Padre Agostino del SS. Sacramento, per gratitudine a Gesù Sacramentato, da cui riconosceva la prodigiosa sua conversione. Divenne celebre missionario, che commosse vari popoli in Francia, in Italia e in Inghilterra; e nel 1871 santamente morì. 

DON ANTONIO ZACCARIA 

martedì 26 luglio 2022

TESORI DI RACCONTI - Morto di fame in mezzo ai tesori.

 


Morto di fame in mezzo ai tesori.

Adad Califfo di Bagdad, che opprimeva gli egiziani colla sua insaziabile avarizia, accumulando tesori, sopra tesori, essendo minacciato di una invasione da parte dell'annata vittoriosa di Federico, ricorse per aiuto a Noradino Sultano di Siria, impegnandosi di corrispondergli una grossa contribuzione di denaro, se lo soccorresse per trarlo da tanto pericolo. Il Sultano mandò un famoso generale Saladino, il quale coi suoi valorosi soldati arrestò subito i progressi dell'armata di Federico, e lo costrinse a ritirarsi. Adad, vistosi sicuro, vinto dall’avarizia, rifiutò sotto vani pretesti di pagare al suo liberatore la somma pattuita. Saladino indignato per tanta slealtà rivolse allora le armi contro di Adad medesimo, e strinse d'assedio Bagdad. dove il Califfo si era ritirato.  

Ma gli abitanti, irritati dall'avarizia e dalla mala fede di Adad, consegnarono la città a Saladino a condizione che non fosse saccheggiata. Saladino mantenne la parola, e, impadronitosi del castello dove Adad si era rinchiuso coi suoi immensi tesori, lo fece incatenare, e ordinò che gli manifestasse il luogo ove li teneva nascosti. Ma né minacce di Saladino, né il timore della morte poterono indurlo a palesarlo. Scortosi nonostante il sotterraneo dove quelli erano sepolti, Saladino restò stupito al mirare un cumulo sì smisurato di ricchezze.  

Fece trascinare in quel sotterraneo il Califfo, e a lui rivolto sdegnosamente: - Tiranno più spietato delle tigri, gli disse, se non fossi schiavo della tua infame avarizia, avresti qui trovato il modo facile di mantener la tua promessa a Noradino, e risparmiar così l'assedio della tua città, e l'oppressione del tuo popolo. Tu resterai dunque in questo luogo a contemplare a tuo piacimento i tesori ammassati dalla tua avarizia; bevi mangia e saziati con quelli; la fame divorante che ti consumerà, serva a farti comprendere, che invece di accumularli per te solo, dovevi impiegarli per spargere l'abbondanza in mezzo al tuo popolo, e sollevar le miserie di tanti infelici che languono.  

Ciò detto si ritirò facendo chiudere la porta del sotterraneo, nel quale rimase confinato lo sciagurato Adad. Egli in breve spirò fra i supplizi orribili della fame e fra gli orrori della disperazione, in mezzo a cumuli di oro e di pietre preziose, che non gli valsero se non a rendere più atroci e tormentose le sue esterne agonie. 

DON ANTONIO ZACCARIA 

martedì 7 dicembre 2021

TESORI DI RACCONTI

 


Voglio salvare l'anima.  

Accadde nel sesto secolo che un giovane magnificamente vestito, appartenente ad una illustre famiglia, si trovasse sul monte degli Olivi presso Gerusalemme, e dinanzi ad un quadro egli teneva immobilmente fisso lo sguardo. Un fremito di orrore correva per le membra di quel giovinetto mollemente educato, al veder su quel quadro rappresentate le pene dell'inferno. Raccogliendo tutte le forze, egli voleva volgere le spalle a quella terribile scena, quando una signora di venerabile aspetto che l'aveva osservato attentamente e lettagli sul volto la impressione salutare prodottavi da quel quadro, gli si avvicinò e cercò di accrescere vieppiù gli effetti della pittura in lui, descrivendogli al vivo le pene riserbate agli impenitenti: Fa presto dunque, o giovine, gli disse nel termine, e salva l'anima tua! – Sì, lo voglio, rispose il giovane profondamente commosso: ma che debbo io fare? - Se vuoi salvare la tua anima, ripigliò la matrona, vivi nella preghiera, nel digiuno, nella continenza! - Ed ecco che quel bel giovane, pocanzi così molle e delicato, si trovò tutto ad un tratto compreso dai più seri pensieri. Una completa rivoluzione era avvenuta nel suo cuore, e subito si diresse ad un monastero, situato presso Gaza, ove il pio Serida era abate. Picchiò tremando alla porta, e chiese umilmente di essere ammesso alla comunità. L'abate, alla vista di quel giovane sì delicato e nobilmente vestito, incominciò a dubitare che la risoluzione di lui non fosse seria, e, nel timore che fosse una pia esaltazione momentanea, differì di accettarlo, e lo affidò intanto al monaco Doroteo, il più pio dei suoi religiosi, perché lo esaminasse con diligenza. Doroteo fece varie domande al giovane, ma questi rispondeva sempre le medesime parole: «Voglio salvar l'anima mia: questo è il mio unico desiderio». Doroteo riferì questa risposta all'abate, e consigliandolo a non differire più oltre l'accettazione del postulante, l'abate vi acconsentì. Il giovane adunque fu ammesso, divenne per la esemplarità della sua vita l'edificazione di tutti i suoi confratelli, e dopo cinque anni morì della morte dei giusti. Questo giovanetto a cui la vista di un quadro rappresentante le pene dell'inferno fece nascere in cuore il desiderio di salvar l'anima sua, e che vi riuscì così perfettamente, si chiama S. Dositeo. 

DON ANTONIO ZACCARIA 

martedì 19 ottobre 2021

TESORI DI RACCONTI

 


Il Santo calzolaio di Faenza. 

Il beato Novellone, calzolaio di Faenza, essendo guarito in modo quasi miracoloso da una gravissima malattia, si consacrò tutto al divino servizio, distribuì ai poveri ogni sua sostanza, e stabilì di voler impiegar di lì innanzi al soccorso dei medesimi una buona porzione del ricavato dai suoi lavori. Un giorno, avendogli un mendicante chiesta l'elemosina, ingiunse alla moglie di dargli del pane. Questa rispose che nell'armadio non v'era più pane; ma Novellone insisteva tuttavia e replicava: In nome del Signore va, e fa la carità a questo poveretto. Tocca da tali parole, la moglie apre l'armadio ed oh meraviglia! lo trova pieno colmo di un pane prodigioso. Colpita da tale avvenimento, ella che aveva fino allora guardato di malocchio la carità sì generosa del marito, e più volte ne aveva menato lamento, si associò da quel punto a tutte le opere di carità e di misericordia del medesimo. Essendo poi ella morta, Novellone non lasciò sfuggire veruna occasione di soccorrere i poveri, e distribuì ad essi tutta l'eredità pervenutagli dalla defunta. Trovandosi egli stesso per tanta generosità ridotto all'estrema indigenza, si vide forzato a ricoverarsi nell’eremitaggio di alcuni solitari. Un giorno che si trovava sulla strada per un'opera di carità, stimolato dalla fame si presentò ad un oste, pregandolo di un tozzo di pane. Ma siccome non aveva danaro da pagarlo, gli fu rifiutato col dirgli che andasse di porta in porta a mendicarlo. Allora il buon servo di Dio pregò il Signore a volerlo soccorrere in tanto estremo, e tosto comparve ai suoi piedi una moneta, che servì al pagamento del pane.  

Questo fatto colpì talmente d'oste, che da quel momento divenne pieno di carità e di fervore nel sovvenire i poveri.  

DON ANTONIO ZACCARIA 

martedì 24 agosto 2021

TESORI DI RACCONTI

 


Maria Dolorosa.  

Viveva nel Brabante una fanciulla di costumi immacolati e di santissima vita, per nome Maria. Un giovinastro dissoluto pose gli occhi addosso a quell'innocente colomba, e tentò ogni via per tirarla al peccato. Adoperò le lusinghe e le promesse; ed essendo ella poverissima, le esibì una grossa somma di denaro; ma tutto indarno, perché trovò la casta giovane inespugnabile a tutti gli assalti. L'iniquo, indispettito a tanta costanza e istigato dalla rea passione, prese un partito veramente diabolico. La pia fanciulla veniva di quando in quando invitata a pranzo in una buona famiglia, che a titolo di carità la sovveniva nella sua miseria. Un giorno pertanto che andava in quella casa, depose presso la porta la sua bisaccia dove era solita riporre quelle cose che raccoglieva in limosina, e poi presentatasi alla famiglia, si assise con loro a desinare. Il ribaldo, colto il destro, rubò in quella casa una tazza d'argento, e poi segretissimamente la mise entro il sacco della povera ragazza, mentre senza un sospetto al mondo si tratteneva colle persone di famiglia. Intanto si venne scoprendo il furto, e qualche po' di sospetto andò a cadere sopra l'innocente Maria. Lo scellerato amante andò a rinfacciarla sfrontatamente, incolpandola di quel delitto. Ma la fanciulla, sicura nella sua innocenza, asseriva di non aver nemmeno veduta quella tazza. Allora il perfido, cacciata la mano nel sacco di Maria, ne cava fuori in aria di trionfo la tazza minacciandola di andar subito ad accusarla alla giustizia. La santa giovane rimase inorridita a quella vista, e all'iniqua proposta; pure in sì dolorosa alternativa non vacillò, ma rispose che piuttosto che offendere Iddio, e contaminare l'anima da sì grave peccato, era pronta a patire qualunque tormento, e a sacrificare la vita. Allora quel perverso, furibondo di sdegno e smanioso di vendicarsi, andò ad accusare Maria come ladra, deponendo per prova il vaso, che asseriva aver trovato nascosto nel sacco di lei. In seguito a tale denunzia la santa fanciulla venne imprigionata, e sebben protestasse altamente di essere innocente, pure le sue scuse e ragioni non valsero a giustificarla, stando a suo carico il fatto, ch'ella non poteva negare, della tazza trovatale nella bisaccia; e quindi fu condannata alla morte. Mentre era condotta al supplizio, passando innanzi alla propria casa, domandò la grazia di fermarsi per pochi minuti e pregare avanti un'immagine del divin Salvatore che stava sopra la porta. Quivi colla faccia per terra si offerse in sacrificio a quel Signore che morì vittima innocente per la nostra salvezza, consolandosi di aver potuto evitare il peccato anche a costo della vita stessa, e così meritarsi l'eterna gloria. Finita la preghiera, continuò il viaggio fino alla pubblica piazza, dove, bendatile gli occhi, fu sepolta viva, incontrando così una morte ignominiosa per mantenersi fedele a Dio. Il Signore accettò quel generoso sacrificio, e glorificò poi questa santa sua serva, col far in seguito riconoscere la sua innocenza, e con strepitosi miracoli ottenuti ad intercessione di lei. La Chiesa la annovera nel catalogo dei Santi sotto il nome di S. Maria Dolorosa, proponendola ai fedeli come esemplare di purezza illibata e di invitta fortezza nel superare le cattive occasioni.  

DON ANTONIO ZACCARIA 

giovedì 5 agosto 2021

TESORI DI RACCONTI

 


Il libro prezioso

Giovanni Chantebel, fittaiolo di un villaggio della diocesi di Rennes in Francia, era un buon cristiano, bene istruito nelle cose della religione, perché aveva di frequente fra le mani il Catechismo, e trovava le sue delizie nel leggerlo e meditarlo. Egli viveva ai tempi della famosa rivoluzione francese. Un giorno i rivoluzionari, entrati in sua casa, lo trovarono col Catechismo fra le mani; ed essendo essi una gente nemica della religione, si indispettirono per questo grandemente contro di lui, e lo fecero prigioniero. Fu trascinato in mezzo alla piazza, ed ivi acceso un gran fuoco, gli ordinarono, se voleva esser salvo, di gettarvi dentro di propria mano il Catechismo, e così bruciarlo pubblicamente. Ma egli si rifiutava francamente e diceva: Questo libro prezioso contiene la verità della mia fede, e però non sarà mai ch'io voglia farne questo strapazzo. Cercavano essi d'impaurirlo con grandi minacce, ma il buon contadino non si piegava. Uno di quei briganti allora, preso un tizzone ardente, incominciò a bruciargli la mano.  

- Ah! diceva ad alta voce Giovanni, mi lascerò bruciare non solo la mano, ma tutto il corpo, piuttosto che commettere un atto sì indegno della mia religione, mandando alle fiamme quel libro, da cui ho ricavato tanti santi ammaestramenti. Gli empi, pieni di collera, lo posero a forza sopra un cavallo, obbligandolo a tener fra le sue mani la coda del medesimo, e continuando intanto a bastonarlo. Ma egli non perdé per questo il coraggio e la pazienza, e in mezzo agli urli del popolaccio che lo accompagnava si mostrava con volto fermo e tranquillo. Fra i tanti curiosi a questo spettacolo, si trovava anche la moglie di Giovanni, e questa lo incoraggiava dicendogli: Sta di buon animo; soffri pazientemente per amor di Dio: egli ti premierà. Così parlava una povera donna, così operava un povero contadino, perché sostenuti da una viva fede e da un gran rispetto per quel Ebro, che ne insegna la verità e ne spiega i precetti. 

DON ANTONIO ZACCARIA

domenica 23 maggio 2021

TESORI DI RACCONTI

 


Un peccato non confessato. 

Una giovane persona, racconta S. Antonio, commise giorno una colpa contro la santa purità. Appena la ebbe commessa si trovò coperta di confusione. Come avrò io il coraggio, diceva, di dichiarare questa nefandezza al mio confessore? Che penserà di me? Che dirà egli? Intanto si confessa senza dire tal colpa; si comunica e i rimorsi aumentano le sue pene; essa si trova come in un inferno. Agitata giorno e notte dai rimproveri della coscienza e dal timore di dannarsi, per liberarsi si diede alle lagrime, ai digiuni, alla preghiera, ma invano: la memoria dei suoi sacrilegi la tormentava senza posa: l'anima sua era come in un abisso di amarezza. Le viene in pensiero di entrare in convento, e ivi fare una confessione generale, e infatti vi entra e comincia la confessione progettata: ma tiranneggiata dalla vergogna, confessa il peccato in una maniera sì imbrogliata, che non lo fa punto intendere al suo confessore; e continua a comunicarsi con questo peccato nell'anima. Le sue pene divennero estreme. Per sollevarsi raddoppia i digiuni, le preghiere, per modo che le religiose del convento la presero per una santa, e la elessero per superiora. Divenuta superiora continuò codesta ipocrita la sua vita penitente ed esemplare, ma sempre amareggiata dall'estremo dei rimorsi. Per temperare l'insoffribile dolore stabilì di confessare il brutto peccato taciuto; ma la vergogna la rattenne più fortemente di prima, e perciò non se ne accusò. Risolse quindi di confessarlo un istante prima di morire, ma non ebbe il potere di farlo! Un assalto straordinario di febbre la fece cadere nel delirio, ed essa morì senza accorgersene. Qualche giorno dopo la sua morte, stando le religiose in orazione per lei, apparve loro in sembianze orribili, e disse: Mie sorelle, non pregate per me; io sono dannata! Per avere taciuto un peccato commesso nell'età di 18 anni: e per essermi tante volte accostata sacrilegamente alla Santissima Comunione.

DON ANTONIO ZACCARIA 

martedì 16 marzo 2021

Una guarigione portentosa.

 


TESORI DI RACCONTI

Una vedova madre di quattro figli abitava uno dei sobborghi di Mons. Essa vi teneva un piccolo magazzino aperto da molto tempo la festa e i giorni di lavoro. La maggiore delle figlie, dell'età di 17 anni, cadde malata nell'inverno del 1879. Tutti i rimedi furono esauriti, e il medico finì col dichiarare alla madre che non rimaneva alcuna speranza di salvarla.  

La giovane figlia aveva udito parlare di guarigioni concesse a quelli che promettevano di rispettare i giorni santi, e diceva fra sé che Iddio avrebbe potuto guarire anche lei, se sua madre avesse acconsentito a chiudere il suo piccolo magazzino la domenica.  

- Perché non chiudereste voi, come fanno tanti altri in questa città? disse ella a sua madre; io nutro fiducia che Iddio mi guarirebbe.  

- Povera figlia, rispose la madre, è impossibile, la domenica è uno dei migliori miei giorni di vendita, ho troppe spese per voi quattro, perché possa rinunziarvi, io scontenterei le migliori mie clientele.  

Lo stato della giovane peggiorava. Un giorno in cui la madre sembrava molto inquieta:  

- Se aveste condisceso a chiudere la domenica, disse l'inferma, a quest'ora forse sarei guarita.  

- Ebbene, te lo prometto, chiuderò la domenica, disse la madre. - Venne tuttavia la domenica e il negozio non si chiuse. Alcuni giorni dopo la figlia, sentendosi peggio, gridò:  

- Cara madre, io mi sento al termine delle mie forze, io me ne vo: bisognerà dunque darvi l’ultimo addio! Ah! se aveste voluto chiudere il vostro magazzino la domenica, mi pare che avrei potuto scampare alla morte.  

- No, rispose la madre, non ti lascerò morire per colpa mia, lo chiuderò, lo giuro a Dio!  

- Un grande miglioramento si manifestò subito. Il magazzino è rimasto chiuso da quel giorno tutte le domeniche; e, con meraviglia di tutti, la giovane, già sfiduciata dai medici ricuperò la salute, mentre mai il commercio di sua madre aveva prosperato quanto dopo quel giorno. 

DON ANTONIO ZACCARIA 

giovedì 18 febbraio 2021

Un vero Cristiano

 


TESORI DI RACCONTI 


Un vero Cristiano  

Pochi anni or sono, un soldato, dopo le fatiche del giorno, rientrato cogli altri nella caserma e venuto il momento del riposo, s'accosta al letto, s'inginocchia, e si mette a recitare, come usò sempre, le sue orazioni. A quella vista si leva un bisbiglio, un tumulto e poi un forte gridare:  

- Dalli al bigotto, al bacchettone, al gesuita: dalli, dalli! - e volano da cento parti del camerone addosso al malcapitato coscritto, berretti, scarpe e képi a guisa di gragnuola.  

Il soldato, come non fosse fatto suo, continua la sua preghiera, e non si leva prima di averla finita. Rizzato dice: «Tutto il giorno ho servito da militare, ora io pregavo perché sono cristiano».  

La sera dopo i compagni stavano all'erta per vedere come l'amico avesse imparata la lezione, e l'amico si segna, s'inginocchia e prega. Allora incomincia a baccano della sera innanzi: chi fischia, chi urla, chi ride, e il novello soldato non se ne dà per inteso. Levatosi da terra ripete: «Tutto il giorno ho servito da militare, ora che sono libero, servo Dio pregando da cristiano».  

La terza sera quando egli si mise in ginocchio, si levò qua e là qualche rumore, ma in paragone delle prime sere fu un nulla. Ed egli levatosi dice: «Che cosa dolce dopo aver servito tutto il giorno da militare, servire Dio coll'adorarlo e ringraziarlo da cristiano!». 

La quarta e la quinta sera appena si udì qualche voce. Alla sesta un camerata, vedutolo di nuovo in ginocchio, gridò ai vicini: «Perdinci! il nostro novello compagno d’arme regge al fuoco: egli è un bravo!».  

- «È bravo davvero, risposero molti, poiché egli adempie il primo dovere del cristiano, che è di servire, adorare e lodare Iddio». E d'allora in poi il coscritto ebbe la stima e il rispetto di tutti. Impariamo da questo soldato a vincere il rispetto umano, e persuadiamoci che la preghiera è il primo bisogno del cuor dell'uomo. 

DON ANTONIO ZACCARIA

venerdì 25 dicembre 2020

TESORI DI RACCONTI

 


La Beata Angela da Foligno.  

La beata Angela da Foligno era caduta nella sua giovinezza in brutte colpe, delle quali aveva tanta vergogna da non saperle confessare. Si comunicò un gran numero di volte sacrilegamente: ma siccome i rimorsi non la lasciavano in pace né dì, né notte, così si rivolse a S. Francesco d'Assisi per trovare un confessore cui avesse cuore di aprirsi. Il Santo le apparve la stessa notte nella figura di un vecchio venerabile, e le disse:  

- Mia sorella, io vi avrei già accordata tal grazia se me l'aveste domandata prima. Domani mattina voi troverete il confessore che desiderate.  

Il Santo difatti le fece trovare un confessore Francescano, al quale poté ella aprire francamente il suo cuore, sebbene con gran rossore e con molta umiliazione. Codesta penosa e coraggiosa accusa procurò a lei la pace del cuore, la dolce speranza del cielo, le consolazioni della grazia in vita, e quel bene eterno in morte che da tanti anni gode in cielo. Un momento di confusione al tribunale della penitenza le fruttò tanta pace!...  

DON ANTONIO ZACCARIA 

mercoledì 30 settembre 2020

Morire, ma non mentire.

 


TESORI DI RACCONTI 

Un giovane soldato piemontese propose ai piè del Crocifisso nella Confessione generale che fece prima di entrare nel servizio militare, di voler piuttosto morire che peccare a bella posta benché solo venialmente, e mantenne la sua risoluzione; eccone il come.  

Dopo alcuni mesi che era nella milizia, preso da vivo desiderio di rivedere i suoi genitori, facendo la guardia nelle mura cittadine, tentò disertare. Salta pertanto giù dalle mura, ma il poverino nel cadere a terra si ruppe una gamba. Obbligato a chiamare aiuto, corre il caporale, e chiede al soldato perché abbia saltato le mura, ed esso risponde:  

- Per disertare, e tornare alla casa paterna. Il caporale mosso a compassione gli dice di non palesare il motivo della fuga meditata, ma invece adduca per cagione della disgrazia il suo zelo d’impedire l'evasione di alcuni detenuti della prigione sovrapposta. Così avrebbe una medaglia, un grado di vice-caporale, e un premio in denaro. Ma il soldato risponde: - Morire e non mentire!  

Ringrazia il caporale del consiglio, ma gli afferma non poter violare la risoluzione presa nella confessione generale. Il caporale cercò di persuaderlo di non badare alla fatta risoluzione, ma a liberarsi dalla pena gravissima a cui andrebbe soggetto per il delitto di diserzione. Il soldato non gli dà altra risposta che quella: - Morire ma non mentire.  

Sopraggiunge il capitano, e anch'egli lo esorta a seguire il consiglio del caporale, ed altra parola non ottiene che: - Morire, morire, ma non mentire. 

Così subì, oltre il danno della gamba, la pena: ma la subì volentieri e lietamente, pensando con gran consolazione alla gloria data a Dio colla fermezza del proposito, che aveva fatto nella sua confessione generale, di non fare giammai alcun peccato deliberato neppur veniale. 

DON ANTONIO ZACCARIA 

martedì 8 settembre 2020

L'eroe della Croce.



Zaccaria è il figlio primogenito d'un vecchio vandeano, egli ha combattuto da valoroso per la religione e per la patria. Ma i suoi han dovuto soccombere al numero preponderante dei nemici, ed eccoli condotti dai repubblicani ad essere fucilati sul prato del piccolo villaggio di Briacè, dove sorge una gran croce.  

- Tu sei di questi luoghi, disse a Zaccaria uno di quei ceffi, additandogli il campanile che loro stava dinanzi.  

- Sì, rispose il giovane. E guardando dalla parte destra vede la capanna che raccolse bambino, dove or lascia i suoi cari per sempre; una lagrima gli spunta sul ciglio, e un grido straziante gli esce dal labbro: Povero mio padre!  

- Tu hai padre ancora? 

- Sì, ed è vecchio, infelice! Ah la mia morte gli accorcerà la vita!  

Il repubblicano al vedere nel giovane pietoso quella commozione, con un malizioso sorriso: Ebbene, soggiunse, se tu vuoi, vivrai tu e tuo padre ancora.  

Zaccaria meravigliato gli volge uno sguardo quasi per interrogarlo.  

- Sì, tu vivrai, se tu vorrai fare quello che ti si chiederà.  

Il giovane che non aveva tremato mai fra l'orrore delle battaglie, gettò di nuovo uno sguardo verso la paterna casa, esclamando: A qual patto mi renderete voi a mio padre?  

- Prendi quella scure ed abbatti la Croce.  

Il giovane Vandeano in preda ad una agitazione febbrile si slancia verso il santo legno e grida: A me la scure!  

I suoi compagni atterriti a quello spettacolo, urlano minacciosi con sorda voce: Traditore, vile, disertore!... E i rei bestemmiatori non possono nascondere la satanica gioia per quello insperato trionfo.  

Ma il giovane valoroso, ritto a piè della Croce, conforto dei suoi teneri anni, brandendo la scure: Questa Croce, grida, custodisce i nostri campi, benedice ai nostri focolari; a piè di questa Croce ho pregato, ho pianto ... Guai a chiunque minaccerà la mia Croce!  

A tale atto, a tali parole i repubblicani pieni di rabbia si scagliano contro di lui, ed egli coll'impeto di furioso leone vibra la scure, e d'un colpo getta a terra lo sciagurato che gli aveva proposto di abbatter la Croce, e nel vigore del suo braccio percuote ed atterra altri sacrileghi: il suo cuore è ardente; son gli occhi una fiamma; egli pugna da prode perché pugna per l'onore del suo Dio.  

Ma i suoi, nemici che han ceduto dapprima, sbigottiti a quell'improvviso furore, tornano all'assalto contro quell'unico nemico; ed egli allora, vedendo che gli è forza soccombere, si stringe alla Croce. Già puntate ha le baionette al petto, eppur non lo trafiggono, perché più che anelanti del suo sangue, bramano ch’ei rinneghi il suo Dio.  

- Abbatti la Croce, gridano, o sei morto.  

- Sorga la Croce, la Croce è la vita!  

- Abbatti la Croce, o muori, urlano furibondi; e il trafiggono.  

- O Santa Croce, ch'io spirando t'abbracci: tu sarai l'ornamento della mia tomba.  

Il sangue del giovine martire imporporò l'albero della vita; ei cadde esangue fisso sempre lo sguardo amorosamente alla Croce.  

E quivi egli ebbe tomba, e sovra il sasso fu scritto: Qui riposa Zaccaria, l'Eroe della Croce.  

DON ANTONIO ZACCARIA

mercoledì 29 luglio 2020

TESORI DI RACCONTI


Alzati e cammina  

Viveva nel secolo decimo secondo nel convento di Shònau una santa monaca di nome Elisabetta, che era il modello e l'esemplare di tutte le sue compagne. Fu ella una volta colpita da gravissima malattia, che sempre più aggravandosi l’aveva ormai ridotta agli estremi. Era il giorno della festa della SS. Annunziata, e le compagne addolorate al sommo per l'imminente pericolo di morte in cui si trovava Elisabetta, si adunarono nella cella di lei per recitare le litanie. Si recarono quindi in coro per ricevervi la S. Comunione, e mentre ciò avveniva, la santa inferma struggendosi di amore verso Gesù, santamente invidiava le compagne che potevano riceverlo nella S. Comunione. Quand'ecco tutto ad un tratto si vide comparire dinanzi, presso il letto dei suoi dolori, un Angelo del Signore, il quale appressatosi a lei, le pose una mano sul capo e le disse:  
- Alzati e cammina! Tu sei guarita dalla tua infermità. Va pure a ricevere il Santissimo Corpo di Gesù; sii di buon animo e costante nel bene. A tali accenti tutto il male si dileguò ed Elisabetta si sentì rinvigorita per tutta la persona e perfettamente risanata. Si vestì in tutta fretta e corse tosto a ritrovare le suore, le quali non capivano in sé dalla gioia e dallo stupore. 

DON ANTONIO ZACCARIA 

venerdì 12 giugno 2020

TESORI DI RACCONTI



Una moneta alle anime del Purgatorio.  

Un fanciullo vispo e grazioso trovò per via una moneta d'argento. Egli povero ed orfano era stato ricoverato per carità da un fratello, che tuttavia lo trattava poco bene. Al luccicar della moneta una gioia non più sentita invade il cuor del giovinetto che tosto colla immaginazione va sognando le mille cose: E come impiegherò, domandava a sé stesso, questa moneta? Seduto su un sasso si guardava attorno il fanciullo, e vedeva che le sue vesti erano rattoppate e sdrucite, vedeva che scarpe non aveva nei piedi da ripararsi dalle intemperie. E il pane? una lagrima cadde dagli occhi del fanciullo, pensando che neppure aveva pane a sufficienza per sfamarsi. Quanti bisogni! a quale dare la preferenza? Vagava il suo pensiero qua e là incerto, quando vede un Sacerdote che passava. A quella vista ritorna alla mente dell'orfanello la memoria del padre e della madre che non ha più. Gli occhi si gonfiano di lagrime; fa una risoluzione, e colla moneta in mano corre al Sacerdote e: Prendete, gli dice, fatemi la carità di celebrare una Messa per i miei poveri morti.  
Da quel giorno, protetto dalle anime sante del Purgatorio vide cangiarsi la sua fortuna. Un altro fratello lo raccolse e lo fece educare. Il fanciullo, di ingegno svegliato e di indole buona, crebbe nella scienza e nella pietà. Poscia si rese religioso, diventò grande dottore, Vescovo, Cardinale, Santo. Egli è San Pier Damiani.  

DON ANTONIO ZACCARIA 

martedì 26 maggio 2020

TESORI DI RACCONTI



Un buon proposito.  

In Francia un povero fanciullo di nome Paolino, in occasione della sua prima Comunione aveva presa una sola risoluzione ma seriamente: se mai tornassi a cadere, diceva, in un peccato mortale, andrò a confessarmi avanti di coricarmi. Questa disgrazia gli accadde in un sabato mentre faceva tempo cattivo, e il confessore stava lontano. Dice egli fra sé: andrò a confessarmi domani che è festa: ma intanto gli passava per la mente il proposito fatto nella prima Comunione, e una interna voce gli diceva: fa ciò che hai promesso, vatti a confessare. 

Tuttavia egli esitava, e in questo interno abbattimento si mette in ginocchio, dice un'Ave Maria alla SS. Vergine e si sente subito risoluto a confessarsi, sì che si mette tosto in cammino.  

Tornando dalla confessione incontra una signora, che, conoscendolo, lo ferma e gli domanda donde viene, ed egli colla gioia sul viso le dice che è stato a confessarsi, che ora va a casa a cenare, e poi a dormire colla pace del Signore. La madre del fanciullo che era usa a lasciarlo dormire un po' più al giorno di festa, alle sette del mattino andò a picchiare alla porta della camera per svegliarlo. Un quarto d'ora dopo Paolino dormiva ancora, e la madre va a chiamarlo di nuovo, ed impaziente per non sentirsi rispondere entra nella camera:  

- Su, pigro, gli dice, sono ormai le sette e mezzo: non ti vergogni di dormire a quest'ora? - Si avvicina al suo Paolino: questi non si muove, gli prende la mano, e la trova agghiacciata; la povera madre manda un grido di spavento e cadde a terra tramortita. Paolino era morto, e il suo cadavere già freddo.  

Lui felice che fedele al buon proposito fatto nella prima Comunione, non aveva differito la confessione al domani! 

DON ANTONIO ZACCARIA 

domenica 10 maggio 2020

TESORI DI RACCONTI



Rispettate i Ministri di Dio .  

Alcuni giovinastri nemici dei preti discorrevano, insieme sul modo di spacciarsi dei medesimi, chiamandoli impostori, superstiziosi, ipocriti, egoisti, fanatici, ecc. Entrano in una bettola e dopo essersi avvinazzati, uno di costoro, che la faceva da capo della brigata, dando un pugno così forte sulla tavola, da far balzare per terra fiaschi e bicchieri, gridò: L'ho trovata!  

Oh la magnifica idea! E tratti in disparte alcuni di quei bravacci, loro parlò sottovoce mettendoli a parte del suo disegno; e questi applaudendo gridarono: - Bravo!... Evviva!... non poteva esser meglio pensata ... evviva!... Domani sera dopo il tramonto mentre passa qualche prete ... Un solo in sulla via per invitarlo a salire, e poi a me ... E si finì colle parole di ordine: Morte ai preti! sì, morte, morte!  

La sera del giorno appresso, poco prima dell'Ave Maria, una figura sospetta s'era fermata al portone di un palazzo. Essa stava muta, guardinga, come il tradimento. Passa un buon sacerdote e sente una voce che gli dice:  

- Fate la carità di salir su per un povero moribondo che chiede aiuto negli estremi momenti. 

Si volge, e vede quel tristo, che fingendo di piangere così lo pregava. Pieno di carità lo segue per la scala, ed entra nella stanza del morente. Se non che gli parve di esser tenuto d'occhio da alcuni, che quivi fermati sembrava volessero farsi beffe di lui. Nondimeno seguitò avanti, ed avvicinandosi al letto del moribondo, i circostanti mostrarono pure d'allontanarsi. Il prete allora, intento al suo ministero, si volse a chiamare l'uomo giacente sul letto; ma non gli fu risposto.  

Che sarà? pensa tra sé: credendolo in letargo. Lo scuote: ma esso era immobile! Si china sul letto per sentire i polsi, alza il lembo del lenzuolo ... orrenda vista! un ceffo enorme con lunga barba, cogli occhi quasi fuori dell'orbita, la bocca spalancata e contorta, nella destra stringendo una rivoltella a sei colpi, con un dito sul grilletto dell'arma .... pare che gli voglia tirare alla vita.... Il sacerdote indietreggia; ma fissa meglio, e vede che quell'uomo non si muove. Lo scuote una seconda volta, ma non dà segno di vita. Chiama i circostanti, che già stavano come smemorati guardando la scena da lungi: tutti si fan presso all'amico, lo chiamano .... Invano! Era morto! ....  

Allora il buon prete alzò al cielo lo sguardo, ed esclamò: - Gran Dio, sei pur terribile nella tua collera! –  

Poi voltosi ai circostanti disse: - Il Signore vi perdoni dal cielo come io vi perdono ... E partì lasciando tutti percossi da un terrore inesplicabile, non solo per l'estinto, ma più ancora per il rimorso d'aver dette tante bestemmie contro chi per l’altrui salute arrischia sì facilmente la propria vita!  

DON ANTONIO ZACCARIA 

lunedì 27 aprile 2020

TESORI DI RACCONTI



Il peccato e la morte di Giuda.  

Un fanciullo faceva i suoi studi in uno dei principali collegi di Francia. Finché la virtuosa sua madre l'ebbe sotto le sue cure, era giunta a preservarlo dagli innumerevoli pericoli di cui è circondata la puerizia. La sola necessità poté indurla a separarsene, tanto più che un tetro e vago presentimento le martellava il cuore. Durante il viaggio nel condurlo al collegio, ella era triste e pensierosa, e le scorrevano dagli occhi le lagrime; si consolava tuttavia sul riflesso, che il figlio era innocente e savio, e cercava di rassicurarsi che tale si sarebbe conservato; ma sventuratamente s'ingannò.  

Tra i molti compagni di collegio, si incontrò il meschino in due fanciulli maliziosi e corrotti, e strinse con questi amicizia. Sortito da natura un temperamento ardente e un cuor sensibile, si lasciò ben presto trascinare dalle loro perfide insinuazioni. Perdette l'innocenza, e, con l'innocenza, la pace, la bella pace dell'anima. Alcuni libri cattivi, che quei perversi compagni gli diedero da leggere, finirono di perderlo.  

Intanto giunsero le vacanze, ed andò a passarle in seno alla famiglia, dove non riportava né il cuore né l'innocenza di prima. I genitori che erano veri cristiani, e volevano che lo fosse anche il figlio già prossimo ai dodici anni, gli parlarono di fare la sua prima Comunione. Per compiacere alla madre il giovane libertino accondiscese a tutto.  

Impara il suo catechismo, finge di voler emendarsi delle abitudini di collera, di menzogna, e di altri vizi contratti; si confessa, ma sacrilegamente col nascondere certi peccati più vergognosi; poi in tale stato ardisce accostarsi alla sacra Mensa, macchiando così l'anima sua di un secondo sacrilegio ancor più orribile.  

I genitori ingannati lo credono in buone disposizioni, e lo rimandano al collegio; ma i superiori e i condiscepoli s'accorsero subito che egli era assai peggiore di prima. Cupo, sgarbato, violento, per un nulla montava sulle furie, insoffribile ai compagni che maltrattava con prepotenza, disubbidiente e contumace coi maestri, era oggetto di continue lagnanze da parte di tutti. La sua svogliatezza nello studio, la sua indocilità e le sue maniere ardite e sprezzanti gli attiravano di frequente dei severi castighi.  

Una volta fra le altre spinse sì oltre la sua impertinenza, che il direttore lo fece rinserrare per qualche ora in una stanza del collegio. Gli vengono dati libri, carta e quanto occorre per fare i suoi doveri, e, giunto il momento di metterlo in libertà, si va alla stanza; prima di aprire si sta in ascolto, ma non si sente verun movimento.  

Si bussa all'uscio; nessuna risposta. È aperta la porta, e si trova lo sgraziato giovine appiccato ad una trave del soffitto. Che costernazione! Si guarda sul tavolino, e in luogo della composizione di scuola, si trova una specie di testamento scritto di sua mano. Ivi stavano espressi i sentimenti d'un'anima empia, sacrilega, disperata.  

Tale fu la fine di quell’infelicissimo giovane, vittima dei cattivi compagni e dei libri perversi, che, avendo peccato come Giuda, fece anche la morte di Giuda.  

DON ANTONIO ZACCARIA