Apparizioni a Ghiaie
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Il ruolo del Cortesi
Dopo la lettura di alcuni giudizi dati da persone autorevoli sull'opera del Cortesi, è giusto conoscere ciò che egli scrive sul ruolo da lui svolto nell'affare Ghiaie.
Sarà bene che ci facciamo prima un'idea su quello che egli pensa delle apparizioni in genere, e di quelle di Ghiaie in particolare.
Nel tentativo di demolire la relazione di padre Gemelli, che presenta la bambina Adelaide Roncalli non suggestionabile, non isterica, sincera, insomma un soggetto normale e quindi credibile, don Luigi Cortesi, scrive: "Sospesi il giudizio su di essa (normalità di Adelaide, n.d.r.) e la trascurai, come cosa oscura, sterile; dispostissimo a negarla, qualora non si potesse conciliare con una spiegazione naturale delle visioni" (v. L. Cortesi, Il problema delle apparizioni di Ghiaie, o.c. p. 114).
Domenico Argentieri commenta: "Dunque il Cortesi già prima di fare ogni indagine, era convinto che le visioni di Ghiaie dovevano avere un'origine puramente naturale... Poiché la spiegazione naturale è per lui premessa ad ogni e qualsiasi indagine, questa premessa assiomatica vale non solo per Bonate, ma per tutte le manifestazioni soprannaturali in ogni tempo e in ogni parte del mondo..." (v. o.c., p. 31).
Domenico Argentieri continua: "Dalle pagine 130 e 131 "in nota" del primo volume (Storia dei fatti di Ghiaie, n.d.r.), il Cortesi stesso afferma di avere partecipato intimamente ai fatti di Ghiaie "senza un incarico speciale" e confessa di violare perciò "un espresso divieto generale del vescovo", e afferma anche che "quei lunghi contatti con la bambina erano lunghi furti quotidiani".
Il Cortesi scrive anche, dopo un'udienza dal vescovo il giorno 27 maggio 1944: "Alla fine del rapido colloquio S. E. mi rimprovera di avere accostato la bambina in convento senza quel permesso che io esigevo dagli altri. Non c'è che dire: debbo incassare in silenzio. Per fortuna il vescovo non me ne vuol troppo male"...
Nel diario del vescovo affidato alla commissione d'inchiesta trovasi annotato in data 29 maggio 1944: "Dò istruzione a don Cortesi che non si faccia vedere come un direttore dei movimenti, per togliere pretesto all'osservazione fatta da qualche confratello che, ora che si è cercato di togliere la bambina alla suggestione dei familiari, sono i sacerdoti che sembrano suggestionarla".
Quelle istruzioni non furono ascoltate da don Cortesi che apparve invece come un vero "direttore dei movimenti"...
Ma la più grave "usurpazione" di don Cortesi fu proprio quella vietata a tutti nel n. 5 del decreto vescovile 14 giugno 1944:
"Nessun sacerdote o laico, qualunque sia l'autorità sua o l'incarico che dicesse avere, è autorizzato a fare inchieste o indagini se non con licenza scritta dell'ordinario di questa diocesi e in relazione con gli organi di inchiesta già debitamente costituiti"...
"Restava a fare — scrive il Cortesi — lo studio del contenuto e della storia delle visioni. Aspettai che alcuno fosse deputato a così fatto lavoro fondamentale, massacrante. Ma non si poteva aspettare a lungo, giacché, allontanandosi dai fatti, la memoria di Adelaide e dei testimoni si sarebbe irrimediabilmente oscurata. Allora, per la confidenza e la consuetudine che aveva con me la piccina, per le amicizie che avevo contratto alle Ghiaie, per l'ampia esperienza personale che avevo dei fatti, mi credetti in grado di assumermi quel lavoro".
Dunque il Cortesi ammette che si assunse arbitrariamente l'incarico delle indagini sulle apparizioni di Bonate senza averne prima ottenuto il necessario mandato dalla suprema autorità diocesana; anzi, aggiungiamo noi, contro l'espresso divieto del vescovo...
Il Cortesi voleva far presto, e voleva fare da solo, per evitare il pericolo che altri indagatori potessero riconoscere il carattere soprannaturale delle visioni, cui egli attribuiva una spiegazione naturale.
La testimonianza di un solo uomo non è mai accettabile e tutte le legislazioni richiedono almeno due testimoni...
Il Cortesi, volendo indagare da solo..., escludendo l'assistenza di testi qualificati... toglieva a quei suoi tre volumi ogni garanzia di veridicità". (v. o.c., p. 31-33).
Severino Bortolan
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