giovedì 20 febbraio 2025

VITA DI SAN CARLO BORROMEO

 


Delle dignità che conseguì, e di molte cose che fece in Roma Carlo, vivendo lo zio Pontefice. An. 1560.  

Ritrovandosi adunque la Santa Sede Romana vacante per la morte di Paolo IV, il Sacro Collegio dei Cardinali dallo Spirito Santo guidati, elessero concordemente per Vicario di Dio il cardinale Giovanni Angelo de Medici, patrizio di Milano e zio materno di Carlo, la notte seguente al Natale del Signore, l'anno di nostra salute 1559, nominandosi Pio IV. E benché la città di Milano facesse per tale elezione quella festa che conveniva - per essere promosso alla suprema dignità del mondo un suo amorevole cittadino - il nostro Carlo però, che più d'ogni altro ragionevolmente sentir doveva nel suo cuore gioia infinita massime per i sommi onori a lui preparati, come in somiglianti casi a chi è nipote caro del Pontefice avvenir suole; come ben fondato che egli era in virtù soda, non diede segno veruno di vana allegrezza, e né meno mostrò nelle universali congratulazioni che dalli primari della città venivano a lui fatte di un così felice successo, di sentire compiacimento di alcuna gloria umana.  

Tutta la dimostrazione che egli fece in quella occasione, fu di ricorrere a' santi sacramenti della confessione e comunione insieme col conte Federico, suo fratello, per unirsi bene con Dio e rassegnarsi tutto al suo divino volere; e fece fermo proposito di non partire da Milano se l'obbedienza dello Zio non lo muoveva; e l'osservò ancora pienamente, poiché, sebbene il fratello suo ed altri cavalieri insieme presero tosto il viaggio di Roma, egli solo se ne restò finché il Papa stesso lo mandò poi a chiamare. E nell'arrivo suo alla corte papale il Sommo Pontefice, che sommamente lo amava, lo accolse con molto giubilo; e siccome Sua Santità aveva piena cognizione del valore grande e delle virtù singolari di lui; così pensò di onorarlo con le prime dignità ecclesiastiche e di servirsi dell'opera sua in tutto il gravissimo governo pontificio.  

Onde senza porre dimora alcuna lo fece da prima Protonotario partecipante e di poi Referendario; e l'ultimo giorno di gennaio 1560 lo creò Cardinale del titolo de' santi Vito e Modesto, che mutò poi fra poco tempo in quello di san Martino ne' Monti; ed agli otto del seguente mese di febbraio gli conferì il titolo dell'Arcivescovato di Milano, correndo egli allora l'anno ventesimosecondo, mesi quattro e giorni sei dell'età sua (1). E tutto questo si conobbe poi essere avvenuto per particolare dono e provvidenza di Dio, affinché la Chiesa di Milano, che nelle cose dello spirito se ne stava languida e quasi morta, fosse aiutata e soccorsa da così potente mano, come poscia l'esperienza ha dimostrato. E fu insieme un singolare esempio di non giudicar mai gli animi, né le azioni di chi governa, massimamente de' Sommi Pontefici a' quali assiste con modo molto particolare lo Spirito Santo. Poiché considerandosi ciò che operò Pio IV verso Carlo, massime in averlo creato arcivescovo di una Chiesa tanto ampia, in età così giovanile ed in tempi di gran libertà e rilassamento, pareva secondo la prudenza umana che non fosse stata risoluzione degna di lode; nulla meno si videro poi i mirabili effetti e le opere stupende che Iddio fece per mezzo di questo giovane non solamente nel governo della sua particolar Chiesa di Milano, ma nell'universale insieme di tutto il  mondo, i quali nella presente istoria andremo con l'aiuto divino descrivendo. In maniera che molti uomini savi sono stati di parere che il pontificato di Pio IV fosse dato da Dio per far grande il nipote Carlo nella Chiesa, perché ne risultasse poscia quella riforma della Chiesa stessa che egli promosse e nella provincia sua almeno ridusse ad ottimo fine. E diversi hanno interpretato che quel segno prodigioso apparso molti anni innanzi sopra di esso Pontefice, come si legge nella vita di Pio IV presso il Panonto e nella vita di Giovanni Giacomo de Medici scritta da Marc' Antonio Messaglia, volle denotare l'istesso. Perché mentre egli era nelle fasce, si levò sopra di lui una fiamma viva che andò di lungo alla lucerna spenta, alla quale porse lume; e lasciandola accesa, con molto stupore della nutrice del fanciullo che tutto il fatto stette mirando, se ne disparve subito. Vogliono che quella fiamma significasse lo splendore della dignità pontificia che il bambino conseguir doveva, il quale poi aveva ad accendere la grande lucerna del nipote per dar luce a tutto l'universo, con decorarlo delle dignità di già accennate. E difatti egli fu poi chiamato lucerna d'Israele da Gregorio XIII, e lume grande della Chiesa santa da Clemente VIII, e da molti altri gravi uomini che di lui hanno parlato e scritto. Per il che con verità dire possiamo, che san Carlo fosse da Dio chiamato, come un altro Aronne, senza sua opera o pensiero, alle narrate dignità ed uffizi nella Chiesa di Dio.  

Non cessò il Sommo Pontefice di onorarlo sempre più e di affidargli grandi imprese, riuscendo egli in tutte con molto stupore del mondo. Onde lo fece capo della Consulta, e gli diede autorità di sottoscrivere in nome suo i memoriali e le facoltà che alla giornata si concedevano; e gli impose i carichi maggiori del governo pontificio con l'amministrazione e reggimento dello stato ecclesiastico, con molti privilegi aggiunti e facoltà amplissime, senza procurarne egli veruna; anzi ricusandone alcune che dalla santità dello Zio gli venivano offerte, essendone da lui e da' parenti ed amici suoi che nel favore di lui speravano, assai ripreso, tassandolo eglino che lo facesse per bassezza e per viltà d'animo. E sebbene fosse posto in tanta grandezza, non restarono però punto abbattuti i fondamenti dell'edifizio de' suoi religiosi costumi e rare virtù; né i molti e vari negozi ne' quali riusciva mirabile, lo poterono ritrarre da' suoi santi pensieri concepiti; né la copia delle ricchezze e comodità, le quali sogliono perturbare assai la vita degli uomini ed ammollire gli animi rendendoli delicati, ebbero forza di deviarlo dall'incominciato suo corso di vita virtuosa; sapendosene egli così ben servire, che gli furono d'aiuto non poco per camminare alla proposta perfezione. E ben si vede come il Signor Iddio teneva particolar cura di lui, e che con la sua divina e dolcissima disposizione lo guidava dirittamente per i sentieri sicuri di una santissima vita, benché da' mondani fossero poco intesi, ma da Lui però benissimo conosciuti. Per ciò considerando egli alcuni anni dopo questi benefizi divini, soleva dire, che sua Divina Maestà l'aveva guidato per la via del suo santo servizio non per mezzo di tribolazioni ed avversità, ma sì bene per prosperità e floride grandezze umane; affinché scorgendo e considerando egli in esse la vanità e cecità del mondo, non ne facesse conto veruno, ma applicasse l'animo suo a cose più sode e di maggior importanza, che sono i beni infiniti della celeste patria.  

 Andò poi pensando di non mostrarsi ingrato, né sconoscente della buona grazia dello Zio; perciò corrispondendogli di reciproco amore, non volle defraudarlo né anche in cosa minima, della buona opinione che aveva concepita di lui, in modo tale che fu sempre diligentissimo in servirlo ed aiutarlo con molta fedeltà, con tener sempre il suo cuore e l'intenzione lontani dagli interessi propri e mondani. Poiché innalzò principalmente, secondo la sua buona disposizione, i suoi pensieri alla divina gloria ed al bene di Santa Chiesa, proponendosi questo per suo fine principale; affinché quivi mirando tutte le azioni di lui, non errasse nella mole di un tanto governo, né punto deviasse dalla rettitudine che si richiede in chi regge altri.  

Ed a questo effetto elesse alcune persone di gran bontà e valore per suoi consiglieri; e mostrandosi pieno di umiltà e colmo di prudenza, niente operava in servizio di Santa Chiesa senza il loro maturo consiglio. Oltre di ciò egli si diede allo studio di buoni libri spettanti al governo ed alla politica; con abborrire quelli che fondati in cose contrarie alla religione cristiana, insegnano piuttosto a distruggere, che a formare un vero governo ed un principe buono. E perché entrarono nell'animo suo pensieri grandi e ardenti desideri di fondare collegi, seminari e studi di letterati per servizio di Santa Chiesa e della repubblica cristiana, per cominciare a darle principio in qualche modo, istituì una nobilissima Accademia di uomini principali e di molta scienza, ecclesiastici e secolari ancora; nella quale gli accademici si esercitavano intorno allo studio delle buone lettere pertinenti alla riforma de' costumi ed alla vita virtuosa, ragionando ora l'uno, ora l'altro a vicenda e conferendo insieme de' loro studi.  

Cose inventate da Carlo per levare l'ozio della corte, e introdurvi emulazione di virtù e di lettere; ed anche perché egli desiderava di restituire l'antico uso che avevano i prelati ed i vescovi di predicare il Vangelo per se stessi a' loro popoli. Il che non fu senza segnalato frutto; poiché, siccome questi esercizi furono a lui particolarmente di grandissimo giovamento per assuefarsi a predicare, essendo egli alquanto impedito nella loquela; così molti l'hanno poi imitato e vescovi e cardinali ancora, in fare ne' pergami quell'uffizio apostolico. Fu a lui similmente di notabile aiuto, com'egli spesso affermava, il trattare le sentenze di quei buoni filosofi particolarmente stoici, sì per pigliare consiglio nelle sue azioni, sì ancora per reprimere i moti e le passioni del senso. E fra gli altri libri gli giovò molto il Manuale d'Epitetto stoico, il quale aveva egli sovente nelle mani e lodavalo assai, come io stesso ho sentito di sua bocca, mentre parlava di questa Accademia. Chiamò questi esercizi accademici col titolo di Notti Vaticane. Notti, poiché vi si attendeva di notte, non concedendogli comodità di farlo di giorno le sue gravi e continue occupazioni. Vaticane, perché si facevano nel palazzo  pontificio, che si chiama il Vaticano. Era questa accademia molto celebre ed illustre per essere formata di persone grandi, come ho detto, e di uomini letteratissimi; molti de' quali riuscirono poi vescovi e cardinali ed anche uno di essi Sommo Pontefice, che fu Gregorio XIII.  

 Furono a san Carlo quegli esercizi non solamente di molto utile. ma insieme ancora di non poco ornamento, poiché gli recarono maestà ed autorità grande appresso ad ognuno, per mostrarsi egli così ben inclinato ed animato alla virtù e verso gli uomini virtuosi. E veramente parerà cosa mirabile a chi bene ci pensa, il vedere che questo giovane nell'età più fiorita, collocato in istato di tanta grandezza e così favorito da tutto il mondo, avesse nondimeno il suo cuore ed affetto tutto intento a' virtuosi e santi trattenimenti; levando al proprio corpo il riposo necessario della notte per potervi attendere, senza portar pregiudizio al governo pubblico. Onde si vede come egli non perdeva una minima parte di tempo, cosa tanto preziosa, e che non attendeva allo studio delle lettere per velare, o coprire con ozio vile, ovvero dappocaggine con questo magnifico nome di studioso, cosa molto biasimevole in chi ha governo d'altri; ma sì bene per ricevere aiuto ne' suoi negozi ed imprese, e per l'ardente brama che egli aveva di destar gli uomini e massime i prelati, dalla sonnolenza in cui allora si viveva, ed infiammarli nelle sante virtù per benefizio universale della repubblica cristiana.  

 Mentre adunque governava in questa maniera, con un cuore saldo in Dio e con tanta ritiratezza dalle cose ed interessi mondani, ebbe non solamente per bene, ma stimò anche maggior servizio di Dio e del suo buon reggimento di non usare tanta singolarità, che in qualche modo non si accomodasse al vivere della corte almeno nell'esterno, per fuggire tutti quei termini che lo potessero rendere odioso, e per conciliarsi la benevolenza di tutti, la quale suole avere gran forza per far che il governo riesca bene e lodevolmente. Onde anche in questo mostrò gran virtù ed una meravigliosa prudenza; onde con gli apparati esterni della casa, con la suppellettile, con la famiglia e con altre cose somiglianti viveva secondo i costumi della corte di quei tempi, dandosi molte volte anche alla conversazione, massime de' cardinali, ai quali portava rispetto grandissimo e sommamente riveriva facendo talora conviti solenni, e similmente ritrovandosi in casa d'altri; non ricusando alle volte alcuni piacevoli trattenimenti, come avvenne nell'occasione delle feste che si fecero per le nozze del conte Federico suo fratello con donna Virginia della Rovere, figliuola di Guidobaldo, duca d'Urbino. Nondimeno non fece però mai cosa indegna del grado e professione sua, anzi diede sempre segno di compiacere piuttosto ad altri in simili cose, che di averne per se stesso gusto alcuno, come quegli che fin d'allora portava nell'animo suo quell'esatta disciplina ecclesiastica ed il dispregio delle cose umane, che poi si scoprirono indi a poco tempo con edificazione di tutta la Chiesa Santa.  

Ma fra le cose che sogliono rendere gli uomini ammirabili al mondo, due se ne videro in Carlo meravigliosamente risplendere. E fu l'una, che in tante sue grandezze seppe condiscendere e accomodarsi in guisa ad ogni sorta di persone, benché vili e basse, che poteva con ogni verità dire di se stesso con l'apostolo: (1Cor. IX.) omnia omnibus facius sum. L'altra è, che in un'autorità, così piena, in tante delizie e comodità, ed in mille occasioni di mali che il demonio da varie parti gli suggeriva, visse sempre con somma integrità; e volle conservare particolarmente intatta la sua pudicizia con mirabile esempio, sebbene gli fossero maliziosamente tesi più volte occulti lacci per farlo cadere nel vizio contrario. Vivono oggidì ancora testimoni gravissimi, che furono famigliari di lui in questo tempo, i quali raccontano per meraviglia, come essendo invitato da principal signore, suo parente, ad una di lui villa fuori di Roma alcune miglia; luogo amenissimo, e desiderando questo principe di deviarlo da quel suo modo di vivere, oltre gli apparati sontuosi e le varie provvisioni di cose dilettevoli, condusse anche da Roma segretamente una vaga e famosissima cortigiana. E tenendola nascosta in una stanza del palazzo, quando fu l'ora di ritirarsi, la  ece entrare per via segreta nella camera del cardinale, vestita de' suoi più preziosi ornamenti; intendendosi con alcuni de' suoi gentiluomini, i quali a bello studio solo in camera lo lasciarono, parendo allora cosa onorata (tanto erano corrotti i costumi cristiani) il dare simili comodità a persone grandi. Ed ella, così ammaestrata, veggendolo solo, gli si presentò avanti per volerlo con le sue arti e lusinghevoli vezzi indurre al peccato. Ma il religioso giovane, che vide esser fatte l'insidie con sì grande suo pericolo, tutto commosso per l'abborrimento che aveva al peccato, non fece parola veruna con la sfacciata femmina, ma corse alla porta della camera e chiamando con alta voce i camerieri, con essi loro si dolse di ciò grandemente; e facendo eglino scusa di non saperne cosa alcuna, entrarono in camera, facendo subitamente uscire quella pestilente esca di satanasso. Poco riposo prese il cardinale quella notte, travagliato dalla dispiacevole rimembranza di questo fatto; ed intendendo che tutta la causa veniva da quel signore, si partì di là tre ore avanti il giorno, senza fargli motto alcuno affinché egli conoscesse quanto gli fosse spiaciuta l'occasione che ardì di dargli di offendere Iddio e di macchiare la candidissima purità dell'anima sua.  

Essendosi egli adunque applicato in questo tempo di tutto cuore al buon reggimento dello Stato di S. Chiesa, intese molto bene con la prudenza sua, come avendogli Sua Santità dato il maneggio de' negozi e del governo, non gli aveva concessi i sudditi in servitù, ma sì bene in tutela; però procurò sempre il loro utile e non il proprio interesse, in modo tale che, o consigliando lo Zio, o esercitando l'autorità sua, non ebbe mai altro fine che questo; e volle particolarmente, che si mantenesse l'abbondanza in tutto lo Stato della Chiesa, facendo copiosamente provvedere di vettovaglia a comodo prezzo, con universale soddisfazione e contento di tutti. Al cui proposito non voglio passare sotto silenzio un fatto occorso a me stesso. Ritrovandomi io, mentre viveva ancora san Carlo, in una città della Romasna, vidi sopra il palazzo pretorio dipinta l’insegna sua e rallegrandomene io, mi disse un vecchio  ivi presente, come vi fu dipinta quando egli era nipote del Papa, e legato di quella provincia. Di poi soggiunse queste parole: piacesse a Dio, che l'avessimo adesso ancora, poiché non permetterebbe che si mandasse il grano altrove come altri fanno, dandoci occasione di carestia con tanto danno de' poverelli. E mi disse molte altre cose del buon governo di quel tempo, e della contentezza con cui vivevano allora i sudditi. della Chiesa.  

 Sopra ogni altra cosa attendeva Carlo a mantenere buona giustizia, onde non solamente procurò di mandare nelle provincie per il loro governo prelati dì molto valore e di buona, vita, ma provvedeva ancora le città di ottimi giudici. E se aveva mala relazione d'alcuno, lo rimoveva senz'altro; ancorché dipendesse da' cardinali o da chi si voglia altra persona: grande; a' quali però procurava di dare la debita soddisfazione, come avvenne particolarmente con un parente d'un cardinale suo stretto amico, dal quale gli fu raccomandato assai acciò l'impiegasse in qualche uffizio per farlo servire: a cui egli diede il governo di una città, e perché non si portò con la soddisfazione di quel popolo che conveniva, lo rimosse da tal carico, né mai più volle dargli altro trattenimento, con la buona soddisfazione ancora del cardinale suo parente.  


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