lunedì 24 febbraio 2025

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY

 


Per la conversione d'Ars:  

II. - La guerra all'ignoranza religiosa. 


*** 

Né minore fu lo zelo del Curato Vianney per istruire colla predicazione i fedeli della sua parrocchia.  

Lavorava nella sagrestia, vicino al coro, e quindi direttamente sotto gli occhi del Sacerdote Eterno. Del vestiario, ove erano i suoi paramenti sacri, usò come di sala di studio ed ivi meditò la Vie des Saints, il Catechismo del Concilio di Trento, il Dictionnaire de Théologie del Bergier, i Trattati spirituali del Rodriguez, i Sermoni di Le Jeune, di Joly, di Bonnardel. Nel febbrile lavoro, suo unico sollievo era il dare ogni tanto uno sguardo al Tabernacolo. Dopo avere studiato si inginocchiava sui gradini dell'altare, per chiedere la necessaria ispirazione, e meditava quello che aveva prima finito di leggere, rappresentandosi la povera gente alla quale doveva: parlare. Era là presente il Maestro, che seppe un giorno esprimere le più alte verità, in modo che i pescatori, i contadini, i pastori fossero capaci di capirlo, ed a Lui si raccomandava, scongiurandolo con le lagrime, di ispirargli gli accenti, ì pensieri che toccheranno e convertiranno il suo popolo.  

Ritornato nella sagrestia, incominciava a scrivere e, campione della verità, scriveva stando in piedi, come un soldato che si prepara a combattere. La sua penna diventata agile, con scrittura delicata, inclinata e rapida riempiva talvolta otto o dieci pagine in una medesima veglia. Qualche volta rimase al lavoro fino a sette ore di seguito, e assai tardi nella notte. Cancellava di rado: lasciava invece, qualche volta, delle parole tronche, testimoni della sua fretta e del suo zelo ardente: il tempo era prezioso e bisognava procedere a costo di qualsiasi sforzo.  

Ma veniva poi il momento di imparare quello che già aveva scritto e qui stava la parte più difficile. La sua memoria non era molto forte e si trattava di ricordare trentacinque o quaranta pagine di un testo scritto di un sol tratto senza alinea e senza apparente divisione. Nella notte tra il sabato e la domenica si sforzava di impararle con la lettura e la ripetizione fatta ad alla voce. Qualche volta, dalla strada che rasenta il cimitero, alcuni passanti in ritardo lo sentivano ripetere la predica del giorno seguente 16. Se il sonno lo sorprendeva, l'asceta ne approfittava per fare penitenza: si sedeva su di un mattone, appoggiando il dorso contro un armadio di quercia, e, per un momento, si assopiva. Queste sono le ore terribili, che saranno ricordate come le più meritorie, ma anche come le più commoventi, della sua esistenza.  

 Il giorno dopo doveva presentarsi al popolo. Se si eccettua il banco messo per i castellani, tra i quali vi era la contessa d'Ars, non vi erano nella chiesa che contadini. Ma erano osservatori, disposti anche allo scherzo, ed alcuni, tra i giovani specialmente, avrebbero certo preferito trovarsi altrove. Ma al Curato d'Ars questo importava poco: tutte erano anime da salvare, ed egli non faceva che compire in pulpito una parte necessaria del suo ministero pastorale. Di questo egli era convinto più che ogni altro, e ciò gli bastava, per dargli il coraggio indispensabile. Ma il povero Curato aveva la testa pesante per il lavoro che durante la notte aveva dovuto sostenere; di più, erano quasi le undici del mattino ed egli era sempre digiuno, anzi non aveva mangiato dal mezzogiorno della vigilia, appunto perché alla domenica doveva cantare la Messa solenne e fare la predica; aggiungiamo poi che ogni sua predica durava un'ora intera.  

Pronunciava i suoi discorsi con voce gutturale, con tono quasi sempre alto, e tuttavia in lui il tono, come il gesto, erano sempre naturali. «Perché gridate così? - gli disse un giorno la contessa di Garets, inquieta pel male che ne poteva venire al santo Curato - abbiate un po' più di Cura di voi». - «Signor Curato - gli chiese un'altra persona - perché quando  pregate dite: così piano, e quando predicate gridate così forte?».  

- «La ragione è questa - rispose - che quando io predico parlo a sordi o ad addormentati: invece, quando prego, parlo a Dio che non dorme» 17.  

Quale meraviglia, se, dopo simile sforzo intellettuale, In alcuni momenti gli veniva meno la memoria? «In pulpito diceva Giovanni Pertinand - perdeva il filo del discorso, e, qualche volta, dovette discendere, senza avere finito» 18. Simile confusione in presenza dei parrocchiani, che forse aveva appena finite di severamente rimproverare, sembrava che, invece di abbattere. il suo coraggio, non servisse che ad aumentare il suo zelo. La domenica seguente lo si vedeva ancora in pulpito, ma, preoccupato dell'insuccesso, che avrebbe potuto diminuire la sua autorità pastorale, egli aveva già pregato e fatto pregare: da allora, non solamente ebbe la memoria necessaria, ma, si sentì anche capace di improvvisare qualche parola.  

Che cosa predicava al suo gregge questo «ignorante nell'arte oratoria»? I suoi doveri soprattutto. Si indirizzava solamente ai suoi parrocchiani senza inutili lodi e senza falsità fuggevoli, ma con chiarezza. Alcune sue disposizioni sembrano eccessivamente rigorose, ma egli insisteva specialmente nei suoi primi anni, perché quanto diceva penetrasse bene. Qualche volta, ed anche di spesso, il suo tono si calmava ed allora diventava dolce, e si commuoveva col vero spirito di un apostolo che non passa solo per convertire, ma che delle anime è pastore e padre. Non vi erano forse nell'uditorio persone il cui cuore aveva bisogno di energia e la volontà di incoraggiamento? Guglielmo Villier, che aveva 19 anni quando il Curato Vianney giunse ad Ars, disse di avere inteso spesso queste parole: «Miei cari parrocchiani, sforziamoci di andare in Paradiso; là vedremo Dio e saremo felici. Andremo tutti in processione, se la Parrocchia diventa buona, ed il vostro Curato sarà alla testa» 19. - «Dobbiamo andare in Cielo -  diceva ancora. - Quale dolore se qualcuno di voi dovesse essere dalla parte opposta» 20. Si compiaceva di ripetere che la salvezza è ben facile alla gente di campagna, che ha la comodità di pregare anche durante il lavoro 21, ed aveva poi appropriate felicitazioni ai giovani ed alle giovani di Ars, che rinunciavano ai disordini e si incamminavano risoluti per la via diritta 22. 

La prima cosa necessaria da ottenersi dai fedeli presenti alla chiesa - gli assenti ed i restii avranno il loro turno - era che il contegno durante le sacre funzioni fosse serio e devoto. In quasi tutti invece si notava una penosa trascuratezza, indice del loro disgusto, con sussurri e rumorosi sbadigli di noia 23. I ritardatari lasciavano sbattere la porta con fracasso; alcuni troppo affrettati uscivano a metà della Messa; i giovani e le giovani guardavano dal basso all'alto, da un angolo all'altro della chiesa, curanti solo di osservare i diversi abbigliamenti. è meglio si comportavano i ragazzi, che gli trapparono questo grido: «Guardate le risa e gli scherzi che si fanno questi piccoli empi, questi piccoli ignoranti» 24.  

Ma queste anime erano come rocce aride, che non si fendono ai primi colpi. Nel loro stesso linguaggio come nelle loro abituali espressioni egli nota la mancanza dello spirito di fede pratica. e qualche volta lo fa in termini così vivi e forti, che solo il suo zelo li spiega e li scusa. Anche a costo di mortificare tal uno in pubblico, secondo l'occasione inveisce, senza ombre, con realismo e crudamente. Le sue rimostranze erano «vive, dirette e personali» 25. - «Riprendili vivamente affinché abbiano una fede sana», aveva detto già S. Paolo al discepolo Tito 26. Nei suoi inizi il Curato d'Ars prese quest'avviso alla lettera, ed in ciò non lo nascondiamo, si tradisce un poco il suo carattere scherzevole e mordente che sarà  corretto colla virtù; il nostro Santo non aveva ancora acquistato a perfezione la virtù della dolcezza. Ma poi l'esperienza sorpassò l'età ed egli comprese che, pure essendo con sé severo fino all'eroismo, era troppo duro il linguaggio che usava con gli altri. In questo subiva l'influsso dell'epoca. L'albero del giansenismo, infatti, quantunque già abbattuto 27, manteneva radici nascoste; e nei d'intorni d' Ars, anche se sui pulpiti non salirono dei grandi Santi, risuonarono eguali accenti.  

Nel governo delle anime non basta sapere sradicare, ma bisogna anche sapere piantare. Docile alle istruzioni del Concilio di Trento, che fa un obbligo al pastore d'anime di spiegare con frequenza i riti della Messa 28 nel loro significato, il Curato d'Ars si sforzò di formare nei suoi parrocchiani che venivano alla chiesa la cognizione vera e l'amore, e di spesso spiegava la necessità, il valore ed i benefizi dell'Eucaristia. Si può dire che l'idea che lo soggiogò per tutta la vita fu quella di staccare le anime dalle preoccupazioni della terra per spingerle verso l'altare. 

Ma in Ars vi erano anche di quelli che all'ora delle funzioni domenicali, invece di andare alla Messa, andavano a trovare qualche vicino, per bere con lui una bottiglia, - di quelli che non avevano difficoltà, trovando un amico in istrada, di condurre a casa l'amico e di lasciare la Messa, - e di quelli ancora, che passavano il tempo della Messa al giuoco od all'osteria, al lavoro, in viaggio o alla danza: tutta gente che viveva sicura, come se non avesse un'anima da salvare 29.  

A costoro il Curato d'Ars minacciava i castighi dell'altra vita. «Povero mondo! Come siete infelici! Conducete pure la vostra vita solita, non potete aspettarvi che l'inferno» 30. Li prendeva anche dal loro lato debole, che era l'interesse. «Tutti constatano che la maggior parte finisce i suoi giorni miseramente, la fede abbandona il loro cuore; i loro beni Vanno in decadenza, lasciandoli doppiamente infelici»31.  

Ma il predicatore sapeva benissimo che per lo più si dirigeva ad assenti e che le sue parole erano per le mura. Ma vi erano alcune leste solenni, nelle quali, per una tradizione ereditata dagli antenati di maggior lede, si riuniva ancora alla chiesa quasi tutta la Parrocchia, e questa era un'occasione propizia per il giovane Curato di fustigare i vizi, che perdevano tante anime. Il giorno dell'Ascensione li prese tutti di mira32, ed il giorno del Corpus Domini incominciò con un colpo sicuro contro i peccatori che "trascinano ovunque le loro catene ed il loro inferno». Ma poi si riprese, «No, miei fratelli, non andiamo più avanti, questo pensiero contiene già troppi elementi di disperazione, questo linguaggio non ci conviene in questo giorno; lasciamo questi infelici nelle tenebre, poiché ci Vogliono restare, lasciamoli dannarsi poiché non vogliono salvarsi». E parla invece alla parte praticante del suo gregge, "Venite, figli miei! ...» 33. Il giorno della festa patronale anche tutti coloro che passavano poi la giornata e la notte seguente danzando e bevendo, non osavano mancare alla Messa. Il suo piccolo mondo stava quindi davanti a lui, ed egli non lo lascerà sfuggire prima di avergli somministrato una buona lezione, usando contro i ballerini violenti espressioni, «Voi mi direte, parlarci della danza e del male che fa è un volere perdere il proprio tempo». Non importa egli continua la sua requisitoria: «Con questo io eseguisco tutto quello che debbo fare. Non dovete irritarvi per questo, il vostro pastore fa il suo dovere». E flagella ora i giovani e le giovani che si abbeverano alla sorgente dei delitti, ora i genitori così ciechi e riprovati, che hanno loro sì ben tracciata la via 34.  

La lotta è ormai iniziata ed il Curato d'Ars è deciso a non deporre le armi, se Dio gli dà vita, se non dopo di avere ottenuta la vittoria completa.  

Canonico FRANCESCO TROCHU 


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