giovedì 2 maggio 2024

VITA DI SAN CARLO BORROMEO

 


Nascita di Carlo, e suoi progressi ne' primi anni. 


Nacque Carlo nel castello di Arona lungi da Milano quaranta miglia - luogo principale tra le molte castella che possedé casa Borromea sul Lago Maggiore - l'anno di nostra salute 1538 in mercoledì, il secondo giorno di ottobre, nel pontificato di Paolo III, reggendo il sacro impero Carlo V, in una camera della Rocca, che si dimandava la Camera dei tre Laghi per vedersi da essa il Lago da tre parti, la quale fa poi dedicata ad uso pio, per ospitale degl'infermi di quella fortezza. La cui natività fu particolarmente favorita dalla Maestà Divina con un mirabile segno celeste; poiché apparve in quell'ora miracolosamente sopra la camera un lucidissimo splendore a guisa d'una fascia di sole larga circa sei braccia che si estendeva da una parte all'altra della Rocca, cioè dalla torretta fino al falcone, luoghi di sentinella, e che durò da due ore avanti giorno (a tal ora fu il nascimento di Carlo) fino all'apparir del sole, rendendo l'oscura notte quasi chiarissimo giorno, non senza gran meraviglia del castellano, de' soldati ch'erano in guardia e di molti altri che ciò videro, come si legge ne' processi prodotti per la canonizzazione di questo Santo dal detto di cinque testimoni giurati. Il che fu poi giudicato, che volesse denotare il lume meraviglioso che Carlo apportar doveva a tutta la Chiesa santa, quando a risplendere cominciarono nel mondo le sue grandi virtù ed eroiche operazioni, a somiglianza dello sciame d'api che discese in bocca a sant'Ambrogio essendo nella culla, e di altri santi illustri le cui natività accompagnate furono da simili segni prodigiosi, significanti gli effetti ed opere stupende ch'eglino poscia nel mondo produrre dovevano. Il Surio particolarmente nel tomo II racconta, che apparve un simile splendore parimente nel nascimento di san Suvitberto vescovo Verdense in Inghilterra. 

Nell'uscire dalle fasce cominciò a mostrarsi Carlo tutto pio e divoto e molto inclinato alla professione ecclesiastica, abborrendo le cose aliene dal culto divino; e fatto più adulto, fuggendo le leggerezze e i trattenimenti fanciulleschi, mostrava di non aver altro diletto e gusto, che di fabbricare altarini, cantar lodi al Signore e fare altre somiglianti cose, che davano manifesto indizio della singolar sua vocazione. Così scrive il Metafraste di quel gran vescovo Atanasio, il quale essendo ancor fanciullo, per certi trattenimenti che imitavano il vescovo, Iddio lo scoprì ad Alessandro patriarca d'Alessandria per vescovo suo successore. Né solamente Iddio manifestò questo figliuolo in quei primi anni per un gran sacerdote, ma anche per uomo di primo governo; poiché essendosi egli rinchiuso un giorno nascostamente in una camera del paterno castello di Lunghignana. vi si tratteneva in far diversi compartiti di certi pomi che ivi erano; ed essendo ripreso assai da un servitore che quivi lo ritrovò, perché si fosse nascosto in quel luogo con gran travaglio de' suoi parenti i quali dubitavano ch'egli si fosse affogato nella fossa del castello, gli rispose con mirabile sentimento in questa guisa: perché mi cercavate voi? Io ero qua a compartire il mondo in diverse parti e regioni: dando ad intendere come i suoi pensieri erano indirizzati a grandi imprese e governi; e se ne vide l'effetto particolarmente nel pontificato di Pio IV, quando egli appunto ebbe in mano il governo di tutta la Chiesa, come poi a suo luogo diremo.  

 Ora crescendo egli negli anni profittava insieme ancora nella divozione verso Dio, mostrando ogni dì maggiore inclinazione alle cose sacre ed alla professione ecclesiastica. Il che scorgendo il conte Giherto suo padre lo fece ascrivere nella milizia clericale, vestendolo da prete prima che uscisse dallo stato della puerizia. Cosa che fu di sommo contento al divoto figliuolo, essendo ciò totalmente conforme alla sua naturale inclinazione; sforzandosi poscia egli con cristiani e religiosi costumi di non mostrarsi indegno di quell'abito santo. Però dopo lo studio, delle lettere, nel quale faceva i dovuti progressi conforme all'età sua, aiutato particolarmente da' buoni maestri (da uno de' quali, che fu poi anche mio maestro, intesi io molte cose de' buoni portamenti e del diligente studio di questo figliuolo) dopo lo studio, dico, si ritirava a' suoi altarini ed oratori, ricreandosi ivi spiritualmente, mentre i suoi compagni si trattenevano in giuochi puerili. E quando già fatto di maggior età, usciva alle volte di casa, finito lo studio, non andava con essi loro vagando per la città, ma visitava i sacri tempi; e perché egli era molto di voto della beatissima Vergine, frequentava assai le due chiese a lei dedicate in Milano, una appresso san Celso e l'altra nella piazza del castello.  

Era in oltre molto ritirato, modesto e sincero nel suo trattare, fuggendo i vani ragionamenti e tutte le cose che potevano distrarre i suoi santi pensieri dal servizio di Dio. Però quando si facevano in casa sua giuochi d'armi, o altri spassi, benché onesti, per trattenimento del conte Federico suo fratello, egli li fuggiva non volendo né menò starvi presente. E se talvolta era invitato a veder giuocare alla palla nella piazza avanti il suo palazzo, o non accettava l'invito, o se non ricusava, si accomodava almeno a una finestra in guisa che da altri non potesse esser veduto, per non far cosa che paresse indegna, o indecente all'abito e professione sua. 

Non gli parve di ricusare la musica per avere qualche lecita ricreazione, della quale piuttosto si dilettò; ma si guardò però sempre di non cantare cose lascive, e se a caso gli occorrevano, le taceva, cantando le note solamente; il cui modo serbò egli poscia anche negli anni più maturi. finché poi la lasciò affatto. Frequentava assai l'orazione, e, invitato dal buon esempio del conte Giberto suo padre, riceveva ogni settimana con molto apparecchio i santi sacramenti della confessione e comunione, come medicine salutari e cibi sostanziosi dell'anima sua.  

Non fu questo suo modo di vivere così innocente e senza le tentazioni ed insidie del nemico infernale,  eziandio in quella sua tenera età. Poiché i suoi compagni di scuola ed i propri domestici ancora si burlavano di lui e delle sue divozioni per distrarlo da esse; di che egli però poco si curava, mostrando di non far conto veruno de' vani giudizi e pareri del pazzo mondo. Vero è che altri, poi molto più saggi ed illuminati, l'ammiravano, e lo predicavano per figliuolo di bontà grande e per uno specchio di buon esempio massimamente in quei tempi che si viveva con molta libertà.  

E fra gli altri vi era un venerando sacerdote dimandato il sig. Bonaventura Castiglione, nobilissimo di sangue e di età grave e matura, proposto della collegiata chiesa di sant'Ambrogio maggiore di Milano, uomo di molta dottrina, zelantissimo della religione cattolica, della disciplina ecclesiastica e pieno d'immenso desiderio di vedere una vera riforma nella Santa Chiesa; come l'attesta in suo epitaffio intagliato in marmo, riposto vicino alla porta di detta chiesa che corrisponde alla canonica. Questo venerando vecchio ogni volta che vedeva Carlo, si fermava a rimirarlo come fosse cosa molto rara, e gli faceva riverenza e l'accarezzava, che rendeva ad altri non poca meraviglia. Ed essendo interrogato da alcuni gentiluomini una volta perché l'onorasse, quasi profetizzando, rispose loro in questa guisa: voi non conoscete questo giovanetto; egli sarà il riformatore della Chiesa e farà cose grandi.  

 Cresciuto Carlo negli anni, gli fu conferita dal conte Giulio Cesare Borromeo, suo zio, l'abazia de' santi Graziano e Felino posta nel già detto luogo d'Arona, la quale ha buonissime rendite. Ed egli considerando l'obbligo che hanno i commendatari e beneficiati di spendere bene le entrate ecclesiastiche, cominciò a pensare di voler aiutare i poverelli coi frutti di quest'abazia; come molto inclinato ch'egli era alla pietà e misericordia. E per eseguire questo suo pio disegno ne parlò a suo padre dicendogli, ch'ei conosceva molto bene come le rendite dell'abazia non si potevano unire con le entrate patrimoniali, né spendere per uso della casa; poiché sono patrimonio di Cristo, di cui  egli era semplice amministratore e non padrone assoluto, e che perciò ne aveva da rendere a Dio conto strettissimo. Pertanto lo supplicava a contentarsi che si effettuasse quanto conveniva. Il buon padre nelle cui mani era l'amministrazione di esse rendite, non si contristò punto di tal richiesta, anzi se né rallegrò grandemente scorgendo in questo figliuolo tanta pietà e religione. Onde lagrimando per tenerezza di cuore ne rese molte grazie a Dio, e con sommo suo contento lasciò a lui libera l'amministrazione di quelle entrate; e pigliando Carlo volentieri questo carico, soddisfece poscia al suo pio intento dando ai poveri tutto quello che gli avanzava del suo conveniente bisogno. E se talvolta gli accadeva di dar danari a suo padre per occorrente causa, ne faceva nota e voleva in ogni modo, che gli fossero restituiti per distribuirli a' poveri; così giusto dispensatore de' beni ecclesiastici si mostrò egli fin da quelli suoi teneri anni.  

GIOVANNI PIETRO GIUSSANO SACERDOTE MILANESE

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