Ai tempi di sant'Ignazio di Loiola, vivea nella sua casa professa di Roma un Fratello, segnalato per lo spirito di fervore e di mortificazione, da lui mantenuto col pensiero dell'Inferno, Era cuoco, ed in quell'umile ufficio dal fuoco, che avea di continuo sotto gli occhi, volgea la mente a quello che tormenterà per sempre i reprobi nell'Inferno, infiammandosi così di odio contro il peccato, meritevole di sì orrendi castighi. Una volta che assorto in tali pensieri, abbandonavasi al dolore delle proprie colpe, spinto da indiscreto fervore cacciò la mano dentro le vive brace, tenendolavi a bruciare. Un Padre senti l'odore che ne esalava, ed entrato in cucina domandò al Fratello che fosse.
Questi, non potendo più dissimulare l'eccesso dello spasimo, si chiamò in colpa, chiedendone in ginocchio perdono. Ma sant'Ignazio, avvisatone, trovò il fallo più degno di compassione che di castigo: si mise in preghiera, vi durò gran parte della notte, ed al mattino la mano del povero Fratello apparve sana come prima. Nel che mostrò il Signore, che se l'atto del fervente religioso fu inconsiderato, il timore però dell'Inferno gli era gradito.
Santa Teresa narra, nel capo trentesimosecondo della propria Vita, di aver veduto il posto a lei preparato nell'Inferno, ed ecco le sue parole: «Stando un giorno in orazione, mi trovai, senza saper come, trasportata in un attimo, anima e corpo, all'Inferno. Intesi che Dio volea farmi vedere il posto che avrei occupato, se non avessi cangiato vita. Nessuna parola può dare la minima idea di un tale tormento incomprensibile. Io mi sentiva nell'anima un fuoco divorante, ed insieme il corpo in preda di intollerabili dolori. Avea durato in vita mia crudi patimenti; ma tutto quanto avea mai sofferto era un niente al confronto dei dolori provati da me in quel momento. E quello che vi mettea il colmo, era l'apprendere che sarebbero senza fine e senza sollievo. Le torture del corpo, per quanto crudeli, eran nulla verso l'agonia dell'anima. Mentre sentivami ardere e come tritare in minuzzoli, soffriva tutte le angosce della morte, tutti gli orrori della disperazione. Non la più tenue speranza di consolazione in quella spaventevole dimora. Vi si respira un odore pestilente da sentirsene di continuo soffocati. Non raggio di luce, ma tenebre della più cupa oscurità; eppure, o mistero! senza che alcun barlume rischiari, vi si scorge ciò che vi è di più penoso alla vista.... Insomma quanto io aveva inteso dire delle pene dell'Inferno, quanto ne avea letto, era un nulla innanzi alla realtà. Fra l'uno e l'altro corre la differenza che fra un ritratto inanimato ed una persona viva. Ah ben poca cosa è il fuoco nostro, anche più divampante! è come un fuoco dipinto in confronto di quello che brucia nell'Inferno i riprovati. Quasi dieci anni mi sono trascorsi da questa visione, e mi sento ancora colmar di tale sgomento scrivendola, che mi agghiaccia il sangue nelle vene. In mezzo ai travagli ed ai dolori io richiamo questa memoria, e ne traggo forza di tutto sopportare.
del R. P. SCHOUPPES S.J.
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