IL COLERA DEL 1873
Come fiume regale che non può essere contenuto tra rive troppo anguste, la carità di Don Giuseppe Sarto aveva bisogno di dilagare, ignorando limiti non soltanto nella donazione di ciò che era suo, ma perfino di se stesso per il bene dei suoi Parrocchiani.
Neppure questo eroismo di carità, indicato dalla solenne parola del Maestro Divino: “Nessuno ha carità più grande di colui che dà la vita per i suoi amici” 172, poteva mancare al nostro Beato.
Fino a non molti anni addietro i vecchi nel Veneto ricordavano il terribile colera del 1873.
Il flagello del contagio infierì, mietendo vittime numerose anche tra la quieta popolazione di Salzano e tu quello per Don Sarto un tempo di inesprimibili sacrifici e di opprimenti fatiche.
Vi era da confessare un colpito dal morbo?. . . Era lui che correva di giorno e di notte, in ogni momento ed in tutte le ore, non volendo, per delicatezza di carità, che i suoi giovani Cappellani si esponessero al pericolo di contrarre il contagio 173.
Vi era un morto da seppellire?. . . Era lui che interveniva alla mesta cerimonia per benedire, ancora una volta, le salme dei suoi Parrocchiani.
In qualche casetta sperduta nella desolata pianura mancava il necessario?. . . Era lui che provvedeva, che aiutava, che confortava.
In qualche famiglia povera non vi erano persone che sapessero assistere i contagiosi?. . . Era lui che suggeriva i rimedi opportuni, che consigliava, che infondeva coraggio e non esitava a tarsi medico ed infermiere pietoso.
Mancavano braccia per trasportare i morti al cimitero?. . .
Era lui che premuroso si prestava all’opera misericordiosa.
Una notte si era recato in una casa lontana per levare un morto. Non vi erano presenti che tre uomini: mancava il quarto.
Don Sarto vide e tacque. Asperse con l'acqua benedetta il feretro, intonò il “De profundis”, e, in cotta e stola, si mise, quarto, a portare il defunto 174. Cessata la furia del morbo, l'eroico Parroco intonò l'inno del ringraziamento. Ma le emozioni patite, il lavoro sfibrante, l'assoluta mancanza di riposo, i disagi estenuanti e gli strapazzi senza numero imposti dall'urgenza dei casi, i lutti e la desolazione del suo popolo così duramente provato, fiaccarono la sua fibra robusta.
Lo sorprendeva il pianto, il cibo gli dava nausea, non poteva chiudere occhio. Si era ridotto ad uno scheletro 175.
Gli amici, le sorelle, il Vescovo stesso, gli raccomandavano riposo e quiete, ma il forte operaio di Dio rispondeva: “non abbiate paura! Signore aiuta”! 176
Don Carminati un giorno rimase vivamente impressionato nel vedere Don Sarto così cambiato e senza forze.
— Ma tu non stai bene — gli disse.
— Pare a te! — rispose Don Giuseppe.
— Altro se mi pare! ... Tu stai male! — replicò Don Carminati.
— Sì, è vero! — rispose Don Sarto — lo sento anch'io che non sto troppo bene da qualche tempo in qua.
— E' il servo di tutti! — interruppe con forza la sorella maggiore — lo guardi, Don Carlo, come è ridotto .... pelle ed ossa!
— Tua sorella ha cento ragioni da vendere — riprese Don Carminati, alzando la voce in tono di affettuoso rimprovero — tu lavori troppo, caro mio, ma ricordati che l'arco troppo teso si spezza e quando certi archi sono rotti non si aggiustano più .... Hai capito?
— Bravo! ... Sei diventato un oratore eloquente! — commentò Don Giuseppe con un sorriso che voleva dire: Tenetevi pure i vostri consigli, perché io so quello che devo fare.
E, non appena gli ritornò il vigore, continuò nel suo lavoro con un ritmo ancora più intenso ed una volontà ancora più indomita, teso alla gloria di Dio ed alla salvezza delle anime 177.
Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c.
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