Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c.
DIRETTORE SPIRITUALE DEL SEMINARIO
“Altro che Parroco di campagna! Avete sentito che discorso"!...
Questa l'esclamazione dei Seminaristi di Treviso a commento del primo discorso del nuovo Direttore Spirituale, il quale, esordendo, si era definito un “povero Parroco di campagna venuto a Treviso per fare solo la volontà di Dio” 200.
Il “povero Parroco di campagna", con pochi tratti, si era rivelato per chi era, obbligando tutti i Seminaristi ad ammirazione e stima.
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Mons. Sarto, penetrato dalla gravissima responsabilità che aveva incontrato davanti a Dio ed alla Diocesi, compiva il proprio dovere “scrupolosamente, con somma diligenza” 201.
Ogni mattina preveniva in chiesa i chierici pronto a leggere ad alta voce la Meditazione. Ogni settimana immancabilmente teneva una conferenza; ogni Domenica la spiegazione del Vangelo; ogni mese una meditazione ed una conferenza per il sacro ritiro. Ogni Mercoledì ed ogni Sabato, per ore ed ore, confessava i Seminaristi e gli alunni del Collegio Vescovile - circa 320 - in una stanzuccia che nei crudi inverni era una Siberia, senza che dalle sue labbra uscisse mai un lamento e senza cercare mai un po' di ristoro alle membra intirizzite 202.
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Le sue conferenze e le sue meditazioni erano semplici, chiare, piene di sentimento e di efficacia 203, ricche di paragoni e di confronti, di similitudini e di citazioni sacre e profane che indicavano una vasta cultura ed una non comune erudizione.
La sua parola - detta in un bell’italiano - era facile, spontanea e persuasiva, e, di quando in quando, fiorita di qualche bene appropriata e dignitosa piacevolezza, la quale serviva per tenere maggiormente desta l'attenzione e per meglio imprimere nelle menti e nei cuori le verità che spiegava 204. I giovani lo ascoltavano con avidità e piacere e ne seguivano docili gli insegnamenti, perché capivano che in lui non vi era solamente della dottrina soda, ma, sopra tutto - come si esprimeva un Seminarista di allora che doveva poi essere Vescovo – “un cuore che sentiva profondamente l'amore di Dio” 205.
Convinto che il sacerdote deve essere la “luce del mondo “ed il “sale della terra” 206, la formazione dei suoi chierici era la sua continua preoccupazione, il respiro della sua vita.
Perciò, la dignità del sacerdozio, l'obbedienza pronta ai Superiori, il distacco dalle cose della terra, lo zelo per la salvezza delle anime e le virtù proprie di un sacerdote, erano gli argomenti sui quali insisteva con più calore, mentre con la massima energia inculcava la pietà, ma senza ostentazione; l'amore allo studio ed alla disciplina, l'illibatezza dei costumi, l'ordine e la proprietà della persona, ma senza ricercatezze 207.
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Parlava con quella dolcezza che era nel suo cuore, ma all'occorrenza sapeva parlare anche con quella giusta severità che era nel suo temperamento pieno di vigore e di vita.
Allora l'avvampava la fiamma sacerdotale ed operava come un chirurgo che taglia la carne malata e la risana.
Una Domenica, avendo osservato che alcuni alunni del Collegio Vescovile nell'entrare in chiesa avevano omesso o fatto male il segno della croce, si sentì le fiamme al viso, e, prima di incominciare la spiegazione del Vangelo, si scagliò con tanta veemenza contro quell'atto mancato o fatto così a mezz'aria, che mai fu veduto così infiammato in volto come quella volta. Ma da quel momento i segni di croce non furono più un giochetto di mano sul petto, ma segni di croce a vecchia misura ed a sistema antico 208.
"Basterebbe questo episodio - scrive Mons. Marchesan - per conoscere l'indole dell'uomo, il quale se sapeva prendere le mosche con il miele, le sapeva prendere anche con l’aceto .... e che aceto “! 209
Così, con i Seminaristi. Sapeva compatire le manchevolezze proprie della loro età e con facilità sapeva perdonare e dimenticare. Ma, compreso della sua responsabilità di dare alla Chiesa uomini completi, non tollerava in essi la pigrizia e la fiacchezza della volontà.
Li voleva pronti al sacrificio ed al lavoro, sinceri, disinvolti, senza finzioni. Voleva che venissero su degni della Chiesa, perché un giorno potessero essere in mezzo al popolo sacerdoti intemerati, spettacolo al mondo, ornamento e decoro della Diocesi, gaudio e corona del loro Vescovo. Parlando una volta con un amico, al quale egli era apparso troppo severo, diceva: “Devono essere preti, sai! E se a loro non si insegna adesso e filare diritto, che razza di preti diventerebbero mai”? 210
Ma la severità di Mons. Sarto era sempre accompagnata da tanta bontà che nessuno se ne adontò mai. Anzi, quanto più severamente riprendeva, tanto più cresceva la fiducia in lui, perché “nella parola e nel gesto n aveva una certa cosa - affermava un Seminarista - che ispirava fiducia” 211
“Non rifiutava mai nessuno - testimoniava un altro - e nei dubbi ascoltava con attenzione, senza fretta, senza mai dare segni di impazienza, prendendo interesse alle situazioni che gli venivano esposte, alle perplessità ed alle angustie, per le quali si chiedeva il suo consiglio che egli dava con sicurezza, riportando nelle anime il conforto, la tranquillità e la freschezza della pace” 212.
“Si aveva l'impressione - confermava un terzo - che in lui parlasse il Signore, perché la sua parola rispondeva sempre ai nostri bisogni e dissipava ogni timore” 213.
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Con i chierici poveri, poi, aveva sollecitudini e premure più che di madre. Erano questi che avevano maggiori diritti alle sue cure.
Perciò, era come un bisogno del cuore per lui il provvederli di libri, di vesti ed anche di danaro che egli cercava a prestito quando non ne aveva di suo, e, se ammalati, di provvedere loro perfino le medicine 214.
Una sera un povero Seminarista pallido e tremante, entrava nella stanza di Mons. Sarto, raccontando una triste storia di sventure piombate sopra la sua famiglia e concludendo che per salvarla dal disonore occorrevano d'urgenza 150 lire.
- Mi dispiace, figliolo, ma non ho che poche lire - rispose con accento di viva compassione il Servo di Dio.
Il poveretto dette in uno scoppio di pianto.
- Via, via, coraggio: vieni domani. Chissà che il Signore possa provvedere. All'indomani il Seminarista tornò con gli occhi ancora umidi di pianto.
- Bene! - gli disse Mons. Sarto appena lo vide.
- Bene? - replicò trepidante il povero chierico.
- Sì, bene! ... Ho trovato il danaro - soggiunse il caritatevole Monsignore, mettendo nelle mani del povero giovane le 150 lire che gli erano state richieste.
- Presto sarai sacerdote - continuò - e quando lo potrai, senza tuo grave incomodo, me le restituirai, perché le ho trovate a prestito appositamente per te”. 215
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Tra gli alunni del Collegio Vescovile non mancavano di quelli che dovevano ancora passare alla prima Comunione.
Non volendo privarsi della gioia di essere lui ad introdurre Gesù per la prima volta in quelle anime innocenti, voleva riservata esclusivamente a sé la cura di prepararveli.
- Lasci, Monsignore, questo compito ad altri che hanno più tempo di Lei - insisteva il Vice-Rettore del Seminario, Don Antonio Romanello - il quale avrebbe voluto evitargli quell'aggiunta di fatica. Ma il pio e laborioso Canonico con la sua solita giovialità, rispondeva:
- “Caro Don Antonio, tu devi sapere che io sono il Padre Spirituale e devo compiere il mio dovere sino allo scrupolo” 216.
E privandosi anche del passeggio, continuava nel suo lavoro, portando il peso del giorno con fede, con coraggio e con gioia, mentre doveva dare lezioni di Religione agli alunni delle classi superiori, intervenire al coro in Cattedrale, attendere a corsi di predicazione in città, in Diocesi e fuori di Diocesi 217 e sostenere la grave responsabilità, molte volte non troppo simpatica, di Cancelliere Vescovile.
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