LETTERA 10
Scritta dopo la precedente.
Agostino spiega la difficoltà di convivere saltuariamente con Nebridio, data la necessità di continui viaggi (n. 1-2). La vera tranquillità si trova nel proprio intimo e nell'unione con Dio (n. 3).
AGOSTINO A NEBRIDIO
Come poter essere insieme?
1. Nulla mai, nelle questioni da te mosse, mi ha tenuto, mentre vi pensavo, così agitato come quello che ho letto nella tua ultima lettera, in cui ci accusi di trascurare di adoperarci perché ci sia possibile vivere insieme. Grave colpa, e, se non fosse falsa, assai pericolosa! Ma poiché un ragionamento probabile sembra dimostrarci che noi possiamo passare il tempo secondo le nostre intenzioni qui piuttosto che a Cartagine od anche in campagna, sono veramente incerto, o mio Nebridio, come debba comportarmi con te. Ti si deve mandare il mezzo di trasporto che è più adatto per te? Infatti il nostro Luciniano garantisce che in lettiga coperta tu puoi viaggiare senza danno. Ma penso che tua madre, dal momento che non sopportava la tua assenza quando eri sano, la sopporterà molto meno adesso che sei malato. Verrò io in persona da voi? Ma qui ci sono alcuni che non potrebbero venire con me e che non ritengo lecito abbandonare. Tu infatti puoi dimorare piacevolmente anche in compagnia del tuo spirito; si richiede invece un grande sforzo perché essi possano fare la stessa cosa. Dovrò forse andare e tornare frequentemente e stare ora con te ora con loro? Ma questo non è né vivere insieme né secondo i nostri progetti! Infatti il viaggio non è breve, ma addirittura tanto lungo che addossarsi spesso la fatica di compierlo non significherebbe aver raggiunto la desiderata tranquillità. A ciò si aggiunge l'infermità del mio corpo, per cui anch'io - come sai - non sono in grado di fare ciò che voglio se non cesso assolutamente di voler fare più di quello che posso.
La tranquillità dell'anima necessaria alla meditazione.
2. Pertanto pensare per tutta la vita a partenze che tu non possa compiere tranquillamente ed agevolmente non è da uomo che pensi a quell'ultima e sola che si chiama morte, alla quali anzi tu comprendi che bisogna unicamente pensare sul serio. È ben vero che Dio concesse ad alcuni pochi, che volle fossero i reggitori delle chiese, non solo di attenderla intrepidamente ma anche di desiderarla ardentemente e di sobbarcarsi senza alcuna inquietudine alle fatiche di affrontare quelle altre; ma né coloro che a siffatti ministeri sono trascinati dal desiderio dell'onore mondano, né d'altra parte a quelli che, pur essendo privati cittadini, desiderano una vita affaccendata, reputo sia concesso questo bene così grande, di raggiungere, in mezzo agli strepiti e agli affanni delle riunioni e andirivieni, quella familiarità con la morte che noi cerchiamo: nella tranquillità infatti sarebbe stato possibile sia agli uni che agli altri di indiarsi. Se invece questo è falso, io sono, per non dire il più stolto, certo il più indolente di tutti gli uomini, io che, se non raggiungo una tranquillità priva di preoccupazioni, non sono capace di gustare ed amare quel bene genuino. Credimi, occorre un grande isolamento dal tumulto delle cose passeggere perché si realizzi nell'uomo un'assenza completa di timore non dovuta a insensibilità, audacia, desiderio di vanagloria e superstiziosa credulità. Di qui infatti deriva anche quel solido gaudio, da non paragonarsi neppure minimamente con nessun altra gioia.
La tranquillità è nell'anima unita a Dio.
3. Che se un tal genere di vita non è realizzabile nella condizione umana, perché questa tranquillità qualche volta si verifica? Perché si realizza tanto più frequentemente quanto più ciascuno adora Dio
nei penetrali del suo spirito? Perché per lo più una siffatta tranquillità perdura anche nell'agire umano, se da quei penetrali si passa all'azione? Perché talvolta, quando parliamo, non sentiamo la paura della morte e, quando non parliamo, la desideriamo persino? Lo dico a te, giacché non direi questo a chiunque; lo dico a te, di cui ben conosco i progressi verso le cose superne; tu, pur avendo frequentemente sperimentato quanto piacevolmente viva l'animo quando muore all'amore del corpo, vorrai dunque negare che tutta la vita dell'uomo possa diventare intrepida, così da essere a buon diritto chiamata saggia? Oppure oserai affermare di aver mai provato un simile stato d'animo, che è conforme a ragione, eccetto quando ti raccogli nel tuo dramma interiore? Così stando le cose, tu vedi che non rimane altro se non che anche tu decida con me in modo che possiamo vivere insieme. Infatti come bisogni agire con tua madre, che certo tuo fratello Vittore non abbandona, tu lo sai molto meglio di me. Non ho voluto scriverti altro per non distoglierti da questo pensiero.
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