venerdì 23 aprile 2021

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY

 


IL CURATO D'ARS 

SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY 


Al Seminario Maggiore di Lione (1813-1814).  

Le fortunate vacanze del 1813. - Il Seminario di Sant'Ireneo a Lione. - Una virtù ammirabile. - Una mente ribelle. Licenziato!... - Una visita al noviziato del Frati. - Un esame al presbiterio di Ecully. - La decisione del Vicario generale Courbon.  

 Giovanni Maria Vianney non era stato molto fortunato a Verrières. La filosofia di ispirazione cartesiana, che allora vi si insegnava secondo il metodo dell'antica Sorbona, l'aveva appena intravvista e gli era sembrata fredda ed insipida; fu quindi ben felice di ritornare ad Ecully, nel mese di luglio del 1813, per rivedere il suo antico maestro, felice lui pure di riabbracciare il suo allievo. Trovandosi insieme, si comunicarono le loro speranze: «La salita al Sacerdozio era dura, ma la meta era sempre più vicina. E qual sollievo in questo pensiero!... tanto più che - lo si sapeva - il ministero delle anime non avrebbe presentato la medesima aridità della scuola e dei libri». Senza frapporre indugio, l'abate Balley pensò di preparare il suo allievo per il seminario maggiore, approfittando subito di queste vacanze, che erano le migliori ed anche le ultime, delle quali avrebbe goduto in vita sua Giovanni Maria Vianney.  

 Il seminario di Sant'Ireneo, costruito a Lione, sulla piazza Croix-Paquet, ai piedi della Croix-Rousse, durante la rivoluzione era stato successivamente deposito d'armi ed ambulanza militare; ma il 2 novembre 1805 era stato reso alla sua primitiva destinazione 1. Era una casa immensa a tre piani, coi giardini separati da magnifici viali, ombreggiati da tigli 2. Già da due anni la direzione era stata tolta ai Sulpiziani, in esecuzione del decreto 26 dicembre 1811, che li cacciava da Lione dopo di averli privati del governo di tutti i seminari francesi. Le proteste e le suppliche del Cardinal Fesch furono senza eco per lui come per tutti gli altri vescovi: Napoleone era rimasto inflessibile.  

I Sulpiziani furono sostituiti da alcuni preti della Diocesi, «ma i cuori, si disse, erano rimasti a quelli» 3. Correvano dei lamenti circa i direttori, che erano troppo giovani, che non avevano esperienza e che erano stati conosciuti sui banchi della scuola. Ma la loro giovinezza non impediva che fossero tutti uomini eminenti. Era superiore l'abate Gardette. Ordinato prete durante il Terrore, era stato poi condotto in arresto nelle dure prigioni di Rochefort. Lo si conosceva per la sua profonda pietà, il carattere un po' rude, - forse perché aveva molto sofferto, - e la meticolosità nell'osservanza della regola; il nuovo direttore era l'ottimo e distinto abate de la Croix d'Azolette, futuro arcivescovo di Auch; professore di Sacra Scrittura e di Liturgia era l'abate Mioland, giovane prete di appena venticinque anni, affabile e cortese, che sarà poi arcivescovo di Tolosa; l'abate Cholleton che insegnava il dogma e l'abate Cattet, che teneva la cattedra di morale, erano appena usciti dal seminario di San Sulpizio di Parigi; fungeva da economo il modesto abate Menaide. Questi professori possedevano una scienza reale e distinta e, per continuare la tradizione dei Sulpiziani, si sforzavano di formare i seminaristi lionesi alla virtù ed alla scienza.  

Giovanni Maria Vianney, che entrava a mettersi sotto la loro direzione nel mese di ottobre, vi trovava Marcellino Champagnat, che lo aveva seguito a Sant'Ireneo, Giovanni Claudio Colin, futuro fondatore della Società di Maria, e Ferdinando Donnet, che morirà a 87 anni, cardinale arcivescovo di Bordeaux.  

Vi erano nella regola prescrizioni che dovettero dare un po' di fastidio al nostro vecchio studente e nessuno ci disse in che modo sia riuscito a metterle in pratica. L'abate Lyonnet scrive che, «quando il vescovo andava al seminario, non ometteva mai di dare avvisi circa il contegno ecclesiastico, perché voleva che i suoi preti fossero sempre distinti, negli abiti e nel contegno esteriore. Per questo aveva prescritto l'uso della polvere per i capelli, delle fibbie alle scarpe, ed aveva espresso il desiderio che i seminaristi di Lione, almeno quando uscivano in città, portassero il mantello lungo, come i seminaristi di Parigi»4.  

I corsi del 1813-1814 si aprirono poco prima della festa di Ognissanti e furono preceduti dai tradizionali esercizi spirituali. Un futuro canonico teologo di Belley, l'abate Giovanni Agostino Pansut, che finiva in quell'anno il suo corso di teologia, aveva conservato fino a tarda età il ricordo di questo compagno, la cui fisionomia lo aveva profondamente colpito. Quantunque già amasse l'ombra ed il silenzio, Giovanni Maria non poteva passare inosservato. Aveva ventisette anni ed il suo viso già dava l'aspetto di un asceta: in più già allora in tutta la sua persona si leggeva il raccoglimento, la modestia, l'abnegazione di sé e la penitenza portata fino al limite estremo. Se i duecentocinquanta studenti, che erano entrati allora a Lione, fossero stati come lui, il seminario di Sant'Ireneo durante le passeggiate e le ricreazioni avrebbe dato l'immagine perfetta di un convento di trappisti 5.  

Ma vi furono anche altri testimoni più assidui che poterono contemplare le meraviglie di un'esistenza così edificante. Sant'Ireneo era diventato troppo angusto per potere contenere convenientemente tutti i suoi allievi e molti dovettero essere collocati insieme nelle sale più spaziose. In questo modo lo studente Vianney ebbe come compagni di camera il giovane Bezacier, col quale non era mai stato, e gli abati Declas e Duplay, che aveva già conosciuto a Verrières. A ricordo di quel tempo l'abate Bezacier lasciò la seguente testimonianza: «Giovanni Maria Vianney era di una perfetta regolarità. Dalla camera ove siamo stati posti non si dovevano fare che pochi passi per vedere la sfilata di un reggimento svizzero, al servizio della Francia e udire la sua bella musica, e molti seminaristi cedevano alla tentazione: ma non mi ricordo elle l'abate Vianney si sia mai scomodato per questo» 6.  

   Più tardi l'abate Declas, divenuto religioso marista, diceva di lui al nipote, abate Stefano Dubouis: «Ebbi occasione di conoscerlo e l'ho trovato un santo» 6  

Né si pensi che il contegno di Giovanni Maria Vianney tendesse alla singolarità: al contrario, «non ebbe mai nulla di straordinario nella sua condotta, ma conservò sempre la più grande semplicità».  

«Disgraziatamente, - ci dice l'abate Bezacier, - il risultato dei suoi studi era nullo, perché non comprendeva abbastanza. il latino: qualche volta gli diedi delle spiegazioni, che egli però non capiva, e, malgrado questo, sembrava studiasse sempre» 7.  

«Noi sapevamo tutti - ha detto l'abate Pansut - ch'egli non aveva fatto studi regolari, e nessuno si faceva meraviglie della sua pratica insufficienza. Se più tardi operò veri prodigi nella direzione delle anime, lo. dovette, oltre che alla sua continuata applicazione, allo straordinario aiuto di Dio, che si compiacque di colmarlo delle sue grazie» 8.  

Il superiore, Gardette, si interessò certamente di questo vecchio seminarista che gli era noto per la sua grande pietà ed applicazione e gli assegnò come ripetitore l'abate Giovanni Duplay, che era uno dei migliori della classe; davanti a lui il vecchio scolaro era meno timido, capiva le domande rivoltegli in francese e dava risposte giuste e di buon senso 9.  

Anche il professore Mioland, vedendo la sua difficoltà a comprendere, gli usò la carità di dargli qualche lezione a parte, spiegandogli la teologia in un testo francese molto chiaro, il Rituel de Toulon10; e fu in grazia di questo insegnamento che egli poté acquistare al seminario le nozioni sufficienti. Ma siccome la lingua officiale della scuola e degli esami era la lingua latina, per lui i corsi pubblici diventavano inutili11, e si finì per non interrogarlo più, basandosi sulla triste esperienza fatta.  

Non tentiamo neppure di immaginare la sofferenza morale del nostro allievo, che si rendeva conto dell'inutilità dei suoi sforzi. Non vi era a Sant'Ireneo nessuno che più di lui desiderasse il sacerdozio, ma anche non vi era nessuno che ne sembrasse più lontano. E quale non fu la sua pena, quando «dopo cinque o sei mesi i direttori, pensando che non avrebbe potuto riuscire, lo pregarono di ritirarsi?» 12.  

Licenziato!... lui, le cui reliquie un giorno vedranno inginocchiato sotto la cupola di San Pietro il Sommo Pontefice che le profumerà d’incenso! Questa fu la prova più crudele di tutta la sua vita, e, quando più tardi parlerà delle sue miserie e delle sue difficoltà, non avrà neppure una parola per questo licenziamento.  

«Molti suoi condiscepoli furono certo addolorati vedendolo partire dal seminario teologico» 13. Egli ricevette la sua sentenza con umile rassegnazione e senza lamenti. Cinquant'anni più tardi, il Cardinal Donnet, che fu uno dei suoi confidenti in quell'amarissima ora, ci dice: «È rimasto in me profondamente scolpito il ricordo delle parole piene di umiltà e buon senso, che potei intendere da lui in quella circostanza» 14  

Che fare? Vedendosi chiusa la porta del Seminario ritornerebbe al mondo, egli, che non aveva altro desiderio che di darsi a Dio? Ricordò che uno dei suoi compagni di infanzia, Giovanni Dumond, il 27 novembre dell'anno antecedente, aveva preso l'abito dei Frati nel convento lionese del Petit Collège, e nell'anima di lui nacque un sogno nuovo: cambiare veste con veste, dare la sua per quella di un fratello laico; e, prima ancora di avere preso consiglio dal suo maestro l'abate Balley, uscito dal seminario, si diresse a quel convento, che è vicino alla primaziale di San Giovanni.  

Trovò il suo amico Giovanni Dumond, divenuto ora frate Gerardo e gli confidò l'amaro segreto con queste parole: «Non so abbastanza latino per essere prete e vengo qui per essere fratello laico». Dopo questa visita ritornò al presbiterio di Ecully, col pensiero di rimanervi solo per qualche giorno.  

L'abate Balley lo accolse, lasciò che il suo allievo desse sfogo alle lagrime, ne ascoltò le confidenze; ed infine parlò anch'egli, ma per dire a questo giovane che era chiara abbastanza la volontà di Dio che lo chiamava al servizio degli altari: «Scrivi al tuo amico di Lione - conchiuse - e raccomandagli di non parlare con nessuno di quanto gli hai confidato, perché io voglio che tu continui gli studi» 15. Con questa decisione era necessario tentare un ultimo sforzo.  

Maestro e scolaro dapprima pregarono insieme, poi ripresero con confidenza i libri, soprattutto il Rituel de Toulon, che veniva spiegato ora in latino ora in francese, perché si riteneva conveniente che Giovanni Maria sapesse tradurre nella lingua della Chiesa almeno le nozioni essenziali. Lo Spirito di Dio, che abitava in quest'anima, avrebbe poi pensato a colmarne le lacune ed a supplire alla pratica insufficienza. In che modo questo sarebbe avvenuto, l'interessato non lo poteva ancora immaginare e ne provava un'intima pena. Fortunatamente, la sua pietà lo sosteneva e Dio medesimo gli veniva in aiuto. Giovanni Maria Vianney dirà un giorno: «Quando studiavo ero oppresso dal dolore e non sapevo più cosa dovessi fare ... Mi ricordo ancora che un giorno ad Ecully, quando passavo vicino alla casa della Bibost, mi si disse come parlandomi all'orecchio: - Sta tranquillo: un giorno sarai prete» 16.  

Si avvicinava l'epoca delle ordinazioni, e l'abate Balley fiducioso, lo fece inscrivere per gli esami che si sarebbero tenuti verso la fine di maggio. Presentando il suo protetto, si appoggiava specialmente sulla considerazione che la diocesi di Belley aveva sempre bisogno di preti e che il suo candidato era ormai entrato nel suo ventinovesimo anno: aveva ricevuto la tonsura da tre anni, e, se era lecito avere ancora qualche fiducia in lui, era tempo che lo si ammettesse almeno agli ordini minori: tutte ragioni che gli sembrarono sufficienti perché non dovesse più oltre tardare.  

Quindi, tre mesi dopo la sua partenza dal seminario, l'abate Vianney si presentava ancora fra i suoi antichi condiscepoli, ben felici di rivederlo. Seduto all'ultimo posto, egli attese il suo turno; ma, quando fu introdotto nella sala degli esami, vedendo quell'almo consesso di uomini dotti, presieduto dal Vicario generale Bochard, e risultante di quanto la diocesi intera aveva di più distinto per scienza, si turbò, comprese malo il senso delle domande latine, fu incerto e rispose in un modo assai incompleto ...  

Ci fu perplessità nella decisione che lo riguardava. Si conosceva la scienza dell'abate Balley, e si ricordava ancora l'elogio che egli aveva fatto della energia e della pietà del suo allievo. Si doveva rimandare definitivamente questo povero seminarista di buona volontà, oppure solamente prolungare ancora la sua attesa? Si credette di declinare ogni responsabilità, in questo caso difficile, e si disse a Vianney che era  libero di entrare in un'altra diocesi, se avesse trovato un vescovo benevolo che lo accettasse. Giovanni Maria ritornò al presbiterio di Ecully la sera di quel medesimo giorno, e narrò la sua nuova disastrosa avventura. L'abate Balley intravvide il pericolo che era stato creato da questa decisione ed il giorno seguente si recò a Lione. Prima di presentarsi all'ufficio del Vicario Generale, passò a domandare consiglio a colui che aveva ricevuto le confidenze della prima confessione di Giovanni Maria, e domandò di essere accompagnato da lui. L'abate Groboz, diventato segretario generale dell'Arcivescovado, lo accompagnò volentieri, tanto più che egli medesimo lo aveva interrogato il giorno antecedente. Quando furono in presenza del Vicario Generale, l'abate Balley non ebbe che a ripetere l'elogio del suo allievo, e l'abate Groboz si unì a lui, narrando antiche memorie; insomma, si trattava certo di un seminarista poco istruito; ma anche di uno dei più virtuosi della Diocesi. Il Vicario Generale si lasciò persuadere e promise di studiare di nuovo questo caso, anzi, in seguito all'insistenza dell'abate Balley, accettò di recarsi il giorno seguente al presbiterio di Ecully, col superiore del seminario maggiore e di tentare là un'altra prova: avrebbero così avuto occasione di rivedere il loro antico discepolo un po' più nella intimità.  

«Rassicurato da un passo così favorevole, Vianney rispose molto bene alle domande che gli furono poste e si fu contenti di lui». Tale fu la dichiarazione dell'abate Bétemps, canonico di San Giovanni di Lione, vecchio amico dell'abate Balley e che, alla morte di questi, divenne, per alcune settimane, il confessore del nostro Santo 17. L'abate Bochard partì da Ecully favorevolmente disposto, ma la decisione definitiva non dipendeva da lui.  

 Dopo la sanguinosa battaglia di Lipsia (20 ottobre 1813) i Russi, gli Austriaci, i Tedeschi, gli Svedesi, gli Inglesi e gli spagnoli coalizzati invasero la Francia. Napoleone era vinto e il giorno 11 aprile dell'anno seguente era costretto a firmare la sua abdicazione, intanto che sua madre e lo zio Cardinale  cercavano rifugio presso il Pontefice Pio VII. Il governo dell'archidiocesi di Lione, per l'assenza del Cardinale, veniva affidata al primo dei Vicari Generali, Mons. Courbon, al quale perciò spettava di decidere sulla vocazione dell'abate Vianney, ed a lui non si tralasciò di riferire che l'allievo dell'abate Balley non comprendeva se non la lingua materna e non vi era speranza di potere insegnargli il latino.  

Il Vicario Generale si sentì portato alla clemenza, riflettendo anche che il suo arcivescovo non era molto meticoloso in queste accettazioni. Nel Natale del 1812, non aveva forse chiamati in massa anche gli allievi del primo corso di teologia, per ordinarli suddiaconi insieme a tutti gli altri che ancora non avevano ricevuto quest'ordine, a fine di sottrarli più facilmente alla coscrizione? 18.  

Il Vicario Generale, semplice e bonario, si accontentò di domandare:  

- Ma l'abate Vianney ha pietà? Ha devozione alla Madonna e sa recitare bene il Rosario?...  

- Oh... questo, sì: è modello di pietà!  

- Un modello di pietà! Ebbene, io lo chiamo e la grazia di Dio farà il resto 19.  

L'abate Courbon non ebbe mai un'ispirazione migliore...  

Canonico FRANCESCO TROCHU 

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