venerdì 23 aprile 2021

LA FRAMASSONERIA SOTTO IL PRIMO IMPERO

 


Delasuss, Henri; 

Il problema dell'ora presente. Antagonismo tra due civiltà  

(I Parte - Guerra alla civiltà cristiana) 


CAPITOLO XIV. 

LA FRAMASSONERIA SOTTO IL PRIMO IMPERO 

Malgrado i suoi sforzi e i suoi successi, la framassoneria non potè ottenere, dagli sconvolgimenti e  dai delitti degli ultimi anni del XVIII secolo, quello che ne avea sperato. 

Essa volle una rivoluzione totale e in tutto il mondo. Essa volle distruggere tutto l'ordine di cose  esistenti, religione, società e proprietà, per sostituirgli lo stato di pura natura. Ma non lo potè. 

L'Impero fu una reazione che la Restaurazione accentuò. Ma per questo la massoneria non disparve.  Essa ripiegossi sopra sè stessa, per meditare con quali mezzi più lenti e più sicuri potesse giungere a  compiere l'opera che Voltaire e Weishaupt le avevano assegnata. Noi dunque la vedremo, sotto i  Governi che si succederanno, adoperarsi ad attraversare le loro buone intenzioni ed a paralizzare i  loro sforzi nel bene, ed ispirarli e secondarli nel male; infine ad impadronirsi del potere, ed allora  continuare apertamente a realizzare i disegni che gli enciclopedisti, i. framassoni e gli illuminati  aveano concepito senza poter da principio condurli a buon termine. Di ciò siamo ora testimoni.  

La reazione si fece dapprima nell'ordine religioso. 

Il cattolicismo non fu potuto soffocare. La sua dottrina e la sua morale non aveano cessato di vivere  nel cuore di molti, e il suo culto medesimo d'essere praticato col pericolo della vita. Quando colui  che avea concepito il pensiero ed aveva il potere di ristabilire un certo ordine nella società, volle  mettersi all'opera, comprese che per rialzare la Francia dalle sue rovine, bisognava necessariamente  cominciare dalla ristaurazione del culto. L'avea dimostrato chiaramente Portalis nel discorso che  tenne al Corpo legislativo nella seduta del 15 germinale anno X. Ma qual culto? Nessun altro fuori  del culto cattolico sarebbe stato accettato, nessun altro avrebbe potuto vivere. Tutti ne erano  persuasi, e Napoleone meglio di ogni altro. Ora, il culto cattolico non poteva essere ristaurato che  dal Papa; di qui la necessità d'intendersela con lui. Napoleone lo vide, e tosto iniziò quelle trattative  che doveano approdare al Concordato del 1801. Ciò nonostante, la framassoneria era sempre là e  non rinunciava per nulla al suo progetto di esterminare il cattolicismo e con lui la civiltà cristiana.  Noi dunque la rivedremo all'opera, non più coll'impeto del 93, ma con discrezione, lentamente e,  com'essa pensava, più sicuramente.(1) 

Dal giorno stesso della conclusione del Concordato - non è facile il dire se ciò avvenisse per  ispirazione massonica(2) - incominciarono le riserve, e ben presto le riprese dello spirito  anticristiano. Dopo un secolo di incessante lavoro, questo spirito è riuscito ai giorni nostri a rassodare quasi tutte le conquiste fatte dalla rivoluzione, e che sotto la pressione dello spirito  cattolico era stata costretta di abbandonare. 

La religione cattolica ristaurata avrebbe dovuto essere, come altra volta, la religione dello Stato.  Sembra anzi che questo pure fosse il pensiero dì Napoleone, fin dall'inizio delle trattative con Pio  VII. Egli volea ristabilire l'antico culto nazionale come culto pubblico, come culto dello Stato, pur  lasciando agli individui la libertà di praticarne un altro. Ma ben presto il primo Console mutò  pensiero; e tutti gli sforzi furono inutili, quelli dello Spina, quelli del Consalvi, quelli dello stesso  Pio VII, per farlo ritornare al progetto primitivo, così naturale, così logico, che dovea imporsi ad  uno spirito così perspicace come era il suo. 

Anche qui non potremmo dire con sicurezza quanta parte, fin da quel momento, abbia avuto  sull'animo di Napoleone, quella Contro-Chiesa che abbiam veduto depositarla del pensiero del  Rinascimento, e che, da quattro secoli, lavorava indefessamente, e senza scoraggiarsi, a farla  trionfare. Quel che sappiamo si è che la storia ha raccolto dalla bocca del card. Pacca, lo scambio di  parole fra Volney e Bonaparte, all'indomani della sottoscrizione del Concordato: "Questo è dunque  ciò che avete promesso? - Calmatevi. La religione in Francia cova la morte in seno; ne giudicherete  fra dieci anni!". 

Si deve ad un giudeo del XVIII secolo, a Guglielmo Dohm, il concetto iniziale dell'eguaglianza dei  culti. Egli ne fu l'istigatore e il maestro presso i principi del mondo moderno. Era archivista di S. M.  il re di Prussia e segretario al Ministero degli esteri quando scriveva, nel 1781, la sua memoria Sulla  riforma Politica della condizione degli Ebrei, indirizzata e dedicata a tutti i sovrani. 

Egli espone la teoria dello Stato indifferente in religione, neutro, ateo, e, ciò che è più grave,  dominatore di tutte le religioni. 

"Il grande e nobile ufficio del Governo - egli disse - consiste nell'attenuare i principii esclusivi di  tutte queste differenti società, cattolica, luterana, sociniana, maomettana, in guisa che esse non  tornino di pregiudizio alla grande società. 

"Che il Governo permetta pure a ciascuna di queste piccole società particolari di avere lo spirito di  corpo che le è proprio, di conservare eziandio i propri pregiudizi quando siano innocui; ma che si  sforzi di ispirare a ciascuno dei suoi membri un più forte motivo di adesione allo Stato; ed avrà  raggiunto il grande intento che deve sempre avere in vista quando le qualità di gentiluomo, di  contadino, di dotto, di artigiano, di cristiano o di ebreo saranno tutte subordinate a quella di cittadino". 

È pure l'idea napoleonica: questo programma tracciato venti anni prima, Napoleone ha voluto  attuarlo. 

Dopo lunghi dibattiti, egli riuscì ad introdurre nel Concordato, soprattutto negli articoli organici,  fraudolentemente aggiunti, un germe il quale non chiedeva che il tempo di svilupparsi per divenire  quest'altra costituzione civile del clero che oggi pare quasi compiuta. 

Il Concordato dice così: "Il Governo della Repubblica riconosce che la religione cattolica,  apostolica e romana, è la religione della grande maggioranza del popolo francese". In queste parole,  non vi è che il riconoscimento d'un fatto, d'un fatto che in quel momento avrebbe potuto non essere  e che può modificarsi col tempo; non l'affermazione dei diritto che proviene alla Chiesa cattolica  dalla sua origine divina, e dalla condizione unica in cui questa origine l'ha posta. Il Concordato, con  quelle parole, veniva implicitamente a riconoscere nel protestantismo e nel giudaismo, in proporzione dei cittadini che ne fanno professione, diritti nello Stato simili a quelli del cattolicismo.  Ouesti diritti simili divennero ben presto diritti eguali, ed oggi, sono i protestanti e gli ebrei, i quali  di fronte ai cattolici restano sempre un piccolo, assai piccolo numero, che godono una condizione  privilegiata. 

Il Papa, in data 12 maggio 1801, scrisse al primo Console esprimendogli il suo dolore per questa  esigenza: "Non vi nasconderemo anzi vi confesseremo schiettamente, che provammo una viva gioia  alle prime proposte che ci vennero fatte per il ristabilimento della religione cattolica in Francia; e la  dolce speranza che questa religione sarebbe ristabilita nel suo antico splendore come dominante, ci  ha fatto vedere col più vivo dolore quel dispiacevole articolo che, nel progetto ufficiale, è stato  proposto come la base di tutti gli altri ... Noi non possiamo astenerci dal mettervi sotto gli occhi,  ch'essendo posti da Dio alla difesa di questa religione e della sua propagazione ... non possiamo,  con un articolo d'una solenne convenzione, sanzionarne la degradazione ... Se la religione cattolica  è quella della maggioranza dei Francesi, potete voi dubitare che i loro voti non siano meglio  soddisfatti restituendole il suo primiero lustro? Ne sareste voi trattenuto dall'opposizione di pochi in  confronto dell'immensa maggioranza? Per cagion loro, priverete voi la Francia e la pubblica autorità  dei grandi vantaggi che loro procurerebbe il ristabilimento intiero della religione cattolica?". 

Non se ne fece nulla; e il Papa, per evitare un male maggiore, dovette subire la volontà del  Bonaparte. 

La questione era di capitale importanza. Emilio Ollivier esagera quando dice che questo articolo del  Concordato consacrava la separazione della Chiesa dallo Stato, che ora si reclama come se da un  secolo non fosse un fatto compiuto. Lungi dal conservare il principio della separazione, il  Concordato sanziona l'unione sotto una forma nuova. È vero che la religione cattolica non è più la  religione dello Stato. Ma sebbene meno intimo, meno vantaggioso alla Chiesa che l'antico ordine di  cose, questo che gli è stato sostituito dal Concordato non è di un'altra natura. Essa conserva collo  Stato dei vincoli, e dei vincoli obbligatorii. Il Concordato ha conservato intatti i principii, non ha  consacrato la separazione, "il dogma religioso della Rivoluzione francese". 

Ma la rivoluzione, che vuole la separazione, che la vorrebbe dappertutto, l'ha preparata fin d'allora  per quanto stava in essa. 

Gli Stati separati dalla Chiesa, e la Chiesa romana spogliata del suo temporale dominio, ecco le due  preoccupazioni più costanti della framassoneria; ecco il doppio oggetto dei suoi sforzi continui. Fa  d'uopo che la Chiesa, per esser dominata, sia anzitutto senza alcun appoggio sulla terra. 

Gli è a questo scopo che si tentò di abbassare il cattolicismo in Francia al livello d'una religione  qualunque, di diminuire il suo prestigio e la sua forza, di umiliare il clero e di paralizzarlo. Egli  rientra in Francia, ma non forma più un Ordine nello Stato, non ha più alcun diritto come corpo, non  è che un'unione di individui i quali ben presto non saranno distinti dagli altri che per esser le vittime  di maggiori affronti e di maggiori oltraggi. Egli non è più proprietario. Si sa quanto la proprietà è  necessaria all'indipendenza; il clero non ne avrà più. I suoi beni, benchè i più legittimi, non gli  saranno restituiti; sarà ridotto alla condizione di salariato, e non si riterrà una colpa il privarlo  ancora del pane per ricordargli la sua servitù. È vero che l'articolo XV del Concordato dice: "Il  Governo avrà cura di lasciare ai cattolici la libertà di fare, se lo vogliono, nuove fondazioni in  favore delle chiese", e di ricostituire così l'antico patrimonio della Chiesa di Francia. Ma è noto con  quale tattica astuta questa libertà è stata ristretta di giorno in giorno, fino al punto che quasi più non  esiste. 

Al Governo, che si era già assunto di fornire il vitto e l'alloggio al clero, il Concordato accordò  ancora la scelta delle persone da elevarsi alle dignità ecclesiastiche: "Il primo Console nominerà nei  tre mesi che seguiranno la pubblicazione della Costituzione apostolica, gli arcivescovi e i vescovi  che devono governare le diocesi delle nuove circoscrizioni. Parimenti, il primo Console nominerà i  nuovi vescovi alle sedi episcopali che in seguito resteranno vacanti. La Sede apostolica darà loro  l'istituzione canonica. I vescovi nomineranno i parroci e non sceglieranno che persone gradite al  Governo". 

In epoche diverse, i Governi si fecero un dovere di religione o di onestà pubblica di scegliere i più  degni; ma, in altri momenti, di partito preso, elessero degl'incapaci ed ancora degl'indegni. Ne diede  l'esempio Napoleone. Egli impose al cardinal Caprara ben quindici vescovi costituzionali. Più tardi,  egli cercò il modo di far senza l'istituzione canonica. A questo scopo egli convocò un Concilio  nazionale; ma non potè riuscire nell'intento. Il che avrebbe significato non solo la dipendenza e  peggio il servaggio del clero, ma, addirittura, lo scisma. 

Accanto al clero secolare, vi è nella Chiesa il clero regolare. Quest'ultimo poteva trovare nella sua  propria costituzione delle condizioni d'indipendenza rifiutate al primo. Perciò Bonaparte si guardò  bene di permettere agli Ordini di ricostituirsi. Il decreto del 22 giugno 1804 dichiarò sciolta  l'associazione dei Padri della Fede, e "tutte le altre congregazioni o associazioni costituite sotto  pretesto di religione e non autorizzate". Inoltre, egli stabilì che: "Nessuna congregazione o  associazione di uomini o di donne potrà formarsi in avvenire, sotto pretesto di religione, a meno che  non sia stata formalmente autorizzata da un decreto imperiale". Bonaparte diceva d'altronde e  ripeteva che non voleva punto saperne di congregazioni inutili, che non eravi a temere ch'egli  ristabilisse i frati.(3) 

Rispetto al clero secolare, Bonaparte sta sull'attenti che il suo reclutamento non si compia  facilmente: non è mestieri che i preti siano numerosi. Trentasettemila e quattrocento curati sono  istituiti all'indomani del Concordato; ma il Bonaparte dichiara di non essere obbligato per questo  trattato di retribuire che i curati-decani, in numero di tremila e quattrocento. Cionondimeno egli  accorda cinquecento franchi ai ventiquattromila vice-curati. Gli altri diecimila, come tutti i vicari,  resteranno a carico dei comuni, che generalmente sono troppo poveri o troppo tassati per poter dar  loro i mezzi di vivere. Per la qual cosa Roederer, uno dei presidenti dei Consiglio di Stato disse: "I  vice-curati non hanno ancora potuto ottenere nulla di quanto era stato loro fissato in nessun comune.  I contadini insistettero per avere la loro messa e il loro servizio domenicale come per il passato, ma  pagare è ben altra cosa".(4) E questo non incoraggiava certo le vocazioni. Queste non bastano più a  riempire i vuoti che la morte moltiplica fra i vecchi ritornati dall'esilio, ed i vescovi sono obbligati,  prima di procedere ad un'ordinazione, di mandare a Parigi la lista di quelli ai quali vogliono  conferire gli ordini sacri.(5) 

Ma vi è di più. Napoleone vuole sorvegliare e dirigere l'insegnamento dei seminari. "Non bisogna -  egli dice - abbandonare all'ignoranza e al fanatismo la cura di formare i giovani preti ... Vi sono tre  o quattromila curati o vicari, figli dell'ignoranza, e pericolosi per il loro fanatismo e per le loro  passioni. Fa d'uopo preparar loro successori più istruiti, istituendo, sotto il titolo di seminari, scuole  speciali dipendenti dallo Stato, presiedute da professori istruiti, devoti al Governo e tolleranti.  Questi non si limiteranno ad insegnare la teologia, ma vi aggiungeranno una specie di filosofia ed  un'onesta mondanità".(6) Noi vedremo ricomparire più tardi queste idee d'insegnare nei seminari  una certa filosofia, di insinuarvi una certa mondanità e di preparare i giovani sacerdoti ad essere  amici della tolleranza. 

Napoleone voleva nel tempo stesso aver mano libera nel culto. Nei negoziati che precedettero la  sottoscrizione del Concordato, il Papa reclamava che fosse riconosciuta la libertà della religione e l'esercizio pubblico del suo culto. Questo esercizio era stato proscritto dalla Rivoluzione; premeva  che fosse formalmente affermato nel Concordato che queste leggi tiranniche erano già abrogate.  Questo punto diede luogo alle più penose discussioni. "A forza d'indicibili fatiche, di patimenti e  d'angoscie d'ogni fatta - narra il Consalvi - venne finalmente il giorno in cui sembrava raggiunta la  mèta desiderata". Egli aveva fatto riconoscere nell'articolo I della convenzione, la libertà e la  pubblicità del culto cattolico. Al momento in cui stava per firmarlo, si accorse che si era sostituito, a  sua insaputa, un testo del tutto diverso da quello convenuto. Si dovè ricominciare da capo, e di qui  nuove discussioni e negoziati. Il Consalvi, a questa frase: "La religione cattolica, apostolica,  romana, sarà liberamente professata in Francia", voleva si aggiungessero queste parole: "Il suo culto  sarà pubblico". I commissari francesi aveano ordine di esigere questa aggiunta: "conformandosi ai  regolamenti di polizia". Il Consalvi vi presentì un'insidia, e non s'ingannava punto. Quest'insidia,  erano gli articoli organici, che il Governo teneva in riserbo e dei quali mai non si era fatto cenno nel  corso delle trattative. La Santa Sede protestò solennemente contro questo atto extra-diplomatico. Gli  articoli organici vennere mantenuti; furono presentati come tutt'uno col Concordato. Si conosce  l'abuso che se ne fece nel corso del secolo XIX, l'abuso di gran lunga maggiore che se ne fa ai dì  nostri. I regolamenti di polizia hanno invaso tutto; il sindaco del più umile villaggio ha facoltà di  formularne a suo talento. Ben presto il culto pubblico non esisterà più che come un ricordo. Non  solo ogni manifestazione, ma perfino ogni segno esteriore di religione finirà per esser interdetto  sotto il bel pretesto che non si deve attentare alla coscienza dei liberi pensatori. 

La Chiesa non può essere ridotta intieramente alla schiavitù finchè il Papa è libero, e perciò la  framassoneria niente chiederà e cercherà con maggiore perseveranza quanto l'abolizione del potere  temporale dei Papi, necessario alla loro indipendenza. 

Fu sotto l'ispirazione di essa, o per impulso della propria ambizione che Napoleone I tentò di fare  del Papa un suo vassallo? Egli non era ancora che il general Bonaparte, che comandava l'esercito in  Italia, quando dopo la capitolazione di Mantova sì recò a Bologna per imporvi, disse Thiers: "la  legge al Papa". Di là egli scrisse a Joubert: "Io sto trattando con questa pretaglia, e, per questa volta, S. Pietro salverà ancora la capitale cedendo a noi i suoi Stati più belli". All'indomani scriveva al  Direttorio: "La mia opinione è che Roma, una volta privata di Bologna, di Ferrara, della Romagna,  e di trenta milioni che le togliamo, non possa più sussistere: questa macchina si scomporrà da sè  sola". In questa lettera si trova la prima rivelazione diplomatica dell'idea napoleonica, che vedremo  sì bene proseguita da Napoleone I, poi da Napoleone III, idea identica all'idea massonica. Il 22  settembre avuto sentore della malattia del Papa, ordinava a suo fratello Giuseppe, "se il Papa  morisse, di usare ogni mezzo per impedire che se ne creasse un altro e per suscitare una  rivoluzione". Thiers ci dà in questa occasione la ragione ultima di tutto ciò che si fece da un secolo  contro il Papato: "Il Direttorio vedeva nel Papa il capo spirituale del partito nemico della  Rivoluzione", vale a dire della civiltà pagana. Ecco perchè il Direttorio e il suo generale volevano  che non ci fosse più Papa. Nel Memoriale di Sant'Elena, Napoleone espone chiaramente questa idea  fondamentale della massoneria, e come da principio egli avea pensato di realizzarla. Parlando dei  suoi proclami ai mussulmani, egli dice: "Non era che ciarlatanismo, ma del più alto ... Vedete le  conseguenze: io prendeva l'Europa a rovescio; la vecchia civiltà restava bloccata, e chi avrebbe  pensato allora di turbare il corso dei destini della nostra Francia e della rigenerazione del secolo?".(7) Annientare la vecchia civiltà, la civiltà cristiana rigenerare il secolo alla pagana, e ciò  per mezzo della Francia, ecco la parola che fa conoscere a fondo la storia contemporanea. 

Si dimanderà, se questo era il pensiero di Napoleone, perchè ristabilì egli il culto cattolico in  Francia? Egli lo spiega nel suo Memoriale: "Quando io rialzerò gli altari - aveva detto - quando  proteggerò i ministri della religione come meritano d'essere trattati in ogni paese, il Papa farà quello  ch'io gli dimanderò; egli calmerà gli spiriti, li riunirà nelle sue mani e li metterà nelle mie". Ed  altrove: "Col cattolicismo io raggiungerò più sicuramente tutti i miei grandi risultati ... All'interno, in casa nostra, i più assorbivano i meno (protestanti ed ebrei) ed io mi proponeva di trattare costoro  con una tale eguaglianza che ben presto non si conoscerebbe fra loro alcuna differenza. (In altri  termini io arriverò a far regnare l'indifferenza in materia religiosa). All'estero, il cattolicismo mi  conservava il Papa, e colla mia influenza e colle mie forze in Italia, io non disperava, presto o tardi,  con un mezzo o con un altro, di finire per avere la direzione di questo Papa, e quindi quale  influenza e qual credito sul resto del mondo!".(8) Noi vedremo l'Alta Vendita prendere la  continuazione di quest'idea e sforzarsi di condurla ad effetto. 

Giunto sul trono imperiale, Napoleone non perdette di vista il suo progetto. Sappiamo quello ch'egli  fece per confondere nella mente del popolo la vera religione colle eresie, mettendo tutto sullo stesso  livello, ciò che fece per giungere a sopprimere a poco a poco ogni culto esteriore, per fare del clero  un corpo di funzionari, ed a far senza del Papa nell'istituzione canonica dei vescovi. Tutto ciò non  poteva durare, se non riusciva a togliere al Papa la sua indipendenza. Napoleone vi si adoperò a  tutto potere. Il 13 febbraio 1806, scriveva a Pio VII: "Vostra Santità è sovrano a Roma, ma io ne  sono l'imperatore". Due anni più tardi il generale Miollis s'impadronisce della Città Eterna, e, il 10  giugno, Napoleone pubblica un decreto che riunisce tutti gli Stati del Papa all'impero francese. Il 6  luglio, Pio VII è rapito dal Quirinale, mentre i cardinali sono internati a Parigi o chiusi nelle  prigioni dello Stato. Prigioniero egli stesso, il dolce vegliardo, sostenne il doppio assalto della  violenza e dell'astuzia che gli si fece per ottenere l'annullamento del Concordato del 1801 e  fargliene sottoscrivere un altro in cui gli s'imponeva l'abbandono quasi completo della sua  giurisdizione sulla Chiesa di Francia. 

Nel Memoriale di Sant'Elena,(9) Napoleone dice che distruggendo così il potere temporale dei Papi  egli avea "ben altre viste". Parlando della proposta che avea fatto di un altro Concordato, "io avea il  mio scopo - disse - ed egli non lo conosceva"; e, dopo che la firma fu strappata alla debolezza d'un  vecchio esausto di forze e terrorizzato, tutti i miei grandi progetti - esclama - si erano compiuti sotto  la dissimulazione e il mistero ... Io avrei ingrandito il Papa oltre misura, lo avrei circondato di  pompe e di onori, ne avrei fatto un idolo; s'egli fosse rimasto presso di me, Parigi sarebbe divenuta  la capitale del mondo cristiano, ed io avrei governato il mondo religioso come il mondo politico".  Per poter dirigere il mondo religioso nelle vie che doveano condurre alla "rigenerazione del secolo",  non era tanto necessario d'impadronirsi della direzione delle intelligenze, quanto di ridurre il Papa  allo stato d'idolo. Napoleone ben lo comprendeva, ed è perciò che istituì l'Università e le diede il  monopolio dell'insegnamento. Il massone Fontanes, futuro rettore magnifico dell'Università,  interrogato sulla nota di Champagny che avea conchiuso per la ricostituzione dell'Oratorio,  dell'Ordine dei Benedettini di S. Mauro e delle congregazioni della Dottrina cristiana, rispose come  dicono gli attuali nostri padroni: Nell'insegnamento, come in tutte le cose, è necessaria l'unità di  veduta e di governo. La Francia ha bisogno d'una sola Università, e l'Università d'un solo capo".  "Così è - replicò il dittatore - voi mi avete compreso". E il massone Fourcroy presentò al Corpo  legislativo, nel 6 maggio 1806, un progetto di legge così concepito: 

"Art. 1°. Sarà istituito, sotto il nome di Università imperiale, un corpo incaricato esclusivamente dell'insegnamento e dell'educaziona pubblica in tutto l'Impero". 

Nella sua opera L'Instruction publique et la Révolution, Duruy loda Napoleone d'avere,  coll'istituzione dell'Università, salvata la Rivoluzione e lo spirito rivoluzionario. "Quale  meravigliosa creazione questa Università di Francia col suo rettor magnifico, col suo consiglio, co'  suoi ispettori generali, co' suoi gradi e colla sua potente gerarchia! che lampo di genio d'aver  compreso non essere che una grande corporazione laica che potesse disputare le giovani generazioni  agli avanzi delle vecchie corporazioni insegnanti e soprattutto al loro spirito ! Prima del 18 brumaio, si poteva già prevedere il momento in cui la reazione avrebbe riguadagnato nel dominio  dell'insegnamento tutto il terreno perduto dal 1789. 

Grave pericolo e che non tendeva a niente meno che a mettere in questione, in un assai prossimo  avvenire, i principii di tolleranza e d'eguaglianza la cui conquista era stata lo scopo di tanti sforzi e  che son rimasti la scusa di tanti eccessi ... Dopo aver raffermato il presente alla Rivoluzione mercè  il Codice civile e il Concordato, le assicurava l'avvenire mercè l'educazione. Di tutti i servigi che  Napoleone ha resi, io non ne conosco uno più memorando di quello d'avere strappato  l'insegnamento ai peggiori nemici del nuovo Governo per affidarlo ad un corpo profondamente  imbevuto delle idee moderne". 

Che tali sieno stati i pensieri e i disegni di Napoleone, l'affermò egli stesso in termini equivalenti.  La sera in cui fu assassinato il duca d'Enghien, Napoleone disse a' suoi famigliari: "Si vuole  distruggere la Rivoluzione. Io la difenderò, poichè io sono la Rivoluzione, io, io".(10) 

E Napoleone III, interpretando fedelmente questo pensiero nella sua opera Les idées  napoléoniennes, rese a suo zio questa testimonianza: "La Rivoluzione morente, ma non vinta, avea  trasmesso a Napoleone le sue ultime volontà. Illumina le nazioni - gli deve aver detto - afferma  sopra solide basi i principali risultati dei nostri sforzi: fa in largo quello che io dovetti fare in  profondità. Sii per l'Europa ciò che io fui per la Francia. Questa grande missione Napoleone l'eseguì  sino alla fine".(11) 

Difatti, dovunque Napoleone portava le sue armi, vi portava altresì quello che era stato fatto in  Francia. Egli stabiliva l'eguaglianza dei culti, uno dei principali risultati presi di mira ed ottenuti  dalla setta che ha fatto la Rivoluzione. "Avvi una religione universale - disse il Bulletin du GrandOrient (luglio 1856, p. 172) - che racchiude in sè tutte le religioni particolari del globo: è questa  religione che noi professiamo; è questa religione universale che professa il Governo quando  proclama la libertà dei culti". Non si è dunque ingannato Pio VII quando diceva nella sua Enciclica  del 22 marzo 1808: "Sotto questa eguale protezione di tutti i culti si nasconde e si dissimula la  persecuzione più pericolosa e più astuta che si possa immaginare contro la Chiesa di Gesù Cristo, e  sgraziatamente la meglio concertata per gettarvi la confusione, anzi per distruggerla, se fosse  possibile che le forze e le insidie dell'inferno possano mai prevalere contro di essa". 

Napoleone, mentre era intento a stabilire l'eguaglianza dei culti dovunque portava le sue armi,  cacciava in pari tempo i religiosi dalle loro case e vendeva i beni ecclesiastici; e per cangiare  l'ordine sociale come l'ordine religioso, imponeva la ripartizione forzosa delle successioni, aboliva  le corporazioni operaie, metteva sossopra le provincie, distruggeva le libertà locali e rovesciava le  dinastie nazionali. In una parola, egli annientava l'antico ordine di cose per istabilirne uno nuovo,  facea di tutto per sostituire alla civiltà cristiana, una civiltà della quale i dogmi rivoluzionari  sarebbero stati il fondamento e il principio. 

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