Una bella Signora
Adelaide descrive la Vergine Maria chiamandola una bella signora, una Signora bella e maestosa. La Madonna appare a Ghiaie sempre avvolta di luce e con grande maestà, mitigata dalla dolcezza della voce e a volte dal sorriso. È la Madre che protegge i suoi figli e li ammonisce con fare al tempo stesso grave e pieno di bontà.
La bellezza è un mistero: si contempla, non la si definisce. La Vergine Maria è la madre della bellezza, colei che ha dato corpo allo splendore della luce eterna, al candore senza macchia, all'immagine sostanziale dell'invisibile Dio. Maria è la creatura che irradia la luce dello Spirito Santo; è l'ideale supremo di perfezione che in ogni tempo gli artisti hanno cercato di riprodurre nelle loro opere; è la donna vestita di sole, nella quale i raggi purissimi della bellezza umana si incontrano con quelli della bellezza soprannaturale. La concentrazione in Maria della Verginità e della maternità, della grazia e della gloria fanno di lei il più puro ideale della creazione.
La Madonna mi guardò
Adelaide dice che la Madonna la guardò e poi le parlò, oppure, finito che ebbe di parlarle, la guardò per qualche istante, prima di scomparire. Sappiamo anche che Gesù Bambino e San Giuseppe non parlarono alla bambina, ma la guardarono con espressione amabile e sorridente. Maria guarda con un sorriso di predilezione la piccola veggente che ha davanti.
Il sorriso illumina ogni volto: chissà come avrà reso ancora più bello quel volto, il cui splendore faceva arrossare gli occhi di Adelaide. Ci sono degli sguardi che valgono di più di lunghi discorsi. Basti pensare allo sguardo di Gesù dato a Pietro, dopo che lo aveva rinnegato, nella casa di Caifa.
La Vergine Maria, senza muovere le labbra e proferire parole, parla nella mente, nel cuore, riempie di luce, di gioia, di amore e cambia la vita di chi è in grado di udire quella voce dolce e soave, che Adelaide spesso ricorda.
Siamo di fronte ad un fenomeno più volte registrato nella storia della teologia mistica. Alfonso Ratisbonne, di quel muto colloquio, nel racconto della sua conversione dice: "Come sarebbe possibile esprimere l'inesprimibile? Qualsiasi descrizione, per quanto sublime, sarebbe soltanto una profanazione dell'indicibile verità. Tutto ciò che so, è che entrando in chiesa ignoravo tutto, uscendone vedevo chiaro. Non posso spiegare questo cambiamento se non per l'analogia di un cieco nato che veda improvvisamente la luce; vede, ma non può definire la luce che lo illumina e nella quale contempla gli oggetti della sua ammirazione. Se non si può spiegare la luce fisica, come si potrebbe spiegare la luce che, in fondo, non è che la verità stessa? Penso di rimanere nel vero dicendo che non avevo nessuna conoscenza della lettera, ma che intravedevo il significato e lo spirito dei dogmi. Queste cose, più che vederle, le sentivo, e le sentivo grazie agli effetti inesprimibili che produssero in me. Tutto accadeva dentro di me, e queste impressioni mille volte più rapide del pensiero, mille volte più profonde della riflessione non soltanto mi avevano commosso l'anima, ma l'avevano per così dire capovolta e orientata in un altro senso, verso un altro scopo e una nuova vita" (v. La conversione di Maria Alfonso Ratisbonne, Casa Centrale delle Figlie della Carità, Torino, 1949, p. 21 e p. 57).
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