lunedì 24 febbraio 2020

SAN PIO V IL PONTEFICE DELLE GRANDI BATTAGLIE



IL CARDINALE 

***
Affari molto complicati richiedevano allora l'intervento del cardo Alessandrino. Parecchi vescovi francesi non rifuggivano dal compromettersi cogli Ugonotti; anzi nell'adunanza di Poissy avevano si debolmente difesa la verità e tradito a tal punto il loro dovere, che l'ambasciatore fiorentino dovette esclamare: “Non si sa, se questi vescovi francesi amino tanto essere sconfitti, quanto desiderano i protestanti vincere” 1 . 
   Otto di essi attiravano in modo speciale l'attenzione degli inquisitori: Giovanni di Chaumont, di Aix; Caracciolo, di Troyes; Giovanni di Montluc, di Valence; quelli di Chartres, di Dax, d'Oloron, d'Uzès, anch'essi favorevoli alla Riforma, e infine Louis d'Albret, vescovo di Lescar, che il clero e i fedeli denunciavano come transfuga, per il fatto che osava far predicare in sua presenza un domenicano spretato, Henri de Barreau, adultero ed eretico. Il Nunzio aggiungeva ai suoi rapporti ufficiali questo particolare piccante: era andato egli stesso a Pau, vestito da borghese, allo scopo di ascoltare questo religioso deviato e gli aveva fatto delle obiezioni, mettendo in evidenza i suoi errori. 
   A Roma si conoscevano pienamente le cose già da quattro anni. Pio IV non cedette di certo a un'impressione subitanea, quando sul principio del 1563 “ammoni i cardinali dell'Inquisizione di procedere contro i vescovi francesi, accusati d'eresia” 2 . I lamenti assai forti del nunzio Prospero di S. Croce, che si faceva portavoce del malcontento dei cattolici francesi per la lentezza della S. Sede, e la gravità dei documenti raccolti dal Grande Inquisitore, indussero il Papa a prendere le debite misure. Un conflitto tra il re di Francia e il capo della cristianità era inevitabile. 
   Appena il Ghislieri (13 aprile 1563) ebbe citati canonicamente gli otto vescovi “a presentarsi entro sei mesi presso il S. Ufficio per discolparsi del sospetto d'eresia, sotto minaccia di scomunica, sospensione e privazione di ogni beneficio”, entrò in gioco Caterina de' Medici. Essa invocò “le franchigie e la libertà della Chiesa gallicana”, e tendeva a trasformare una questione puramente religiosa, in una questione politica, che metteva in gioco l'onore e i diritti della corona. Invano il Nunzio sosteneva, col diritto del buon senso, che un vescovo non poteva essere calvinista, e che il Concordato riservava alla S. Sede il giudizio delle cause più gravi; Caterina replicava che “fuori di Francia non s'era mai fatto alcun processo d'un vescovo e suddito francese, e quand'anche l'accusato ammettesse una cosa simile, il re non vi avrebbe mai acconsentito”, Del resto, soggiungeva, manderemo a Roma un ambasciatore, per trattare la questione. 
   Per colmo d'impudenza, fu scelto come ambasciatore Noailles, uno dei vescovi accusati. Come a Roma fu saputa la cosa, il cardo Alessandrino persuase il Papa a non ricevere come ambasciatore una persona che era accusato dall'Inquisizione, e a non accordargli gli onori e le immunità, se non dopo una sentenza d'innocenza. 
   Questo fatto indusse Filiberto de la Bourdaisière, cardinale francese residente a Roma, a scrivere (9 ottobre 1563) al Noailles che si fermasse a Lione o si rifugiasse nella Savoia, dicendogli, che se voleva essere suo amico, non si recasse a Roma. 
   Frattanto Carlo IX, informato delle intenzioni della S. Sede, con una lettera piuttosto forte incaricò il Bourdaisière di far le sue rimostranze. Ma il cardinale e il suo collega de Lorraine, più circospetti, si limitarono a presentare delle osservazioni piene di ossequio, e a far abilmente capire che non conveniva alla dignità del Papa pronunziare una sentenza che poteva essere revocata “a tutti i parlamenti del regno”. L'Alessandrino aveva però già premunito il Pontefice contro ogni sentimento di timore. Noailles non fu riconosciuto come ambasciatore, e gli inquisitori ebbero facoltà di proseguire nelle loro citazioni. 
   La questione fu dunque proposta nel nuovo concistoro. Il 22 ottobre 1563 Pio IV radunato il Sacro Collegio, diede subito la parola al cardo Alessandrino. 
   Questi si scusò di non avere un'eloquenza proporzionata all'importanza degli incidenti che si dovevano deplorare e, dopo aver tracciato un triste quadro dei progressi fatti dal calvinismo in Francia, discusse giuridicamente il caso specifico dei vescovi accusati. Constatò anzitutto che i vescovi citati regolarmente a comparire, non si erano presentati nel termine prefisso, riassunse per sommi capi l'accusa, e fece presenti le gravi deposizioni fatte da numerosi testimoni degni di fede. Come conclusione, propose che Caracciolo, Montluc, e D'Albret fossero ufficialmente dichiarati eretici e privati della dignità episcopale, e che Chaumont, Guillard, Saint-Gelais e Régin non potessero più governare le loro diocesi, qualora non avessero prima scontata la loro contumacia e dimostrato un vero pentimento 3 . 
   Gli argomenti del Grande Inquisitore furono cosi serrati e convincenti, che Bourdaisière scrisse al Noailles: “Il Papa non avrebbe potuto sospendere la sentenza, senza suscitare rumore e scandalo”. Il Sacro Collegio, tranne due cardinali, approvò quanto aveva detto l'Alessandrino, e allorché Bourdaisière propose una dilazione, la proposta fu respinta. Lo stesso Pontefice volle quindi confutare le obiezioni gallicane. Egli non intendeva già di violare il Concordato, ma aveva avocato la causa al S. Ufficio, perché non vedeva esservi in Francia alcun uomo capace di esaminarla con competenza e con la dovuta libertà; e ai diritti degli accusati opponeva giustamente l'interesse superiore dei fedeli, corrotti dalle loro dottrine. 
   I cardinali consultati risposero a Pio IV che “agisse secondo le prescrizioni del diritto”, ma sospendesse la promulgazione della sentenza, finché l'Alessandrino e gli inquisitori avessero di nuovo esaminato, quali dei vescovi fossero eretici notori e quali soltanto contumaci. 
   Allora il S. Padre, dopo aver solennemente ratificate le proposizioni del Ghislieri, in tono scherzevole gli fece notare le contraddizioni del suo protettore Paolo IV, lasciandosi andare a queste parole ironiche o almeno inattese: “Il cardinale di Napoli (il futuro Paolo IV) non si oppose alla promozione del Caracciolo, suo parente, a vescovo di Troyes, perché quel censore tanto severo verso gli altri, era poi tutto dolcezza e debolezza verso i suoi” 4 . 
   Il card. Alessandrino tacque: gli importava una cosa sola, l'aver guadagnata la causa. L'avvenire del resto gli riservava una pronta rivincita proprio sul terreno su cui Pio IV s'era messo. 
   Ma la sua parte in questa questione non era ancora finita. Il 2 novembre il cardo de Lorraine con una lettera pressante tentò di compiere presso il Papa uno sforzo supremo. 
   Il S. Padre che in fondo in fondo, secondo quanto disse l'ambasciatore di Venezia, amava poco l'Inquisizione 5 , fu impressionato da questo passo, e convocò il Sacro Collegio per vedere il da farsi. Ma l'Alessandrino intervenne di nuovo energicamente, e il Papa rispose al card. de Lorraine, che il Vicario di Cristo non poteva in coscienza lasciare in mano d'un eretico il governo d'una diocesi. 
   La Bourdaisière aveva però notato nel Papa e anche nel card. Alessandrino qualche segno di condiscendenza; cosi il 13 novembre scrisse al Noailles in termini familiari: “Il card. Alessandrino non è cosi indiavolato, come vi è forse stato dipinto. Questi signori dell'Inquisizione suggeriscono al Papa di rimettere al Concilio la vostra questione, e dicono che questo partito dovrà piacervi, atteso che voi godete l'amicizia di molti prelati francesi”. 
   Ma Noailles, stimandosi più sicuro lontano da Roma, pensò bene di non farsi vedere. Carlo IX non volle accettare per il suo suddito le decisioni della Curia romana. 
   Per suo ordine fu spedito al Papa un memoriale piuttosto complicato; il redattore del memoriale elencò con sovrabbondanza di particolari e di considerazioni storico-giuridiche i privilegi della Chiesa gallicana, terminando con questa malcelata minaccia: “Il Papa non se l'abbia a male, se il re vieta la promulgazione delle censure nel suo regno, e se permette che i prelati suoi sudditi si difendano come possono e devono contro le dette censure, in forza del diritto e secondo l'usanza dei loro predecessori” 6 . La questione si prolungò sino alla morte di Pio IV. 

*** 
Card. GIORGIO GRENTE 

Nessun commento:

Posta un commento