Monsignor di Sibour.
Un operaio di Parigi, cui le vicende politiche, che agitavano la Francia, avevano disamorato del lavoro e della fatica, si era dato ad una vita oziosa e vagabonda, con grave danno della povera sua famiglia, che veniva ogni dì più languendo per la miseria. Al nostro operaio dispiaceva assai il vedere la moglie e i figli ridotti a sì deplorabile condizione: ma anziché risolversi a levarsi dall'ozio e a riprendere il lavoro, amava meglio di pigliarsela contro i preti, dicendo che erano oziosi e che vivevano lautamente a spese del povero popolo. Un giorno, dopo avere, secondo l'usato, scagliato mille ingiurie contro i preti, scrisse tutto acceso d'ira una lettera a Monsignor Sibour, Arcivescovo di Parigi, nella quale mettendolo in canzone e pungendolo con fieri sarcasmi, gli diceva: venisse a vedere, egli che tanto parlava del popolo senza conoscerlo, venisse a vedere a qual infelice condizione era ridotta la famigliola del povero artigiano. E conchiudeva: colle solite frasi: che era ora di finirla, che non dovevano alcuni guazzare nell'abbondanza, mentre gli altri languivano nella miseria. Poche ore dopo un prete venerando batte alla porta dell'operaio: entra, era Monsignor di Sibour in persona.
L'operaio rimane attonito a questa visita inaspettata, e non sa che si dire. - La famiglia dell'artigiano non è così desolata, come si crede, disse il prelato: io vedo qui cinque bei fanciulli in ottima salute, e una tenera madre che va loro prodigando le amorose sue cure. - Sì, tutto va bene, rispose rabbiosamente l'operaio, ma non ci è pane per sfamarli! - Ah! Monsignore, gridò allora la moglie, egli non vuol più lavorare, ha messo in pezzi tutti i suoi utensili. - Siete in errore, mia cara, ripigliò prontamente a prelato, vostro marito è dolentissimo di ciò che voi dite; lo ha fatto in un momento di sdegno; mi ha scritto una lettera; egli è fermo di darsi nuovamente al lavoro, ma mancando degli strumenti, prega me a volerglieli comperare. Io stesso mi sono condotto qui per farlo contento.
- Indi volgendosi all'operaio: Figliol mio, domani va nella tale bottega, la troverai fornita degli attrezzi necessari pel tuo mestiere: mettiti a lavorare, la bottega sarà la tua e gli attrezzi io te il dono.
- L'operaio fu colpito alle parole del venerando prelato; l'ingegnosa sua carità fu come un raggio divino, che rialzò l'anima sua dall'abiezione in cui era caduta. Si guardò bene dallo smentire il suo arcivescovo; gli si prostrò innanzi, gli baciò piangendo la mano, e il giorno appresso entrò nella sua bottega per non lasciarla mai più.
Il giorno della morte di Monsignor Sibour un artigiano chiedeva a calde lacrime di vedere ancora una volta le spoglie del suo arcivescovo. Era il nostro operaio che voleva per l'ultima volta rendere omaggio di affetto e di riconoscenza all'ingegnosa carità del suo venerando pastore.
DON ANTONIO ZACCARIA
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