I nostri due cenobiti nella casa di Ecully, vivendo in comune, in conformità di quanto prescrivevano gli statuti di Lione, godevano di una intimità senza nubi. Facevano insieme i loro esercizi di pietà e qualche volta anche i loro pellegrinaggi a Nostra Signora della Fourvière... così poveri che dovevano ripararsi sotto l'unico ombrello della casa parrocchiale 30. Di mutua intesa, copiavano preghiere che poi divulgavano fra le anime pie della parrocchia 31, ed insieme composero quel piccolo Rosario dell'Immacolata Concezione, che ad Ars si recita ancora prima della preghiera della sera 32.
Così passarono l'anno 1816 e le prime settimane del 1817.
L'abate Balley non aveva che sessantacinque anni, ma aveva vissuto da proscritto durante il tempo del Terrore e gli anni di persecuzione raddoppiano l'età. Nel mese di febbraio, ammalato da un ulcere ad una gamba, fu costretto a mettersi a letto, e da allora non poté quasi più alzarsi, né sembra abbia avuto molta parte nel ministero della parrocchia di Ecully: vi è un solo atto che porta ancora la sua firma ed è una sepoltura del 5 giugno 1817. Era dunque il suo devoto vicario che suppliva a tutto in questo periodo di tempo segnato con tante amarezze. L'abate Balley non perdeva la sua calma: soffriva volentieri i dolori causati dall'ulcere, che, colla decomposizione lenta del sangue, preparava la cancrena. I medici lo visitarono e dichiararono che non sarebbe più guarito. Il 17 dicembre, dopo di essersi confessato al suo «caro prete», al suo figlio di predilezione, e dopo di avere ricevuto da lui il Viatico e l'Estrema Unzione, il venerato pastore di Ecully, pieno di meriti, volò al Signore 33.
Si racconta che quando fu terminata la cerimonia e furono partiti i parrocchiani, il Curato morente, rimasto solo col Vicario, diede al suo «caro Vianney» gli ultimi consigli, raccomandandosi alle sue preghiere. Poi, ritirando dal capezzale i suoi strumenti di penitenza, glieli consegnò, mormorando a bassa voce: «Prendi, figlio mio, e nascondi tutte queste cose: se, dopo la mia morte, si scoprissero questi oggetti, si crederebbe che ho sufficientemente espiato i miei peccati e mi sì lascerebbe in purgatorio fino alla fine del mondo» 34. La disciplina ed il cilicio dell'abate Balley servirono ancora 35.
L'abate Vianney lo pianse come un padre a cui tutto doveva e conservò di lui un ricordo imperituro; amava ripetere: «Ho visto anime belle, ma non più belle della sua». I lineamenti di quella fisionomia si erano stampati nella sua mente in modo tale che dopo molto tempo, anche negli ultimi anni della sua vita, diceva: «Se fossi pittore ne potrei ancora fare il ritratto». Ne parlava spesso colle lagrime agli occhi 36, ogni mattina lo ricordava nel Canone della sua Messa e fino alla morte, lui, così distaccato da tutte le cose, amerà conservare sul suo camino uno specchio dell'abate Balley, perché aveva riflesso il suo volto 37. Anche in Ecully e nei dintorni la memoria di questo prete rimase in venerazione 38
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Era appena stato sepolto il Curato Balley, che i parrocchiani di Ecully fecero all'Arcivescovado un passo che dimostra di quanta stima fosse già circondato in mezzo a loro l'abate Vianney, cioè lo domandarono come curato. La loro richiesta non ebbe però esito felice 39 e d'altronde l'interessato medesimo forse non avrebbe accettato, perché più tardi dirà: «Io non avrei voluto essere parroco di Ecully, perché è una parrocchia molto importante» 40. Il Vicario generale, al posto dell'abate Balley, mandò l'abate Tripier, ed il vicario rimase al suo posto.
L'abate Tripier non si credette obbligato in coscienza a seguire le orme del suo predecessore, né intendeva fare della sua casa un convento di trappisti o di certosini; anche il suo vicario gli parve presto esagerato, specialmente quando si rifiutava di seguirlo nelle visite ai confratelli od alle famiglie più distinte, col volgare pretesto che aveva una veste poco conveniente per una compagnia decorosa 41. Fu forse l'abate Tripier che domandò un altro vicario? È possibile, perché l'amministrazione diocesana non tardò ad occuparsi dell'abate Vianney.
Dal 21 gennaio 1818, per la morte del titolare abate Antonio Déplace, giovane prete di ventisette anni, che soccombeva consunto, dopo un ministero di ventitré giorni 42, era vacante Ars, piccola cappellania del dipartimento dell'Ain 43, di duecentotrenta anime appena 44. Ci si doveva mettere ancora un prete? Si dubitava e la conclusione affermativa si appoggiava sulla ragione che Ars distava da Mizérieux, centro religioso, ben tre chilometri. Si aveva bensì pregato il parroco di Savigneux, abate Durand, di assumere l'assistenza interinale di questa cappellania, ma ne era seguito che, per varie settimane, Ars parve dimenticata. La decisione dei Vicari Generali deve poi essere stata sollecitata da un interessamento personale della contessa di Garets, che si ostinava a ritenere come urla vera parrocchia la Cappellania di Ars 45.
In principio del mese di febbraio l'abate Giovanni Maria Battista Vianney veniva a sapere che il piccolo villaggio di Ars nella Dombes era affidato alle sue cure. Il giovane prete non si inquietò per sapere se Mons. Courbon mandava nel dipartimento dell'Ain, che era diventato una specie di Siberia per il clero della diocesi di Lione, i preti che gli sembravano presentare il minor grado di garanzia46; ma con tutta semplicità andò a trovare il Vicario Generale, che gli rimise l'atto di nomina dicendogli: «Non c'è molto amor di Dio in quella parrocchia, ma voi ce ne metterete»47. L'abate Vianney rispondeva che quello era appunto il suo desiderio. Ma il Vicario Generale aveva anche creduto di dovere incoraggiarlo: gli si affidava certo una parrocchia delle più umili, quasi senza risorse, con solo una prebenda annua di franchi cinquecento, insomma quella di un vicario 48. Ma Iddio non lo avrebbe abbandonato nella sua lontana parrocchia; Ars aveva la fortuna di possedere un castello ove abitava una buona donna che lo aiuterebbe col suo denaro e colla sua influenza 49. Così parlava Mons. Courbon a questo prete di trentadue anni.
Il 3 febbraio 1818, l'abate Vianney compiva ad Ecully il suo ultimo atto di ministero ed il giorno 9, di buon mattino, si metteva in viaggio alla volta di Ars.
Canonico FRANCESCO TROCHU
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