venerdì 26 agosto 2022

IL CUORE DEL PADRE

 


Giustizia e amore

Ma quest'amore si conforma tuttavia alle esigenze della giustizia? Il sacrificio del Calvario non é, dopo tutto, il risultato di un compromesso tra la giustizia di Dio e la sua misericordia? Certe frasi di san Paolo danno l'impressione che l'opera di redenzione si sia compiuta in virtù della giustizia divina.

Nell'epistola ai Romani egli dice che Dio ha condannato il peccato; ma questa condanna che la legge sarebbe stata incapace di mandare ad effetto é divenuta reale col sacrificio di Gesù: « Perché quello che non poteva fare la legge, perché era inferma per ragion della carne, Dio, avendo mandato il suo Figliolo in carne simile a quella del peccato, col peccato abolì nella carne il peccato. Affinché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo spirito ». In questo passo Dio ci é presentato come un giudice che pronuncia un verdetto di condanna, verdetto voluto dalla legge e rispondente ai principi della giustizia. E con questa sentenza di giudice si spiegherebbe la morte di Cristo.

È ancora la giustizia che l'apostolo invoca quando paragona Cristo nel suo sacrificio al propiziatorio dell'Antico Testamento. « Cristo, egli dice, fu da Dio preordinato propiziatorio in virtù del suo sangue per mezzo della fede, al fine di far conoscere la sua giustizia nella remissione dei precedenti delitti, sopportati da Dio fino a che facesse conoscere la sua giustizia nel tempo, e giusto faccia chi ha fede in Gesù Cristo ». Sembra, a una prima lettura, che la frase debba interpretarsi così: Dio si è mostrato paziente e tollerante per un lungo periodo, e si è astenuto dall'esigere l'applicazione della giustizia mediante l'espiazione dei peccati; ma nel tempo attuale egli ha voluto quest'espiazione ponendo Cristo come propiziatorio. Era chiamata propiziatorio la placca d'oro che copriva il cofano contenente le tavole della Legge e che una volta all'anno, nella festa dell'Espiazione, si aspergeva col sangue delle vittime, al fine di ottenere il perdono dei peccati del popolo e la sua riconciliazione con Dio. Cristo divenuto propiziatorio per mezzo del suo stesso sangue significa che egli ha offerto al Padre col suo sacrificio l'espiazione per i peccati dell'umanità, ottenendo il perdono per coloro che credono in lui. In questo modo si è manifestata la giustizia divina. Essa è visibile nel fatto che Dio ha stabilito finalmente una compensazione per i peccati degli uomini, compensazione fornita dal sangue di Cristo, e tanto più necessaria in quanto i peccati anteriori erano stati tollerati e reclamavano una sanzione.

Questa l'interpretazione che dobbiamo dare al pensiero di san Paolo; ma essa non elimina l'obiezione già espressa: la giustizia non può infliggere condanna che al colpevole e da lui solo reclamare riparazione, altrimenti diventerebbe ingiustizia., Poiché Cristo è innocente, il suo sacrificio non può essere stato comandato dalla giustizia. Dio avrebbe dunque adottato un atteggiamento diametralmente opposto alla regola di una sana giustizia; avrebbe, cioè, risparmiato i colpevoli tollerando le loro colpe e astenendosi dall'agire contro di essi, e colpito un innocente facendo ricadere su di lui le esigenze di espiazione che tutti i peccati anteriori avrebbero accumulato.

Non è dunque in nome di questa giustizia che l'apostolo poteva mostrarci in Cristo il « propiziatorio stabilito da Dio, cioè colui nel quale si è consumato il sacrificio che ci ha ottenuto il perdono dei peccati. La giustizia avrebbe. voluto che i peccatori stessi riparassero ai danni commessi, e avrebbe escluso l'invio di un innocente al loro posto.

Ma quando san Paolo parla di una manifestazione della giustizia divina che avvenne nel sacrificio di Cristo, usa la parola « giustizia » in un senso diverso da quello che essa ha nel nostro vocabolario. Molte incomprensioni del vero significato dell'espiazione del Calvario, e soprattutto molti apprezzamenti inesatti sui veri sentimenti del Padre celeste a proposito di questa espiazione, derivano da un equivoco sulla nozione di giustizia. Nella nostra concezione attuale la giustizia è la virtù che dà a ciascuno ciò che gli è dovuto, la norma a cui un giudice si attiene quando condanna un colpevole. Ma tale non è, secondo_ l'apostolo, la giustizia di Dio, in cui egli vede piuttosto la santità morale che Dio vuole comunicarci. Già nell'Antico Testamento la giustizia di Dio non aveva il significato di esigenza giuridica né di castigo divino dei colpevoli. Presso i popoli dell'antico oriente la giustizia era piuttosto un ideale di concordia e di benessere nella società, e sul piano religioso era quindi chiamata a indicare il regime di benessere spirituale che Dio voleva stabilire tra gli uomini. Un equivalente della giustizia sarebbe semplicemente il bene, che Dio possiede e che vuole trasmetterci. Perciò san Paolo afferma che la giustizia di Dio appare non al di sopra degli uomini, ma nell'intimo stesso del credente: essa è il silo bene, il bene della sua anima, la santità che égli ha ricevuto da Dio con la fede.

I testi si trovano così posti nella loro giusta luce. Se il Padre, mandando il Figlio al sacrificio, « ha condannato il peccato nella carne affinché la giustizia della legge si adempisse in noi », la sua non fu una condanna di giudice secondo la giustizia dei tribunali, quale la legge ebraica avrebbe potuto pronunciare: al contrario, fu una condanna impossibile per la legge. Il Padre ha condannato il peccato nel senso che egli lo ha vinto e distrutto, in modo che venisse sostituito lo stato di peccato dallo stato di giustizia o di santità morale, in modo che la giustizia della legge si compisse pienamente in noi. Dio ha dunque fatto ciò che la legge non poteva: liberarci dal peccato e santificarci. Condannare il peccato altro non significa che sconfiggere il male per sostituirvi il bene.

Allo stesso modo, ponendo Cristo come propiziatorio al fine di manifestare la sua giustizia, il Padre non intendeva esigere una espiazione, bensì concedere agli uomini col sacrificio di Gesù il bene e la pace dell'anima, quella santità o vita della grazia che si chiama giustizia. Nel periodo precedente il Padre aveva « tollerato » i peccati degli uomini: era il tempo della « pazienza di Dio ». Ma questa tolleranza e questa pazienza non implicavano da parte sua un ritardo nell'esercitare la sua vendetta sulle offese commesse, né una sorta di legittima rivendicazione di un compenso per quelle offese da scontarsi al momento opportuno; erano, invece, la tolleranza e la pazienza con cui il Padre frenava il desiderio di dare la sua giustizia, la sua santità agli uomini. Egli voleva fondare per l'umanità il regime della grazia, e se tollerava provvisoriamente le colpe che si compivano sotto i suoi occhi, era perché si riservava di rivelare più tardi un piano di salvezza tanto più perfetto. Infatti Cristo fu da lui posto « in antecedenza » come propiziatorio. Il propiziatorio dell'arca dell'alleanza non era che un simbolo, una figura di una realtà futura: il sangue delle vittime di cui il gran sacerdote lo aspergeva nella festa dell'Espiazione non era che l'annuncio del sangue di Cristo; perché solo Cristo avrebbe ottenuto il perdono agli uomini e comunicato loro la santità.

Si comprende, così, che cosa significava per il cuore del Padre « manifestare la sua giustizia in ragione della tolleranza che egli aveva dimostrato rispetto ai peccati anteriori, al tempo della pazienza di Dio ». Non un'ira sempre più impaziente di scatenarsi si era andata accumulando nel suo cuore, bensì un desiderio sempre più vivo di diffondere la santità divina tra gli uomini, un sentimento di misericordia che ardeva di potersi esprimere, di far cessare quella triste situazione che faceva gli uomini schiavi del loro peccato. La « manifestazione di giustizia » fu dunque anche manifestazione di misericordia, poiché il Padre aspirava a far partecipi gli uomini di quella perfezione spirituale che egli possedeva.

Di conseguenza, questa è la verità affermata da san Paolo: a un dato momento dell'epoca attuale, Dio non ha più potuto sopportare lo spettacolo dell'umanità peccatrice e, col sacrificio espiatorio del proprio Figlio, l'ha ristabilita in un regime di santità divina. Egli aveva tollerato anteriormente quella situazione, perché aveva in precedenza deciso di apportarvi rimedio mediante Cristo. Ciò presuppone nel Padre una bontà infinita; egli amava troppo gli uomini per abbandonarli nella loro miseria morale; la sua inattività apparente e la sua tolleranza non miravano che a meglio preparare e assicurare la redenzione dell'umanità.

In termini più familiari si potrebbe dire: l'umanità non perdeva nulla ad attendere. Una tale espressione può far pensare ad una rivalsa tanto più implacabile in quanto è stato differita; ma, in realtà, si tratta della rivalsa della bontà, che si rivelerà tanto più generosa quanto più è stata contenuta. L'umanità non perdeva nulla ad attendere, perché nel cuore del Padre l'amore premeva imperiosamente, sempre più desideroso di espandersi.

Non è dunque il caso di distinguere, nell'opera della redenzione, due parti, quella della giustizia e quella dell'amore, tentando di spiegare come Dio abbia conciliato i disegni della sua bontà con le necessità della giustizia. La manifestazione di giustizia, di cui parla san Paolo, altro non è che l'espansione della perfezione divina, che ha voluto comunicarsi agli uomini. Un solo principio ha comandato e diretto l'opera della salvezza: l'amore di Dio per l'umanità. E se la rivelazione di questo amore si chiama, nel senso paolino del termine, una manifestazione di giustizia, è perché l'amore del Padre ha prodotto negli uomini un reale effetto di santità. Esso non si è limitato a una pietà sentimentale, a una simpatia sterile o tutt'al più suscitatrice d'incoraggiamento e di conforto; ma ha realmente restaurato ciò che l'uomo aveva perduto, ha ricreato la sua anima immettendovi la perfezione divina. L'amore del Padre verso l'umanità si e manifestato mediante la presenza della « giustizia di Dio » nel cuore dei credenti.

Questa conclusione, che solo l'amore divino ha ispirato l'opera di redenzione, è della massima importanza. Dato che tutte le relazioni tra il Padre e noi avvengono nel quadro della redenzione, esse sono interamente governate dal suo amore. Da parte di Dio a noi non può venire che amore. Può accadere che quest'amore si nasconda, non in maniera generale e per tutti, poiché si è definitivamente rivelato in Cristo, ma in taluni eventi della nostra vita individuale: in questo caso, come al tempo della « pazienza di Dio » che preparava lentamente la redenzione, l'amore è segretamente attivo e si consolida e si accresce nell'ombra per raggiungere una maggiore efficacia.

Quali che siano le nostre colpe e i nostri errori, mai possiamo supporre nel Padre una freddezza che ecclisserebbe la sua bontà o una giustizia che prevarrebbe su di essa; perché davanti ai peccati di ciascun uomo, come davanti a quelli dell'umanità intera, la reazione del Padre è identica: un desiderio tanto più ardente di vincere il male e di far regnare nei cuori la perfezione divina. Tutti i suoi atti a nostro riguardo hanno la loro spiegazione prima nel suo amore.

Di Jean Galot s. j.


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