domenica 17 novembre 2019

La Stolta Superbia e Soave Umiltà



LE  ANIME  PIE

“Guai se le anime predilette e prescelte mostrano avarizia e superbia per i miei doni!
Non amo gli avari e detesto i superbi. I primi mancano alla carità, perché economizzano per se stessi ciò che è di tutti, perché sono il Padre di tutti. Dò i miei tesori agli amici perché ne siano i dispensatori ai poveri dello spirito, e non perché li tesaurizzino avidamente, egoisticamente, uccidendo la carità.
I superbi vengono automaticamente, inesorabilmente privati del mio dono. In loro, la mia grazia non si spegne pian piano, come un fiore che muore senza acqua, ma come strangolata, muore immediatamente. La superbia è la quintessenza, la perfezione dell’anticarità. Il suo diabolico veleno uccide istantaneamente, spegnendo la luce nei cuori. Mentre guardo con compassione e dolore le vostre debolezze, volgo altrove lo sguardo quando incontro un superbo. Sapete cos’è non avere più il mio sguardo su di sé? E’ divenire poveri, ciechi e pazzi. Miseri ebbri che se ne vanno brancolando, di pericolo in pericolo, incontro alla morte” (Quad. ‘43, p. 341).
“La vanagloria abbaglia come un miraggio anche nelle cose celesti. Non santo anelito al Paradiso, ma desiderio umano che la vostra santità sia conosciuta; anzi, esosità di cambia valute, di usuraio, per cui per un poco di amore dato a Colui cui dovete dare tutti voi stessi, pretendete un posto alla sua destra in Cielo. No, figli! Prima occorre sapere bere tutto il calice che ho bevuto, tutto: con la carità data in compenso dell’odio, con la castità contro le voci del sesso, con l’eroismo nelle prove, con l’olocausto per amore verso Dio e i fratelli. Poi, compiuto tutto il proprio dovere, ripetere: “Siamo servi inutili”, aspettando che il Padre vi conceda, per sua bontà, un posto nel suo regno. Bisogna spogliarsi, come sono stato spogliato nel Pretorio, di tutto ciò che è umano, tenendo solo quell’indispensabile che è rispetto verso la vita, dono di Dio, e verso i fratelli ai quali possiamo essere utili più dal Cielo che sulla Terra, lasciando a Dio di rivestirvi della stola immortale, fatta candida nel Sangue dell’Agnello” (Poema 2°, p. 400).
“Nessuno desideri lo straordinario (doni carismatici). Sa Dio quando e a chi darlo. Non è necessario avere lo straordinario per entrare nel Cielo. Anzi, è un’arma che, male usata, può aprire l’Inferno anziché il Paradiso. La superbia può sorgere, diventare uno stato di spirito, abietto a Dio, simile a torpore in cui uno si accomodi per carezzare il tesoro avuto, riputandosi già in Cielo, perché ha avuto quel dono. No! In quel caso, invece di fiamma e ala, il dono diventa gelo e macigno, e l’anima precipita e muore. Inoltre, un dono mal usato può suscitare avidità di averne più ancora, per averne più lode. In questo caso, al Signore potrebbe sostituirsi lo Spirito del male per sedurre gli imprudenti con pseudo prodigi.
State sempre lontano dalle seduzioni di ogni specie, fuggitele. State contenti di ciò che DIo vi dà. Egli sa ciò che vi giova e in quale maniera. Pensate sempre che ogni dono è una prova oltre che una responsabilità, una prova per la vostra santità e volontà. Ho dato a tutti voi, Apostoli, le stesse cose, ma ciò che vi fece migliori, voi, rovinò Giuda. Era dunque un male, il dono? No, ma maligna era la volontà di quello spirito” (cambiando “il dono in danno” con l’orgoglio) (Poema 10°, p. 197).

René Vuilleumier

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