Il Miracolo Eucaristico di Bolsena
«Bolsena non dimentica, ed oggi ripresenta a noi e al mondo il miracolo compiuto nel santuario della sua Santa Cristina, il quale miracolo ha ravvivato nella Chiesa d'allora
e ravviva tuttora la coscienza interiore e ha perpetuato il culto esteriore, pubblico e solenne, dell'Eucaristia, del quale Orvieto e Bolsena conservano ed alimentano nel mondo l'inestinguibile fiamma». Sono
queste le parole pronunciate da Paolo VI durante la celebrazione della Messa fuori dalla chiesa di Santa Cristina, che nell'occasione viene elevata alla dignità di basilica minore, 1'8 agosto 1976, a chiusura
del Congresso Eucaristico internazionale di Filadelfia.
Se il Duomo di Orvieto custodisce le reliquie vere e proprie del Miracolo, nella chiesa di Bolsena sono venerati quattro dei cinque marmi che si macchiarono di sangue al momento del
prodigio. Una scritta incisa sul frontone della balaustra avvisa: «Profani state lontani e ben lontani, perché qui è il Sangue di Cristo, il quale è la nostra salvezza».
In questo luogo, infatti, sembra quasi che il Signore abbia voluto aggiungere il sangue suo a quello di una giovane martire, Santa Cristina, appunto.
È nel tempio a lei dedicato che avviene il Miracolo Eucaristico di Bolsena, dagli storici datato 1263.
La storia è ben presentata da un'epigrafe del 1573-74, che si trova nel luogo del Miracolo. Da una traduzione italiana del 1863, si apprende che il protagonista della vicenda
è un «sacerdote alemanno». Costui «in tutte le cose si mostrava a Dio fedele, solo che nella fede di questo Sacramento dubitava assai. [...] Tuttavia, ogni giorno supplicava Iddio nelle sue orazioni
che si degnasse di mostrargli un qualche segno che gli avesse rimosso dall'anima ogni dubbio».
E l'intervento di Dio non può mancare: «[ ...] affinché il detto sacerdote desistesse da quell'errore e la fede avesse maggiore fermezza, dispose che quel
sacerdote proponesse per impetrare il perdono dei suoi peccati, di visitare il sepolcro degli
apostoli Pietro e Paolo ed altri luoghi. Perciò s'incamminò verso Roma, ed arrivato al castello di Bolsena, della diocesi di Orvieto, stabilì di celebrare la
messa in questa presente chiesa di S. Cristina vergine [...]».
(Da qui si comprende come non è attendibile la versione secondo cui il miracolo sarebbe avvenuto nel viaggio di ritorno da Roma: notizia erroneamente contenuta in qualche dramma
sacro).
Ed ecco il miracolo: «Mentre costui celebrava qui la messa e teneva l'Ostia nelle mani sopra il calice, [...] improvvisamente quell'ostia apparve, in modo visibile, vera
carne e aspersa di rosso sangue, eccetto quella sola particella, che era tenuta dalle dita di lui».
Questo particolare è spiegato dallo stesso testo, come una prova: «perché fosse noto a tutti quella essere stata veramente l'ostia che era dalle mani dello stesso
sacerdote celebrante portata sopra il calice. Di più una benda, che si teneva per purificazione del calice, restò bagnata da quella effusione di sangue. Alla vista del miracolo, colui che prima dubitava, confermato
nella fede, stupì, e procurò di nasconderlo con il corporale; ma quanto più si sforzava di nascondere tanto più ampiamente e perfettamente, per virtù divina, si divulgava il miracolo.
Infatti ciascuna goccia di sangue, che da quella scaturiva, tingendo il sacro corporale, vi lasciò impresse altrettante figure a somiglianza di uomo. Vedendo ciò quel
sacerdote, atterrito, cessò dal celebrare e non osò andare avanti. Anzi, preso da intimo dolore e spinto dal pentimento, collocato prima con la pia dovuta devozione nel sacrario della detta chiesa quel venerabile
sacramento, corse in fretta dallo stesso Sommo Pontefice, e genuflesso innanzi a lui, gli narrò tutto l'accaduto e della propria durezza di cuore e dell'errore chiese perdono e misericordia. Udite queste cose,
il Papa restò pieno di grandissima ammirazione, [...] lo assolse e [...] decretò che il venerabile Corpo di Cristo fosse portato nella chiesa orvietana, che era stata insignita col nome della Madre sua (= è
la piccola chiesa di S. Maria Prisca), ed espressamente comandò al vescovo di Orvieto di recarsi alla detta chiesa della beata Cristina, e lo portasse in questa città.
Obbedendo ai suoi comandi, questi si recò al luogo del miracolo, e riverentemente prendendo il Corpo di Cristo, accompagnato da chierici e da molti altri, lo portò sin
presso alla città, al ponte di un certo torrente, detto volgarmente Riochiaro (= oggi: Ponte del Sole, alla periferia di Orvieto), dove gli venne incontro lo stesso Romano Pontefice con i suoi cardinali, con i chierici
e religiosi e con una numerosa moltitudine di Orvietani, con immensa devozione e spargimento di lacrime. [...] Ed il Pontefice avendo preso nelle sue mani, genuflesso a terra, quel venerabile Sacramento, lo portò alla
chiesa di Orvieto con inni e cantici, con gaudio ed allegrezza, ed onorevolmente lo depose nel sacrario della stessa chiesa».
Sull'area della chiesa di Santa Maria Prisca si edificherà il famoso Duomo di Orvieto. L'idea di costruirlo, già nata prima del verificarsi di tali fatti, con
essi prenderà nuovo vigore ed entusiasmo. Sarà il Papa Niccolò IV a posare la prima pietra, il 3 novembre 1290, ma potrà dirsi compiuto solo dopo tre secoli.
Ancora oggi è considerato una delle meraviglie del mondo. Per lo storico e critico d'arte svizzero. Burckhardt, è «il più grande e più ricco monumento
policromo del mondo», e per Papa Leone XIII «il giglio d'oro delle Cattedrali d'Italia».
Accanto al Duomo di Orvieto, custode delle sacre reliquie, un'altra grande opera d'arte è legata al Miracolo Eucaristico di Bolsena: è il celebre dipinto di Raffaello,
"Messa di Bolsena", in una delle Stanze Vaticane, commissionato da Giulio II.
Rappresenta il celebrante, di profilo, leggermente incurvato sull'altare, con lo sguardo fisso sull'Ostia, tenuta con la mano sinistra, mentre con la destra sta ripiegando il
corporale, tra lo sbigottimento dei presenti.
Anche l'arte, dunque, esaltazione del sentimento, diventa testimonianza di incessante lode a Dio per un evento così significativo nella storia della Chiesa.
Ma ritorniamo al prodigio, perché la tradizione arricchisce il fatto storico.
Il nome del protagonista è quello di Pietro, un prete boemo di Praga.
Nella delegazione inviata dal Papa, da Orvieto a Bolsena, per constatare l'accaduto e prendere le sacre reliquie, ad accompagnare il vescovo Giacomo Maltraga, si fanno i nomi di
San Tommaso d'Aquino e di San Bonaventura da Bagnoregio.
Certi sono, invece, le figure del citato vescovo di Orvieto e del Papa Urbano IV, in quel tempo residente ad Orvieto per sottrarsi alla persecuzione di Manfredi, usurpatore della Corona
di Napoli e di Sicilia.
Sarà Urbano IV, l'11 agosto 1264, da Orvieto, ad istituire la solennità del Corpus Domini, con la storica bolla "Transiturus de hoc mundo ad Patrem", a partire
dall'anno successivo; ma troverà pratica applicazione solo dal 1312, con Clemente V, dopo la conferma della bolla di Urbano IV.
San Tommaso d'Aquino, incaricato da Urbano IV, di questa festa aveva composto l'officiatura: un insieme di antifone, orazioni, lezioni ed inni che, con sublime espressività
poetica, celebrano il Corpo del Signore.
Tale festa, di grande rilievo liturgico, assume, nella civiltà dei Comuni, anche un'importanza sociale. In questo periodo, infatti, l'immagine che una città ha
di se stessa è quella di un corpo. Celebrando il Corpus Domini, perciò, la città festeggia anche la sua unità: un corpo formato da tutte le corporazioni di mestieri.
Miracolo Eucaristico di Bolsena e Corpus Domini: se non si può parlare di causa ed effetto, di certo l'uno è il richiamo dell'altro, tappe di un cammino iniziato
da tempo.
Si è detto che l'istituzione della festa del Corpus Domini, da parte di Urbano IV, avviene nel 1264. Ora, questo accade sei anni dopo la morte della Beata Giuliana di Liegi
(1192-1258), una benedettina del monastero di Mont-Cornillon. Quest'umile monaca aveva ricevuto - più volte nel corso degli anni – una visione, sempre la stessa: nel cielo stellato, una luna piena splendente,
ma con un piccolo squarcio al centro da lasciar vedere una zona oscura.
Per divina ispirazione, aveva compreso che la luna splendente simboleggiava la Chiesa, mentre la zona oscura indicava la mancanza di una festa nel ciclo liturgico: quella del Corpus
Domini. Divenuta superiora del suo convento, consapevole di essere portavoce di un messaggio celeste, era riuscita a far istituire dal vescovo della sua diocesi, il 5 giugno 1249, la prima festa in onore del SS. Sacramento.
Ma osteggiata, derisa, offesa, perseguitata come visionaria, dovette fuggire dal suo convento, nonostante il sostegno che aveva avuto da qualche eminente teologo e qualche prelato,
come Jacques Pantaléon, destinato a salire sul soglio pontificio.
Iddio, però, al contrario degli uomini, non s'arrende! Questo prelato (arcidiacono della cattedrale di Liegi, poi vescovo di Verdun e patriarca di Gerusalemme), che aveva
corrisposto al volere divino trasmesso alla Beata Giuliana, diventerà infatti Urbano IV, il Papa che, col Miracolo di Bolsena, vede il Signore nuovamente bussare alla porta della sua Chiesa, per renderla tutta splendente,
come una luna in un cielo stellato, senza nessuna zona oscura.