mercoledì 8 gennaio 2025

IL CUORE DEL PADRE - Il dono dell'eucaristia

 


Il dono dell'eucaristia


Tra i doni che accompagnano quello della Chiesa dobbiamo dare un posto a parte alla eucaristia. Essa e considerata il più sublime dei sacramenti; perciò possiamo affermare sin d'ora che in essa deve trovarsi il segno di una eminente -bontà paterna.

Questa bontà si rivela in modo particolare nel sacrificio della messa. Abbiamo già visto, considerando il dramma del peccato e della redenzione, che l'amore del Padre si è manifestato nel modo più completo e commovente quando ha sacrificato per noi, che lo avevamo offeso, il Figlio suo. « In ciò consiste l'amore, scrive san Giovanni; non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ci abbia amati e abbia mandato il Figlio suo in espiazione dei nostri peccati ». Ora, questo grado somaro a cui il suo amore paterno era giunto, il Padre ha voluto che fosse mantenuto; perciò ha deciso che il sacrificio del Figlio suo per la salvezza degli uomini si rinnovasse sacramentalmente sulla terra. Ad ogni messa, al momento della consacrazione, egli offre di nuovo il Figlio nello stato di vittima come sul Calvario, allo scopo di poterci dare in modo più sostanziale tutti i beni della redenzione. Nella messa si afferma la sua intenzione di restare per noi perpetuamente colui che diede prova della massima generosità. L'evento del Calvario, in cui ci ha rivelato la profondità del suo cuore paterno, è stato superato come tanti altri dalla corrente del tempo e della storia; ma il Padre lo riporta in certo modo a galla, in quel fiume ove ogni cosa passa, affinché possa costantemente emergere, al disopra degli avvenimenti terreni, il dono essenziale del suo amore. Ed è la messa che lo riproduce in maniera misteriosa.

Dobbiamo dunque considerare nella messa non soltanto l'offerta di Cristo al Padre, ma anche il dono del Figlio elargito dal Padre, precisamente come dobbiamo riconoscere tutti e due gli aspetti nel dramma della redenzione. Se si potesse rappresentare l'invisibile, vedremmo il Padre chino sull'altare dove il sacerdote celebra il sacrificio; e, alle parole della consacrazione: « Questo è il mio corpo » e « Questo è il calice del sangue mio » lo vedremmo offrire il suo cuore paterno mentre Cristo offre se stesso nel proprio corpo e nel proprio sangue. Quando Cristo viene da noi è sempre mandato dal Padre, donato da lui; perciò l'azione di grazie deve salire verso il Padre come verso Cristo: a questo per aver ripetuto la sua offerta, a quello per aver rinnovato il suo dono più grande.

È questa la testimonianza più probante del carattere definitivo che il Padre attribuisce al suo dono. Una volta aperto il suo cuore paterno, egli non lo richiude più, affinché noi possiamo attingere sempre più profondamente nell'abisso del suo amore e prendere con avidità sempre maggiore quello che egli ci dona. Così in ogni messa celebrata sulla terra egli elargisce la sua generosità e diviene completamente nostro facendo nostro ancora una volta il Figlio suo.

Se l'eucaristia, sotto il suo aspetto di sacrificio, implica il dono primordiale del Padre, essa manifesta ugualmente questo dono nella comunione e nella presenza reale di Cristo nel tabernacolo. Infatti nella comunione, sotto il suo aspetto di cibo distribuito ai fedeli, essa é la testimonianza della sollecitudine del Padre a fornire il nutrimento dell'anima ai suoi figli, proprio come spetta al padre di famiglia il dovere di nutrire i suoi cari, di procurare il pane alle sue creature. Quando ci ha insegnato a pregare il Padre, Cristo ha usato le parole: « Dacci oggi il nostro pane quotidiano », e quando ha annunciato l'istituzione dell'eucaristia, dopo aver compiuto il gesto paterno di saziare di pane le folle che lo ascoltavano, ha dichiarato che il pane eucaristico sarebbe venuto dal Padre celeste, direttamente da lui, mentre la manna del deserto era stata data tramite Mosè. Agli ebrei, invocanti un prodigio paragonabile a quella manna, Cristo risponde che un prodigio superiore sarà compiuto dal Padre, perché questi concederà agli uomini il vero pane celeste, quello che alimenta la vita spirituale: « In verità, in verità vi dico: Mosè non diede a voi il pane del cielo, ma il Padre mio vi dà il vero pane del cielo; perché pane di Dio è quello che discende dal cielo e dà al mondo la vita ». Col pane eucaristico, infatti, Cristo promette di comunicare la vita del Padre: « Come mandò me quel Padre, che vive; ed io per il Padre vivo, così chi mangerà me vivrà anch'egli per me ».

Il Padre è dunque colui che dà il nutrimento, o meglio colui che nutre l'anima con la propria vita trasmessa attraverso il Figlio. Colui che primamente distribuisce la comunione è dunque il Padre; da lui, chino su ogni fedele, discende il pane celeste, l'ostia che si posa sulla lingua di ogni comunicando. In quel momento, dalla profondità del suo essere, il Padre ci elargisce là sua vita divina; e in questo dono il fedele attinge la forza necessaria per non cadere lungo il cammino e per condurre una vita degna della sua qualità di figlio.

Dono paterno anche la presenza di Cristo nei nostri tabernacoli. Se egli e venuto tra noi una prima volta in virtù della volontà del Padre, per questa stessa volontà egli é tra noi sotto le apparenze dell'ostia. Il Padre ha voluto che il Figlio incarnato rimanesse per sempre tra noi e che la sua presenza che aveva rallegrato i primi discepoli continuasse ad ispirare e a proteggere la nostra vita.

Con ciò il Padre porta a compimento e realizza appieno quanto aveva iniziato nell'Antico Testamento concedendo agli ebrei, in pegno della sua alleanza, la presenza divina. Quella presenza perpetua nel tempio di Gerusalemme era considerata dal popolo eletto come la realtà centrale del culto, il privilegio più straordinario che gli potesse essere concesso: la presenza concreta, in quell'angolo della terra, di un Dio così sublime e potente. Ma il Padre ha voluto far succedere a quella presenza particolare di cui godeva il tempio, una presenza divina più sostanziale: quella corporea del Verbo incarnato che si moltiplica in luoghi innumerevoli. Al centro di ogni chiesa regna questa presenza eucaristica, in modo che chi vi entra si trova sempre accolto da qualcuno. La più modesta cappella in cui viene conservato il santissimo Sacramento racchiude una presenza divina incomparabilmente superiore a quella contenuta nell'unico tempio di Gerusalemme. Il Padre vi ha perpetuato il dono del Figlio suo; e il tabernacolo può veramente essere considerato il simbolo dell'accoglienza paterna di Dio.

Di Jean Galot s. j.


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