domenica 26 gennaio 2025

CHE COSA È L'INFERNO? L'Inferno è il patimento eterno della privazione di Dio, nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male, senza alcun bene.

 


SPIEGAZIONE TEOLOGICA DEL CATECHISMO DI S. S. PIO X 


I. L'Inferno è il patimento ... della privazione di Dio, nostra felicità (pena del danno).  

 L'Apostolo S. Giovanni, ispirato da Dio ci dice: Per i paurosi e per gli increduli, e gli esecrandi, e gli omicidi, e i fornicatori, e i venefici, e gli idolatri, e per tutti i mentitori, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo; che è la seconda morte (Ap.21,8).  

 I cattivi, che non si curano di fare le buone opere, saranno esclusi per sempre dal Paradiso, condannati a non vedere la faccia di Dio e a soffrire le pene indicibili dell'inferno. L’essere lontani da Dio, condannati all'odio e oggetto di odio da parte di Lui, è la massima pena dei dannati, pena tanto più grande quanto maggiore è il bene perduto.  

Il fuoco tende all'alto, l'acqua tende al basso; l'uccello ha bisogno assoluto dell'aria e il pesce dell'acqua. Immensamente maggiore è il bisogno che il dannato sente di Dio.  

 L'anima è creata per vedere e godere Iddio. Nell'altra vita, non più distratta dalle creature, tende a Dio, a unirsi a Lui, a conoscerLo, ad amarLo, a possederLo, a goderLo; e vi tende con tutte le forze e lo slancio di tutto l'essere suo.  

 Per tutta l'eternità tenderà a Lui, con forza incoercibile, e per sempre si vedrà da Lui lontana e respinta, scacciata e odiata.  

Il dannato ricorda incessantemente il Bene infinito, che ha perduto per sempre... Ah, quella sentenza: «Lontano da me, maledetti!» come risuonerà tagliente e inesorabile! Essere con Dio è la suprema gioia, la suprema beatitudine; essere da Lui separati, da Lui odiati e condannati a odiarlo è il più grande e il più inesorabile tormento.  

 II.... e del fuoco, con ogni altro male, senza alcun bene (pena del senso).  

 In Mt 13, 24-30 i cattivi sono raffigurati nell'erbaccia detta loglio. Essi ora vivono in mezzo ai buoni. Il giorno del giudizio, quando verrà la separazione dei giusti dai peccatori, saranno legati e gettati nel fuoco eterno dell'inferno. Anche il ricco Epulone, ci dice Nostro Signore, fu sepolto e condannato alle fiamme eterne dell'inferno. Gesù Cristo stesso ci ha rivelato, con la sua parola che non può ingannarsi e non può ingannare, che nell'inferno vi è la pena del fuoco: Se la tua mano o il tuo piede ti sono occasione di scandalo, tagliali e gettali lontano da te; meglio è per te entrare nella vita o monco o zoppo, che non essere gettato con le due mani e i due piedi nel fuoco eterno. E se il tuo occhio è per te occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; meglio è per te entrare nella vita con un occhio solo, che non essere gettato con due nella geenna del fuoco (Mt. 18, 8-9).  

 I dannati sono immersi nel fuoco, sepolti nel fuoco, compenetrati dal fuoco, quasi immedesimati col fuoco, fatti fuoco anch'essi, come il ferro arroventato che non si distingue più dal fuoco. Il fuoco dell'inferno è intelligente, e non tormenta soltanto il corpo, ma anche l'anima, in tutte le sue potenze. L'anima è strettamente unita al fuoco, legata al fuoco (S. TOMMASO, Suppl., q. 70, a. 3). La tristezza interiore dell'anima «è massima quando considera di essere soggetta alle cose infime (come appunto il fuoco), essa che era nata per essere unita a Dio nella fruizione» (S. TOMMASO, De anima, a. 21).  

 Nell'inferno, oltre il fuoco, vi sono tutti i mali di cui è capace il dannato, senza alcun bene. Dio è il Sommo Bene e in Lui ci sono tutti i beni. Il dannato essendo privo di Dio, non ha nessun bene. Mancando tutti i beni, soffre necessariamente tutti i mali, il male infatti non è che la mancanza del bene dovuto.  

 Male tremendo è il rimorso che rode e non consuma il dannato. E chi può immaginare il tormento e lo spasimo che cagiona il ricordo della nullità dei beni per i quali l'anima. si è dannata? Bastava un po' di buona volontà, un po' di mortificazione, un po' di penitenza, un po' di contrizione, un po' di amore di Dio per salvarsi invece!...  

L'intelligenza comprende l'immensità e la bellezza del bene irrimediabilmente perduto; la volontà rimpiange, con rabbia impotente, il Bene infinito che mai più potrà possedere, che ha perduto per la ricerca di beni senza consistenza e senza realtà; la memoria troverà il suo inenarrabile tormento nel ricordo delle grazie di Dio, alle quali il dannato non corrispose, l'estrema facilità con la quale poteva salvarsi, le difficoltà e le pene sopportate per ottenere i beni fugaci e compiere il peccato. Ciascuno dei sensi avrà la sua pena proporzionata: per quae peccaverit homo, per haec et torquetur: l'uomo sarà tormentato in quelle stesse facoltà con le quali avrà peccato e da quelle stesse creature delle quali si è servito per offendere Dio (Sap.11,13).  

I dannati si tormentano a vicenda e si odiano con un odio implacabile, quale non conoscono le belve più feroci, chiuse assieme in una gabbia.  

I demoni metteranno in opera tutta la loro intelligenza, tutta la loro potenza e tutta la loro sconfinata malvagità per tormentare i dannati e per rinnovare in eterno i supplizi.  

 III. ...patimento eterno. - Oh, se almeno il dannato potesse avere la certezza, almeno la speranza, che un giorno, per quanto lontano, le pene, i tormenti avranno fine! Egli ha invece la certezza più assoluta che il suo tormento non avrà mai fine! Il fumo dei loro tormenti si alzerà nei secoli dei secoli; e non hanno riposo né giorno né notte ... (Ap.14,11).  

Saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli (Ap.20,10). Il peccatore meriterebbe una pena di infinita intensità. Non essendo possibile all'uomo sopportare una pena di intensità infinita il tormento sarà infinito nella durata, e sarà eterno. I dannati nell'inferno sono nel fuoco inestinguibile, dove il loro verme non muore, e il fuoco non si estingue (Mc 9, 43).  

 Riflessione. - Che cosa sono i piccoli piaceri della colpa, di fronte alla pena eterna dell'inferno? Nelle tentazioni è necessario considerare il bene infinito che si perde peccando e le pene ineffabili che si meritano con la colpa.  

 ESEMPI. - 1. CONVERSIONE DI SAN BRUNONE. - Era l'anno 1082. Un dottore dell'Università di Parigi assisteva alle esequie di un suo amico, il professore Raimondo Dìocres. Mentre il clero e il popolo cantavano l'ufficio dei morti, in suffragio dell'estinto, alle parole: «Responde mihi: rispondimi», fu da tutti udita questa voce, che usciva dal feretro: «Per giusto giudizio di Dio sono stato accusato!» Tutti, spaventati, guardarono attorno; il cadavere giaceva immobile. Fu ripreso il capto, Alle parole: «Responde mihi» risuonarono le parole: «Per giusto giudizio di Dio sono stato giudicato». I circostanti avevano tutti udito e tutti avevano veduto il cadavere muoversi, sotto la coltre mortuaria, quasi avesse tentato di sollevarsi. I medici, professori, scienziati constatarono che il Dottor Diocres era realmente morto. Fu deciso di attendere per il seppellimento. La mattina seguente fu ripreso l'ufficio. Al canto delle solite parole: «Responde mihi» fu visto da tutti il cadavere sollevarsi, mettersi a sedere sulla bara, e fu udito dire con voce straziante: «Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all'inferno!» Quindi riprese la sua posizione supina per non muoversi più.  

 Il dottore amico del Diocres, che aveva assistito alla scena raccapricciante, andò a chiudersi in un convento, per vivere una vita migliore. Divenne uomo di grande virtù; fondò un ordine religioso molto austero, e in seguito fu canonizzato dalla Chiesa. È San Brunone fondatore dei Certosini.  

 2. Visione di S. Teresa. - Santa Teresa racconta di aver avuto la seguente visione: «Mentre un giorno facevo orazione, mi parve di trovarmi in un attimo all'inferno, senza sapere in qual modo vi fossi stata portata. Intesi solo che Dio voleva che io vedessi il luogo che i demoni avevano preparato e che io avrei meritato con i peccati. La visione durò pochissimo; ma anche se dovessi vivere molti anni, credo che dalla mia mente non se ne cancellerebbe mai più la memoria. L'ingresso in tal luogo mi parve come una di quelle viuzze brevi e strette che sono chiuse da una parte, anzi piuttosto come la bocca di un forno assai basso, buio e angusto. Il suolo era come di sudicissimo fango, che esalava un fetore insopportabile e che brulicava di rettili velenosi. In fondo a quella straducola vi era una specie di nicchia fatta nel muro, dove mi vidi strettissimamente rinchiusa. Parola umana non vale a dare una menoma idea di quello che provai in quell'orribile incavatura: è affatto incomprensibile. Sentii nella mia anima un tale fuoco, che per mancanza di parole e di immagini, non saprei, non solo descrivere, ma nemmeno concepire, e ad un tempo, tutto il mio corpo si trovò in preda a intolleranti spasimi, in confronto dei quali tutti i dolori, a detta dei medici, più insoffribili, sono un nulla. Vidi rattrappirmisi i nervi in maniera spaventosa e perdetti affatto l'uso delle membra. Ma queste torture del corpo non sono ancora nulla in confronto dell'orribile agonia dell'anima. La stretta del cuore era tale, così profonda l'angoscia, cosi straziante il cordoglio, così disperata ed amara la tristezza, che invano mi proverei a descriverla. È poco dire che a ogni momento si soffrono agonie di morte, perché nell'atto di morire ci pare che una forza estranea e prepotente ci tolga la vita ... No, non potrò mai trovare espressioni e concetti per dare qualche languida idea di quel fuoco interiore e di quel dolore disperato, che forma, per così dire, il colmo di tanti tormenti e dolori. Ogni speranza di qualsiasi conforto è spenta in tale spaventoso albergo: dense tenebre, senza un barlume di luce; eppure tutto ciò che è atto a causare pena l'occhio chiaramente lo vede! (Autobiografia, c. 32).  

Sac. C. T. DRAGONE, P. S. S. P.

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