ROSARIO
nella eloquenza di
VIEIRA
ESTOLLENS VOCEM
E se questa altissima è per la fiducia di ciò che dice, e di ciò che suppone chiedendo, a quella che segue non è meno alta per la generosità di ciò che chiede e di ciò che non chiede: "Et ne nos inducas in tentationem": e non ci lasciare cadere in tentazione. Notate ciò che chiediamo, e ciò che non chiediamo. Non abbiamo chiesto a Dio di toglierci o liberarci dalle tentazioni; chiediamo che non ci lasci cadere in esse. Nessuna versione ha tradotto meglio il "ne nos inducas" della nostra portoghese. Diciamo cadere, e non abbattere; perché l'abbattere è forza e impulso altrui; il cadere, debolezza o disattenzione propria. Chi dice non ci lasciare cadere, teme più di se stesso che del nemico, chiede aiuto per sé. Ma se nella tentazione c'è il pericolo, non sarebbe più conveniente e più sicuro chiedere a Dio di liberarci dall'essere tentati? No. Il male non sta nell'essere tentati, ma nell'essere vinti. Se fosse meglio non essere tentati, come ben discorre Cassiano, Dio non permetterebbe le tentazioni; ma vuole che ci siano battaglie, perché ci ha preparato la corona. Il soldato generoso stima la guerra perché desidera la vittoria: e non rifiuta il combattimento, perché aspira al trionfo. Per questo Giacomo dice (ed è la prima cosa che dice) che non dobbiamo ricevere le tentazioni con orrore e tristezza, ma con entusiasmo e gioia: "Omne gaudium existimate cum in tentationes varias incideritis". Il cavallo generoso (come si descrive nel Libro di Giobbe, con maggiore eleganza di quanto potesse dipingere Omero) al sentire il segnale della guerra, drizza le orecchie, rompe le briglie, batte la terra, riempie l'aria di nitriti, non contiene gli spiriti dalle narici, trema tutto di fuoco e di coraggio con l'entusiasmo e il vigore di uscire in battaglia. Questo è l'istinto della generosità anche dove manca la ragione; e questa è la ragione che abbiamo per chiedere a Dio, non che non ci lasci tentare, ma che non ci lasci cadere.
Se Dio ci lasciasse tentare più di quanto le nostre forze possano, allora avremmo giusta causa di rifiutare le tentazioni; ascolta però il sicuro che ci dà San Paolo: "Fidelis Deus est, qui non patietur vos tentari, supra id quod potestis". Dio è fedele, il quale non permetterà che siate tentati oltre ciò che potete resistere. E dice specificamente l'Apostolo in questo caso, che Dio è fedele: "Fidelis Deus est"; perché il contrario sarebbe una specie di inganno, il metterci Dio nella trappola per cadere in essa. È vero, come nota lo stesso San Paolo, che la nostra lotta nelle tentazioni non è di uomo a uomo, ma di uomini di carne e sangue contro il potere e l'astuzia degli spiriti delle tenebre: "Non est nobis colluctatio adversus carnem, et sanguinem, sed adversus príncipes, et potestates tenebrarum harum contra spiritualia nequitiae". Ma affinché possiamo uscire vincitori in una lotta così disuguale, vedete come Dio uguaglia i partiti e modera loro l'eccesso delle forze, e le misura con le nostre.
Lottò con Giacobbe quell'Angelo, il quale Origene e altri vogliono che fosse Angelo cattivo; ma, per quanto riguarda le tentazioni, tanto importa essere Angelo, quanto demonio; perché non sono i più brutti quelli che più tentano. Ciò che fa al nostro caso, è che essendo Giacobbe uomo, e l'Angelo con cui lottava, spirito; come può essere che gli potesse resistere e prevalere contro di lui? Molti mila uomini non hanno pari nelle forze con un solo Angelo, come si vide nell'esercito degli Assiri, in cui solo un Angelo in una notte uccise più di centottantamila uomini. Dunque, se le forze di Giacobbe erano così inferiori a quelle dell'Angelo, come lottò con lui così forte e tenacemente, e lo strinse in tal modo, che alla fine lo vinse? La ragione è che Dio non permise all'Angelo di usare tutte le forze naturali che aveva, ma solo in tale misura e proporzione, che Giacobbe con le sue potesse resistere e prevalere. Questo stesso è ciò che dice San Paolo: "Non patietur vos tentari, supra id quod potestis". E questo, e nello stesso modo, è ciò che Dio fa in tutte le tentazioni, non permettendo mai che siano così forti e potenti, che le nostre forze aiutate dalla sua grazia (con cui non manca mai) non possano resistere, e uscire con vittoria. E come da questo punto siamo sicuri, Dio non vuole che gli chiediamo di liberarci dalle tentazioni come timidi e deboli, ma solo che non ci lasci cadere in esse; e che come valorosi e generosi soldati, ci poniamo in campo per il suo servizio, in difesa della sua legge, e per la gloria del suo nome. Agli uomini, o li tenta Dio per provarli, o li tenta il demonio per perderli, o li tentano gli altri uomini per opprimerli. Se Dio non avesse tentato Abramo, come sarebbe stata la sua obbedienza così celebrata? Se il demonio non avesse tentato Giobbe, come sarebbe stata la sua pazienza così gloriosa? Se Saul non avesse tentato Davide, come sarebbe stata la sua carità così eroica, e la sua umiltà così esaltata? Per questo non chiediamo a Dio, né Cristo vuole che gli chiediamo, di liberarci dalle tentazioni, ma solo che non ci lasci cadere: riconoscendo però, e confessando la nostra debolezza: affinché sopra il basso di questo fondamento salga più sicura al alto la voce della nostra preghiera: "Extollens vocem".
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