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lunedì 9 dicembre 2024

L'EUCARISTIA

 


Il miracolo eucaristico di Siena (1730) 


L'ostensorio che contiene il miracolo eucaristico permanente delle sacre particole incorporate.  

 Stasera principalmente andiamo a Siena, città stupenda per le sue chiese, i suoi palazzi, le sue piazze, per la sua storia. Essa si estende tutta sopra un gruppo di tre colli, solcati da torrenti e dal fiume Tressa. Siena è famosa nel mondo non solo per la celebre «Piazza del campo» teatro affascinante e cavalleresco del Palio, ma anche per il tesoro eucaristico che si conserva nella basilica di San Francesco: tesoro eucaristico che lo scrittore Giovanni ]oergensen (Gioerchensen) osò definire: «una delle più grandi meraviglie di Cristo sulla terra».  

 Sempre, Cristo è stupendo quando si manifesta ai nostri poveri occhi increduli e deboli.  

 Ho letto da «Cerco fatti di vangelo» di Luigi Accattoli, giornalista, un fatto tremendo ed ineffabile insieme: padre Aquilino Longo, sacerdote dehoniano, di origine padovana, a 57 anni è caduto vittima nel 1964 dei ribelli Simba. L'uccidono a un quadrivio dove chiede di fermarsi a pregare mentre lo portano all'esecuzione. I Simba gli girano intorno cantando e danzando e lui esclama: «Il mio corpo lo potete uccidere, ma la mia anima andrà in cielo!».  

 Gli squarciano il petto con una lancia, cade in ginocchio, fa un gesto come per benedire l'aggressore e mormora: «Non è la morte, ma un sogno; nell'atto della morte scriveranno:  

Assassinato con due pallottole alla testa e più di duecento colpi di lancia».  

 Ma pochi sanno che padre Aquilino prima di lasciare la missione aveva diviso in 7 parti un'ostia e comunicato le sei suore e se stesso lasciando tre particole nel tabernacolo con questa consegna al sagrestano: «Se non torniamo ti comunicherai con la prima particola il giorno dei Santi, con la seconda il giorno dei morti e con la terza quando crederai opportuno».  

 Le suore che lo videro imprigionato e destinato a morte gli chiesero che cosa dovessero riferire ai suoi fratelli: «Dite loro che questa è la fine più bella per un missionario. Vi ringrazio per tutto quello che avete fatto, perdonatemi tutto, pregate per me».  

 Anche questo martirio è stupendo, perché Cristo qui si manifesta non solo nella sua carne ma anche nella carne insanguinata del suo apostolo (cfr. pag. 6 e seg.).  

 Non c'è testimonianza più alta di quella pagata con la vita. Ho voluto raccontare il martirio di p. Aquilino perché come di lui, così di tantissimi altri fratelli e sorelle, mi ha colpito la sua attenzione, la sua premura verso l'Eucaristia, dividendosi come tesoro unico al mondo le ostie consacrate, come viatico e forza per la vita e per la morte.  

 Ho sentito raccontare che nel mese di gennaio scorso, mentre i buoni frati cappuccini erano in preghiera in una loro chiesa ad Ancona, un tale riuscì a rubare le ostie consacrate dentro la pisside e la teca. Giunto a Falconara, il sacrilego - passata poco più di un'ora - non poteva più tenere fra le mani la sacra refurtiva: gli sembrava che le mani fossero di fuoco. Colpito da un improvviso rimorso e da quel calore inesplicabile, ll diresse ad un'altra chiesa, ma a Falconara e consegnò la pisside rubata ai Frati Minori. Uno di essi corse subito ad Ancona: quando entrò nella chiesa ove era avvenuto il furto sacrilego, vide il Vescovo Mons. Franco Festorazzi, il suo vicario, mons. Ermanno Carnevali, i frati, i fedeli in umile preghiera di supplica e di riparazione.  

 Non vi dico l'immensa gioia e gratitudine nel vedere restituite così miracolosamente le ostie consacrate!  

 Ecco quello che avvenne a Siena in quel lontano 1730 la sera del 14 agosto, vigilia della solennità dell'Assunzione di Maria in cielo, titolare della Chiesa Cattedrale e patrona della città.  

 Tutto il clero, tutti i religiosi, tutti i fedeli si erano riversati nella Cattedrale per partecipare ai solenni primi vespri e all'offerta votiva del cero, in onore della gloriosa Madre di Dio. Anche i Frati Minori Conventuali, ossequienti ad un antico decreto che vedeva il raduno di tutti in Cattedrale per la solennità, dopo aver deposto la chiave del tabernacolo in sagrestia in un luogo sicuro, chiusero il portone della loro stupenda chiesa dedicata a S. Francesco d'Assisi e si diressero verso il Duomo per unirsi a tutto il popolo cristiano.  

 La sera è calda, ma le vie sono deserte perché tutti sono in cattedrale a pregare e a cantare. Tutti, tranne però alcuni ladri, che approfittando della momentanea e giustificata assenza dei frati, riuscirono a forzare una porta ed entrare indisturbati nel sacro edificio per portare ad esecuzione un loro nefando progetto. Portatisi nella cappella di Sant'Antonio, si avvicinarono al tabernacolo.  

 Un attimo di visibile imbarazzo, e poi spalleggiandosi l'un l'altro, allungarono le mani sacrileghe e facendo leva con ferri appuntiti forzarono la porticina del tabernacolo.  

 Non so che cosa avrà pensato Gesù mentre riposava nella pisside d'argento, piena di particole consacrate.  

Un imbarazzo interminabile, ma poi quei manigoldi allungarono nuovamente la mano, presero la pisside d'argento e se ne fuggirono a gambe levate.  

 Intanto i buoni frati erano là a cantare le lodi della S.S.ma Vergine Maria e mai più avrebbero pensato a quello che si era appena consumato di tremendo nella loro chiesa: era stato rubato il S.S.mo Sacramento!  

 Pensate che le particole erano state consacrate in gran numero, più di 300, esattamente 351, in vista del sostenuto afflusso dei fedeli, previsto per il giorno successivo, solennità dell’Assunta.  

 Al mattino presto, quando fuori spuntava appena il sole, il frate di turno si recava all’Altare del S.S. Sacramento per la celebrazione della prima messa. Alla dolorosa constatazione del furto sacrilego, rimase sconvolto, senza parole.  

 «Ma qui non c'è più la pisside! Hanno manomesso il tabernacolo, non c'è più Gesù! Il tabernacolo è vuoto!».  

 Voi che mi ascoltate, cosa avreste detto, che cosa avreste fatto!?  

 Una volta parlai con un parroco del bolognese che aveva subìto la medesima sorte e premendo le mani sul petto mi disse: «Credimi, ti sembra di morire per il dolore immenso. Vedi tutto manomesso, vedi la devastazione operata dai ladri, vedi il tabernacolo spalancato che sembra quasi gridare: Hanno portato via Gesù, hanno portato via Gesù!»  

 La notizia del sacrilego furto avvenuto a Siena si sparse in un baleno per tutta la città che restò come incredula ed ammutolita.  

Ma poi è tutto un sussurro di notizie e di commenti. «Cosa hai detto? Hanno rubato le particole consacrate? E dove?»  

 «Nella chiesa di San Francesco, stanotte, mentre tutti eravamo in dormitorio».  

 «Ma cosa è stato rubato? Gesù Eucaristia dentro la pisside d'argento. Dicono che vi fossero più di 300 particole consacrate».  

«Ma no!? Se trovassi io quei ladri, taglierei loro le mani vedrai che se ne ricorderebbero per un bel po'».  

 «Sì, qui bisogna tornare ai metodi severi se si vuole un po' di rispetto ...»  

 «Taci, non dire parole in più. Piuttosto dobbiamo tutti darci da fare e cercare i ladri, per ritrovare la pisside sacra».  

 La città ancora stordita, si mosse all’improvviso a cercare; persino i bambini non vollero stare di meno. Era quasi mezzogiorno che finalmente un cittadino, arrivato ad un tratto della strada che immette sulla piazza del Campo da «Chiasso Largo», cominciò a gridare: «Ho trovato il conopeo, ho trovato il conopeo!».  

Il conopeo per chi non sa è quel velo che si mette davanti al tabernacolo per coprirne la porticina.  

 Cercando, fu ritrovata nello stesso posto anche la crocetta della pisside rubata.  

«Ci siamo! I ladri sono passati da qui. Cerchiamo ancora!»,  

 Furono i primi segni di speranza che alimentarono il fervore della ricerca. E finalmente al mattino del terzo giorno, il 17 agosto, proprio nella chiesa dedicata alla Madonna della Pietà, nella contrada di Provenzano, furono trovate le sacre particole. Sapete come?  

Pensate che proprio in quella chiesa due secoli prima, un soldato spagnolo, di stanza a Siena, sparò un colpo d'archibugio contro la statua della Madonna. Era ubriaco; il colpo spezzò le braccia della Madonna che sosteneva il bambino Gesù. I senesi anche allora furono attaccatissimi alla loro Madonna detta proprio «della Pietà» e in quel luogo ottennero da Roma di far erigere una cappella in onore della Madonna di Provenzano. Ora vi è una bella chiesa, costruita con mattoni cotti rossi e pietra bianca.  

 Ai piedi dei pilastri della cupola di S. Maria di Provenzano ci sono due cassette, con le quali ogni anno si celebrano le messe in suffragio dei benefattori defunti.  

 "Le due cassette però, data la loro specifica destinazione, vengono aperte una volta all'anno, e questo facilita in esse l'accumulo di polvere e di ragnatele.  

 Quella mattina del 17 agosto, il chierico Paolo Schiavi, addetto alla questua, al momento della consacrazione venne a trovarsi proprio vicino ad una delle cassette dell'elemosina e istintivamente si inginocchiò in segno di adorazione del mistero che si celebrava sull'altare. 

Lo sguardo gli cadde fortunatamente sulla feritoia della cassetta e notò uno strano biancheggiare nel fondo.  

 Finita la consacrazione, s'alzò in fretta mentre un sospetto tremendo gli balenò nella mente.  

 Assieme a don Girolamo Bozzegoli, prese la chiave, e poi finalmente, aprendo la cassetta, vide con immensa gioia, un gran mucchio di particole, esattamente 351, come quelle rubate.  

 Avvisato l'arcivescovo, Alessandro Zondadari, subito questi diede ordine che le particole si mettessero nella pisside di Provenzano.  

 Per essere sicuri che fossero proprio quelle rubate, le ostie ritrovate furono dapprima riportate a San Francesco per confrontarle con le altre; poi poste sul ferro con il quale si formano, si notò che erano del medesimo conio. Ma quello che maggiormente stupisce i credenti, è il fatto che ancora oggi dopo tantissimi anni, le sacre particole sono ancora visibili, intatte, incorrotte, «senza sfrangiature, ammirabili (...) hanno al gusto il sapore del pane integrale (...)».  

 La scienza trova il frutto semplicemente straordinario, ma chi ha fede lo chiama «prodigio».  

 Ancora una volta Gesù ci dimostra la sua misericordia, il suo amore pietoso e longanime.  

 Oggi le particole prodigiose sono 223 ostie intere e 2 frammenti e vengono conservate in un cilindro di cristallo in due artistici ostensori. Ma se avete, qualche volta, il tempo e soprattutto la fede, andate a Siena e andate a vedere con i vostri occhi il miracolo eucaristico di Siena e, prostrati, adorate il SS.mo Sacramento dell'altare e fate tre propositi eucaristici:  

1) prepararci con più fervore alla messa e alla santa comunione;  

2) ringraziare più a lungo il Signore dopo la comunione;  

3) andare ogni giorno a incontrare Gesù o chi non può fisicamente, ci vada almeno spiritualmente.  

 E unanimi cantiamo l'antico inno popolare: «Inni e canti sciogliamo fedeli al Divino Eucaristico Re. Egli ascoso nei mistici veli, cibo all'alma fedele si diè. De' tuoi figli lo stuolo qui prono, o Signore dei potenti Te adora; per i miseri implora perdono, per i deboli implora pietà».  

P. Giorgio Finotti dell’Oratorio 


mercoledì 28 agosto 2024

L'EUCARISTIA

 


Il miracolo eucaristico di Morrovalle (lVIC) (1560) 


Maggio è il mese in cui in molte parrocchie ci sono le prime comunioni di tanti fanciulli e di tante fanciulle. Saluto due fanciulli, Marco di Verona e Andrea di S. Donà di Piave. Ho partecipato anch'io a due di esse, a Verona per accompagnare all'altare il piccolo Marco, figlio di due cari amici sposi, Cristina e Sergio e poi il mio nipote caro Andrea, figlio di mio fratello Giovanni e di mia cognata Patrizia, a S. Donà di Piave.  

 Nell'assistere con molta devozione alla loro prima comunione, nel vedere questi fanciulli accostarsi all'Eucaristia, al pane degli angeli, ho rivissuto, nell'intimo del cuore, il giorno della mia prima comunione, a Contarina nella mia chiesa parrocchiale ...  

Grazie a San Pio X, i fanciulli ancora innocenti sono portati a Gesù che prende dimora nel loro cuore. «Lasciate che i fanciulli vengano a me», dicesti un giorno, Gesù e lo ripeti dal Tabernacolo: «Lasciate che i fanciulli vengano a me».  

 Forse non ricordo bene quello che è avvenuto tra Gesù e l'anima mia, ma certamente suor Luigina Colombo che mi preparò al santo giorno, mi avrà aiutato ad adorare Gesù, a ringraziarlo.  

C'è sempre una buona mamma, o una buona suora, un buon papà o un buon sacerdote che preparano i fanciulli al santo giorno della prima comunione.  

 Adesso che sono cresciuto, come vorrei avere la stessa innocenza di quando ero bimbo! Ma ora posso avere il fervore, la fede, l'amore più consapevolmente maturi per accogliere Gesù nell'anima mia.  

 Leggendo, meditando sui miracoli eucaristici che Gesù ha distribuito lungo i secoli per infervorare, il cuore, per irrobustire la fede, per alimentare l'amore dei suoi fedeli, ho appreso tante cose, perché non mi avvenga come successe un giorno ad un sacerdote dubbioso di Ratisbonne (1257). Egli mentre celebrava la messa, fu assalito da dubbi violenti circa la presenza del Santissimo Sangue nel calice.  

 Mentre questo pensiero tormentava la sua anima, si sentì incapace di elevare il calice in alto ... All'improvviso Gesù Crocifisso raffigurato sopra l'altare, staccò le mani dalla croce e prese il calice dalle mani tremanti del sacerdote incredulo e lo elevò verso l'alto.  

 Il sacerdote nel vedere questo, cadde in ginocchio mentre al dubbio successe un tremore di angoscia e di fede: «Signore abbi pietà di me, ora credo, credo, credo ...» e cominciò a versare abbondanti lacrime.  

 Allora il divino Salvatore finalmente abbassò le braccia e rimise il calice tra le mani del suo ministro desolato. Ma sentite cosa è avvenuto a Morrovalle che nel 1560 fu testimone del 14° miracolo eucaristico, avvenuto in Italia. In provincia di Macerata, si trova la cittadina di Morrovalle e in questa sta ancor oggi la chiesa collegiata di San Bartolomeo Apostolo, ove si consuma il miracolo eucaristico. Ciò accadde nella notte tra il 16 e il 17 aprile 1560, ancora nell'ottava di Pasqua, mentre i frati di San Francesco giustamente riposavano dopo le fatiche apostoliche del giorno.  

Verso le due del mattino, il fratello laico Angelo Blasi di Urbania fu svegliato di soprassalto per un violento crepitio.  

Balzò subito dal suo giaciglio e guardando dalla finestrella della sua cella, vide la chiesa che stava in mezzo alle fiamme e al fumo. Spaventato, si mise indosso il povero saio e scalzo, corse a svegliare il padre Guardiano, fra Girolamo da Servigliano e poi freneticamente bussando alle porte degli altri frati, svegliò tutti. Tutti corsero spaventati, senza ben capire che cosa stesse succedendo, anche perché il fratello in preda al panico non sapeva gridare altro: «Al fuoco, al fuoco, la chiesa brucia».  

 Quando si resero conto dell'immane incendio tutti si adoperarono nel disperato tentativo di spegnere l'incendio.  

 Altre persone accorsero, richiamate dal suono delle campane. Si organizzarono i primi soccorsi ma ogni sforzo ormai risultò inutile, poiché le fiamme furono domate solo dopo sette ore di fatiche snervanti, quando ormai della chiesa non restava che un cumulo di macerie fumanti.  

 Non si scopri mai la causa dell'incendio, ma quello che preoccupava maggiormente i poveri figli di San Francesco era il pensiero che anche i vasi sacri con le sante particole consacrate fossero stati fusi dal fuoco ...  

 Nei giorni seguenti al grande rogo furono iniziati i lavori di sgombero dell'immensa massa di detriti, con la vana speranza di trovare qualcosa di intatto! Quale non fu la meraviglia quando il 27 aprile il p. Battista da Ascoli, nel rimuovere un pezzo di marmo di quello che era stato l'altare maggiore, divelto dalle fiamme, vide nella cavità del muro che sosteneva la pietra sacra, in mezzo alle rovine, il corporale un po' bruciacchiato su cui si conservava, ancora intatta ed integra l'ostia grande consacrata.  

 La pisside era completamente fusa ma il coperchio aveva resistito al furore del fuoco. P. Battista gridò al miracolo nel ritrovare intatta l'ostia grande. A quel grido accorsero gli altri frati e molta gente accorse richiamata dalle grida festanti.    

 Per tre giorni interi il SS.mo Sacramento rimase esposto per l'adorazione, a turno, dei fedeli. Quando finalmente arrivò il provinciale, padre Evangelista da Morro d'Alba, l'ostia miracolosa rimasta cioè illesa per divina virtù da un terribile incendio, fu risposta in un tabernacolo, prestato per l'occasione, dal parroco della chiesa collegiata di San Sebastiano apostolo in Morrovalle.  

 Fu conservata in una cassetta d'avorio, custodita a sua volta in un cofano più grande, serrato con tre chiavi, due delle quali furono consegnate ai priori; mentre la terza restò nelle mani dei frati.  

 L'allora vescovo di Bertinoro, monsignor Ludovico di Forlì, si recò a Morrovalle per ordine del papa Pio IV perché si informasse dell'accaduto e poi riferisse dettagliatamente.  

 Quando il Papa sentì il resoconto dell'ostia grande rimasta illesa, intatta ed integra vincendo l'impeto delle fiamme, si commosse a quell'inaudita notizia e volle scrivere una lettera per fare conoscere a tutti i fedeli la divina benignità di nostro Signore che volle preservata la santa ostia dalla furia delle fiamme distruttrici, per avvalorare la nostra fede, mentre per istigazione diabolica, così gran sacramento veniva impegnato e malmenato, specie dagli eretici, e dai nemici della fede!  

 Tanta fu davvero la devozione dei fedeli, ma col passare dei secoli, tra tanti eventi spesso difficili e calamitosi, successe un fatto imperdonabile: dell'ostia miracolosa si perdette ogni traccia, cioè dopo le varie soppressioni degli ordini religiosi, non si sa più che fine abbia fatto l'ostia miracolosa, anche se si sono conservati la teca e il coperchio della pisside, sopravvissuto alle fiamme.  

 Rimane vera la storia: è come un torrente - ha scritto padre Nasuti (pag. 199) «che pur disperdendo le sue acque lungo il percorso, conserva vive le tracce del suo passaggio; così il miracolo eucaristico di Morrovalle mantiene intatta la sua funzione di riferimento obbligato e di richiamo forte al grande mistero dell'Eucaristia, cuore della pietà della Chiesa».  

 Perdere le tracce di un segno miracoloso è certamente un fatto amaro, ma grazie alla splendida misericordia di Dio, basta andare in una qualsiasi chiesa, ove sta un tabernacolo col Cristo Eucaristia, per ritrovare Gesù! Basta partecipare alla celebrazione della santa messa per avere Gesù sempre presente e palpitante.  

È importante non perderlo mai dal nostro cuore.  

 I fanciulli che in questi giorni fanno la prima comunione, non perdano mai Gesù dal loro cuore!  

 Né gli adulti (ora stanchi, ora sfiduciati, ora delusi, ora sfiniti, ora dubbiosi, ora increduli) dimentichino mai Gesù né lo perdano mai!  

 «Signore Gesù - concluderò così - fa che io non ti perda mai. E se le fiamme dell'inferno ti volessero sottrarre dal mio cuore, non permettere che io mi bruci, ma cercandoti con ogni affetto e cura, ti trovi, ti adori, ti ami, ti segua!» Amen.  

P. Giorgio Finotti dell’Oratorio 

mercoledì 31 luglio 2024

L'EUCARISTIA

 


Il miracolo eucaristico di Asti

 (1535)


Jean Ladame e Richard Duvin hanno raccolto in un libro, intitolato semplicemente «I miracoli eucaristici» (Edizioni Dehoniane Roma, 1992, in traduzione italiana dal francese) la narrazione documentata di ben 60 prodigi eucaristici, avvenuti variamente in tutto il mondo. Per stendere questo libro, i due autori francesi hanno percorso migliaia di chilometri. Ma in una targa commemorativa posta nella chiesa di Paray-le-Monial sono segnati ben 132 miracoli eucaristici con la loro deità e col nome dei luoghi in cui avvennero e sono distribuiti lungo i venti secoli di cristianesimo e sono così suddivisi,  32 in Francia, 20 in Germania, 17 in Italia, l6 in Spagna, 13 in Oriente, 9 in Belgio e Olanda, 5 in Gran Bretagna, 4 in Austria, in Belgio e in Africa, 3 in Olanda e 1 rispettivamente in Svizzera, in Portogallo, Polonia e persino in Vietnam del Nord. Ma questa lista è ben lontana dall'essere completa.    

   Nell'Histoire du Sacrament de l'Eucharistie, il Corblet ha raccolto un'abbondante documentazione al riguardo, con critica storica, indispensabile per avvalorare apologeticamente il miracolo. 

«La molteplicità dei fatti miracolosi, scrive Louis Birot, nell'Enciclopedia Eucaristica, curata per l'Italia da Inos Biffi (ed. Paoline 1964) - la loro sicura pubblicità, le autorità che le riferiscono, la testimonianza dei santi che li corrobora, i monumenti elevati come ricordo e le decisioni delle autorità ecclesiastiche che spesso sono altrettante garanzie delle quali abbiamo creduto di poterci fidare» (p. 819-20), offrono la migliore credibilità sui miracoli stessi.  

Si possono ricavare ben sette serie di miracoli:  

 le prime, le guarigioni miracolose avvenute attraverso l'Eucaristia, come nel caso ad esempio, di Santa Gorgonia che, come narra suo fratello San Gregorio di Nazianzio, fu guarita da una paralisi al contatto con l'ostia santa. E Sant'Agostino racconta che un fanciullo cieco, di nome Acacia, ricevette la vista in seguito all'applicazione dell'ostia consacrata sugli occhi. E molti altri, fino ai miracoli di guarigione a Lourdes ...;  

 la seconda serie, la punizione di bestemmiatori e sacrileghi. Ad esempio, cita fra i molti, uno: nel 1834 a Boston un soldato fanatico si era impossessato del Santo Sacramento conservato nel convento delle Orsoline del Monte Benedetto, si portò poi all'albergo, vantandosi della sua bravata, facendo mostra delle sacre specie. Un istante dopo veniva trovato morto nel gabinetto;  

 una terza serie: salvezza da incidenti, tempeste e da altri pericoli, scongiurati per la potenza dell'Eucaristia.  

 Ad esempio, si legge nella vita di Santa Chiara che essendo il suo monastero assalito dai soldati di Federico Barbarossa la santa si fece loro avanti con in mano il santo ciborio di avorio, guarnito d'argento, contenente il Santissimo Sacramento. Terrificate, le truppe se ne fuggirono in disordine;  

una quarta serie. ostie grondanti sangue, fra tutti i miracoli che ho già narrato cito un episodio famoso, quello di Bolsena, da tutti conosciuto;  

 una quinta serie: le apparizioni di Gesù nell'ostia consacrata, come, ad esempio avvenne a Braine, allorché la contessa Agnese ottenne che Gesù le apparisse sotto la forma di un bambino durante la messa dell'arcivescovo, davanti ad una moltitudine di fedeli, per la conversione di una giovane giudea;  

una sesta serie: ostie che diventano carne o che ottengono altri prodigi, come ho più volte narrato, come a Lanciano ecc.;  

 ed infine una settima serie, che comprende ancora una numerosissima testimonianza di diversi fatti prodigiosi, accaduti a 23 santi canonizzati, tra cui Angela da Foligno, Caterina da Siena, Chiara d'Assisi, Francesca Romana, Ignazio di Loyola, Margherita da Cortona, Filippo Neri...  

 Ma chi può dire i prodigi quotidiani che Gesù compie nei segreti dei cuori che a Lui si affidano e in Lui confidano?  

Ma perché tanti e tali segni prodigiosi?  

 Stasera devo narrare il fatto prodigioso di un'ostia sanguinante, avvenuto nella chiesa di San Secondo di Asti nel Piemonte, il 25 luglio 1535.  

 Ma prima di narrare questo ennesimo prodigio eucaristico, permettete che risponda alla domanda che più volte mi è stata posta: «Perché questi miracoli eucaristici?».  

 Non c'è altra risposta che questa: per venire incontro alla nostra fede, tante volte debole, tante volte incerta, tante volte dubbiosa, anche nei riguardi dei doni più grandi che Dio ci ha fatto, come l'Eucaristia. Spesso anche noi gridiamo: «Credo Signore ma aiuta la nostra debolezza!» È per dissipare la nostra poca fede che il Cristo, nella sua pietà, ci aiuta coi miracoli, elargendo a coloro che camminano quaggiù nella notte dell'ignoranza e del dubbio e a coloro che rischiano di inciampare, la sua luce per una fede chiara e sicura. Ogni volta dunque che verso il S.S.mo Sacramento si sono levate le voci del dubbio, dell'errore e dell'eresia, Dio attraverso i miracoli, ha protetto e fortificato la fede dei suoi.  

 E ad Asti cos'è successo, mi chiedete ora, un po' impazienti! Vi accontento subito, anche perché al di là delle mie parole, delle mie esortazioni, valgono di più i fatti, prodigiosi poi, come quello che sto per narrare.  

 Asti è situata sulle colline a sud del Tanaro, nella regione più occidentale d'Italia, il Piemonte. È capoluogo di provincia ed è soprattutto nota per i suoi vini eccellenti.  

 Ma pochi sanno cosa è avvenuto il 25 luglio 1535, una domenica, nella chiesa romanico-gotica di San Secondo martire, patrono della città. State però tranquilli, è un miracolo «dolce», senza violenze, senza infedeltà. È un dono di Gesù, incomparabilmente pieno d'amore.  

 In quel mattino di domenica, dunque, il pio sacerdote Domenico Occelli, canonico della insigne collegiata di San Leonardo in Asti, stava per salire i gradini dell'altare maggiore sul quale stava l'icona del Santissimo Crocifisso.  

 Era un Sacerdote dall'ardente anima eucaristica; di suo pugno aveva scritto in un registro della Collegiata: «8 ottobre 1532 (dieci mesi prima del fatto che sto per narrare) io prete Domenico D. Occelli entrai nella pia compagnia del S.S.mo Sacramento e per mia devozione mi obbligo a celebrare una messa in onore del Sacramento il giovedì di ogni settimana».  

 E Dio proprio per benedire questo santo proposito fece un grazioso dono alla pietà eucaristica del degno ministro dell'altare.  

 Don Domenico, mentre celebrava con tanto fervore, giunto al momento della frazione del pane consacrato, all'atto di spezzare l'ostia santa, sospirò devotamente, esprimendo così il suo amore per Gesù Sacramento: Gesù mio ti amo, ti adoro ... Ma ecco che dalle due parti divise dell'ostia, stillarono alcune gocce di sangue che caddero nel calice e sulla patena, tingendo di rosso anche le dita del celebrante, che confuso e tremante rimase senza parole. L'inserviente o accolito, un certo Bartolomeo Carretto, si alzò dal suo luogo e avvicinandosi all'altare vide il sacerdote con le dita insanguinate e divenne così il fortunato testimone del prodigio. Essendo una messa festiva, domenica c'era molta gente presente, e in un attimo tutti furono al corrente dell'accaduto.  

 Anzi dicono le antiche testimonianze scritte che c'erano presenti anche alcuni soldati luterani dell'esercito imperiale di Carlo V, i quali dinanzi all'eccezionalità del fatto, provarono una fortissima emozione, a tal punto che nei giorni seguenti si convertirono alla fede cattolica.  

 La messa, passato il momento del grande tremore, finì normalmente, ma a perenne ricordo del fatto prodigioso rimasero il calice e la patena che non più utilizzati, furono religiosamente conservati sino ai nostri giorni, mentre le gocce di sangue furono assunte dal sacerdote e l'ostia insanguinata ritornò al suo aspetto consueto e fu anch'essa assunta dal sacerdote.  

 Chissà quante volte, nei giorni seguenti, il fortunato Don Domenico, guardando le sue dita che un giorno furono imporporate dal sangue santissimo del Redentore, avrà esclamato: «Ti adoro o Sangue prezioso di Gesù, versato sulle mie mani ...».  

 Il vescovo di allora, monsignor Scipione Roero, prontamente informato, fece redigere un atto notarile e ne inviò una copia al Papa che era Paolo III. 

 Il Sommo Pontefice, con un Breve del 6 novembre 1535 rispose accordando la benedizione e l'indulgenza plenaria a quanti, alle richieste condizioni, avessero visitato la chiesa di San Secondo nel primo anniversario del miracolo, partecipando anche alla solenne processione.  

 Sopra l'altare del Sacro Cuore si legge un'antica iscrizione che tradotta dal latino dice: «Qui, dove Cristo, avendo effuso il Suo Sangue dal sacro pane, potentemente attirò la sviata fede (degli eretici) e confermò (la fede) degli Astesi».  

 Colpiti da così dolcissimo evento di misericordia per lo squisito dono del Cristo Signore, non ci resta che alzare le mani in preghiera verso l'augustissimo Sacramento della Santissima Eucaristia e magari ci lasciamo suggerire da S. Bonaventura queste parole:  

 «O dolcissimo Gesù, trafiggi con la ferita, altamente salutare del tuo amore le viscere della mia anima, perché veramente essa arda, soffra, si strugga e venga meno per il solo desiderio di te; ami sciogliersi ed essere con te!  

 Abbia fame solo di te, pane di vita celeste, che sei disceso dal cielo. Abbia sete di te, fonte di vita, fonte di eterna luce, torrente di vera gioia. Te cerchi, in te dolcemente riposi».  

 Prima di concludere, vorrei suggerire come trovo scritto in un libro di p. Bernardo, missionario del Preziosissimo Sangue, la brevissima coroncina dedicata alle sette effusioni di sangue di Gesù durante la sua vita terrena:  

prima effusione: Gesù versò sangue nella circoncisione seconda: sudò sangue nell'orto degli ulivi  

terza: nella flagellazione  

quarta: nella coronazione di spine quinta: nel viaggio al Calvario sesta: nella terribile crocifissione settima: nella lanciata al costato.  

 Eterno Padre ti offriamo il sangue preziosissimo che Gesù versò sulla Croce e ogni giorno offre sull'altare per la nostra salvezza.  

P. Giorgio Finotti dell’Oratorio 


sabato 4 maggio 2024

L'EUCARISTIA

 


12° bis - Il miracolo eucaristico di Torino (1642) 


- IL SECONDO -  

 Nella basilica del Corpus Domini a Torino, così come ancora oggi si vede e si ammira, sta un quadro raffigurante il primo grande miracolo eucaristico, ed è opera del pittore Bartolomeo Garavaglia, discepolo del grande Guercino.  

 A pochi metri dalla balaustra, una cancellata in ferro indica il luogo dove avvenne il miracolo. Sul pavimento, entro il recinto vi è una iscrizione che in italiano suona così: «Qui cadde prostrato il giumento che trasportava il Corpo divino - qui la Sacra Ostia liberatasi dal sacco che l'imprigionava, si levò da se stessa in alto - qui clemente discese nelle mani supplici dei Torinesi - qui dunque il luogo fatto santo dal Prodigio - ricordandolo, pregando genuflesso ti sia in venerazione o ti incuta timore. 6 giugno, anno del Signore 1453.  

Ma voi che mi ascoltate, sapete che a Torino è avvenuto un altro miracolo eucaristico?   

 Grazie ad un prezioso suggerimento del nostro caro amico padre Giovanni Banaudi, Sacramentino, mi è possibile stavolta raccontare il secondo grande segno eucaristico, sconosciuto ai più.  

Avvenne il 12 maggio 1642, poco meno di duecento anni dopo il primo.  

 Tempi difficilissimi e calamitosi quelli che purtroppo si succedevano nel secolo 17°: guerre civili, fratricide bagnavano le terre piemontesi, come altrove.  

 Per scampare a sempre possibili tragici e luttuosi incidenti, le popolazioni inermi cercavano spesso ricovero tra le sacre mura di chiese e monasteri.  

 Era successo infatti che il principe Tommaso di Carignano, spalleggiato dal fratello Maurizio, contrastasse Maria Cristina che reggeva il ducato di Savoia. 

Gli eserciti dell'una e dell'altra banda si scontrarono con una terribile carneficina. Ma chi ne fece le spese fu anche stavolta la cittadinanza, vittima di ruberie stupri e altre violenze terribili. Per salvarsi dagli scontri delle due fazioni una innumerevole folla era corsa a rinchiudersi nella chiesa dei Frati Cappuccini, dedicata a Santa Maria del Monte.  

 Ma tra le milizie del principe Tommaso erano stati assoldati numerosi avventurieri, detti «ugonotti», di religione calvinista.  

 Non parve loro vero di stendere le loro mani rapaci e sanguinolenti su quella povera gente di fede cristiana, che s'era messa, con estrema fiducia, sotto la protezione del Signore Gesù, che però non ha né armate, né spade o lance per difendere i suoi.  

 Con urla terribili, un branco di facinorosi forzò le porte del convento e della chiesa e si precipitò là dove stavano i buoni padri Cappuccini che sostenevano e animavano con la preghiera tanti infelici, terrorizzati. Ci fu un silenzio tremendo, poi al grido terribile di uno di quegli ugonotti, le spade brillarono alle luci sinistre delle candele e il sangue innocente cominciò a scorrere a fiotti, mentre cadevano trafitti i religiosi, le donne, i bambini e i vecchi...  

Uno di quegli avventurieri, ormai ubriaco di quell'eccidio, scorse l'altare maggiore sopra il quale stava la statuetta di legno di Santa Maria del Monte. Sotto di esse un intarsio di pietre dure, preziosissime. Lo sciagurato vi si accostò con in mano un pugnale intriso di sangue innocente. I suoi occhi fissarono con riflessi infernali la porticina intagliata del sacro ciborio. Con il pugnale, il sacrilego puntò la lama tra la porticina e la parete del ciborio per aprirlo.  

 Ne caddero alcune schegge di marmo ma mentre l'infelice soldato di ventura fu sul punto di aprire il sacro ciborio, da esso si sprigionò con un potente rimbombo una vampata di fuoco che investì in pieno il malvagio attentatore.  

 Gridando, cominciò a correre per la navata della chiesa, ormai in preda alle fiamme, che però non lo punirono come si sarebbe meritato.  

 Infatti il sacrilego non morì se non dopo aver, più tardi, dato la testimonianza di quel drammatico 12 maggio allorché il Santissimo con una fiammata terribile si difese dalla tracotanza sacrilega.  

Quel Dio che nell'Antico Testamento aveva cacciato dall’antico Tempio il pagano Eliodoro, aveva ancora una volta rinnovato la manifestazione della sua terribile potenza contro i sacrileghi profanatori!  

Dinanzi a quel segno che fece tremare tutti, l'eccidio in quello stesso istante si arrestò improvvisamente e così il Signore Iddio volle ancora una volta salvare i suoi fedeli che avevano confidato in lui.  

 Chi entra nella Chiesa di Santa Maria del Monte a Torino, alzi gli occhi e veda dipinto (su una grande tela, appesa davanti alla balaustra dell'organo sopra la porta centrale) il miracolo eucaristico che vi ho appena narrato a forti tinte, ma vere. Gesù Sacramentato ha difeso il suo onore, la sua divina presenza, e ha difeso i suoi devoti.  

 Certo se io fossi Gesù mi difenderei anche oggi dai molti profanatori che ancora allungano le mani con grimaldelli e altri attrezzi di scasso per rubare i sacri vasi che contengono le ostie consacrate. Ed invece Gesù si lascia rubare, maltrattare, ma non solo dai ladri, ma anche da tante bocche e da tanti cuori che, senza la grazia, s'accostano al Cristo benedetto mangiandone però non la vita, ma la morte; non la salute, ma la condanna!  

 Signore abbi pietà di noi peccatori! Quella fiamma con la quale ti difendesti dalle mani insanguinate di quello sventurato ugonotto investa anche noi, ma non per incenerirci, bensì per purificarci. Col fuoco del tuo amore brucia, Signore, le nostre scorie di peccato e la fiamma ardente del tuo Cuore ci renda candidi, bianchi per la tua grazia divina!  

 Alla tua ultima cena, Signore, ci fu un Giuda che allungò la mano verso il piatto, ma tu lo prevenisti e gli desti un boccone intinto ... Dopo avergli appena dato un morso, Giuda scoperto nel suo vile tradimento, si sentì sconvolto e fuggì fuori nella notte ... e Satana, dice l'evangelista Giovanni, entrò in lui.  

 Mio Dio, stavolta sono qui a pregarti, a supplicarti: non mi respingere e se mi vedi peccatore fa che prima mi converta, recuperi la tua grazia divina nel sacramento della confessione e poi ritorni a riceverti in me, per godere così la tua pace, la tua vita.  

 Purtroppo oggi sembra che molti facciano la comunione con spavalda superficialità, specialmente in occasione di funerali, di matrimoni o simili.  

 Certo è santo fare la comunione in simili circostanze o di suffragio o di partecipazione gioiosa, ma prima di accostarti a Gesù Eucaristia, domandati, fratello, sorella, se la tua anima è in grazia di Dio.  

 Se non lo è, non dire: poi mi confesso! Prima confessati se per disgrazia, ti trovi in peccato mortale ... Prima si ritorna in amicizia con Gesù e poi ci si siede alla sua tavola. 

Se tu hai il cuore di sasso, per il peccato, anche se sei immerso nell'acqua del torrente, della grazia nemmeno una goccia d'acqua pura entrerà in te.  

   Un sasso anche se giace per anni nel greto di un torrente non è bagnato nel suo interno dall'acqua del torrente.  

 «Ma non c'è il prete per confessarmi ...» Allora, abbi pazienza, rimani al tuo posto, ripromettendoti di confessarti quanto prima. Solo dopo potrai accostarti a Gesù, con grazia, con gioia. E Gesù ti verrà incontro a braccia aperte, alla prima occasione che tu, in grazia di Dio, parteciperai al santo sacrificio della Messa e alla Comunione!  

 Chi fa la comunione consapevolmente, in peccato mortale, commette sacrilegio e riceve la condanna. Chi è in peccato veniale, può accostarsi alla comunione, ma prima rinnovi con tanti atti di amore la purificazione del cuore. 

Ma beati quei sacerdoti, quei fedeli che con cuore puro s'accostano al banchetto degli angeli: ricevono la vita!  

P. Giorgio Finotti dell’Oratorio 

lunedì 1 aprile 2024

L'EUCARISTIA

 


Il miracolo eucaristico di Torino (1453)


- IL PRIMO -  

L'iniziatore e primo animatore del Movimento Gioventù Ardente Mariana, Don Carlo De Ambrogio, morto nel 1979 a Torino, diceva di avere Tre amori che definiva bianchi, l'Eucaristia, la Madonna e il Papa.  

Leggo dalla sua biografia: «Il Regno di Dio prima di tutto» (a cura del movimento GAM, 1989), queste parole: «Viveva per l'Eucaristia e dell'Eucaristia. Non si spiega diversamente la sua capacità di trascinare le anime a un ardente amore eucaristico. Dove trovava una persona o una comunità aperta allo Spirito, ne faceva con Maria delle anime di adorazione eucaristica, delle lampade accese davanti al Tabernacolo». (pag. 64)  

 Dio benedica queste anime sacerdotali, eucaristico-mariane e benedica tutti coloro che con umile ed ardente amore sanno adorare la divina Eucaristia, il Tesoro più ineffabile per la nostra vita di fede.  

Eppure, come mai che la Presenza del Santissimo è divenuta per tanti cristiani, un dono senza valore?  

Ho sentito in questi giorni una terribile notizia: con la scusa di prendere in mano l'Eucaristia, c'è stato qualche fratello sacrilego che ha portato l'ostia consacrata per far celebrare un rito satanico. È arrivato perfino al furto e poi ha venduto le ostie consacrate (a 50 mila lire l'una) per quell'oltraggiosissimo servizio di Satana e dei suoi terribili, insani seguaci!  

 C'è da inorridire di amarezza, di sgomento: ma noi credenti perché lasciamo solo Cristo nel Tabernacolo? Perché non ne abbiamo più vigoroso amore?  

 Qualcuno ha detto che sono un retrogrado se bado ancora a fare la genuflessione davanti al Santissimo! Mi dispiace, ma io faccio così come il mio parroco mi ha insegnato, vedo il Papa che fa ancora così; genuflettendo davanti a Gesù, esprimo la mia fede nella sua divina Presenza.  

 Alcune chiese abbandonate per ore intere sono facile occasione per rubare le ostie consacrate. E non crediate che ciò sia solo di oggi!  

 Il nostro carissimo amico Padre Giovanni di Torino, sacramentino, è stato tanto gentile da fornirmi non una, ma due mirabili storie di miracoli eucaristici straordinari avvenuti nel capoluogo piemontese.  

 Vi racconto intanto il primo, il più noto e forse il più drammatico. La prossima volta l'altro.  

 Procedo con ordine. Un triste evento bellico dilaniava da tempo l'Italia divisa in tanti staterelli, l'uno contro l'altro armato.  

 Le terre del Piemonte erano sconvolte da scorribande di uomini prezzolati che andavano seminando terrore e perpetrando orrendi saccheggi.  

 In uno dei numerosi fatti d'arme, una compagnia di ventura, assoldata dal Duca di Savoia, riuscì ad oltrepassare Gravère spingendosi fino ad Exilles sulla via antica del Monginevro, occupandola per alcun tempo, e abbandonandosi allo stupro e al saccheggio.  

 Le donne si nascondevano terrorizzate assieme ai loro bambini, mentre gli uomini richiamati dalle alte grida, venivano trafitti dalle lance, cadendo in un lago di sangue.  

Intanto un manipolo di manigoldi riuscì ad entrare nella Pieve per rubare tutto quello che appariva prezioso. La chiesa parrocchiale' era deserta e semibuia, ma un malaugurato predatore ebbe un lampo di gioia diabolica. Tacitando ogni richiamo della coscienza, ormai ridotta ad uno straccio, si portò, con una corsa, davanti al tabernacolo, poi ne forzò la porticina, ne estrasse l'ostensorio che racchiudeva l'ostia consacrata «l'hostia magna» e infilò il tutto in un sacco, insieme ad altri oggetti sacri, senza alcuno scrupolo. Uscito di chiesa, collocò il sacco sul dorso di un giumento e si avviò per Susa, Avigliana e Ricoli alla volta di Torino.  

 Giunto a Torino - era il 6 giugno 1453 - in Piazza del grano, davanti alla Chiesa di San Silvestro oggi denominata dello Spirito Santo, il giumento del sacrilego predone incespicò sull'acciottolato e, forse perché sfinito dalla fame, stramazzò a terra.  

 Mentre la bestia se ne stava stremata a terra, il sacco, cadendo giù dalla groppa dell'animale, si aprì e lasciò intravedere il sacro ostensorio. Intanto, mentre si formava un gruppo di persone curiose, si vide con sbalordimento, che l'ostensorio, come animandosi, si districò da tutte le altre cose rubate e cominciò a librarsi verso il cielo, mentre un alone di luce faceva da corona all'ostia santa.  

 Erano circa le 5 del pomeriggio, del mercoledì fra l'ottava del Corpus Domini.  

 La folla ormai richiamata dalle terribili bestemmie dell'uomo sacrilego che malmenava selvaggiamente il povero ciuco, era rimasta senza parola nel vedere il prodigio dell'ostensorio salito miracolosamente, da solo, verso l'alto.  

 Le campane di San Silvestro cominciarono a suonare a martello e sembravano colpi sul cuore degli astanti. La notizia del fatto prodigioso si divulgò in un baleno e tutti corsero a vedere; giunse anche qualche sacerdote e poi lo stesso vescovo, Messer Ludovico dei Signori di Romagnano. Mentre egli si prostrava per terra, altre campane suonarono, mentre nell'aria si levava un canto: Mane nobiscum Domine; resta con noi Signore ...  

 Il sacro ostensorio resta immobile in alto, sopra le teste di tutti, mentre una luce splendida circondava sempre più la sacra ostia racchiusa sotto il cristallo dell'ostensorio.  

«Signore - pregò il vescovo - non ci abbandonare, perdona le nostre colpe, ridiscendi fra noi: Mane nobiscum Domine.  

 Presto portatemi un calice ... » Quando gli fu portato dalla vicina chiesa, il buon Pastore lo innalzò verso il Cielo, in segno di viva implorazione. La folla immensa pregava e piangeva: «Signore pietà».  

 A quel gesto implorante del Pastore della Chiesa di Torino, il prodigio avvenne: l'ostensorio si aprì e cadde al suolo, mentre l'ostia sacra rimase così librata nell'aria. E poi mentre il sole cominciava a declinare, anche l'ostia consacrata, Gesù vivo, cominciò a scendere fino a posarsi lentamente nel calice che le mani del vescovo reggevano tremanti e venerabonde.  

 «Mio Dio, ti ringrazio - diceva balbettando il vescovo - ti ringrazio».  

 Con una solenne processione, tra il tripudio e la commozione di una folla incontenibile, la santa ostia fu portata nella Cattedrale. Qui, rinnovate e moltiplicate le preghiere e le invocazioni, il Pastore benedì il Popolo di Dio con la Ostia misericordiosa, che poi fu deposta nel tabernacolo.  

 Quel miracolo venne senza dubbio a consolidare la fede nella perdurante presenza di Cristo nell'augustissimo Sacramento dell'altare oltre il momento celebrativo.  

Esso veniva a confermare che Gesù è presente sì nella messa, mentre si celebra, ma anche dopo la celebrazione, per il culto e la pietà eucaristica ...  

 Ma pensate un attimo: e se Gesù, per la nostra scarsa fede, non fosse più disceso, che cosa avremmo potuto fare noi? Che cosa sarebbe stato di noi?  

 Se Gesù, rattristato dai nostri peccati, se amareggiato dalle nostre freddezze, negligenze, indifferenze (e quanti cristiani stanno con tremenda freddezza, negligenza, indifferenza in Chiesa dove sta Gesù Sacramento). Se dunque Gesù un giorno decidesse di lasciare vuoto ogni tabernacolo, e i Sacerdoti non potessero più celebrare l'Eucaristia, ditemi che cosa sarebbe dell'umanità?  

 Ecco perché anche oggi uomini e donne di fortissima fede dedicano molte ore del giorno e anche della notte per adorare Gesù, affinché rimanga sempre tra noi!  

 Tu che m'ascolti, non decidi nulla? Aspetti che qualche insulso predone ti rubi Cristo per poi correre gridando: Signore pietà? Sta tranquillo: nonostante la nostra poca fede, Gesù non ci lascerà mai.  

 Resterà per sempre tra noi, Egli lo ha promesso: resterà per sempre, sino alla fine dei secoli. 

E se a volte si nasconde, è per richiamarci, per dirci che ha sete dell'anima nostra, che vuole restare per noi, con noi, persino in noi.  

Gesù non ci abbandonerà mai!  

 In conclusione riascoltiamo un invito di Don Carlo De Ambrogio: «Guardate Gesù, sorridetegli, fissatelo, amatelo e diventerete luminosi».  

 «Ogni volta che si entra in chiesa e si viene a trovare il Signore si è illuminati da Gesù Eucaristico di una luce meravigliosa: la luce dello Spirito Santo». 

P. Giorgio Finotti dell’Oratorio 

domenica 4 febbraio 2024

L'EUCARISTIA

 


Il miracolo eucaristico di Bagno di Romagna (1412) 


Mi è stato detto che a Bologna, proprio nella città ove vivo, c'era un'epigrafe apposta nell'antico monastero femminile Camaldolese di S. Cristina, che così recitava, traducendola dal latino: «Il 4 settembre del 1416 morì qui a Bologna il ven. Don Lazzaro Veneziano, priore di Santa Maria in Bagno».  

Perché questa citazione?  

Semplicissimo: quel venerabile Don Lazzaro, priore di Santa Maria di Bagno di Romagna, camaldolese, ebbe la grazia «tremenda» e indicibile di assistere all'11° miracolo eucaristico, avvenuto in ordine storico, proprio nel 1412, quattro anni prima della morte dello stesso priore, avvenuta a Bologna.  

Ma procediamo con ordine e più che ascoltare, meditiamo ancora una volta stilla infinita misericordia di Gesù Eucaristia che si è manifestato svelatamente nel SS.mo Sacramento della Sua Presenza reale. Più che la curiosità, per quanto legittima, muoviamo la fede, sosteniamo il cuore, allarghiamo la speranza.  

In provincia di Forlì, nell'alta Romagna, ai piedi dell'Appennino tosco-romagnolo, sta la cittadina termale di Bagno che custodisce nell'artista basilica di Santa Maria Assunta un sacro corporale, intriso di otto gocce di Sangue miracoloso di Nostro Signore Gesù Eucaristia.  

Ancora? Ancora!  

 Da quando Gesù, calata la sera del giovedì, fu con i suoi in un luogo preparato a festa per una cena, che diverrà non l'ultima, ma l'unica cena, sempre quella carne divina e quel sangue prezioso saranno dati per la nostra vita!  

 Come aveva desiderato, atteso quell'ora da vivere assieme ai suoi discepoli e con tutti i suoi futuri discepoli: è l'ora che vale tutta una vita. 

Gesù aveva già inventato nell'amore incommensurabile del suo Cuore, come fare perché quella non fosse l'ultima ora passata con i suoi discepoli di ogni tempo, ma la prima e l'eterna di un'altra presenza di un altro modo ineffabile d'essere e di vivere con loro e per loro.  

Non è una sera che tramonta, ma un'alba che sorge.  

 Gesù ha dato tutto nella sua vita per guarire, per salvare, ma ora è necessario che dia tutto se stesso, la sua medesima vita, così come è, ciò che è. Cioè questo suo corpo fatto di carne e di sangue, questo cuore che vuole, desidera pensa, vibra, trema, ama.  

 Questo corpo e sangue intessuti nel grembo verginale della Madre sua santissima, questo cuore in cui arde lo spirito. Darsi tutto! E subito!  

 «Presto, sedetevi a tavola». E adesso che fa? Si toglie il mantello, si cinge di un grembiule e passa dall'uno all'altro, si mette a terra e con l'acqua lava i piedi ai discepoli esterrefatti e arriva anche a chi fra poco lo tradirà.  

 Gli bacia con tenerezza i piedi... Come fare perché tutti e non solo i presenti, possano vedere, toccare il suo corpo che non è ancora spezzato, il suo sangue che domani, venerdì, sarà versato? E come potrà un uomo mangiare carne e bere sangue di uomo senza che ne provi indicibile ripugnanza?  

 Allora lentamente, come per prendere il tempo di misurare l'immensa portata del suo gesto e di attirare l'attenzione dei suoi commensali, prende un pane d'orzo ...  

 La raccolta primaverile dell'orzo coincide con la festa di Pasqua. L'orzo è il pane dei poveri e costa un terzo del prezzo del frumento (Ap.6, 6).  

 Qui si tratta di pane non fermentato: pane della miseria, c'è scritto nel Deuteronomio (16, 3) pane completamente nuovo in quanto il lievito non garantiva più la continuità con le sfornate precedenti. Pane del passaggio frettoloso e notturno.  

 E poi prende una coppa di vino ... Ecco il frutto del grano e il frutto della vite fra le sue mani sante e venerabili di Creatore, mani fini e laboriose d'artigiano come Giuseppe suo custode, come Maria sua madre; mani senza macchia e immortali. Le sue mani che hanno guarito, toccato malati, accarezzato bambini, benedetto poveri, ora prendono un po' di pane e una coppa di vino non allo stato naturale ma una materia lavorata, preparata già passata da mille mani sudate di uomini e di donne.  

 Così questi frutti della fatica umana così belli per la loro storia di sudore, Gesù riceve in questa sera d'amore e di dolore, da quelle mani di uomo ...  

Pane insostituibile sulla nostra mensa d'ogni giorno; vino che spande il suo vigore nel nostro corpo; pane caldo che si condivide, vino spumeggiante che dà sole ai nostri giorni: proprio queste cose umili Dio e l'uomo stanno per offrirsele reciprocamente, poveri sono l'uno di fronte all'altro, amici quali saranno l'uno per l'altro.  

«Benedetto sei tu Signore Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane - questo vino frutti della fatica e del lavoro dell'uomo perché diventino cibo e bevanda di salvezza».  

Ma come, Signore? Come?  Siamo giunti al momento dell'ultima benedizione, vertice e culmine di tutte le benedizioni della vita di Gesù: è il momento di offrire, come benedizione al Padre del Cielo, se stesso per darsi, come pane e vino, ai minimi che lo accogliemmo con fede, benedicendo Dio.  

E Gesù col pane in mano (che l'abbia preparato anche stasera, Maria sua mamma?) lo spezzò e disse: «Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo ...»  E poi prendendo la coppa col vino disse. «Prendete e bevetene tutti questo è il mio sangue ...» I discepoli sono attoniti, mangiano e bevono come Gesù ha detto. «E fate questo in memoria di me!»  Da questo momento, ogni qualvolta un sacerdote dirà: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, il sacerdote sarà Cristo in persona e quel pane e quel vino consacrati saranno la carne e il sangue di Gesù.  Tutti vediamo solo pane e solo vino e solo un sacerdote, ma tutti sappiamo che pane e vino e sacerdote sono Gesù, vivo, vero.  C'è una parola più incendiaria? Essa trasmetterà l'amore per una vita senza fine.  

Oggi si sente dire dappertutto: Come vorrei vedere il corpo di Gesù il suo volto, la sua veste, i suoi sandali!  Ma quello che voi vedete e toccate è Gesù. Nemmeno gli Angeli hanno questa grazia. ma tu sì, piccolo uomo, piccola donna, puoi ricevere Dio in te, nel tuo cuore, nella tua vita ... ogni giorno ... Ma don Lazzaro, il priore della nostra storia, di Bagno di Romagna, pur celebrando la santa messa, ogni giorno, con i suoi fratelli, non aveva una grande fede. E un giorno mentre costui celebrava il divino Sacrificio, la sua mente fu occupata per opera diabolica, da un forte dubbio intorno alla reale presenza di Gesù in Sacramento.  

«Ma qui - in questo pane e in questo vino - c'è proprio Gesù?»  Aveva da poco pronunciato la consacrazione e mentre il dubbio più atroce gli stringeva il cuore e la fede, vide nel calice che la santa specie del vino si mise in ebollizione divenendo sangue vivo, caldo, e si riversò fuori dal calice spandendosi sopra il Corporale inzuppandolo di sangue. Il povero priore fu preso da una commozione tale da smarrire la mente in un pianto dirotto.  Poi facendosi forza si rivolse verso gli astanti esterrefatti e confessò la sua incredulità angosciata e l'avvenimento strepitoso che si era compiuto sotto il suo sguardo.  Fratelli, venite e vedete il sangue del Signore!» Tutti videro e si spaventarono.  

Anche don Lazzaro fu così spaventato che circa cinque anni dopo se ne morì a Bologna ove era stato mandato in qualità di cappellano del monastero femminile camaldolese di S. Cristina.  

 I Camaldolesi con alterne vicende e vicissitudini ressero la Pieve di Bagno sino alla soppressione napoleonica del 1808; allora la parrocchia-basilica di S. Maria Assunta passò a far parte della diocesi di Sansepolcro retta dal clero diocesano.  

 Ora, dal 1975, la Basilica è passata definitivamente a dipendere dalla diocesi di Cesena, in provincia di Forlì.  

 Nella basilica sta una incisione su legno del 400 chiamata «La Madonna del sangue» colorata e rarissima, che si trova nella terza cappella a sinistra. Immagine così chiamata perché come riferisce don Benedetto Tenaci, abate di Bagno e testimone oculare del fatto, il 20 maggio del 1498 l'icona versò sangue dal braccio sinistro.  

 Madonna del Sangue, lo stesso sangue del suo figlio divino, conservato nel Sacro Corporale che viene esposto e venerato da tutto il popolo in tutte le domeniche da marzo a novembre, durante la messa delle ore 11.  

 «Sangue benedetto del mio Signore aprimi le porte del cielo. Svelami le porte della luce incandescente. Ma ora vieni dalle sublimi altezze della santità e inebria il mio cuore, la mia vita di te. Amen». 

P. Giorgio Finotti


domenica 26 novembre 2023

L'EUCARISTIA

 


10° Il miracolo eucaristico di Macerata (1356)


Mi è stato più volte segnalato o richiesto: perché alcuni davanti al S.S.mo che sta nel Tabernacolo non fanno più la genuflessione o tutt'al più piegano appena la testa? Insomma si deve ancora inginocchiarsi in chiesa davanti a Gesù Sacramento o no?  

 Mi sento di rispondere così, in breve: la genuflessione (cioè piegare il ginocchio destro fino a terra in segno di adorazione davanti al ss. Sacramento) è sempre doverosa perché (nonostante una crescente enfasi contraria):  

 1° manifesta l'atteggiamento proprio dell'orante davanti alla santità di Dio; inginocchiarsi davanti a Dio non è una umiliazione ma un onore!  

 2° esprime il sentimento più profondo dell'uomo davanti a Dio: l'adorazione. Chi adora Dio e lo riconosce e lo loda, è un uomo grande!  

3° significa ogni atto di riverenza, di fede nella presenza reale di Gesù nel S.S.mo Sacramento dell'altare.  

 È scritto nelle nuove rubriche del messale al n. 84 che davanti all'altare dove si conserva il Santissimo, il sacerdote e i ministri devono fare la genuflessione.  

Riassumendo «durante la messa - dice testualmente la istituzione Generale del Messale Romano - si fanno tre genuflessioni, dopo l'ostensione dell'ostia, dopo l'ostensione del calice e prima della comunione. Ma se nel presbiterio ci fosse il Tabernacolo col S.S.mo Sacramento, si genuflette anche prima e dopo la messa e tutte le volte che si passa davanti al SS.mo» (n. 233).  

 Il Papa ha detto a Dublino (29 settembre 1979): «L'Eucaristia nella Messa e fuori della Messa, è il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo e merita quindi l'adorazione che si tributa al Dio vivente e a lui solo. Così, ogni atto di riverenza ogni genuflessione che fate davanti al SS.mo Sacramento è importante perché è un atto di fede in Cristo un atto d'amore per Cristo».  

 E il 15 giugno 1995, il Papa, prostrato in ginocchio davanti all'ostensorio del Santissimo nella Chiesa di S. Maria Maggiore, ha confidato di porre e di conservare sull'inginocchiatoio della Sua Cappella l'elenco di tutte le persone che si raccomandano alle sue preghiere (Oss. Rom. 29-10-95).  

 Come è desolante invece vedere gente che passando davanti a Gesù Sacramentato o stando in piedi o sempre seduti durante la messa, nemmeno si accorgono di Gesù che sta nel tabernacolo o sull'altare!  

Tu non dimenticare mai che stando davanti a Gesù nel Sacramento e passando davanti a lui, la genuflessione è il segno evidente del tuo amore, della tua fede, della tua gioiosa consapevolezza che Gesù è qui, vivo e vero, tra noi e lo adori, lo riconosci, lo benedici e lo invochi.  

Quando ti inginocchi davanti a Dio è allora che sei grande, veramente!  

 Fa così, insegna così, perché non ti avvenga come è successo un giorno a Macerata, il 25 aprile 1336. Antica ed illustre città del Piceno, nella regione centrale d'Italia, le Marche, tra le valli del Potenza e del Chienti, sta Macerata, capoluogo di provincia. È edificata sopra un colle a 340 metri circa sopra il livello del mare, e da questa collina ferace, quasi come da vedetta militare, si domina e si osserva tutta la regione picena, al nord sino al mare Adriatico, a sud fino alle catene degli Appennini, offrendo uno splendido panorama all'occhio dell'osservatore.  

 La bella Cattedrale è dedicata a Santa Maria Assunta e a San Giuliano. È un tempio vasto e maestoso nell'interno e formato di colonne joniche binate che sostengono le arcate. È proprio in questa Cattedrale che si custodisce un miracoloso lino liturgico, impropriamente detto corporale, macchiato di sangue sgorgato da un'ostia consacrata.  

 È la cattedrale del vescovo Mons. Francesco Tarcisio Carboni, recentemente scomparso. In quella buia mattina del 20 novembre, la sua auto a Chiarino di Recanati, tentava di evitare l'urto frontale di uno sprovveduto, ma veniva investita sulla fiancata proprio in direzione di Sua Eccellenza, che è deceduto sul colpo e la Beata Vergine di Loreto se lo è portato in Paradiso! È da là, che ancora oggi, ci ripete: «La croce non è solo la croce di legno, ma è la volontà del Padre! Chi mi vuol seguire, prenda la sua croce e mi segua ...» L'essere inchiodato a quella croce è la mia realtà! Se la croce si accetta con amore, questa è perseveranza!» (17 novembre 1995).  

 Ai sacerdoti diceva: «Siate maestri di orazione nella liturgia, nella direzione spirituale, nella vostra stessa vita. Siate messaggeri di speranza nella gioia del vostro sacerdozio in Maria; nella povertà della vostra vita, nella luminosità della vostra predicazione.  

 Siate trovati fedeli da Colui che legge nei cuori, da chi richiede il vostro ministero, dalla vostra coscienza, ogni sera; da Maria Vergine». «Nella forza dell'Eucaristia».  

 Nella forza dell'Eucaristia, creduta, amata, celebrata, ricevuta, donata.  

 In Gesù Eucaristia: «l'amore di Dio - diceva Paolo VI - si è fatto fratello nostro; è Gesù che ha camminato per le nostre strade e ha detto a ciascuno di noi: io sono il tuo pane il tuo maestro, la tua forza, la tua guida».  

 Se quel povero sacerdote del lontano 25 aprile 1356, di cui è rimasto sconosciuto il nome, ma svelato il suo atroce dubbio nella presenza di Gesù nell'ostia consacrata, fosse stato più fedele all'amore di Dio, non avrebbe provocato una nuova prova - miracolosa - della presenza sacramentale di Gesù nell'Eucarestia!  

 Era da un po' di tempo che un dubbio tremendo lo tormentava, scuotendo la sua fede, il suo amore.  

 Se avesse detto: Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me! Se si fosse coltivato nello spirito, predicando, operando il bene, avrebbe avuto quel dubbio che scuoteva la sua vita sacerdotale!  

 O è stata una prova indicibile? A volte il Signore permette che veniamo sottoposti a prove dolorose per rettificare il nostro amore per lui; a volte permette che veniamo tentati perché la nostra fede divenga sempre più ardente e convinta!  

Noi allora diciamo: perché Signore? Perché mi abbandoni in balia di me stesso?  

Perché mi abbandoni Signore? Che cosa ti ho fatto? e non sappiamo vedere anche in questa prova, una grazia che ci innalza ad un amore più forte, ad un dono più puro ...  

 Quel sacerdote andava ogni mattina in una delle chiese di Macerata. Probabilmente - dicono i documenti antichi - andava a celebrare la messa in quella dedicata a Santa Caterina, che era la cappella delle monache benedettine.  

 Quella mattina, 25 aprile, era la festa di San Marco evangelista, proprio colui che ci narra come il centurione battendosi il petto dinanzi a Gesù Crocifisso esclamò «Costui è veramente il Figlio di Dio»! L'evangelista che pone più in rilievo il tradimento di Giuda e di Pietro.  

 Vendere Cristo o rifiutare di riconoscerlo è il tradimento che perennemente sta in agguato dietro ogni nostra Cena eucaristica!  

 Quel prete, stanco e deluso, salito all'altare in sacri paramenti, all'orazione sopra le offerte aveva detto: «Accogli Signore il sacrificio di lode che ti offriamo nel ricordo glorioso di San Marco e fa che nella tua Chiesa sia sempre vivo e operante l'annunzio missionario del Vangelo. Per Cristo nostro Signore!»  

Le monache risposero con fede: «Amen, così sia, così è». Ma il prete è sempre stanco, avvilito, spento. Più si avvicinava il momento «tremendo e vivificante della consacrazione» più sentiva impazzire il cuore.  

 «Come farò a dire: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue!  

 Come farò Signore se un dubbio terribile mi attanaglia il cuore e mi distrugge la fede?»  

 Ma tu, sacerdote del Signore, non conosci le parole del serafico padre San Francesco che esclamava: «O meravigliosa altezza e degnazione che dà stupore. O umiltà sublime e sublimità umile the il Signore dell'universo, Dio e Figlio di Dio, abbia ad umiliarsi così da nascondersi sotto la piccola figura del pane per la nostra salute!  

 Guardate, fratelli, l'abbassamento di Dio ... Quindi non tenetevi nulla di voi stessi, affinché interamente vi accolga colui che tutto si dà a voi!»  

 Se tu avessi conosciuto San Filippo Neri quando celebrava la santa messa, mentre teneva fra le candide mani diafane la santissima Ostia, l'avresti sentito piangere e adorare: «Mio Dio, mio tutto! Mio Dio, mio tutto!»

Le monache benedettine raccolte in preghiera, di solito con gli occhi bassi, in quella fresca mattina primaverile, alzarono gli occhi esterrefatte.  

 Il celebrante era giunto alla frazione del pane, prima della comunione. Dicendo stentatamente: «Il Corpo e il Sangue di Cristo uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna...», ma non riuscì a finire, si sentì male, mentre un fremito lo percorse per tutta la persona: dall'ostia era cominciato a stillare vivo sangue che cadde in parte nel calice e parte sul lino sottostante.  

 Ancora una volta Gesù si era manifestato visibilmente, ancora una volta aveva infranto i veli del pane e del vino e si era mostrato nella sua realtà di carne e sangue! Ma quando crederemo senza vedere?  

 Quando, Signore, ti ameremo senza domandarti una prova, una conferma?  

 Il prete avventurato cadde in ginocchio con le mani rosse del sangue santissimo di Nostro Signore, a motivo del timore e del tremore che aveva invaso il suo cuore e le sue ginocchia.  

 Inginocchiato pianse a lungo. Poi finita finalmente la celebrazione che gli sembrò durata un'eternità, non riuscendo a contenere l'emozione e il turbamento, corse dal suo vescovo, Nicolò da S. Martino, il quale subito ordinò di portare la preziosa tela insanguinata a lui, in cattedrale.  

 Lasciamo andare la storia, e anche noi ancora smarriti e confusi avviciniamoci all'altare dove sta il sacro lino insanguinato.  

 Inginocchiamoci riverenti e devoti e guardiamo umili e riconoscenti. Vedi un lino di forma allungata di 129 x 41 centimetri, di colore giallastro a motivo dei secoli trascorsi... Ma intanto vedi e adora le due macchie grandi del Sangue santissimo di Gesù vivente e prega e adora: «Eterno Padre, noi ti offriamo con Maria, madre del Redentore del genere umano, il sangue che Gesù sparse con amore nella passione e ogni giorno offre in sacrificio nell'Eucaristia. In unione alla Vittima immolata per la salvezza del mondo ti offriamo le nostre misere gocce di sangue quotidiano in espiazione dei nostri peccati, per la conversione dei peccatori, per le anime sante del purgatorio, per le necessità della santa Chiesa.  

 Oh sangue preziosissimo, segno di vita e di misericordia concedici di perseverare nella fede, nella speranza, nella carità ...».  

 Ah! Come però spesso vanno le cose umane! La sacra reliquia rimase ad un certo momento della sua storia secolare, «dimenticata» chiusa nell'armadio che custodiva le altre reliquie nella cattedrale, sino al 1932, quando finalmente per ordine del vescovo mons. Peio Scarponi si tornò ad esporla alla pubblica venerazione. Attualmente il sacro lino è conservato sotto l'altare del SS.mo Sacramento, per ricordarci ancora una volta che l'Eucaristia è la fonte e il vertice della vita cristiana.  

 È in questo augusto Sacramento che il cristiano fa esperienza più forte di Dio, sentito e gustato come l'amico, l'intimo, l'ineffabile. È qui che il divino Maestro parla al cuore, e lo accende d'amore.  

P. Giorgio Finotti dell’Oratorio