Origine della devozione
Il Cuore divino nelle Sacre Scritture
Il motivo dominante del culto al Sacro Cuore è l’amore di Gesù per il Padre e quindi per gli uomini. Orbene, questo si manifesta spesso, nelle Sacre Scritture, proprio usando il simbolo del cuore, come segno dell’ amore di Dio per l’uomo e dell’ uomo per Dio.
L’Antico Testamento comandava infatti al fedele: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze; queste parole, che io oggi proclamo, resteranno nel tuo cuore» (Dt.,6,4-6). Preannunciando l’avvento del Nuovo Testamento con la sua Legge interiore dell’ amore, il Signore avvertiva per bocca del profeta Geremia: «Io porrò la mia Legge nel loro intimo e la inciderò nel loro cuore; così sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (Ger.,31,33-34).
E per bocca di Ezechiele annunciava: «Vi donerò un cuore nuovo e porrò in voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi porrò un cuore di carne» (Ez.,36,26).
Profetizzando che il Messia sarebbe stato ucciso e che il suo petto sarebbe stato trapassato da una lancia, il profeta Zaccaria prevedeva che un fiume di grazie si sarebbe riversato sugli uomini da quel Costato aperto: «Io effonderò sulla Casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme lo Spirito di misericordia e di preghiera; allora essi volgeranno lo sguardo a Colui che avevano trafitto e faranno lamenti su di Lui, come si fa per la morte del Figlio unico» (Zac.,12,9-10).
Col Nuovo Testamento, queste profezie si compirono.
Quando Gesù morì sulla Croce e il suo Costato venne trapassato dalla lancia del centurione, aprendo la via al suo Cuore, nel Tempio di Gerusalemme si squarciò il velo che impediva l’accesso al Sancta Sanctorum (Mt.,26,51): questo significava che, poiché la Redenzione era compiuta, la via di accesso alla divina misericordia era ormai aperta e l’antica Legge col suo rigore era sostituita dalla nuova Legge dell’amore. Nel raccontare la Passione, i Vangeli riferiscono che, per verificare che Gesù fosse effettivamente morto, «uno dei soldati gli aprì un costato con una lancia, e sùbito ne uscì sangue misto ad acqua»
(Gv.,19-34); san Giovanni vede in questo fatto il compimento della citata profezia di Zaccaria, affermando che «questo è avvenuto affinché si compisse la Scrittura, (...) quando dice: “Volgeranno lo sguardo a Colui che avevano trafitto”» (Gv.,19,36-37). Più tardi, Gesù risorto inviterà l’incredulo apostolo Tommaso a porre il dito nella ferita del Costato, affinché creda e possa rifugiarsi nel suo Cuore ormai aperto alla vista di tutti coloro che non rifiutano la divina misericordia (Gv.,20,27-28).
La ferita nel costato del Redentore e il Cuore ferito ed aperto sono stati e saranno oggetto di contemplazione per tutti i secoli, fino alla fine dei tempi. Giovanni Paolo II insegna che, «fin dalle origini, la Chiesa ha rivolto lo sguardo al Cuore di Cristo trafitto sulla Croce, (...) e, nel Cuore del Verbo Incarnato, i Padri dell’Oriente e dell’Occidente cristiani hanno visto l’inizio dell’intera opera della nostra salvezza, frutto dell’amore del divino Redentore» 5. Ebbene, possiamo dire che «la devozione al Sacro Cuore è la traduzione, in termini di culto, dello sguardo che, secondo la parola profetica ed evangelica, tutte le generazioni volgeranno a Colui che è stato trafitto, cioè al Costato di Cristo trafitto dalla lancia» 6.
La devozione al Sacro Cuore non mira ad altro che a imitare le virtù del Redentore, facendone propri sentimenti e desideri e soprattutto la carità soprannaturale. Lo stesso Gesù presenta il suo Cuore ai fedeli come modello da imitare: «Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore» (Mt.,11,29).
Dal suo Cuore il cristiano può aspettarsi ogni sostegno: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e stanchi, perché io vi darò pieno riposo, e troverete pace per le anime vostre» (Mt.,28-29 11,). San Paolo esorta i primi cristiani dicendo loro: «Cristo dimori nei vostri cuori per mezzo della fede» (Ef.,3,17), affinché «regni la bella carità che nasce da un puro cuore, da una retta coscienza e da una sincera fede» (1Tim.,1,5).
Guido Vignelli
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