martedì 1 ottobre 2024

CHI MERITA IL PARADISO? Merita il Paradiso chi è buono, ossia chi ama e serve fedelmente Dio, e muore nella sua grazia.

 


SPIEGAZIONE TEOLOGICA DEL CATECHISMO DI S. S. PIO X 


Il Signore darà ai suoi eletti il suo stesso gaudio (cfr. Mt. 25, 14-24), cioè il Paradiso, che è la ricompensa dei meriti. acquistati su questa terra.  

 I. Il merito. - Il merito è il diritto alla ricompensa dell’opera buona, fatta a favore di chi assegna il premio. L'operaio che compie bene il lavoro assegnatogli ha diritto alla paga, cioè al compenso pattuito.  

 La giustizia esige che il compenso sia proporzionato al valore del lavoro (merito de condigno). Un bambino che porta un mazzetto di ciclamini alla regina non ha uno stretto diritto alla ricompensa: tuttavia conviene che la regina, se accetta il dono, ricompensi non solo con alcune lirette corrispondenti al valore del mazzo di fiorì, ma secondo il decoro della sua dignità (merito de congruo); sarebbe indecoroso per una regina dare solo pochi spiccioli.  

 Gesù Cristo, le cui opere buone avevano un valore infinito, meritò per noi la divina ricompensa (de condigno), in senso assoluto; gli uomini invece possono meritare la ricompensa del cielo, de condigno, solo perché Dio ha promesso di premiare nell'eternità le opere buone compiute in vita.  

 II. Merita il Paradiso chi è buono, ossia chi ama e serve fedelmente Dio. - Condizione indispensabile per meritare la ricompensa del cielo è la bontà e la giustizia, che si dimostra e si pratica amando e servendo Dio fedelmente.  

 Il ricco epulone (cfr. Lc 16, 19-36) non aveva amato né servito Dio, ma se stesso, la sua gola, la sua ambizione. Morto, ebbe il meritato castigo; il povero Lazzaro, invece, ebbe il compenso della sofferenza rassegnata e del disprezzo sopportato per amore di Dio.  

 Per meritare il Paradiso, per il quale Dio ci ha creati, è necessario compiere quelle opere che Egli ci ha prescritto e raggiungere il nostro fine con quei mezzi che ci ha dato. Il fine per il quale siamo creati è conoscere, amare e servire Dio in questa vita. Chi avrà conosciuto, amato e servito Dio lo godrà nell'altra vita (v. n. 13).  

III... e muore nella sua grazia.  

Salomone per molti anni servì e amò fedelmente il Signore che si compiacque di lui. In premio ebbe da Dio il dono della sapienza e della scienza. Per divina ispirazione scrisse diversi libri pieni di sapienza. Seppe amministrare la giustizia e governare i sudditi con sapienza mai veduta fino allora. Fece costruire al vero Dio un tempio che fu una delle più grandi meraviglie dell'antichità. Purtroppo, alla fine della sua vita sposò donne straniere e idolatre, si lasciò trascinare ad adorare i loro dèi e ad edificare loro templi ed altari. Dio fu disgustato dei peccati di Salomone e lo riprovò. Salomone si è salvato? Non lo sappiamo: ma è certo che, se non si pentì dei suoi peccati e non ritornò nella grazia e nell'amicizia di Dio, non si salvò.  

 Per salvarsi è necessario servire Dio, per amore, morire nella sua grazia, cioè nella sua amicizia (cfr. i nn. 68 e 270). Dio infatti non può premiare e accogliere tra i suoi amici chi si è fatto suo nemico con il peccato. Per salvarsi è perciò essenziale morire nella grazia di Dio. Ma anche per meritare, cioè per essere buoni, occorre la grazia. Anche se riuscissimo, con le sole nostre forze, ad amare e servire perfettamente Dio, noi meriteremmo una felicità naturale, ma non il Paradiso, che è un premio soprannaturale, assolutamente superiore alle esigenze umane. Quando pure io portassi molti e bellissimi mazzi di fiori al re, acquisterei forse il diritto di diventare suo figlio ed erede, di sedere alla sua mensa e di abitare nel suo stesso palazzo, condividendo con lui le sue gioie e la dignità regale?  

Per meritare il premio soprannaturale del Paradiso è necessario essere elevati allo stato soprannaturale di figli e di eredi di Dio mediante la grazia divina e compiere le azioni in grazia. Se invece compiamo, le nostre azioni come nemici di Dio, macchiati della colpa originale o dei peccati attuali, come possiamo meritare il premio e l'eredità di Dio? Gesù disse: Io sono la vite e voi siete i tralci; chi rimane in me, ed io in lui, dà molti frutti, perché senza di me non potete far nulla; Se qualcuno non rimarrà in me, sarà gettato via, come un tralcio che sì dissecca, si raccoglie e si butta sul fuoco, dove brucia (Gv.15, 5-6).  

Riflessione. - La grazia di Dio è il più grande tesoro che il cielo ha elargito agli uomini. Occorre custodire, coltivare e fare fruttificare con la massima cura questo dono, evitando innanzi tutto il peccato, frequentando i santi Sacramenti, che sono la fonte della grazia, e compiendo tutte le azioni nello stato di grazia.  

 ESEMPI. - 1. Sant'Abibo. - Il carnefice Lisania, mentre seviziava il diacono Sant'Abibo di Edessa di Siria, restò altamente ammirato della calma imperturbabile del martire nei più atroci tormenti e gli, domandò quale vantaggio sperasse dalle sue sofferenze. Gli rispose il santo martire: «Noi cristiani non aspettiamo cose che si possono vedere con gli occhi del corpo; ma teniamo fisso lo sguardo a quella eterna beatitudine che ci fu promessa da Dio, e della quale San Paolo scrive: Io sono certo che i patimenti del tempo presente non sono degni di essere paragonati alla futura gloria che si scoprirà in noi (Rm.8,18).  

 2. S. Teresa - La dolce abitudine di considerare e contemplare le bellezze del Paradiso accresceva sempre più in Santa Teresa il desiderio di giungere presto al possesso della beatitudine eterna e di soffrire quaggiù, per godere di più nel regno beato. Essa così pregava Dio: «Signore, o patire, o morire! Questo è tutto ciò che vi domando». Il suono delle ore le arrecava grande consolazione, perché le ricordava che si avvicinava sempre più il felice momento di lasciare la terra e di unirsi al suo Sposo immortale nella eterna beatitudine del cielo. Quando, nell'ultima malattia, le fu portato il Santo Viatico, il volto le si trasfigurò e lo sguardo traspariva gioia ineffabile, fissando l'Ostia divina. Infine la Santa diede sfogo all'ardentissimo amore che la consumava: «O mio Signore e mio Sposo! Ecco dunque giunta quell'ora da me tanto bramata! Sono vicina alla mia liberazione ... Sia fatta la vostra santa volontà!... È finalmente venuta l'ora in cui uscirò dal mio esilio e in cui l'anima mia troverà nella vostra presenza la felicità che sospira da gran tempo».  

Sac. C. T. DRAGONE, P. S. S. P. 

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