LA LINGUA LATINA
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Quindi, l’art. 27 della “Costituzione Liturgica Conciliare” ripete dei concetti già condannati solennemente dalla “Mediator Dei”; non solo, ma pur sapendo di affermare un princìpio condannato dalla Tradizione, si è espresso, consapevolmente, anche con queste altre espressioni:
«... Inculcetur hanc (celebrationem communem)... esse praeferendam celebrationi singulari, et quasi privatae!.. quod valet praesertim pro Missae celebratione... salva semper natura publica et sociali... cuiusvis Missae...».
Per questa enormità, introdotta fraudolentemente nella riforma liturgica, sarà bene che estendiamo, qui, quella parte della “Mediator Dei” che tratta espressamente questo argomento, di natura dogmatica, per evidenziare maggiormente gli “errori modernisti” proprii del Vaticano II!
Ecco il testo sulla “partecipazione dei fedeli al Sacrificio Eucaristico”:
«È necessario, Venerabili Fratelli, spiegare chiaramente al vostro gregge come il fatto che i fedeli prendono parte al Sacrificio Eucaristico non significa, tuttavia, che essi godano di poteri sacerdotali. Vi sono, difatti, ai nostri giorni, alcuni che, avvicinandosi ad errori già condannati, insegnano che nel Nuovo Testamento si conosce soltanto un sacerdozio, che spetta a tutti i battezzati, e che il precetto dato da Gesù agli Apostoli nell’ultima Cena di fare ciò che Egli aveva fat-to, si riferisce direttamente a tutta la Chiesa dei cristiani, e soltanto in seguito è sottentrato il sacerdozio gerarchico. Sostengono, perciò, che solo il popolo gode di una vera potestà sacerdotale, mentre il sacerdote agisce unicamente per ufficio commessogli dalla comunità. Essi ritengono, di conseguenza, che il Sacrificio Eucaristico è una vera e propria “concelebrazione”, e che è meglio che i sacerdoti “concelebrino” insieme col popolo presente, piuttosto che, nella assenza di esso, offrano privatamente il Sacrificio...».
«È inutile spiegare quanto questi capziosi errori siano in contrasto con le verità più sopra dimostrate, quando abbiamo parlato del posto che compete al sacerdote nel Corpo Mistico di Gesù. Ricordiamo solamente che il sacerdote fa le veci del popolo perché rappresenta la persona di N. S. Gesù Cristo, in quanto Egli è Capo di tutte le membra, e offrì Sé stesso per esse. Perciò, va all’altare come ministro di Cristo, a Lui inferiore, ma superiore al popolo! Il popolo, invece, non rappresentando per nessun motivo la persona del Divin Redentore, né essendo mediatore tra sé e Dio, non può in nessun modo godere di poteri sacerdotali...».
E più avanti:
«Quando si dice che il popolo offre insieme col sacerdote, non si afferma che le membra della Chiesa..., non altrimenti che il sacerdote stesso, compiono il rito liturgico visibile -il che appartiene al solo ministro da Dio a ciò deputato - ma che unisce i suoi voti di lode, di impetrazione, di espiazione, e il suo ringraziamento alle intenzioni del sacerdote, dello stesso Sommo Sacerdote, acciocché vengano presentate a Dio Padre, nella stessa oblazione della vittima, anche col rito esterno del sacerdote».
Si osservi, ora, quanto sia in contrasto questa dottrina della Chiesa ante Vaticano II con il 1° articolo della “Institutio generalis Missalis Romani” che afferma quel suo confusionale ed erroneo principio:
«Celebratio Missae, ut actio Christi et Populi Dei hierarchice ordinati... centrum est totius vitae christianae...».
A parte il fatto che la dottrina tradizionale è confermata dal Canone 109 del Diritto Canonico, con le parole:
«Qui in ecclesiasticam hierarchiam cooptantur, non ex populi, vel potestatis saecularis consensu, aut vocatione adleguntur; sed in gradibus potestatis ordinis constituuntur sacra ordinatione.., ecc.»,
si rimane allibiti al trovarsi di fronte a una definizione così arbitraria e temeraria, condannata da Pio XII nella “Mediator Dei”, quasi fosse un’azione promiscua di Cristo e di tutto il “popolo di Dio”, ordinato gerarchicamente!.. È una vera aberrazione che ci riporta ad altre più gravi, come quelle dell’art. 7° della “Institutio Generalis”, e dell’art. 14. Si legga l’art. 7:
«Coena dominica, sive Missa, est sacra synaxis, seu congragatio populi Dei, in unum convenientis...».
È un’autentica definizione eretica che ci richiama alla mente le parole di S. Ambrogio a riguardo del delitto di Erode:
«Quanta, in uno facìnore... sunt crimina!»
(dall’Ufficio: 29 agosto, in decollatione S. Jo. Baptistae”)
L’art. 14, poi, più spudoratamente ancora, pretende d’insegnare che
«Missae celebratio... natura sua (?!) indolem habet communitariam» (!!).
E perché non mi si tacci di giudizio temerario, mettiamo a confronto la “Institutio Generalis” con la dottrina del Magistero infallibile del Tridentino e di Pio XII.
Nell’art. 7°, la disposizione logica dei termini:
«Coena Dominica, sive “Missa” est sacra Synaxis, seu Congregatio Populi Dei»; è chiaro che i “concetti”, come nella filosofia scolastica, “convertuntur”: «Coena est Missa: Missa est Coena: Missa est Congregatio Populi: Congregatio Populi Dei est Missa»...
Le enormità di queste “identificazioni” sono più che evidenti! Il termine “cena”, messo in primo piano, è proprio il concetto ereticale condannato dal Canone 1° della XXII.a Sessione del Tridentino:
«Si quis dixerit... quod offerri non sit aliud, quam nobis Christum ad manducandum dari... anathema sit!».
Il concetto “cena”, infatti, non contiene il concetto di “sacrifico” della vittima; anzi, lo esclude, perché il “Sacrificio latreutico” distrugge totalmente la vittima, senza che ne possa gustare le carni lo stesso offerente. Perciò, il termine “cena” indica solo e nient’altro che “cena”, e non “sacrificum verum et proprium”!
La definizione, poi, di “Messa-Cena-Adunanza del popolo di Dio”, è un’altra negazione della definizione dogmatica contenuta nel Catechismo dottrinale di San Pio X:
«La Messa è il sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, che, sotto le apparenze del pane e del vino, si offre a Dio, in memoria e rinnovazione (= ripresentazione) del Sacrifico della Croce»...
Ora, “L’elemento centrale del Sacrificio Eucaristico è quello in cui Cristo interviene come “seipsum offerens””, come lo afferma chiaramente il Concilio di Trento2.
E “ciò avviene alla consacrazione” (non, quindi, alla “comunione”-cena!), in cui, all’atto stesso della “transustanziazione”, operata dal Signore3, il Sacerdote celebrante è “personam Christi gerens”. E questo anche quando la consacrazione si svolge senza fasto, nella semplicità. Perché “essa - (la consacrazione) rimane il punto centrale di tutta la Liturgia del Sacrificio”; il punto centrale della “actio Christi, cuius personam gerit sacerdos celebrans”. E questo è esattamente l’opposto da quello insegnato nell’art. 1° della “Institutio Generalis”, ove si legge che “celebratio Missae”, ut actio Christi et “Populi Dei”!..
Siamo di fronte - checché se ne dica! - ad una incredibile frana dei dogmi di fede, in cui ci ha buttati la Riforma Liturgica del Vaticano II, gestita dal massone mons. Annibale Bugnini!
Cito, perciò, l’interpretazione ufficiale di quella Costituzione Liturgica, fatta dal card. Lercaro nella quarta Instructio: la “Eucharisticum Mysterium”, nel suo articolo 17°:
«... Nelle celebrazioni liturgiche debbono essere evitate la divisione e la dispersione della comunità. Perciò, si deve badare a che nella stessa chiesa non si svolgano contemporaneamente due celebrazioni liturgiche, che attraggano l’attenzione del popolo a cose diverse. Ciò sia detto, soprattutto, della celebrazione della Eucarestia...».
«Pertanto, quando si celebra la santa Messa per il popolo, si abbia cura di impedire quella “dispersione” che deriva, generalmente, dalla celebrazione contemporanea di più Messe nella medesima chiesa. La stessa cura si ponga, per quanto è possibile, anche negli altri giorni!..».
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sac. dott. Luigi Villa