E allora l'ascesi?
Esiste d'altronde un'ascesi naturale che, per la sua stessa struttura, può avere un preciso effetto sull'uomo. Per esempio, è evidente che il silenzio, sia interiore che esterno, unito a una certa solitudine, favorisce in modo naturale il raccoglimento il quale, a sua volta, ridesta l'uomo all'interiorità. Similmente, le ore della notte favoriscono una tranquilla meditazione, il digiuno suscita una fame di nutrimento spirituale, il celibato provoca un vuoto affettivo che richiede un compimento a un livello più profondo e universale. A volte si parla addirittura di una mistica naturale, le cui tecniche non sono completamente estranee a quelle della mistica cristiana, e i cui adepti dimostrano di trovarvi una pienezza spirituale che non è sempre, o non abbastanza, patrimonio del normale cristiano odierno. Si può anche pensare che, in fatto di tecniche di meditazione e di concentrazione mentale, i cristiani hanno spesso qualcosa da imparare dalle tradizioni non cristiane. Eppure bisogna sapere, e dirlo chiaramente, che un'ascesi di questo tipo, nonostante certi risultati effettivamente raggiunti, non è ancora l'ascesi che Cristo chiede ai suoi discepoli, cioè un'ascesi che mette in contatto con la grazia e lascia sbocciare la vita dello Spirito nel nostro cuore. Infatti resterà sempre uno scarto incolmabile tra qualunque sforzo umano, per quanto generoso e perfetto, e il dono della grazia che ci viene accordato solo in Cristo e per Cristo e in modo assolutamente gratuito. Questo è il dato fondamentale di ogni esperienza di fede, al quale l'ascesi non può sottrarsi: se lo facesse, non sarebbe più ascesi cristiana, ma uno squallido miscuglio di morale e mistica pagane. Dio non si lascia vincere in base ai nostri tentativi di piegarlo con i nostri sforzi. Ricordiamoci che Gesù non è venuto "a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Lc 5,32): non sa cosa farsene della virtù che crediamo di possedere, cerca invece il nostro punto debole, l'unico ambito in cui la sua potenza può dispiegarsi illimitatamente (cf. 2Cor 12,9). L'ascesi quindi può essere praticata solo in Gesù Cristo, il che significa innanzitutto questo: praticata nella sequela e secondo l'esempio che Gesù ci ha lasciato. Non è un caso che la maggior parte delle forme di ascesi cristiana praticate nei secoli risalgano a quelle praticate da Gesù quand'era sulla terra. Fu obbediente fino alla morte - l'autore della lettera agli Ebrei arriva addirittura a dire che il corpo fu dato a Gesù per permettergli questa obbedienza (cf. Eb 10,5-9)-; viveva casto; non possedeva neppure una pietra su cui posare il capo (cf. Lc 9,58); digiunò severamente per quaranta giorni (cf. Lc 4,2); si ritirava regolarmente di notte nella solitudine per pregare fino all'alba (cf. Mc 1,35; Lc 6,12). Ancor oggi la via ascetica del cristiano trae la propria forza e le proprie possibilità dalla forza che Gesù le ha conferito mediante la pratica dell'ascesi durante la sua vita terrena. Il cristiano cerca di imitare Gesù, fissando lo sguardo su di lui: i segni concreti dell'ascesi sono oggi ancora gli stessi di quelli dell'ascesi di Gesù, e la forza con la quale il cristiano può viverli è la stessa che sosteneva Gesù, soprattutto quando si trasformarono in prove e tentazioni dalle quali uscì vincitore, il primo di tutti noi. Ma pretendere che l'ascesi si possa praticare solo in Gesù Cristo significa anche un'altra cosa: ogni ascesi può diventare ascesi in Gesù solo nella misura in cui, esaurite tutte le possibilità umane, sfocia inevitabilmente in una specie di fallimento. È proprio lì, al cuore di questo esaurimento e di questo scacco, che potrà essere assunta e sostituita dalla forza di Gesù. L'unica ascesi che può fare appello all'evangelo è l'ascesi di povertà e di debolezza.
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