mercoledì 1 gennaio 2020

SAN PIO V IL PONTEFICE DELLE GRANDI BATTAGLIE



I PRIMI ANNI 

Nell'attesa che la fama della santità e della gloria di questo suo figlio vendicasse pacificamente la memoria dei propri antenati, tutta la famiglia durante l'esilio fu ridotta alla miseria. Mentre un ramo di questa cercò ospitalità a Roma, l'altro andò a rifugiarsi in un piccolo borgo piemontese della diocesi di Tortona, chiamato Bosco, poco lontano da Alessandria. 
   Qui il 17 gennaio 1504 nacque Michele Ghislieri. Suo padre Paolo Ghislieri e sua madre Domenica Augeria erano contadini, profondamente cristiani. Se il bambino non poté trovare presso il focolare domestico le comodità dell'agiatezza, vi trovò delle cure affettuose, e, caso non troppo frequente, dei buoni esempi, che lo educarono alla virtù. 
   In un ambiente cosi propizio, il piccolo Michele poté nutrire un vivo sentimento di profonda religione, e poiché la Provvidenza prepara innanzi tempo le pietre dell' edificio che vuole innalzare nell'avvenire, sotto l'ispirazione della grazia il futuro “Papa del Rosario” ebbe fin dall'infanzia un amore filiale alla Madre di Dio. 
   Michele cresceva grave, timido e puro, e faceva nella scuola mirabili progressi, segno della sua bella intelligenza e della sua seria applicazione. 
   Non fa quindi meraviglia, che egli abbia di buon'ora sentito in sé il desiderio di consacrarsi al Signore. Senza prevedere le future, sublimi cariche, che avrebbe occupate, ebbe egli forse qualche segreta rivelazione, che la Chiesa attendeva da lui non solo l'ossequio ordinario dei fedeli, ma il servizio d'una vita santa? Coll'età si sviluppò pure in lui il germe della vocazione sacerdotale, e a 12 anni il desiderio divenne forte, irresistibile. 
   Nessuna esterna influenza poteva favorirne lo sviluppo, nessun convento all'intorno gli offriva la dolce attrattiva dei suoi chiostri silenziosi; e i suoi genitori, troppo poveri per avviarlo allo studio, ignorando le sue aspirazioni, gli affidarono un branco di pecore, da condurre al pascolo nelle vicine campagne. 
   Ma Dio, che destinava questo giovanetto a una missione pastorale ben più grande, non permise che pascolasse a lungo il piccolo gregge. Minute circostanze concorrono talvolta al compimento dei divini disegni. “Non saprei scoprirne la ragione - scrisse Pascal, - ma cose da nulla scuotono la terra, i re, gli eserciti, il mondo intero”. L'incontro fortuito con due domenicani sulla strada per la quale Michele conduceva le sue pecore, fu la felice occasione che tolse il giovanetto all'oscurità d'umile pastorello, per innalzarlo alla gloria del pontificato e all' onore degli altari. 
   I due frati e il piccolo pastore attaccarono subito una familiare conversazione. I domenicani, avendo arguito dalle risposte che il giovanetto aveva ingegno, molto giudizio, pietà e candore d'animo, gli fecero la proposta di studiare il latino, e gli promisero di accettarlo nell'Ordine, qualora egli non avesse deluso le loro speranze. Michele, lieto che gli venisse aperta la via vagheggiata nella sua mente, corse a casa, e ottenne dai genitori il permesso di entrare nel convento dei domenicani di Voghera. 
   La nostra maniera di vedere inclina facilmente a condannare le decisioni così repentine; ma mentre la nostra presuntuosa saggezza, per meglio riflettere, vi mette degli indugi, gli avvenimenti si frappongono sovente, e vanno oltre le nostre previsioni. I genitori del giovanetto più savi di noi nella loro pronta condiscendenza, s'abbandonarono al divino volere, e il loro santo abbandono fu magnificamente ricompensato. 
   Nel convento di Voghera, Michele si mostrò tanto fervente e studioso, che dopo due anni di prova, il superiore, d'accordo con tutti i suoi religiosi, lo vesti dell'abito domenicano. 
   Nell'atto della vestizione accadde un piccolo incidente. Alle prime interrogazioni da farsi, avendo il priore domandato al giovanetto qual nome avesse, Michele, secondo il costume di allora, aggiungendo al proprio nome quello del paese natale, rispose: Michele di Bosco. Il priore, che amava alquanto i titoli sonori, pensò forse con Natanaele, che da Nazaret non poteva uscir nulla di grande? E dicendogli che il modesto borgo di Bosco non poteva aggiungere nessun prestigio al suo nome, volle chiamarlo dalla città vicina con un titolo più sonoro. “Poiché dite che siete dei dintorni d'Alessandria, d'ora in poi vi chiamerete fr. Michele d'Alessandria. Le orgogliosette intenzioni del priore si compirono assai meglio di quanto egli avesse pensato; poiché il Ghislieri, innalzato alla porpora cardinalizia, conservò il nome, che andava sulla bocca di tutti, e fu chiamato il cardinale Alessandrino. 
   Fr. Michele dimorò in seguito nel convento di Vigevano, ove nel 1519 emise i voti solenni. Ma i superiori, conoscendo le sue singolari disposizioni per lo studio della teologia, non tardarono a inviarlo a Bologna, per seguire i corsi dell'università. Appena ottenuti felicemente i gradi richiesti, gli venne affidato l'insegnamento; ed egli seppe esporre le sue lezioni con tanta dottrina e chiarezza e acquistarsi tanta autorità che non solo i religiosi della sua provincia ma molte persone già istruite sedevano volentieri attorno la sua cattedra, per ascoltare la parola di quel giovane di vent'anni. 
   Passarono cosi sedici anni, senza che mai diminuisse l'entusiasmo degli uditori e la stima che godeva il professore, poiché il Ghislieri possedeva in grado eminente le qualità dell'insegnante: scienza vasta resa sempre nuova, abilità nel metodo, ardore che suscita l'ammirazione degli allievi e gran cura per il loro progresso. E siccome scopo dell'educatore non è solo quello d'istruire, ma anche di educare alla virtù, fr. Michele sapeva condurre senza sforzo il suo uditorio verso le alte cime ove Dio si rivela alle anime. Le lunghe meditazioni sul Crocifisso davano alle sue lezioni la nota soprannaturale; poiché, secondo l'espressione d'un suo contemporaneo, egli sapeva “unire le spine della scolastica a quelle del Calvario”. 
   A ventiquattro anni, nonostante il timore della sua coscienza delicata, fu ordinato sacerdote a Genova. Il superiore della Provincia, per un'attenzione squisita verso i genitori del novello levita, gli permise di recarsi a Bosco, per celebrarvi la prima Messa. Ma uno spettacolo ben triste amareggiò la sua gioia. Francesco I di Francia, in lotta con Carlo V, mentre si dirigeva verso Pavia, aveva gettato la costernazione nei paesi lombardi, vittime delle contese dei due monarchi. Michele Ghislieri non poté aver la consolazione di offrire il santo sacrificio nella sua chiesa parrocchiale, devastata dai soldati, ma fu costretto a recarsi a Sezzé, accompagnato dai familiari e da qualche amico. 
   In seguito i conventi di Vigevano e di Alba 3 , per la stima che avevano delle sue virtù, lo elessero successivamente loro priore. Fr. Michele aveva tanto rispetto per la propria regola che, nonostante le sue fatiche, non si dispensò mai dalle più piccole pratiche religiose. Soleva riposarsi dalle controversie scolastiche coll'assistenza agli uffici corali, e nelle sue abituali mortificazioni cercava un rimedio contro la vanagloria per i successi del suo insegnamento. 
   Ma, se per primo procurava di dare a tutti buona edificazione, voleva pure nei suoi sudditi fedeltà all' osservanza. Chiamato più volte dai Capitoli Provinciali a dirimere delle questioni, seppe mostrarsi strenuo difensore della disciplina e forte avversario degli abusi. 
   La fama della sua santità si sparse presto fuori del convento, e molti si misero sotto la sua direzione; questo apostolato gli procurò nuove occasioni di patire. I trenta chilometri che lo separavano da Milano, non poterono dispensarlo dall'esercitare colà il suo ministero; e come se fosse insensibile a qualsiasi temperatura, faceva il viaggio a piedi, e non rompeva il silenzio che per recitare il breviario e il rosario insieme al suo compagno di viaggio. 
   Tale fu Michele Ghislieri nella sua giovinezza; preludio di quello che doveva essere Pio V. I lineamenti della sua vita morale andavano delineandosi e accentuandosi sempre più. Le sue magnifiche qualità lo rivelavano veramente capace di grandi cose, e degno di prendere nella Chiesa il posto che gli competeva. La sua intelligenza, pronta e pieghevole, cresceva, fortificando si con un lavoro intenso e continuo, che ne moltiplicava la forza. 
   Sotto un'apparenza alquanto ruvida, avvivata dalla fiamma del suo sguardo, fr. Michele nascondeva una volontà ferma e risoluta, che assicurava 1'esecuzione dei suoi ordini. Ma più che le sue qualità naturali, risplendevano in lui la mortificazione e la pietà, destinate a moderare il rigore del comando. E poteva a buon diritto essere severo, perché era irreprensibile. 

Del Card. GIORGIO GRENTE 

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