lunedì 16 novembre 2020

FUGGITA DA SATANA

 


MICHELA


La mia lotta per scappare dall'Inferno

La distruzione della bambina

Sin dai primi incontri lei si era resa conto che avevo un buco nero relativo ai miei primi sei-sette anni di vita. Sono convinta che in ipnosi deve avere scavato molto per tirare fuori emozioni e problematiche di quel periodo. Non so però quanto mi abbia veramente comunicato di ciò che aveva scoperto. A un certo punto cominciò a instillarmi l'odio verso ciò che lei definiva «la bambina che è dentro di te». Sottolineava: «È quella parte che tutti hanno calpestato - la bambina - che non ti ha permesso di crescere in maniera corretta. Perciò è giusto che tu sia arrabbiata con quella bambina che è in te. Devi odiarla, devi distruggerla».

Per esempio mi faceva recitare una specie di psicodramma, facendomi entrare nella parte dell'assistente del collegio. Mi diceva: «C'è una bambina che ha fatto tardi e non ha rispettato la regola. Come reagisci?». La prima volta io proponevo:

«Le dico che non deve farlo più». Lei invece mi ordinava: «No, così non va per niente bene. La devi insultare. Devi dirle che è stata cattiva e che merita una punizione: devi chiuderla a chiave dentro una stanza». Sosteneva che avevo sempre sbagliato l'atteggiamento psicologico: «II tuo errore è quello di giustificarla, mentre devi arrabbiarti con quella bambina che arrivava in ritardo e faceva subire a te le punizioni per le quali lei sola era colpevole».

Oggi mi sembra un discorso folle, ma all'epoca alla fine per me era diventato normale, e quindi urlavo di tutto a questa bambina. La Dottoressa mi aveva proprio insegnato delle tecniche per farmi arrabbiare e continuava a ripetermi che era giusto che la bambina fosse Punita se sbagliava, fino al punto di picchiarla e di violentarla. Subito dopo mi faceva mettere nella parte della bambina e mi diceva: «Che cosa dovrebbe dire ora questa bambina?». E io: «Ho sbagliato, è giusto che tu mi punisca. Non lo farò più, altrimenti avrai tutte le ragioni per punirmi ancora!». Un ribaltamento completo di quello che la normalità prevederebbe...

Quando uscii dalla setta, infatti, il faticoso lavoro che dovetti fare con la mia nuova psicoterapeuta fu quello di accettare la bambina dentro di me, che invece io avevo demolito. Come avevo demolito tutta la mia parte femminile: era questa ad aver condotto all'eccitazione gli uomini che da piccola mi avevano violentata, dunque non era una cosa buona. Anzi, era proprio colpa mia se l'assistente del collegio, oppure mio cugino e mio zio, provavano desiderio sessuale nei miei confronti.

Andando avanti nella terapia, il mio rapporto con la Dottoressa si è trasformato in un gioco sempre più perverso, probabilmente favorito da istruzioni che lei mi forniva sotto ipnosi, in modo da superare ogni eventuale mia barriera. In particolare lei mi ha "educato" alla sopportazione del dolore e a trasformarlo in piacere. Per esempio i rapporti sessuali erano di tipo sado-maso e l'ordine che mi dava era di controllarmi a ogni costo per non urlare. Una tecnica era quella di concentrare tutta l'attenzione su un'immagine piacevole: una spiaggia, il mare, una barca. A quel punto lei cominciava a farmi male. Se mi lamentavo, diceva:

«Mi vuoi deludere? Non vuoi deludermi, vero? Tu mi vuoi bene!». E a me queste sue osservazioni davano la forza di resistere.

Altri esercizi di sopportazione della sofferenza si collegavano con una tecnica di respirazione che la Dottoressa mi aveva allenato a praticare. Poi mi sottoponeva a vere e proprie torture, come lo sgocciolamento sul corpo di cera bollente, bruciature con oggetti metallici roventi, aghi infilati nella pelle o sotto le unghie, schiaffi e pizzicotti. La sua spiegazione era: «È importante che tu abbia il controllo di tutta la tua persona e dunque devi sopportare ogni dolore». Alla fine ero effettivamente giunta a provare uno strano piacere quando giungevo al culmine del dolore. Non è facile spiegarlo, ma è così.

Per sostenermi c'era sempre la cocaina, ormai mia compagna inseparabile. Inoltre la Dottoressa mi aveva dato delle boccettine senza etichetta, nelle quali c'era un liquido: ogni tre quattro-ore dovevo berne dieci gocce con un po' d'acqua. Lei li chiamava «fiori di Bach», ma non so quanto fossero uguali a quelli che si trovano in alcune erboristerie o farmacie. Probabilmente dentro c'era qualcosa di particolare. Una volta ne ero rimasta senza e lei mi fece andare a prendere la boccetta a casa: se invece quelle gocce fossero state disponibili in farmacia, mi avrebbe mandata a comprarle là.

Quando assumevo queste gocce ricevevo un'immediata sensazione di benessere. Che durante tutto il mio percorso non si trattasse sempre del medesimo liquido me ne sono accorta a motivo del gusto, che è cambiato almeno cinque volte. Avevano un sapore particolare, che non ho più ritrovato nei vari psicofarmaci che successivamente mi è capitato di prendere, dal Lexotan al Minias.

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