lunedì 15 agosto 2022

VITA FERVIDA E NASCOSTA

 


COLUI CHE PARLA DAL FUOCO 


Dimmi: che cosa hai da offrirmi per le anime?  

(N. Signore a Josefa - 20 febbraio 1921).  


VITA FERVIDA E NASCOSTA

La Quaresima si avvicina e i giorni delle Quarantore chiamano la comunità dei Feuillants ad un raddoppiamento di amore e di riparazione. Era l'orizzonte che si apriva sempre più davanti all'anima di Josefa. Fino a quel momento Gesù non aveva cessato di ripeterle:   

«Sei la vittima del mio Cuore».  

Ora sta per provarglielo. Il primo venerdì del mese, 4 febbraio, anniversario della sua entrata ai Feuillants, Gesù le appare e mostrandole il Cuore infiammato:  

«Tutti i venerdì - dice, - e soprattutto il primo venerdì del mese, ti farò partecipe dell'amarezza del mio Cuore e soffrirai in maniera speciale i tormenti della mia passione».  

Quindi soggiunge:  

«In questi giorni in cui l'inferno si apre per travolgere tante anime, voglio che ti offra a mio Padre come vittima, per salvarne il più gran numero possibile».  

Dopo essere rimasto qualche istante in silenzio, scompare. La domenica delle quarant'ore, 6 febbraio, Egli rinnova quello stesso invito. Fin dal mattino Josefa si è offerta per riparare le offese dei peccatori. Verso le tre del pomeriggio, mentre si trova in Cappella, Gesù la raggiunge:  

«Faceva compassione - scrive; - il volto, le braccia, il petto erano coperti di contusioni e di polvere e il capo grondava sangue, mentre il Cuore risplendeva di luce e di bellezza!».  

«- Sono ridotto così dalla mancanza d'amore, - Egli dice, - e dal disprezzo degli uomini che corrono come pazzi verso la perdizione».  

«Perché dunque, Signore, malgrado i peccati del mondo il tuo Cuore è oggi così bello e ardente?».  

Egli rispose: «- Il mio Cuore non viene ferito se non dalle anime consacrate!».  

Questa parola colpisce profondamente Josefa e le scopre il dolore più intenso che Gesù spesso le chiederà di condividere con Lui, per consolarlo. Ma in quei giorni, ella deve riparare davanti alla giustizia di Dio le colpe del mondo leggero e insensato. Perciò trascorre davanti al Santissimo esposto tutti gli istanti liberi e tiene il pensiero costantemente fisso alle tante offese che si commettono contro la Maestà divina. Gesù, che la carica di questo peso, viene però anche a rianimare il suo coraggio e le appare il martedì 8 febbraio alle otto di sera in Cappella, in atto di chi è oppresso da un pesante fardello.  

«- I peccati che si commettono, - dice, - sono tanti e così gravi che la collera divina traboccherebbe se non fosse trattenuta dalla riparazione e dall'amore delle mie anime scelte. Quante anime si perdono! Ma un'anima fedele può riparare e ottenere misericordia per molte anime ingrate».  

Così la riconduce al pensiero della missione redentrice a cui l'ha chiamata fino dalle sue prime visite. Ma un altro disegno divino si svela a poco a poco, e il 9 febbraio, mercoledì delle ceneri, ella ne riceve il primo cenno rivelatore.

Quella mattina, per la prima volta, Gesù le confida i suoi piani:  

«- L'Amore mio per le anime e specialmente per la tua è così grande - dice, - che non posso più contenere le fiamme della mia ardente carità. Nonostante la tua indegnità e la tua miseria, mi servirò di te per effettuare i miei disegni». 

Quest'invito andrà determinandosi un poco alla volta, e farà intravedere a Josefa l'entità del dono e dell'abbandono con cui dovrà corrispondere. Ma già fin da oggi il Maestro vuole che ella acconsenta e che un segno tangibile suggelli il suo consenso.  

«- Vuoi darmi il tuo cuore? le domanda».  

«Sì, o Signore, e più che il mio cuore...».  

«Gesù me lo strappò, - scrive, - lo prese e l'accostò al Suo... Come era piccolo accanto a quel Cuore! Quindi me lo rese, ardente come una fiamma. Da quel momento sento in me un intensissimo fuoco e bisogna che mi sforzi molto per contenermi affinché nessuno si accorga di nulla...».  

Josefa si propone di tener segreta questa grazia insigne, raccontata con tanta semplicità. Ma Gesù non vuole segreti, e il giovedì 10 febbraio, le appare dicendole:  

«- Senti Josefa, voglio che tu non nasconda niente alla Madre tua: essa ha ragione: devi scrivere». Due giorni dopo, 12 febbraio, Gesù rivela di nuovo l'importanza che dà a questa assoluta dipendenza.  

«- Di' sempre tutto alla Madre tua» insiste. Siccome ella teme anche la minima ombra di compiacenza segreta a parlare di queste cose, Egli la interrompe con forza: «- Il tuo silenzio sarebbe orgoglio: la tua semplicità e la tua fiducia invece sono umiltà. Sappi dunque che se Io ti chiedessi una cosa e la Madre un'altra, preferirei che tu obbedissi a lei piuttosto che a Me».   

A questa data, sabato 12 febbraio, troviamo scritto di sua mano, in una larga parentesi, l'ingenua spiegazione del suo atteggiamento in ogni visita di Nostro Signore.  

«Per obbedire, Madre mia, le scriverò ciò che provo ogni volta che Gesù viene. Prima di tutto sento un gran bisogno di umiliarmi e comincio sempre col domandargli perdono di tutti i miei peccati, poiché vedo l'anima mia piena di colpe, e se non fosse per un movimento irresistibile che mi spinge verso di Lui; non ardirei avvicinarmi né parlargli quando mi trovo alla Sua divina Presenza. Ma un certo non so che mi attira... l'anima mia si riposa... Più mi umilio e più credo che Egli si compiaccia. Qualche volta non posso dirgli nulla, sentendomi annientata nell'adorazione. Talvolta mi trovo in un torrente di consolazioni, anche quando mi fa soffrire con Lui. Mi sembra che il mio cuore si dilati e si inabissi in Dio. Altre volte provo come se, dentro di me, ardesse un fuoco divorante: Gesù mi brucia nel fuoco del suo Cuore. Nello stesso tempo mi fa conoscere a tal segno la mia piccolezza, che non arrivo a capire come un Dio possa amarmi in questa maniera!  

Ciò accresce sempre di più il mio desiderio di amarlo e di guadagnargli molte anime. Egli mi infonde un tale orrore di me stessa che non so che farei per sradicare le mie cattive inclinazioni e riparare i miei peccati e le mie ingratitudini. L'anima mia è come strappata a forza da questa terra e dopo, quanto mi costa occuparmi delle cose di quaggiù!... Se sapesse che pena è per me di trovarmi ancora nel mio povero corpo! poiché spesso, quando sono con Gesù, credo di esserci per sempre».   

In seguito e sempre per obbedienza ella spiega come si è abituata a far tutto con Nostro Signore e a confidargli tutto.  

«A mezzogiorno - scrive, - del lunedì 14 febbraio servivo in refettorio come al solito. Venne a mancare la prima portata e andai in cucina per prenderne: ma non ce n'era più! Non sapevo che fare, e siccome ho l'abitudine di dirgli tutto, esclamai:  

«Mio Gesù! Non c'è più niente da mangiare!».  

«Uscendo una seconda volta dal refettorio, Lo vidi ad un tratto che stava davanti alla fontana, presso la cucina, con le braccia stese, e mi disse sorridendo: É colpa mia, Josefa, se non c’è più niente?».  

«Disparve subito e non so come potei continuare a servire a tavola. Era così buono, così bello, che si sarebbe detto il cielo stesso!  

«In questo modo Gli racconto tutto quello che mi accade. Se, spazzando, lascio cadere qualcosa, subito dico: "O Gesù, ti ho svegliato con questo rumore!". Se smarrisco un oggetto, Gli chiedo: "Signore, dove l'ho lasciato?... andiamo a cercarlo insieme". Se mi sento stanca, io lo confido a Lui. Se sono in ritardo nel mio lavoro (cosa che mi accade spesso per le corse che devo fare in cerca di ciò che ho dimenticato) Gli dico: "Presto, Signore, dobbiamo affrettarci quest'oggi, perché è già tardi e c'è tanto da fare!". Soprattutto il sabato, con i pacchi di biancheria e le scarpe da distribuire nei dormitori delle alunne. Insomma, Gli racconto tutti i miei piccoli crucci. Spesso non Lo vedo, ma Gli parlo ugualmente, sicura che è lì con me. Alle volte Gli dico tutto quello che mi passa per la testa, e ogni tanto mi chiedo se non sia una mancanza di rispetto; ma credo di no, perché l'anima mia si sente così felice, e allora ricomincio i miei discorsetti.  

«Spesso invoco anche la Madonna, specialmente quando mi siedo per cucire: "Vieni, Madre mia, con noi due. Gesù è qui, e ci devi stare anche Tu". Così trascorrono le mie giornate: le ho narrato tutto, Madre mia, meglio che ho potuto».  

Questi intimi colloqui, così spontanei, non impedivano a Josefa di condurre con le consorelle una vita del tutto semplice e operosa. Dopo il postulato che passò come aiutante in cucina, ella diede tutta la sua attività al guardaroba delle alunne. Là si dedicò da mattina a sera al lavoro, sistemata in modo molto primitivo, poiché si era appena usciti dalla guerra e i locali del convento dei Feuillants che erano stati occupati da un ospedale militare, soltanto in parte avevano potuto essere rimessi in ordine. Parecchie altre occupazioni riempivano le giornate di Josefa, senza che nulla trapelasse al di fuori dell'intervento di Dio nella sua vita vera, celata sotto il dono e la dimenticanza di sé. Continuiamo dunque a seguirla nell'oscurità della vita comune e del lavoro quotidiano.  

Non possiamo tacere un piccolo episodio che si riferisce a quel tempo e che ha il suo valore. Josefa lo narra così:   

«Stavo davanti al Tabernacolo pregando per la mamma e mia sorella. Mi sentivo triste a loro riguardo e avrei voluto poterle consolare; pensavo a quello che avrei fatto se fossi stata con loro, e in quel momento non contavo abbastanza su Gesù. Improvvisamente Egli mi apparve col Cuore tutto infiammato e con voce grave e piena di maestà, mi disse:  

"- Da sola, che potresti fare per loro?".  

«E mostrandomi il Cuore: "- Fissa qui il tuo sguardo!". «E disparve».  

La domenica 20 febbraio, seconda di Quaresima, ella scrive:  

«Durante la santa Messa, dopo la Consacrazione, Gesù è venuto, bellissimo! "hermosissimo!" - superlativo intraducibile che ella impiega spesso per descrivere quella beltà che la rapisce.  

«Dimmi, Josefa, che cosa hai da offrirmi per le anime che ti ho affidate. Metti tutto nella piaga del mio Cuore, per dare alla tua offerta un valore infinito".  

«Gli ho detto di prendere tutto, poiché quello che ho è per le anime». «- Dimmelo nei particolari».  

«Allora Gli ho tutto enumerato: l'ora santa, le mie piccole penitenze e mortificazioni, la sofferenza della corona di spine, i miei respiri, il mio lavoro, i miei timori, la mia debolezza e miseria, tutto quello che faccio e che penso... Tutto è per amor Tuo e per le anime, Signore, ma è ben poca cosa!...  

«Alla Messa delle nove è ricomparso con il Cuore infiammato. "Guarda, - disse, - queste anime... ora stanno proprio in fondo al mio Cuore"».  

L'indomani, 21 febbraio, dopo la Comunione Gesù le si mostrò e, guardandola, con infinita bontà, - ella scrive, - le ripeté le Sue esigenze:  

«- Ti voglio così dimentica di te e abbandonata alla mia Volontà, che non lascerò passare la minima imperfezione senza avvertirtene. Devi tenere sempre presente da una parte il tuo nulla e dall'altra la mia Misericordia. Non dimenticare che dal tuo niente sgorgheranno i Miei tesori».  

Nella mattinata del lunedì, mentre ella nel dormitorio delle educande metteva in ordine le uniformi della festa, Nostro Signore le apparve con le mani legate e la corona di spine sul capo insanguinato.   

«- Mi ami?», le chiede con ardore. «Non so ciò che ho risposto... mille cose... Egli sa che Lo amo!..». «- Voglio che la tua sete aumenti, che tu mi salvi molte anime, e che questo desiderio ti consumi!...».  

Josefa Menéndez

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