mercoledì 4 dicembre 2019

La battaglia continua



«Di tutti i doveri
inerenti al Cristianesimo, 
il primo e più sacro 
è quello di mantenere la purezza 
del suo messaggio, che non è 
quello dell’uomo per l’uomo, 
ma quello della salvezza 
che viene da Dio».

(Etienen Gilson)


IL DIRITTO ALLA CRITICA

L’autodemolizione della Chiesa: Il diritto di una resistenza pubblica anche per dei semplici fedeli. Il “diritto”, cioè, di potere fare delle “critiche” – sia pure rispettose – a certi atti della Gerarchia della Chiesa. Anche al Papato!
Chi conosce, infatti, anche solo un poco di Teologia e di Diritto Canonico sa che il Papa gode del carisma dell’infallibilità solo in certi atti del Magistero, e anche questo in condizioni ben definite. Quindi, l’adesione a degli insegnamenti non infallibili non fa perdere il diritto di non essere d’accordo col Papa – naturalmente per ragioni ben fondate! – per atti concreti praticati e sostenuti da Lui.
Queste nostre affermazioni sono comunque sostenute da numerosi documenti di celebri teologi. Ne cito i principali:

1) Il celebre card. Cajetano sostiene che «si deve resistere di fronte a un Papa che, pubblicamente, distrugge la Chiesa».1

2) Anche François de Vitoria, grande teologo e canonista del XVI secolo, insegna: «Se egli (un Papa) volesse con-segnare tutti i tesori della Chiesa (…) ai suoi parenti, se volesse distruggere la Chiesa o altre cose simili, non si dovrebbe permettere che egli agisse in tal modo, ma ci sarebbe l’obbligo di opporsi a lui con resistenza. La ragione di ciò è che Egli non ha il potere di distruggere, per cui, se lo fa, è più che lecito resistergli» (ibidem, p. 487). E più avanti scrive: «Da tutto questo risulta che se il Papa, mediante suoi ordini e suoi atti, distrugges-se la Chiesa, gli si può resistere e impedirgli l’esecuzione dei suoi comandi» (ibidem, p.487).
Ed ecco un altro suo testo: «Per diritto naturale, è leci-to respingere la violenza. Ora, (per ordini ingiusti) il Papa esercita la violenza quando egli è contro il Diritto (…). Perciò, è lecito resistergli. Osserva Cajetano: «come noi non affermiamo questo nel senso che non ap-partiene a qualcuno il diritto di essere il giudice del Papa, o di avere autorità su di Lui, bensì nel senso che è lecito difendersi. In effetti, a chiunque appartiene il diritto di resistere a un atto ingiusto, di cercare di impedirlo e di difendersi» (ibidem, pp.486-487).

3) Anche il grande Suarez, di poco posteriore a Vitoria, af-ferma: «Se Egli (il Papa) dà un ordine contrario ai buo-ni costumi, non gli si deve ubbidire. Se egli si prova di fare qualcosa manifestamente contrario alla giustizia e al bene comune, è lecito resistergli!
Se egli attaccasse con la forza, con la forza può essere respinto, con la moderazione propria alla giusta difesa cum moderamine inculpatae»)».2

4) Anche il grande card. Bellarmino Roberto, s.j., campio-ne dei diritti del Papato, nella lotta contro il protestantesimo, scrive: «(…) come è lecito di resistere al Pontefice che attacca i corpi, così è anche lecito resistere a colui che aggredisce le anime, o chi turba l’ordine civile, o, soprattutto, a chi si sforza di distruggere la Chiesa. Io dico che è lecito resistergli, non facendo quello che egli ordina, e impedendo l’esecuzione della sua volontà. Tuttavia non è lecito di giudicarlo e di punirlo o di destituirlo, perché questi sono atti propri di un superiore».

5) Anche il card. Journet, nel suo Trattato “L’Eglise du Verbe Incarnè” (vol. 1, p. 839 ss.) ammette la dottrina dei maggiori teologi, secondo la quale un Papa può an-che divenire “scismatico”. Per cui i fedeli possono e devono resistergli!

6) L’esempio di S. Pietro e di S. Paolo:
L’episodio lo racconta lo stesso S. Paolo (Gal. 2,11-14). S. Pietro, cioè, per paura di dispiacere ai molti giudei bat-tezzati, se ne avesse dato l’esempio lui stesso, favorì, la posizione dei “giudaizzanti”. S. Paolo, allora, in vista del danno che quel gesto di Pietro avesse significato per la Fede, “restitit in faciem Coefae”. Lo apostrofò in pubblico. Davanti alle sue obiezioni, S. Pietro riconobbe d’aver torto e si sottomise, umilmente.
L’episodio, naturalmente, sollevò, nei “commentatori” delle questioni: dunque, ci sono dei “casi” in cui è legittimo “resistere in faccia” anche a un Papa e a un Vescovo! Quali sono questi “casi”?
Il Principe dei Teologi, S. Tommaso d’Aquino, risponde: secondo lui, in certe circostanze, si ha il diritto di resistere pubblicamente a una decisione del Pontefice Romano, (…) se c’è un danno prossimo per la Fede, i Prelati (Papa compreso!) devono essere interpellati anche pubblicamente, per questi loro atti, dai sudditi, i fedeli. Come S. Paolo, che era soggetto a S. Pietro, lo contrad-disse pubblicamente, a causa di un danno imminente di scandalo in materia di Fede, S. Agostino glossa: «S. Pietro stesso ha dato l’esempio a quelli che governano, perché non ricusino, se allontanati da retto sentiero, una correzione fatta dagli stessi loro soggetti, e non la reputino indegna!».3
S. Tommaso, poi, sottolinea che quell’episodio contiene delle lezioni valide, sia per i Prelati che per i loro soggetti. «Ai Prelati - scrive - fu dato l’esempio di umiltà, af-finché non abbiano a rifiutare di accettare dei rimproveri da parte dei loro inferiori e soggetti; e ai soggetti fu dato l’esempio di zelo e di libertà, affinché non temano di correggere i loro Prelati, specie quando il crimine è pubblico e torna a danno di tante persone».4

7) Il famoso Cornelio a Lapide, grande esegeta del XVI e XVII secolo, scrive che, secondo S. Agostino, S. Ambro-gio, S. Beda, S. Anselmo e molti altri Padri, la resistenza di S. Paolo a S. Pietro fu pubblica perché, così, lo scandalo pubblico dato da S. Pietro, fu corretto, rime-diato con una riprensione pure pubblica».5
E in un altro scritto, Cornelio a Lapide, dice: «(…) I Su-periori possono essere ripresi, con umiltà e carità, da-gli inferiori, affinché la verità sia difesa» (Gal. 2,11). S. Agostino, S. Cipriano, S. Gregorio, S. Tommaso e altri sopra citati, insegnano chiaramente che S. Pietro, benché fosse superiore, fu richiamato da S. Paolo (…). S. Agostino afferma (Epist. ad Hieronymum): insegnando che i superiori non devono rifiutarsi di lasciarsi richiamare dagli inferiori. S. Pietro ha donato alla posterità un esempio più inusato e più santo di quello di S. Paolo, il quale insegna che, nella difesa della verità e con carità, egli appartiene agli inferiori nell’avere l’audacia di resistere senza paura ai superiori».6

(N.B.: tra i padri Orientali si può consultare, su questo pun-to, S. Giovanni Crisostomo, S. Giovanni Damascene, Teodoreto…).

sac. dott. Luigi Villa

Nessun commento:

Posta un commento